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Racconto detenuti di Nuoro
by bastagalere Friday, Oct. 06, 2006 at 11:30 AM mail:

Racconto detenuti di Nuoro

Ciao, questo è un racconto scritto da alcuni detenuti della sezione EIV del carcere di Badu e Carros. Racconta in forma satirica come si è svolto l'ultimo loro sciopero della fame in agosto, partito in solidarietà con un compagno di sezione pestato dalle guardie. Ad oggi le rivendicazioni e le promesse fatte dalla direzione si sono rivelate nulle.
Tenetevi informati, e solidarietà a tutti loro !!!!

ULULATI ALLA LUNA

Visto le nostre condizioni di prigionieri si premette che questo racconto satirico è un'opera di fantasia, qualsiasi analogia con fatti e persone è assolutamente casuale (sic!)

Siamo in sciopero della fame a staffetta, il direttore del carcere, bontà sua, ci concede un incontro collettivo.

Direttore: figlioli, ma perché mi fate questo? Devo andare in vacanza e voi vi mettete a reclamare, a protestare, a scrivere ai politici, ai giornali…
Carmelulk: un nostro compagno è stato picchiato, umiliato…
Direttore: ma che dite! È stato immobilizzato per paura che si facesse male da solo…Fate i bravi, mangiate, io vi voglio bene, state tranquilli ci sono io che penso per voi…
Carmelulk: "Sta carogna! Il problema è proprio lui che pretende di pensare per noi, il carcere è criminogeno proprio perché ti vuole
piegare alla sua volontà"…
Mimmoski: non ce la facciamo più a vivere con prescrizioni irragionevoli e non giustificabili…
Aldulk: non siamo mai ascoltati, siamo abbandonati a noi stessi…
Francoski: vogliamo studiare, lavorare, insomma vogliamo un carcere più umano…
Massimando: l'orrore più grande di questa prigione è l'inattività, la noia, il nulla…
Ciccioski: vogliamo che ci siano garantiti condizioni di vita più dignitose, che siano rispettate le "vostre" leggi, i regolamenti, le circolari, i principi della nostra costituzione, in uno stato di diritto i poteri sono esercitati nel rispetto delle leggi…
Direttore: non v'accavallate…parlate uno per volta…
Aldulk: "Sto infamone! Si crede Biscardi al processo del lunedì"…
Direttore: vi prometto…
Alessandroski: non prometta nulla, non faccia come Berlusconi con le sue promesse elettorali, lei è come lui, un venditore di tappeti
volanti…lei ragiona male, malissimo…
Aldulk: anzi non ragiona affatto…
Carmelulk: si autoassolve sempre e comunque imputando alla sicurezza, alla struttura e alla mancanza di soldi le carenze di questo carcere…
Aldulk: invece il problema è solo lei…
Direttore: io vi faccio del male per il vostro bene…e tu Ruffianulk non dici niente?
Ruffianulk: illustrissima signoria vostra, lei per me è come un padre ma che dico! Lei per me è come Dio…qui si sta benissimo…io qui sto meglio che a casa mia, magari tutti i direttori fossero così buoni, belli, alti, biondi come lei…
Mimmoski: "Che ruffiano…ma se è moro…"
Direttore: non esagerare…faccio solo il mio dovere, perché non prendete esempio da Ruffianulk…
Francoski: non sarò mai un ruffiano come una buona parte dei detenuti…sono troppo orgoglioso per strisciare ai piedi di nessuno.
Massimando: nessuno mi sottometterà mai alla stupidità umana…
Direttore: Comandante dica qualcosa lei…
Aldulk: "Buono questo! L'estate scorsa si è presentato al passeggio con i manganelli per avere osato chiedere un colloquio con lui e l'altro giorno ha schiaffeggiato un detenuto…"
Comandante: un uomo in carcere non conta più nulla diventa un giocattolo in mano al comandante…
Direttore: "Comandante… un po’ di diplomazia non guasta…"
Comandante: il carcere deve essere una vendetta della società sul criminale, deve tendere a fare del condannato una persona peggiore di quando è entrato…
Carmelulk: "E' veramente complessato, è più grande il berretto che porta in testa che lui ed ha sette centimetri di tacchi nelle scarpe, si crede Napoleone…ci assomiglia solo di altezza…"
Direttore: il comandante non ha tutti i torti, il carcere deve essere anche un luogo di sofferenza…
Carmelulk: va bene! Siamo "d'accordo" con lei, che il carcere deve essere anche un luogo di sofferenza, ma così com'è non è neppure questo è solo una fabbrica di stupidità che ci sta rendendo scemi e ci sta facendo incazzare…
Aldulk: si vive come topi dietro le sbarre, non chiediamo molto solo umanità e legalità perché in questo carcere non si vive in modo umano…
Carmelulk: qui, non esiste la ragione solo la prepotenza istituzionale…sono stato punito per essere promotore di uno sciopero della fame come se io potessi proibire alla gente di non mangiare… Siamo stati solidali con il nostro compagno…dottore, dovrebbe sapere che la solidarietà differenzia il modo delle persone da quello degli animali. In particolare, la solidarietà in carcere è un sentimento molto prezioso per difendersi dal mondo ostile in cui i detenuti vivono…invece il comandante è andato al primo piano a minacciare i detenuti che facevano lo sciopero della fame.
Aldulk: la solidarietà è un nutrimento per la vita, si può vivere anche senza ma in questo caso si sopravvive… ed in tutti i casi chi partecipa o attua una protesta pacifica non dovrebbe essere punito.
Alessandroski: in questo carcere le persone non possono che peggiorare perché si è circondati e sommersi da una cultura e mentalità ostile, arrogante, ingiusta…
Massimando: ci trattate come cani ciechi e scemi in un canile e ci impedite persino di abbaiare alla luna e per un cane abbaiare alla luna, al cielo e alle stelle è tutto…
Ciccoski: ci volete spengere qualsiasi tipo di ribellione e di critica, non ci volete correggere ma solo assoggettarci e farci perdere l'abitudine di farci ragionare da noi stessi…
Francoski: in questo carcere esiste un regime esclusivamente della forza e dell'ignoranza… ci volete insegnare ad ubbidire e non ad essere semplicemente noi stessi, per voi nessun detenuto dovrebbe avere una volontà propria.
Aldulk: a voi vi sono simpatici solo i detenuti come Ruffianulk…che vi danno sempre ragione e che non si lamentano mai… la verità è che sia lei che il comandante concepite il carcere di Nuoro come se fosse un vostro feudo.
Carmelulk: con la vostra arroganza, le continue provocazioni, scelte stupide e repressive, sembrate lavorare per creare le condizioni idonee all'esplosione della situazione e solo il nostro buon senso lo sta impedendo.
Mimmoski: tutte le volte che vogliamo fare qualcosa di positivo fate di tutto per boicottarci con continui rifiuti di qualsiasi progetto culturale e formativo…
Ciccioski: dottore, lei dovrebbe avere studiato che nessun popolo potrà mai essere costretto a sottomettersi ad una forma di governo che non è disposto a rispettare. Quindi tutte le angherie, vessazioni e dispetti che da lei subiamo non faranno altro che renderci più forti e determinati…
Massimando: lei ed il comandante con noi non potrete mai vincere perché non avrete mai il nostro rispetto, anzi il male gratuito che ci fate ci rende più forti perché ci fa sentire migliori di lei…
Carmelulk: direttore, lei ci disprezza e considera i detenuti inferiori, ci combatte come se fossimo dei nemici. Una volta mi ha rinfacciato che io con lei ho sempre perso tutte le battaglie ma io, a differenza sua, non ho bisogno di vincere, io ho già vinto, tutto ciò che devo fare è tenere la testa alta, non avere paura di lei e del male che mi può fare…
Direttore: ma perché mi dite queste cose… mi fate stare male, di che cosa vi lamentate…
Alessandroski: siamo abbandonati a noi stessi e stiamo chiusi in cella 21 ore su 24, nessuno si cura di noi, ci contate solo diverse volte al giorno per vedere se ci siamo tutti, nulla di più.
Ciccioski: un trattamento carcerario così ci sta rendendo scemi: niente sale per attività artigianali, niente corsi scolastici, niente palestra, niente accesso fisico alla biblioteca, niente sala lettura/computer, niente stampante… unica via d'uscita da quest'infame niente è il cortile dove si può correre ma dopo sudati non si può fare la doccia, ci si può lavare solo alla sera durante la cena…
Aldulk: topi che si sentono a casa loro, che corrono avanti ed indietro e ti assaltano mentre dormi…
Francoski: lei è un direttore invisibile, assente, mentalmente pigro, non mantiene le promesse, quello che dice oggi lo smentisce domani…
Mimmoski: abbiamo un comandante arrogante che non vede aldilà del suo grosso cappello che si mette nelle grandi occasioni, siamo in balia dell'illegalità più assoluta, siamo al di sotto il livello di civiltà e stiamo vivendo al limite della sopravvivenza…
Carmelulk: le ricordiamo che per molti di noi il nostro livello di maturità e responsabilità sta per esaurirsi dato che se dobbiamo vegetare meglio stare male lottando.
Francoski: anche lei deve rispettare le leggi ed i regolamenti…
Aldulk: vogliamo ricordarle il dettato costituzionale che assegna alla pena una funzione rieducatici e non vendicativa; vogliamo ricordarle che questo carcere è al di sotto del livello di civiltà e che viviamo al limite della sopravvivenza…
Ruffianulk: gentilissimo e misericordioso direttore avrei una cosa personale da chiederle…
Alessandroski: Ruffianulk, non siamo qui per parlare dei problemi personali ma di quelli collettivi…
Comandante: fatelo parlare… io sono convinto che un detenuto come qualsiasi altro cittadino può e deve esprimere il proprio pensiero…
Carmelulk: "Sto picchiatore nazista e fascista con Ruffianulk fa il democratico…"
Ruffianulk: grazie signor comandante, questo mese potrei avere un'altra telefonata premiale in più…
Massimando: "Ma sta carogna…se ne ha già avute due".
Direttore: ma certo, sicuro… prendete esempio da Ruffianulk che chiede le cose con umiltà e non con arroganza come fate voi…
Ciccioski: non dovrebbe essere chi governa e chi comanda ad essere umile? Bisogna sentirsi piccoli per essere grandi…
Aldulk: lei, dottore, oltre la libertà ci vuole togliere anche la dignità, la nostra personalità, persino la nostra anima, con me non ci riuscirà mai… sui nostri corpi, purtroppo, lei ha un potere assoluto ma non avrà mai nessun potere sulla mia mente.
Mimmoski: lei ci vuole eliminare, distruggere e coprirci vivi di sbarre e cemento…
Francoski: ma si rende conto come viviamo? Spazi ridotti, vita insalubre, assenza costante d'intimità, attività d'intrattenimento zero, carenza d'igiene, pessima alimentazione, insomma viviamo come animali in gabbia ed adesso ci picchiate anche…
Massimando: le ricordiamo che il detenuto con il carcere non perde i diritti sociali come lo studio, il lavoro, la salute prevista dalla nostra costituzione… ci dobbiamo comprare le medicine e per aspettare una visita specialistica bisogna aspettare anni e secoli per un dentista.
Direttore: ma siete sempre a lamentarvi, a reclamare ed a protestare…
Francoski: quando ci si sente invisibili si fa qualsiasi cosa per farsi vedere…
Carmelulk: la qualità di chi comanda fa la differenza, è ovvio che quando in un carcere c'è un buon direttore ed un buon comandante le proteste sono rare… in queste condizioni ogni forma di protesta è legittima ed useremo lo sciopero della fame come ultima arma per
chiedere che si rispettata la nostra dignità di persone…
Aldulk: la frustrazione dei diritti negati, spesso senza motivazione ed ancora più spesso senza risposta ci fa incazzare… di molte restrizioni non si capisce il senso visto che non sono motivabili con ragioni di sicurezza se non spiegabili in una logica punitiva fine e se stessa…
Ciccioski: alle ingiustizie bisogna ribellarsi soprattutto quando esse vengono inflitte in nome della giustizia.
Mimmoski: un direttore intelligente e sensibile dovrebbe sapere "ascoltare" le voci concrete dei cittadini detenuti che spesso "parlano" soltanto attraverso le loro oggettive condizioni di esistenza…
Direttore: io mi preoccupo per la vostra salute, lo sciopero della fame vi fa male…
Ruffianulk: ve lo avevo detto che il direttore è buono… se non mangiamo sta male…
Aldulk: "Non ho ancora capito se è più scemo che infame… questi tipi di detenuti sono attratti più dalla prospettiva di sopravvivere che da quella di migliorare la qualità della propria esistenza".
Massimando: quando non puoi fare nulla, meglio che ti fai del male da solo piuttosto che te lo facciano i tuoi aguzzini…
Carmelulk: qui accade spesso che il detenuto non dovrebbe mai tollerare l'ingiustizia qualunque siano le forme d'oppressione, neppure quando viene con il bastone…
Aldulk: qui sono proibite le cose più elementari ed inoffensive, quelle stesse cose previste negli altri carceri e profittate della rassegnazione dei detenuti… per esempio al primo e secondo piano c'è la completa assenza d'intimità anche per i bisogni corporali.
Direttore: pensate per voi stessi… dite cosa volete… fate un elenco delle vostre esigenze e vedrò di accontentarvi ma basta che smettete lo sciopero della fame e non scrivete ai giornali ed ai politici…
Francoski: ci dia un po’ di tempo per pensarci…
Mimmoski: gli diamo la risposta domani…
Massimando: dobbiamo parlare anche con gli altri detenuti che qui non sono presenti…
Direttore: bene… mi darete la risposta domani…

