Siamo tutt* 270 - continuazione
Si tratta di un durissimo attacco alla libertà di dissenso e di lotta: il carcere è l'unica risposta delle istituzioni al grido di resistenza contro la disoccupazione, l'esclusione, la povertà, l'abbandono.
Ad essere incriminato è il tentativo di costruire nel meridione d'Italia una rete politica fondata sui bisogni reali: viene criminalizzato un movimento che lavora sul diritto alla casa, all'acqua, alla sanità, su reddito e non lavoro.
L'operazione vede ancora una volta la collaborazione dei media mainstream e
della loro profonda etica che, come sempre in questi casi, salta fuori in
tutto il suo splendore. Molti quotidiani e siti web (come La Repubblica, La
Stampa, Kataweb) dedicano appositi articoli ai dati anagrafici delle persone
colpite dal provvedimento. E' questa la loro Informazione: spazio alle
veline della Questura e diritto alla privacy alla gogna, sperando di
ricavare qualche euro in piu' dalle vendite. Ma anche altri media in questi
giorni stanno scegliendo strade diverse e personali, sulla questione se sia
giusto pubblicare o no i nomi delle persone arrestate, e in quale misura e
condizioni questo sia utile o necessario. Radio Popolare, per esempio, ha
letto di buon mattino il giorno degli arresti l'intera lista con nomi e
cognomi; così come nel giro di poche ore anche siti vicini alla rete del Sud
ribelle proponevano generalità e particolari sulle persone arrestate.
Indymedia ha scelto di non pubblicarle, a meno che non siano persone a loro
vicine a chiederci esplicitamente di farlo.
La procura di Cosenza ha lanciato una "operazione in grande stile" contro chi dissente, che stringe il cappio intorno al collo dei disoccupati, degli studenti, dei lavoratori della Fiat in lotta, degli immigrati.
In base a questi criteri e impugnando queste leggi, potenzialmente siamo tutti una grande associazione sovversiva: la vaghezza dell'applicabilità dell'articolo 270, la sua estendibilità e la sua capacità di coinvolgere qualunque comportamento appena appena ragionato e non impulsivamente spontaneo potrebbe giustificare arresti di massa.
Ancora una volta dunque, con buona pace di chi aveva creduto in una divisione fra "bravi" e "cattivi", prendendo le distanze dalle frange piu' estreme del
movimento, chi regge i fili del potere sta usando il nome "black bloc" per giustificare atti repressivi di intensita' inaudita, millantando legami e costruendo prove, fino ad arrivare al grottesco "aveva in casa un passamontagna".
Ma chi di noi non ha un amico che a casa ha un passamontagna? E allora, in fondo, non abbiamo forse tutti un amico black bloc?
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