Il Manifesto, Giovedì 3 marzo Il patto di Sanremo blinda la Rete Il primo accordo intersettoriale tra produttori di contenuti e fornitori.
Sono un pasticciaccio brutto le nuove «Linee Guida per l’adozione di codici di condotta e azioni per la diffusione dei contenuti digitali nell’era di Internet», o patto di Sanremo, presentato ieri dal triumvirato Stanca-Urbani-Gasparri. Un pasticciaccio monco soprattutto, privo di una componente fondamentale per la stesura di linee guida: la voce dei consumatori, o utenti finali, o più semplicemente dei cittadini (digitali). Un accordo che vede per la prima volta i due settori industriali più interessati (chi produce i contenuti e chi le tecnologie e le reti) d’accordo, e che riesce laddove era impensabile: peggiora la già pessima legge Urbani in materia. Un pasticciaccio che sa di inciucio e che presenta una tale matassa di false argomentazioni e mistificazioni non semplice da dipanare. E visto che le disgrazie non vengono mai sole al Senato è stata approvata una modifica alla Legge Urbani (a nome del forzista Franco Asciutti) che finge di cambiare tutto e tutto lascia immutato.
Procediamo con ordine e iniziamo a vedere cosa prevede il documento presentato a Sanremo (consultabile integralmente sul sito del ministero per l’Innovazione tecnologica all’indirizzo http://www.innovazione.gov.it/ita/news/2005/cartellastampa/sanremo/Linee_Guida.pdf ).
Le nuove linee guida, emanazione diretta del lavoro della Commissione Vigevano, prevedono tra le altre cose, che gli Internet Service Provider (Isp) collaborino con l’industria dei contenuti per inibire lo scambio di file pirata, ovvero quei file coperti da diritto d’autore (audio e video generalmente) e per cui non si paga nulla, nulla eccetto il pc, i software, la connessione...
Gli Isp si premureranno di comunicare agli utenti che scambiare materiale pirata è reato, eviteranno di ingannare i consumatori con campagne comunicative ambigue e metteranno in atto clausole di risoluzione o sospensione del contratto la cui applicazione è subordinata all’accertata violazione del diritto d’autore.
Ma è reato? Innanzitutto scambiare file audio e video senza corrispondere nulla agli autori o alle industrie che li rappresentano è reato in base a una legge molto discussa e discutibile che lo stesso ministro che l’ha redatta (Urbani) ha promesso di modificare presto (promessa cui ha creduto, pentendosi subito dopo, solo il senatore Cortiana). Tale legge non fa distinzioni sostanziali tra chi scarica materiale audio e video senza pagare i diritti, lo masterizza e lo rivende lucrandovi sopra, e chi scambia i propri file (compressi e di qualità inferiore ad altri formati digitali quali quello dei dvd e dei cd) con altri utenti senza guadagnarci una lira. L’assunto alla base di tale equiparazione è che la proprietà intellettuale sia equivalente a quella fisica, mentre soprattutto in ambiente digitale l’equivalenza non tiene: se io rubo una videocassetta, ci sarà una videocassetta in meno a disposizione per gli altri; se scarico un file dalla rete non lo sottraggo a nessuno ma anzi lo moltiplico, al contrario di quanto ci fanno credere gli spot antipirateria, questi sì ingannevoli, trasmessi in tv e al cinema.
La distinzione tra profitto personale e fine di lucro non può essere così disattesa, affidata solo alle dichiarazioni di intenti, come quella del ministro Stanca che afferma che «l’interruzione del collegamento non è pensata a livello individuale: c’è una bella differenza tra chi pratica il peer-to-peer senza scopo di lucro e chi invece, ricadendo nel penale, usa Internet per organizzare una distribuzione illegale di contenuti». Dichiarazione che non è altro che il preludio alla modifica Asciutti della legge Urbani, modifica fasulla che non depenalizza la condivisione ma sostituisce il carcere con una pena pecuniaria aggravata. Quindi anche se passasse alla Camera l’emendamento non muterebbe lo spirito della legge, che considera, anche nella nuova stesura, reato penale la condivisione dei file.
C’è un posto vuoto a tavola Il patto di Sanremo è monco perché privo di una voce importante nel coro degli interessati, e i veementi comunicati delle associazioni di consumatori, che si sono rifiutate di firmare le linee guida, dimostrano quanto anche questa volta nessuno li abbia rappresentati. Oggi se si scarica «illegalmente» un file e lo si masterizza, si è passibili di denuncia penale, si rischia il carcere e il sequestro dei mezzi e dei supporti della registrazione (pc e cd) e si deve pubblicare a proprie spese su una testata nazionale un comunicato in cui ci si autodenuncia. Si tende a dimenticare però che l’utente paga già una tassa agli autori (Siae) all’acquisto del pc e sui cd vergini. Le modifiche alla legge approvate ieri al Senato eliminerebbero il sequestro dei mezzi e dei supporti, e trasformerebbero la minaccia del carcere nella certezza di una sanzione pecuniaria.
E anche in questo caso nessuno - Cortiana e pochi altri esclusi - sembra aver prestato molta attenzione ai diritti degli utenti finali. Il senatore Cortiana, difensore degli utenti che ormai non crede più alle promesse, lancia i suoi strali contro il patto «proibizionista» e miope - ma si potrebbe dire anche cieco - dinnanzi alle alternative. Sì perché di alternative a questo modo di gestire gli effetti della rivoluzione digitale e telematica (trasformare tutto in codice binario e poterlo trasmettere agevolmente su Internet) ci sono, e sono stati analizzati anche dalla Commissione Vigevano, che poi sembra aver optato per quello che definisce «technology lockdown scenario». Si tratta del futuro verso cui il patto ci sta istradando, un futuro caratterizzato dalla penalizzazione - anche nel senso legale del termine - dell’utente finale, dalle restrizioni legali e tecnologiche, nominate eufemisticamente digital rights management (Drm), in cui si cerca di conservare equilibri di mercato obsoleti e decisamente pre-rivoluzione tecnologica, con l’industria dei contenuti che la fa da padrone.
Anche in questo caso le dichiarazione dei rappresentanti dell’industria dei contenuti non lasciano adito a dubbi, per la Federazione Industria Musicale Italiana (Fimi) si tratta di «un importante riconoscimento del valore della produzione musicale nell’era digitale».
Alternative Ci sono però modelli diversi da quelli di cui ci parla la Fimi, e c’è un paese, il Brasile di Lula e del ministro per la Cultura Gilberto Gil, che li sta provando. Si tratta dell’adozione di differenti tipi di protezione del diritto d’autore, le Creative Commons, che permettano la condivisione e non la privatizzazione estrema dei contenuti. In Brasile su queste nuove licenze, stanno allestendo un archivio digitale in cui troveranno posto tutte le canzoni brasiliane, scaricabili gratuitamente. È un tentativo, ma sembra molto più attento ai vantaggi per l’utente finale di quelli su cui si continua a ragionare in Italia. (Gabriele De Palma)
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