Ci riuniamo al passeggio per discutere se smettere lo sciopero della fame e discutiamo queste rivendicazioni:
1) in riferimento al compagno picchiato dalle guardie e schiaffeggiato dal comandante condanna assoluta della violenza da qualunque parte questa si manifesti;
2) accesso a turno di dieci persone nell'ex sala computer/scuola con computer, stampante e scanner per essere luogo propulsivo in campo creativo, per studiare, leggere, discutere, aiutare negli studi i compagni in difficoltà ecc.
3) visto che nell'istituto non ci sono luoghi e mezzi per svolgere attività sportiva si chiede la possibilità di fruire tre volte a settimana del campo;
4) valutare la possibilità, per noi molto importante, di concedere alla domenica e nei giorni festivi la socialità nella stanza sia per poter consumare un pasto in compagnia che per migliorare i nostri rapporti sociali (si esce da una stanza e si entra in un'altra senza nessun pericolo per la sicurezza e disturbo per la custodia);
5) attivarsi per darci la possibilità di diplomarci con un corso di liceo;
6) richiesta di presenza assidua e contatti diretti con il direttore.

Massimando: c'è da fidarsi? Se smettiamo adesso lo sciopero della fame poi sarà più difficile mettersi d'accordo per ricominciare…
Ruffianulk: non fidatevi è un traditore ricordatevi che già nell'altra protesta non ha mantenuto le promesse…
Francoski: Ruffianulk, ma sei proprio un vigliacco, davanti gli parli bene e dietro gli parli male, comunque non abbiamo alternativa… dobbiamo accettare il dialogo.
Mimmoski: io non mi fido, ci fregherà come l'altre volta ma questa volta mi è sembrato sincero…
Carmelulk: è più facile credere che un cattivo faccia il bravo che un cattivo diventi bravo… ma la protesta non può andare all'infinito, meglio smettere adesso a testa alta che in seguito quando ci mancheranno le forze…
Aldulk: più che del direttore non mi fido del comandante ormai sé capito che è lui che porta i pantaloni in casa…
Ciccioski: siamo tutti d'accordo oggi smettiamo lo sciopero della fame…

Dopo un mese: ancora una volta il direttore ci ha ingannati la nostra vivibilità è rimasta com'era prima…L'istituto di Nuoro è un carcere fuorilegge ed il Ministero di Giustizia lo usa per i detenuti che ritiene irriducibili così lo diventano ancora di più…

Carmelo Musumeci e Aldo Gionta
Carcere di Nuoro - 2006

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Articolo 27 della Costituzione
by (((i))) Saturday, Oct. 07, 2006 at 12:40 PM mail:

“La pena non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. Così recita l’articolo 27 della Costituzione. Un imperativo giuridico e morale. La privazione della libertà personale, in qualsiasi forma si manifesti - nelle carceri, nelle stazioni di polizia, nei centri di permanenza ed assistenza temporanea per stranieri - non deve mai oltrepassare la soglia della umanità. La dignità della persona va salvaguardata in ogni circostanza.

La tortura è un crimine contro l’umanità, dicono le convenzioni internazionali, ultima quella istitutiva del Tribunale Penale Internazionale.



Qualsiasi atto per mezzo del quale venga intenzionalmente inflitta grave sofferenza o lesione, sia fisica che mentale, a una persona, con l’intenzione di ottenere della persona stessa o da un terzo una confessione o un’informazione, di punirla per un atto che lei o una terza persona ha commesso o è sospettata di avere commesso, di intimorire o costringere la persona o un terzo per qualsiasi motivo basato su una discriminazione di qualsiasi tipo, quando tale sofferenza o lesione venga inflitta da un Pubblico Ufficiale o da altra persona che agisce in veste ufficiale, o sotto la loro istigazione o con il loro consenso o acquiescenza. Il termine tortura non include la lesione o sofferenza derivante solo da una sanzione legislativa o ad essa inerente o accessoria. (Articolo 1 della Convenzione Onu contro la Tortura)



Negli atti internazionali non vi è una definizione unitaria di “tortura”, che nel codice penale italiano non è espressamente prevista. D’altro canto non sono in alcun modo definiti i trattamenti inumani, crudeli o degradanti. Il Professore Brent Sorensen, primo vice-presidente del cpt, ha tentato di produrre una casistica delle forme di tortura distinguendole in fisiche (pestaggi sistematici e non, molestie sessuali, shock elettrici, violenze con gettiti di acqua, mutilazioni) e psicologiche (ingiurie verbali, minacce di morte, costrizione alla nudità integrale, obbligo di assistere alla tortura o alla uccisione di altri detenuti, minacce indirette, ispezioni improvvise o senza mandato, sorveglianza continua sul lavoro, minaccia di perdita del lavoro o della possibilità di continuare gli studi al termine della detenzione).

http://tinyurl.com/kte5r

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Il caso di Luigi Acquaviva
by (((i))) Saturday, Oct. 07, 2006 at 12:42 PM mail:

23 gennaio 2000: Luigi Acquaviva, 46 anni, si impicca in cella di isolamento. La sera prima del suicidio avrebbe subito un violento pestaggio. Per protestare contro il mancato trasferimento da Badu ‘e carros si era armato di lametta e aveva preso in ostaggio un assistente capo della polizia penitenziaria: dopo che si era arreso, alcuni agenti lo avrebbero violentemente pestato.




20 dicembre 2001: il Pm Maria Grazia Genoese chiude l’inchiesta sulla sua morte, chiamando in causa otto agenti di polizia penitenziaria. Uno è accusato di omicidio colposo, per non averlo sorvegliato adeguatamente nella notte in cui si è suicidato, e gli altri sette di lesioni, in riferimento al pestaggio che avrebbe subito il 22 gennaio 2000.




23 novembre 2002: il Giudice delle udienze preliminari, Teresa Castagna, dispone il rinvio a giudizio degli otto agenti. Su richiesta della parte civile ammette anche la chiamata in causa del Ministero della Giustizia, quale responsabile civile.




10 dicembre 2002: davanti al giudice monocratico Elena Meloni si svolge la prima udienza dibattimentale del processo, che si sviluppa tutta attorno alla deposizione dell’agente preso in ostaggio, Raimondo Firinu, e a quella dell’allora direttore del carcere, Francesco Gigante.




13 gennaio 2003: seconda udienza dibattimentale del processo, con l’interrogatorio dei due carabinieri che avevano seguito le indagini sulla morte di Acquaviva, del medico del carcere, dell’infermiera che per prima aveva prestato i soccorsi al suicida e delle guardie che erano intervenute nell’immediatezza del fatto. L’udienza successiva è fissata per il 31 marzo.



Rassegna stampa sul caso di Luigi Acquaviva



Nuoro: chiusa dopo due anni l’inchiesta sulla morte di Luigi Acquaviva. Un pestaggio anticipò il suicidio in cella. La Procura chiede il rinvio a giudizio di otto agenti di custodia



L’Unione Sarda, 20 dicembre 2001



Otto richieste di rinvio a giudizio per altrettanti agenti di custodia e udienza preliminare già fissata per il 9 maggio. A queste conclusioni è arrivata la Procura dopo quasi due anni di indagini sulla misteriosa morte del detenuto napoletano Luigi Acquaviva, trovato impiccato nella sua cella di Badu ‘e carros all’alba del 23 gennaio del 2000. Confermata l’ipotesi del suicidio, contro gli otto indagati restano in piedi le altre accuse.

La posizione più delicata è quella di Angelino Calaresu, 39 anni, che dovrà rispondere di omicidio colposo: secondo il PM Maria Grazia Genoese avrebbe potuto impedire il suicidio - se solo avesse vigilato - come era suo dovere - sul detenuto. Gli altri sette agenti finiti nel mirino della magistratura (Antonio Deidda, 42 anni, Vittorio Leoni, 44, Giovanni Dessu, 38, Franco Ignazio Trogu, 38, Guido Nurchi, 34, Mario Crobu, 42, e Antonio Salis, 42) potrebbero invece essere processati per lesioni. I sette agenti, insieme a Calaresu, avrebbero

infatti preso parte alla presunta spedizione punitiva scattata contro Luigi Acquaviva che il giorno prima del suicidio, armato di un punteruolo recuperato chissà dove, aveva preso in ostaggio un agente penitenziario per protestare per il mancato trasferimento da Badu ‘e carros verso un penitenziario più vicino a casa sua. L’ergastolano napoletano si era arreso solo dopo ore di trattative con le forze dell’ordine e la direzione del carcere, ma anche grazie alla provvidenziale mediazione del suo legale, l’avvocato Antonello Spada.

A poche ore da questo episodio, la mattina successiva, il detenuto fu ritrovato cadavere: impiccato alle sbarre della sua cella con un rudimentale cappio attorno al collo. Da subito la versione ufficiale fornita dall’amministrazione penitenziaria - che ha sempre parlato di suicidio - aveva lasciato forti dubbi, soprattutto tra i familiari di Acquaviva. Sospetti che vennero rafforzati dagli esiti dell’autopsia disposta dal pm per fare chiarezza sull’accaduto.

I periti Vindice Mingioni e Roberto Demontis infatti rilevarono sul corpo del recluso i segni di quello che aveva tutta l’aria essere stato un pestaggio in piena regola: una serie di traumatismi contusivi ad esito anche escoriativo - scrissero i due consulenti - che hanno interessato il capo, il tronco e gli arti. La Procura arriva addirittura ad ipotizzare che fossero state proprio quelle lesioni a provocare la morte di Acquaviva, un quadro a tinte fosche all’interno del quale l’impiccagione sarebbe stata solo una macabra messa in scena.

L’incidente probatorio sul cappio disposto in novembre dal Gip Silvia Mugnini ed eseguito dal professor Gian Aristide Norelli, dell’Università di Firenze, finì però per avvalorare la tesi del suicidio sgonfiando - almeno parzialmente - il caso. Tenuto conto delle caratteristiche dei nodi - scrisse il perito - presenti nel laccio e del cappio (due calzini in spugna uniti tra loro, n.d.r.) si può ritenere il cappio compatibile con i caratteri delle lesioni presenti sul collo del soggetto, descritte come solco da impiccamento.

Mentre rispetto ai segni del presunto pestaggio il perito spiegò: sono presenti lesioni diverse da quelle provocate dal cappio ed in particolare ecchimosi ed escoriazioni diffuse sulla superficie corporea la cui guarigione poteva prevedersi entro venti giorni, non risultando interessati organi interni o componenti scheletriche, senza postumi determinanti indebolimento a carattere permanente di organi o di sensi. Ferite lievi insomma e comunque non in grado di provocare la morte del detenuto. La parola adesso passa al giudice dell’udienza preliminare, che il 9 maggio deciderà se accogliere le richieste del sostituto procuratore Maria Grazia Genoese o di prosciogliere gli otto agenti della polizia penitenziaria.



Morte di Acquaviva, otto agenti a giudizio. Sono accusati di omicidio colposo per non avere vigilato sul prigioniero, Procura e familiari del giovane napoletano non credono al suicidio. Il Gup ha fissato per il 27 novembre il processo per la vicenda del detenuto trovato senza vita il 23 novembre 2002



La Nuova Sardegna, 16 luglio 2002



Otto poliziotti penitenziari saranno processati il 27 novembre per la morte di Luigi Acquaviva, il detenuto di San Giuseppe Vesuviano che il 23 gennaio di due anni fa morì nella sua cella, nel carcere di Badu ‘e carros. Suicidato, secondo la versione ufficiale, messa in discussione dai familiari del recluso e dalla stessa procura della Repubblica che ieri, dal Giudice delle udienze preliminari del tribunale di Nuoro Teresa Castagna, ha ottenuto il rinvio a giudizio degli agenti.

Il Gup (su richiesta della parte civile) ha ammesso la chiamata in causa del ministero della Giustizia quale responsabile civile. Le accuse per gli otto poliziotti (tra ispettori e agenti) vanno dall’omicidio colposo alle lesioni. Tutti gli agenti avrebbero partecipato a un violento pestaggio su Acquaviva, che il giorno prima di morire, armato di un punteruolo artigianale, aveva sequestrato nella sua cella l’agente Emilio Firinu.

Acquaviva stava scontando l’ergastolo per un delitto di camorra. A Badu’e Carros era stato trasferito dopo che, il 7 marzo del 1999, aveva accoltellato un suo compagno di cella a Sulmona, un fatto per il quale era in attesa di giudizio. Ma non voleva saperne di stare a Nuoro, tante volte aveva chiesto di essere trasferito in un penitenziario campano. Per riavvicinarsi alla famiglia, alla moglie (originaria di Alghero) e ai loro tre figli. Una richiesta rimasta inascoltata.

Il giorno prima del decesso, Luigi Acquaviva si era reso protagonista di un gesto clamoroso. Lui, che era detenuto in Alta sicurezza, era riuscito ad attirare nella sua cella un agente, Raimondo Firinu, e poi lo aveva sequestrato. Perché voleva parlare con il direttore del carcere, Francesco Gigante, e sollecitare ancora una volta il trasferimento. Nella sua cella, con l’agente Firinu, Acquaviva era rimasto alcune ore.

Aveva lasciato andare l’ostaggio soltanto dopo l’intervento del suo avvocato di fiducia, l’avvocato Antonello Spada, che ora è il legale di parte civile per conto dei familiari del detenuto. Il giorno dopo questa vicenda, Luigi Acquaviva era morto. Suicida, secondo la ricostruzione ufficiale, impiccato alle sbarre della cella (dove non c’era nemmeno una finestra ma le nude sbarre) con un cappio costituito da una serie di calzini annodati.

Ma i familiari non avevano creduto a questa versione, e avevano subito sollevato pesanti sospetti sulla vicenda. Fatti propri dalla Procura, e in qualche modo avvalorati dalla perizie necroscopica dei consulenti del pubblico ministero, Vindice Mingioni e Roberto Demontis. Che certificarono un fatto inequivocabile: alcune ore prima della morte (il referto parla delle sei del 23 gennaio) Acquaviva subì un violentissimo pestaggio. Aveva ecchimosi su tutto il corpo, violenti traumi agli arti, alla testa. In qualche parte mancavano lembi di pelle. Un uomo fortemente debilitato quindi, che, stando alla ricostruzione ufficiale, avrebbe trovato la forza di impiccarsi. E che, per di più, avrebbe dovuto essere sorvegliato a vista. Ora si attende il processo, per conoscere la verità. Almeno quella processuale.



Caso Acquaviva. L’ex direttore Gigante depone sul caso del detenuto che si è ucciso a Badu ‘e carros. Il Pm: "Pestato prima del suicidio" Inizia il processo a 8 agenti penitenziari accusati di lesioni



L’Unione Sarda, 10 dicembre 2002



In isolamento, sorvegliato a vista dalla telecamera, dentro una stanzetta quattro per quattro priva di qualunque suppellettile e da cui erano state tolte anche le finestre. Luigi Acquaviva, l’ergastolano napoletano ritrovato impiccato alle sbarre della sua cella di Badu ‘e carros all’alba del 23 gennaio di due anni fa, passò le ultime ore della sua vita praticamente all’addiaccio: unico "lusso" una coperta militare con cui ripararsi dal freddo di una "notte polare".

L’udienza di ieri, la prima dibattimentale, si è sviluppata tutta attorno alla deposizione dell’agente preso in ostaggio, Raimondo Firinu, e a quella dell’allora direttore del carcere Francesco Gigante. Ed è stato proprio quest’ultimo a riferire il particolare della cella - la numero 10 della sezione osservanza - in cui venne eliminata la finestra, anche se durante l’interrogatorio l’ex direttore ha precisato: "Io non avevo dato alcuna autorizzazione ad eliminare gli infissi. Anzi, dopo la resa di Acquaviva e la liberazione dell’agente mi ero preoccupato di far trasferire il detenuto da una cella dove non c’era riscaldamento a una più confortevole dotata anche di telecamera in modo che lo si potesse tenere sotto stretta sorveglianza.

Il giorno dopo gli agenti mi spiegarono che avevano preso quella misura nel timore che il detenuto potesse estrarre la finestra dai cardini e usarla come corpo contundente contro di loro o contro se stesso". Sempre vago e incerto ad ogni domanda del pm Genoese, l’ex direttore ha anche ammesso come già prima del clamoroso gesto di protesta il detenuto napoletano si era più volte rivolto ai vertici della struttura penitenziaria per ottenere il trasferimento da Badu ‘e carros. "È vero, scriveva di continuo - ha detto -, voleva andare via dall’isola e in alcune istanze sostenne anche di temere per la sua incolumità, ma senza precisare esattamente i motivi".

Spesso in difficoltà (tanto da sentirsi in dovere di sottolineare ad un certo punto come "io dall’indagine interna ne sono uscito pulito") Gigante è apparso ancora più nel pallone quando la parola è passata ai legali del collegio difensivo (gli avvocati Giuseppe Luigi Cucca, Antonio Busia, Gianfranco Siuni, Lorenzo Soro e Pasquale Ramazzotti) che durante il controesame hanno insistito molto su una circostanza: l’ordine di servizio in cui si stabiliva la sorveglianza a vista del detenuto che fu controfirmata dal direttore solo il giorno successivo all’episodio del sequestro, cioè a morte ormai avvenuta.

A raccontare l’antefatto - cioè le fasi del sequestro - ci ha pensato invece il diretto e involontario protagonista. "Ricordo - ha spiegato l’agente Firinu al giudice Elena Meloni -, che stavo riaccompagnando Acquaviva dai passeggi in cella. Erano le 13. Ad un certo punto ho sentito una botta in testa e mi sono ritrovato nella sua cella legato mani e piedi alle sbarre. Lui era armato di una lametta e inveiva. Mi ferì in vari punti al collo premendo con la lama".

Da lì a qualche minuto davanti alla cella arrivarono un po’ tutti, dal comandante delle guardie, agli altri agenti in servizio, al direttore stesso. Momenti drammatici e ad altissima tensione ("ricordo che Acquaviva ci sommergeva di parolacce e invettive" ha detto Gigante) che si risolsero solo grazie all’intervento dell’avvocato del detenuto, Antonello Spada (che al processo tutela i familiari di Acquaviva insieme all’avvocato Antonello Cao). Cosa sia accaduto dopo la resa, resta invece un mistero che forse sarà chiarito alla ripresa del processo, già fissata per il 13 gennaio. Per quella data verranno interrogati alcuni agenti penitenziari e i medici del carcere.



Processo per il suicidio nel carcere di Nuoro. La strana morte del detenuto, imputati otto agenti



La Nuova Sardegna, 14 gennaio 2003



Luigi Acquaviva era morto suicida o era stato suicidato nella cella di Badu ‘e Carros dove stava scontando una condanna all’ergastolo e dove doveva essere controllato continuativamente dopo aver dato chiari segni di nervosismo poche ore prima? Un quesito al quale si sta cercando di dare una risposta in tribunale dove otto agenti di polizia penitenziaria sono sotto processo per omicidio colposo e mancata vigilanza. L’udienza di ieri è stata dedicata ai testimoni. I numerosi agenti di polizia penitenziaria incalzati dal fuoco di fila di domande del pubblico ministero Maria Grazia Genoese, hanno raccontato di aver trovato Luigi Acquaviva incastrato tra la branda della cella e il muro. In maniera tale che, per tirarlo fuori e adagiarlo sul lettino, era stato necessario l’intervento di ben tre guardie. Un intervento che, secondo tutti i testimoni, era stato abbastanza immediato. Ma inutile. Luigi Acquaviva era morto.

Il detenuto napoletano (in aula erano presenti la moglie e alcuni parenti) si era impiccato in cella con un paio di calze sportive, quelle che avrebbe dovuto avere ai piedi. Un particolare emerso nell’udienza di ieri, che si era aperta con l’interrogatorio dei due carabinieri che avevano seguito le indagini sulla morte di Luigi Acquaviva. Poi, è stato il turno del medico del carcere, dell’infermiera che per prima aveva prestato i soccorsi al suicida e delle guardie che erano intervenute nell’immediatezza del fatto.

Il medico ha fornito una spiegazione tecnica della vicenda. Che però è entrata in pieno contrasto con quanto dichiarato poco dopo dall’infermiera professionale che ha ricordato di aver ravvisato qualche timido segnale di vita quando aveva controllato le pulsazioni a livello della carotide. Un particolare sul quale si è soffermata a lungo il pm, ma anche l’avvocato che tutela gli interessi dell’amministrazione penitenziaria e i due patroni di parte civile, gli avvocati Antonello Spada e Antonello Cao.

Poi, è venuto il turno degli agenti penitenziari. Molti i non ricordo, molte le discrepanze fra le versioni del fatto ricordate in aula e quelle riportate sui vari rapporti che puntualmente il PM ha ravvisato e sottolineato con forza. E anche il giudice Elena Meloni ha spesso voluto approfondire alcuni punti poco chiari. Molto lungo e ricco di contrasti e precisazioni l’interrogatorio del sovrintendente responsabile della sezione in cui era morto Luigi Acquaviva.

Il sottufficiale ha ricordato alcuni particolari che hanno destato non poche perplessità, anche se già riportati sui verbali. Soprattutto quello relativo al modo in cui il detenuto si era impiccato: con le sue calze sportive, che dovevano essere particolarmente lunghe. Particolari che gli avvocati di parte civile non hanno mancato di sottolineare per cercare di smontare la tesi del suicidio e sui quali invece i difensori degli imputati hanno preferito ascoltare senza approfondire. La prossima udienza si svolgerà il 31 marzo.



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accusa di omicidio colposo
by (((i))) Saturday, Oct. 07, 2006 at 1:23 PM mail:

Luigi Acquaviva muore nel carcere di Nuoro il 23 gennaio 2000. Le prime informazioni parlavano di suicidio. Acquaviva era stato protagonista qualche giorno prima di una protesta in cui aveva preso in ostaggio per quattro ore un agente di polizia penitenziaria. La procura della Repubblica ha iscritto nel registro degli indagati il direttore, poi rimosso, e alcuni agenti. Acquaviva, secondo gli esami necroscopici, nelle ore precedenti la morte avrebbe subito una brutale aggressione. Nel corpo del detenuto sono riscontrate una infinità di ecchimosi e contusioni. Anche il Comandante di reparto viene rimosso. Nei mesi successivi i detenuti denunciano un aggravarsi del clima interno. I familiari dei detenuti e l'intero consiglio comunale di Nuoro nei primi mesi del 2001 protestano duramente contro quella che chiamano deportazione dei loro parenti detenuti. I parlamentari locali lamentano i trattamenti di eccessivo rigore presenti nel carcere. Il 7 giugno 2001 il procuratore della Repubblica di Nuoro Roberto Faceva e il sostituto Maria Grazia Genovese hanno richiesto il rinvio a giudizio di 8 agenti di polizia penitenziaria. Per uno di essi l'accusa è di omicidio colposo, per gli altri sette di lesioni.

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Nuoro, 14 marzo 2006
by (((i))) Saturday, Oct. 07, 2006 at 1:26 PM mail:

Nuoro, 14 marzo 2006

"Mettiti in ginocchio, prega la Madonna e bacia la bandiera italiana".
Tanto sarebbe stato costretto a fare un detenuto maghrebino di fede musulmana, Boulaame Moustapha, detenuto nella colonia penale di Mamone, in provincia di
Nuoro, da una guardia carceraria, Piero Sulas. Sulas è stato rinviato a giudizio dalla procura della Repubblica di Nuoro per violenza privata, "con l'aggravante - si legge nell'ordinanza firmata dai magistrati - della minore difesa, essendo la persona offesa detenuta e non in grado di difendersi in alcun modo".
L'episodio è stato riferito ai giudici nuoresi durante gli interrogatori seguiti all'avvio di un'inchiesta su una serie di furti avvenuti nel carcere barbaricino e commessi, secondo i magistrati, dalle stesse guardie.
Un'inchiesta durante la quale sono poi emersi anche soprusi sui reclusi, violenze psicologiche, minacce e persino spedizioni punitive.
L'episodio più grave è quello denunciato da Boulaame Moustapha.
Ma il campionario degli abusi, stando ai verbali della polizia e agli interrogatori resi dai detenuti ai magistrati, sarebbe molto più ampio.
Ad esempio, i magistrati contestano un altro episodio molto grave avvenuto nel maggio del 2002: "Due agenti hanno detto a un gruppo di detenuti: Noi qui siamo come una mafia.
A Mamone comandiamo noi e voi dovete solo ubbidire".

E ancora: due reclusi nordafricani, Rajovaoui Khalid e Gharbi Mansour, hanno dichiarato ai giudici che nell'ottobre del 2002 sono stati picchiati da un gruppo di agenti.
Uno dei due maghrebini sarebbe stato punito a forza di botte soltanto per aver bussato alla porta della cella per richiamare l'attenzione della guardia.
Nell'ordinanza di rinvio a giudizio si legge anche che un'altra guardia è addirittura arrivata a "minacciare di morte alcuni detenuti, dicendo loro che sarebbe stato facile farli sparire, denunciando poi una falsa evasione".
Accuse pesanti, quelle quali il processo dovrà fare chiarezza. L'udienza preliminare è stata fissata per il 15 di giugno. Sono dieci le guardie carcerarie rinviate a giudizio insieme con Piero Sulas.
La colonia penale di Mamone, a nord di Nuoro, in una zona montuosa e isolata, è una struttura carceraria aperta, dove i detenuti durante la giornata si dedicano ad attività economiche varie - agricoltura e pastorizia soprattutto - e poi la sera tornano in cella.
La percentuale di extracomunitari è molto alta.
La maggior parte di loro finiscono in prigione per piccoli traffici di droga.
Il carcere di Mamone è entrato nel mirino della magistratura nuorese il 22 ottobre del 2002, quando due guardie furono denunciate per furto dopo essere state pescate con le mani nel sacco. Furono bloccate da alcuni loro colleghi
all'uscita della colonia penale mentre tentavano di portare fuori, nascosti in auto, formaggio, legna da ardere, mele, agrumi, castagne e ortaggi prodotti dai detenuti e normalmente venduti sui mercati sardi.
Le due guardie furono arrestate.
In un secondo tempo l'indagine avviata dalla magistratura nuorese portò alla luce altri episodi simili.
Il titolare dell'inchiesta, il sostituto procuratore Maria Grazie Genoese, ipotizzò l'esistenza a Mamone di una vera e propria banda specializzata nel furto di prodotti stoccati nei magazzini del carcere.
Durante le indagini i giudici hanno sentito anche i detenuti.
Ed è così che sono venuti fuori gli episodi di violenza e gli abusi, tra i quali quello più grave: il nordafricano di
fede musulmana costretto ad inginocchiarsi, a recitare una preghiera alla Madonna e poi a baciare il tricolore.
Episodio particolarmente odioso perché alla violenza e all'umiliazione su un detenuto inerme si aggiunge l'offesa
ai sentimenti religiosi di Boulaame Moustapha.
Ieri, dopo che è stata resa nota l'ordinanza di rinvio a giudizio, gli avvocati difensori delle dieci guardie carcerarie hanno diffuso una dichiarazione in cui respingono tutte le accuse, che sarebbero pure e semplici invenzioni dei detenuti.
I magistrati nuoresi sono di tutt'altro avviso.

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Nuoro: abusi sui detenuti, rinviati a giudizio undici agenti
by (((i))) Saturday, Oct. 07, 2006 at 3:13 PM mail:

Nuoro: abusi sui detenuti, rinviati a giudizio undici agenti
Fonte: Il Manifesto, 14 marzo 2006
14 marzo 2006

"Mettiti in ginocchio, prega la Madonna e bacia la bandiera italiana". Tanto sarebbe stato costretto a fare un detenuto maghrebino di fede musulmana, Boulaame Moustapha, detenuto nella colonia penale di Mamone, in provincia di Nuoro, da una guardia carceraria, Piero Sulas. Sulas è stato rinviato a giudizio dalla procura della Repubblica di Nuoro per violenza privata, "con l'aggravante - si legge nell'ordinanza firmata dai magistrati - della minore difesa, essendo la persona offesa detenuta e non in grado di difendersi in alcun modo".

L'episodio è stato riferito ai giudici nuoresi durante gli interrogatori seguiti all'avvio di un'inchiesta su una serie di furti avvenuti nel carcere barbaricino e commessi, secondo i magistrati, dalle stesse guardie. Un'inchiesta durante la quale sono poi emersi anche soprusi sui reclusi, violenze psicologiche, minacce e persino spedizioni punitive. L'episodio più grave è quello denunciato da Boulaame Moustapha. Ma il campionario degli abusi, stando ai verbali della polizia e agli interrogatori resi dai detenuti ai magistrati, sarebbe molto più ampio. Ad esempio, i magistrati contestano un altro episodio molto grave avvenuto nel maggio del 2002: "Due agenti hanno detto a un gruppo di detenuti: Noi qui siamo come una mafia. A Mamone comandiamo noi e voi dovete solo ubbidire". E ancora: due reclusi nordafricani, Rajovaoui Khalid e Gharbi Mansour, hanno dichiarato ai giudici che nell'ottobre del 2002 sono stati picchiati da un gruppo di agenti. Uno dei due maghrebini sarebbe stato punito a forza di botte soltanto per aver bussato alla porta della cella per richiamare l'attenzione della guardia. Nell'ordinanza di rinvio a giudizio si legge anche che un'altra guardia è addirittura arrivata a "minacciare di morte alcuni detenuti, dicendo loro che sarebbe stato facile farli sparire, denunciando poi una falsa evasione". Accuse pesanti, quelle quali il processo dovrà fare chiarezza. L'udienza preliminare è stata fissata per il 15 di giugno. Sono dieci le guardie carcerarie rinviate a giudizio insieme con Piero Sulas. La colonia penale di Mamone, a nord di Nuoro, in una zona montuosa e isolata, è una struttura carceraria aperta, dove i detenuti durante la giornata si dedicano ad attività economiche varie - agricoltura e pastorizia soprattutto - e poi la sera tornano in cella. La percentuale di extracomunitari è molto alta. La maggior parte di loro finiscono in prigione per piccoli traffici di droga.

Il carcere di Mamone è entrato nel mirino della magistratura nuorese il 22 ottobre del 2002, quando due guardie furono denunciate per furto dopo essere state pescate con le mani nel sacco. Furono bloccate da alcuni loro colleghi all'uscita della colonia penale mentre tentavano di portare fuori, nascosti in auto, formaggio, legna da ardere, mele, agrumi, castagne e ortaggi prodotti dai detenuti e normalmente venduti sui mercati sardi. Le due guardie furono arrestate. In un secondo tempo l'indagine avviata dalla magistratura nuorese portò alla luce altri episodi simili. Il titolare dell'inchiesta, il sostituto procuratore Maria Grazie Genoese, ipotizzò l'esistenza a Mamone di una vera e propria banda specializzata nel furto di prodotti stoccati nei magazzini del carcere. Durante le indagini i giudici hanno sentito anche i detenuti. Ed è così che sono venuti fuori gli episodi di violenza e gli abusi, tra i quali quello più grave: il nordafricano di fede musulmana costretto ad inginocchiarsi, a recitare una preghiera alla Madonna e poi a baciare il tricolore. Episodio particolarmente odioso perché alla violenza e all'umiliazione su un detenuto inerme si aggiunge l'offesa ai sentimenti religiosi di Boulaame Moustapha.

Ieri, dopo che è stata resa nota l'ordinanza di rinvio a giudizio, gli avvocati difensori delle dieci guardie carcerarie hanno diffuso una dichiarazione in cui respingono tutte le accuse, che sarebbero pure e semplici invenzioni dei detenuti. I magistrati nuoresi sono di tutt'altro avviso.

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Badu 'e Carros
by (((i))) Saturday, Oct. 07, 2006 at 3:21 PM mail:

Giungono notizie preoccupanti dal carcere di Nuoro (Badu 'e Carros)

Una lettera dice:

"Segnaliamo che non abbiamo più notizie di un nostro compagno Roberto Nicolosi, massacrato e buttato in cella d'isolamento dalla polizia penitenziaria. Abbiamo timore che faccia la fine del detenuto Acquaviva trovato impiccato tempo addietro (vedesi procedimento penale in corso contro la polizia penitenziaria). Le torture non ci sono soltanto in Iraq ma guardiamo anche in casa nostra.
Alcuni detenuti del carcere di Nuoro. 5/06/04"

In un'altra lettera del 7 giugno ci inviano la copia della lettera di protesta scritta a mano che i detenuti hanno inviato alla Direzione in merito alla vicenda di Nicolosi.

"Alla Direzione della C.C. di Nuoro e per conoscenza agli organi di stato e stampa.

I detenuti della 1° sezione espongono quanto segue: premesso che in data 4.6.04 un nostro compagno (Roberto Nicolosi) è stato provocato e aggrediti da un brigadiere della polizia penitenziaria; che il nuovo comandante del carcere con un espediente ha fatto uscire dalla cella il nostro compagno e con un agguato, vigliaccamente lo hanno fatto picchiare, a questo punto i detenuti hanno cominciato una serie di proteste affinché il nuovo comandante venga allontanato dall'istituto; si precisa: il documento viene firmato solo e volontariamente dai detenuti del continente ciò per tutelare i compagni locali da una eventuale deportazione in continente"

C.C. Nuoro 5.6.04
(seguono 17 firme)

Nella lettera ci allegano una fotocopia di un articolo di un giornale sardo che riporta la vicenda e la richiesta dei detenuti di trasferimento del comandante delle guardie e lo stesso che si è dimesso. Il titolo è "Detenuti siciliani in rivolta" sottotitolo "Un ergastolano sarebbe stato aggredito da un agente di polizia penitenziaria. Ancora problemi di organico: nei giorni scorsi si è dimesso il comandante delle guardie" Nell'articolo c'è il nome dell'attuale direttore di Nuoro che "divide il suo lavoro tra Badu 'e Carros e il carcere di Viterbo".

Fonte: mailing list di Odioilcarcere 16 giugno 2004
Nuoro: sindacati denunciano clima di tensione a Badu ‘e Carros
L’Unione Sarda, 9 giugno 2004

Un ergastolano sarebbe stato aggredito da un agente di polizia penitenziaria. Ancora problemi di organico: nei giorni scorsi si è dimesso il comandante delle guardie.

Detenuti siciliani in rivolta nel carcere di Badu ‘e Carros, il comandante delle guardie che si dimette, il personale in perenne agitazione e i livelli di sicurezza ridotti al minino. All’interno del penitenziario nuorese la situazione è sempre esplosiva. Nei giorni scorso un gruppo di reclusi ha scritto una lettera alla direzione della casa circondariale denunciando un presunto pestaggio. Lo stesso documento è stato inviato anche ai giornali. "In data 4 giugno 2004 - si legge - un nostro compagno è stato provocato e aggredito da un brigadiere di polizia penitenziaria.

Il nuovo comandante del carcere con un espediente ha fatto uscire dalla cella un nostro compagno e con un agguato, vigliaccamente, lo ha fatto picchiare. A questo punto i detenuti hanno cominciato una serie di proteste affinché il nuovo comandante venga allontanato dall’istituto". Una ventina di detenuti (quasi tutti siciliani) hanno firmato la lettera. Tra loro non ci sono sardi. "Il documento - si legge ancora nella nota - viene firmato solo e volontariamente dai detenuti del continente, ciò per tutelare i compagni locali da una eventuale deportazione in continente".

Sull’episodio circola però anche un’altra versione. Le cose sarebbero andate in modo diverso. Il detenuto, un siciliano condannato all’ergastolo per reati di mafia, al termine dell’ora d’aria dopo essersi rifiutato di rientrare in cella avrebbe aggredito poliziotto. Sulla vicende è stata aperta un’inchiesta. Di sicuro si tratta dell’ennesimo segnale negativo dal carcere. Sempre nei giorni scorsi il comandante delle guardie si è dimesso dall’incarico. "É ormai chiaro che la situazione all’interno del penitenziario è sempre più grave - dice Giorgio Mustaro della Cisl Funzione Pubblica - c’è uno stato di sofferenza che interessa non solo i detenuti, ma anche il personale".

Il direttore Luigi Magri, arrivato qualche mese fa, divide il suo lavoro tra Badu ‘e Carros e il carcere di Viterbo. Tra guardie e impiegati amministrativi secondo i sindacati mancano almeno una trentina dipendenti. "Eppure - spiega Mustaro - secondo l’amministrazione penitenziaria ci sarebbero esuberi. Purtroppo però si assiste a un taglio drastico delle attività e di servizi per i detenuti. Da qualche tempo lo sport è ridotto al minimo. E tutti i servizi in genere. Chiaramente anche i poliziotti, con un problema di organico così grave, non possono garantire buoni livelli di sicurezza".

Negli ultimi tempi c’è preoccupazione anche perché Badu ‘e Carros ospiterebbe numerosi detenuti particolarmente pericolosi, soprattutto mafiosi e camorristi. Alcuni reclusi hanno scritto numerose lettere ai parlamentari invitandoli a visitare il carcere per denunciare i disagi. "Ormai le lettere stanno uscendo dal penitenziario e superano anche la censura - aggiunge Mustaro - segno che evidentemente c’è l’interesse a far conoscere all’esterno il caso Badu ‘e Carros.

In questa situazione particolarmente delicata c’è anche il cambio ai vertici dell’amministrazione penitenziaria. Il provveditore Francesco Massidda è stato trasferito a Bologna, in Sardegna arriva Lello Cesari. Gli avvicendamenti continuano a susseguirsi con una frequenza incredibile. Di questo e di altri problemi si parlerà oggi durante l’incontro dei sindacati unitari e autonomi. Bisogna rilanciare urgentemente la vertenza Badu ‘e Carros. Ormai è chiaro: la situazione è esplosiva e c’è la necessità di provvedimenti urgenti per tutelare i detenuti e il personale che lavora in carcere".

Sardegna: saranno costruite 5 nuove carceri
Sardegna Oggi, 9 giugno 2004

A Cagliari, Sassari, Oristano, Tempio e l’anno prossimo Lanusei avranno nuove case circondariali. Sono stati stanziati 415 milioni di euro per progetti relativi all’anno in corso.

Si realizzerà il nuovo Carcere di Sassari. Dopo le decisioni del Comitato Paritetico tra il Ministero di Grazia e Giustizia e il Ministero per le Infrastrutture, e il parere favorevole dei due rami del Parlamento, il Ministro Castelli ha firmato il Decreto che stanzia 830 miliardi di vecchie lire per la realizzazione di sette nuovi carceri, tra cui Rovigo, Savona, Forlì, Cagliari, Oristano, Tempio e Sassari; mentre è stato rinviato al 2004 l’intervento per il carcere di Lanusei.

Dal Ministro Castelli il Sindaco Nanni Campus ha avuto conferma che il Dipartimento per le Opere Pubbliche del Genio Civile ha già avuto il finanziamento per procedere alla progettazione già entro il 2003, mentre i lavori inizieranno nel corso del 2004. Campus ha espresso soddisfazione per la positiva soluzione di una battaglia da lui iniziata già nella veste di Parlamentare del territorio, "che si è potuta concretizzare - ha detto - grazie alla sensibilità del Ministro Castelli in prima persona, e all’interessamento costante del Ministro Beppe Pisanu".
Dov’è finito Roberto Nicolosi?
Comitato spontaneo nuorese contro il carcere

Il 5/06/04 esce dal carcere nuorese di Badu ‘e Carros un comunicato da parte di alcuni detenuti:

“Segnaliamo che non abbiamo più notizie di un nostro compagno, Roberto Nicolosi, massacrato e buttato in cella di isolamento dalla polizia penitenziaria. Abbiamo timore che faccia la fine del detenuto Acquaviva trovato Impiccato tempo addietro. Le torture non ci sono solo in Iraq ma guardiamo anche in casa nostra.
Alcuni detenuti del carcere di Nuoro”

Un’altra lettera viene inviata il 7/06/04 alla direzione:

“Alla Direzione C.C. di Nuoro e per conoscenza agli organi di stato e di stampa.
I detenuti della prima sezione espongono quanto segue:
premesso che in data 4/06/04 un nostro compagno, Roberto Nicolosi, è stato provocato e aggredito da un brigadiere della polizia penitenziaria; che il nuovo comandante del carcere con un espediente ha fatto uscire dalla cella il nostro compagno e con un agguato, vigliaccamente, lo hanno fatto picchiare, a questo punto i detenuti hanno iniziato una serie di proteste affinché il nuovo comandante venga allontanato dall’istituto; si precisa:
il documento viene firmato solo e volontariamente dai detenuti del continente, ciò per tutelare i compagni locali da una eventuale deportazione in continente”.

Questa è l’attuale realtà della galera nuorese, dove per mancanza di organico (a detta dei carcerieri; per noi….siete sempre troppi! Sigh), si sta provvedendo ad una eliminazione diretta dei prigionieri.

SABATO 26 giugno alle 8.30

SIT-IN DAVANTI AL CARCERE DI
BADU ‘ E CARROS - NUORO

***
Trasferito Roberto Nicolosi
CroceNeraAnarchica
17 Luglio 2004

Abbiamo saputo che circa una settimana fa Roberto Nicolosi, il detenuto di Badu 'e Carros di cui non si sono avute più notizie per alcune settimane dopo essere stato sbattuto in cella d'isolamento, è stato trasferito in un altro carcere (ancora non sappiamo quale).
Lui stesso aveva chiesto di essere trasferito o al carcere di Palmi o a quello di Trani. Appena avremo sue notizie le faremo circolare.

LO STATO TORTURA!
LO STATO UCCIDE!
MORTE ALLO STATO!
FUOCO ALLE GALERE!

***
Da Roberto Nicolosi

Odioilcarcere, 24 luglio 2004

Abbiamo ricevuto da un detenuto di Nuoro, Carmelo, una lettera che gli ha inviato Roberto Nicolosi dall'isolamento. È scritta con calligrafia di difficile comprensione che denota lo stato di grave disagio di Roberto N. La rendiamo pubblica, fatela girare ovunque - odioilcarcere -

Nuoro 6 luglio 2004
Ciao mio carissimo Carmelo, oggi con gioia ho ricevuto la tua del 3 luglio. Ti auguro di cuore che questa mia ti trovi bene in tutto, io sto benissimo. Carissimo Carmelo in merito di dare la mia lettera all'esterno fai pure, ti voglio precisare che l'aggressione l'ho subita dal comandante in persona e altri 30 guardie circa. Perciò (il comandante) non è stato il mandante ma bensì l'esecutore. Qui hanno portato uno che è 2 celle dopo di me, non va mai all'aria so che si chiama Giovanni. Chissà se è di Sassari o provincia, ma non so altro. Qui i passeggi sono inagibili in quanto i bagni sono otturati e senza tubi né acqua. Ti faccio sapere che il Direttore in persona mi ha detto che posso essere trasferito e mi ha chiesto dove voglio andare, gli ho risposto dove posso farmi la galera in santa pace, come a Spoleto, Palmi, o Voghera, in questi ultimi ci sono già stato. Leggendo la falsità con la quale mi hanno dato il 14bis con la motivazione che ho aggredito un brigadiere, queste non mi toccano, sicuramente ho paura solo che mi portano in un carcere dove vogliono (costruire una) messinscena come hanno fatto già qui. Gli ho detto: voi sapete fare la vostra parte (ma io ) ti faccio sapere che ho denunciato il brigadiere rifacendomi alla dichiarazione che ho fatto davanti ai carabinieri il 14 giugno. Venerdì pomeriggio 2 luglio ho visto l'avvocato Colli (o Lolli) gli ho dato i fogli (della denuncia) poi gli ho detto che gli spiega tutto Carmelo a cui io ho raccontato tutto. L'avv. mi ha visto quanto sono dimagrito, ho cominciato a mangiare qualcosa solo domenica 4 luglio. Sono dimagrito 13 chili e per tre gironi mi hanno dovuto fare la flebo in quanto non sono ristabilito.

Qui a mangiare e bere ora sto meglio, dicono che a giorni devo partire, subito ti scriverò.
Ti ringrazio non mi serve nulla, scusami se non mi prolungo, sto poco bene, ti abbraccio con affetto tuo Roberto

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I prigionieri di Badu 'e Carros
by (((i))) Sunday, Oct. 08, 2006 at 7:25 PM mail:

Ogni giorno tre passi per non muoversi, 23 ore di letture o di televisione e tante, forse troppe, occasioni per mollare, per lasciarsi andare fino a toccare il fondo.
Questa è la misera vita dei detenuti, ancor più se si è costretti a vivere la propria detenzione a Badu 'e Carros, carcere di Nuoro. A meno di un anno riesplode la "bomba" dell'invivibilità carceraria, che scoppia tra le mura silenziose e lontane del nostro penitenziario. Questa volta i problemi nascono e vengono messi in evidenza dalla terza sezione, il cosiddetto "limbo", dove sono rinchiusi coloro che sono in attesa di "giudizio".
Eccoli qui puntuali come una sveglia a ricordarci che esistono anche loro e che non si può continuare solo a scrivere tante belle parole, anche se commoventi, quando quotidianamente centinaia di poveri cristi vivono situazioni disumane sulla propria pelle, aspettando che qualcosa possa cambiare sul serio.
Eccoli qui a ricordarci che sono ancora, nonostante tutto, parte della nostra comunità, forse per molti quella parte nascosta che nessuno vuole vedere, che nessuno vuole sentire, ma di cui soprattutto, nessuno si vuole occupare.
Non ci si può scordare, però, che "la galera è parte integrante della società, nonostante ogni separazione territoriale tra la città e le prigioni. Anche quando non ne cogliamo i contorni architettonici, anche quando non sentiamo le urla straziate dei torturati che "ospita", anche quando i mass media non ne parlano, e vi sarà sempre fino a quando questa società silenziosa ne permetterà il perpetuarsi".
Per protestare contro la spirale di continui soprusi e restrizioni a cui vengono sottoposti, il 30 maggio 2001 alcuni detenuti del carcere di massima sicurezza di Badu 'e Carros a Nuoro hanno intrapreso lo sciopero della fame per fortuna già interrotto, perché si sta cercando di ristabilire la relativa "normalità".
Da diverso tempo nelle carceri sarde infatti è stato innescato un meccanismo perverso di scambio continuo di direttori utile solo a produrre ogni volta una nuova stretta di vite. Ognuno di essi infatti deve dimostrare quanto è forte e "padrone" di un "popolo " inerme e senza possibilità di difesa, se non la speranza riposta nei contatti settimanali, quando è possibile, con i propri familiari, anch'essi sottoposti ad angherie atte a scoraggiare qualunque reazione a difesa dei propri diritti e di quelli dei reclusi, per paura di eventuali ritorsioni.
La protesta odierna nasce dal fatto che alcuni detenuti sono affetti da scabbia, malattia contagiosissima della quale si era perfino persa memoria.
Oggi dentro le alte e mute mura del carcere il pericolo di contagio è alimentato dal fatto che tutti i detenuti sono costretti ad utilizzare gli stessi servizi igienici a causa del cattivo funzionamento degli impianti.
Per poter fare la doccia devono rinunciare all'ora d'aria, unico momento di socializzazione consentito all'interno di uno striminzito cortiletto con pavimento cementato. Non è consentito neppure l'utilizzo del campo di calcio. L'unico spazio comune consentito è una sala giochi dotata di un biliardino rotto. La frequentazione della biblioteca è vietata e peraltro non esiste un elenco dei libri in essa contenuti. L'alimentazione, oltre che di infima qualità è decisamente insufficiente (valga come esempio il venerdì, unico giorno in cui viene distribuito il pesce , che comprende due bastoncini a prigioniero).
È però vietato ai familiari portare all'interno qualunque tipo di pesce, così come è limitato il pacco dei viveri. Sono consentiti: formaggi tipo duro, carne senza ossa e affettati. Non è più ammesso il pacco supplementare per il cambio stagionale della biancheria.
Di fronte a questi fatti che si susseguono da tempo a Badu 'e Carros non possiamo far a meno di pensare che ormai siano parte integrante delle dinamiche interne alla gestione di questo carcere, dove regna indiscusso il malessere, l'abbandono e la desolazione assoluta, tale da costringere i detenuti a questi gesti estremi.
Cosa può essere allora la galera se non un mera discarica dove segregare le persone che "disturbano", o la massa di diseredati e dove si reprime anziché sanare lo scontento sociale ?
Un invito allora a non lasciarli soli, un invito a tutti ad aiutarci a rompere così l'isolamento che li circonda, per impedire che ancora una volta cada nel silenzio l'attacco violento del "tallone di ferro", che impunemente schiaccia le vite inermi annientando la dignità dei detenuti.
Diamo solidarietà a tutti/e i fratelli e le sorelle prigionieri/e.

Denunciano l'Ass.ne Alasdelibertade onlus (contatti alasdelibertade@tiscalinet.it) e l'Ass.ne K.A.P.P.A. onlus (contatti vociforti@hotmail.com)

P.S. divulgate o pubblicate questo messaggio a 360° grazie a tutti per la collaborazione.

con tenerezza e forza le associazioni denuncianti

Fonte: i prigionieri di Badu 'e Carros, documento diffuso il 2 giugno 2001 da tactical@tmcrew.org, in http://squat.net/tmc/msg01810.html.

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Morte di Acquaviva, otto agenti a giudizio
by (((i))) Sunday, Oct. 08, 2006 at 9:42 PM mail:

Sono accusati di omicidio colposo per non avere vigilato sul prigioniero

Procura e familiari del giovane napoletano non credono al suicidio

NUORO. Otto poliziotti penitenziari saranno processati il 27 novembre per la morte di Luigi Acquaviva, il detenuto di San Giuseppe Vesuviano che il 23 gennaio di due anni fa morì nella sua cella, nel carcere di Badu ‘e carros. Suicidato, secondo la versione ufficiale, messa in discussione dai familiari del recluso e dalla stessa procura della Repubblica che ieri, dal Giudice delle udienze preliminari del tribunale di Nuoro Teresa Castagna, ha ottenuto il rinvio a giudizio degli agenti. Il Gup (su richiesta della parte civile) ha ammesso la chiamata in causa del ministero della Giustizia quale responsabile civile. Le accuse per gli otto poliziotti (tra ispettori e agenti) vanno dall’omicidio colposo alle lesioni. Il reato più grave, omicidio colposo per non aver vigilato sul detenuto, è contestato solo a uno degli imputati, Angelino Calaresu di 40 anni. Gli altri imputati sono Antonio Deidda di 43 anni, Vittorio Leoni, di 45 anni, Giovanni Dessì e Franco Ignazio Trogu di 39 anni, Guido Nurchi di 35 anni, Mario Crobu e Antonio Salis di 43 anni. Sono difesi dagli avvocati Giuseppe Luigi Cucca, Antonio Busia, Lorenzo Soro, Pasquale Ramazzotti, Gianfranco Siuni. Tutti gli agenti avrebbero partecipato a un violento pestaggio su Acquaviva, che il giorno prima di morire, armato di un punteruolo artigianale, aveva sequestrato nella sua cella l’agente Emilio Firinu.
Acquaviva stava scontando l’ergastolo per un delitto di camorra. A Badu 'e Carros era stato trasferito dopo che, il 7 marzo del 1999, aveva accoltellato un suo compagno di cella a Sulmona, un fatto per il quale era in attesa di giudizio. Ma non voleva saperne di stare a Nuoro, tante volte aveva chiesto di essere trasferito in un penitenziario campano. Per riavvicinarsi alla famiglia, alla moglie (originaria di Alghero) e ai loro tre figli. Una richiesta rimasta inascoltata. Il giorno prima del decesso, Luigi Acquaviva si era reso protagonista di un gesto clamoroso. Lui, che era detenuto in Alta sicurezza, era riuscito ad attirare nella sua cella un agente, Raimondo Firinu, e poi lo aveva sequestrato. Perché voleva parlare con il direttore del carcere, Francesco Gigante, e sollecitare ancora una volta il trasferimento. Nella sua cella, con l’agente Firinu, Acquaviva era rimasto alcune ore. Aveva lasciato andare l’ostaggio soltanto dopo l’intervento del suo avvocato di fiducia, l’avvocato Antonello Spada, che ora è il legale di parte civile per conto dei familiari del detenuto. Il giorno dopo questa vicenda, Luigi Acquaviva era morto. Suicida, secondo la ricostruzione ufficiale, impiccato alle sbarre della cella (dove non c’era nemmeno una finestra ma le nude sbarre) con un cappio costituito da una serie di calzini annodati. Ma i familiari non avevano creduto a questa versione, e avevano subito sollevato pesanti sospetti sulla vicenda. Fatti propri dalla Procura, e in qualche modo avvalorati dalla perizie necroscopica dei consulenti del pubblico ministero, Vindice Mingioni e Roberto Demontis. Che certificarono un fatto inequivocabile: alcune ore prima della morte (il referto parla delle sei del 23 gennaio) Acquaviva subì un violentissimo pestaggio. Aveva ecchimosi su tutto il corpo, violenti traumi agli arti, alla testa. In qualche parte mancavano lembi di pelle. Un uomo fortemente debilitato quindi, che, stando alla ricostruzione ufficiale, avrebbe trovato la forza di impiccarsi. E che, per di più, avrebbe dovuto essere sorvegliato a vista. Ora si attende il processo, (giudice monocratico Lepore), per conoscere la verità. Almeno quella processuale.

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dimensione carcere
by c' è anche chi lavora Tuesday, Oct. 10, 2006 at 4:35 PM mail:

le carceri sono luoghi non comodi! Ci sono innocenti che pagano senza colpa. Ma con che coraggio chi è un essere violento e pericoloso, che ha picchiato ferito ucciso senza mai conoscere pietà la reclama come un diritto.
Chiudiamo i nostri carceri e li trasformiamo in ostelli.
I detenuti li trasferiamo nei campi di rieducazione culturale cinese. Costa meno e nelle mani dei compagni rossi potranno espiare con dignità.
Solidarietà alle forz dell' ordine TUTTE. NESSUNA ESCLUSA

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