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cronache da melfi
by cybergob Friday, Dec. 06, 2002 at 8:38 PM mail:

del 4 dicembre

Cronache da Melfi

Mercoledì 4 dicembre, pomeriggio. Anche al secondo turno non è entrato nessuno. Comincia a calare la sera. Strane voci circolano ai picchetti. Si dice che una parte degli operai vuole andare a Roma il giorno dopo in occasione della trattativa. La prima reazione è di riflessione. Sono solo voci per ora. Poi arriva la posizione ufficiale: la RSU di Termini Imerese, “dopo ampio dibattito” ha deciso di lasciare Melfi la mattina dopo. La reazione operaia ora è di aperta opposizione a questa smobilitazione. La parola d’ordine è: “Tre giorni di blocco abbiamo deciso e tre giorni saranno”. I compagni della SATA e della New Holland, presenti ai picchetti, improvvisano veri e propri comizi per sostenere il blocco, ma tra gli operai di Termini Imerese la voglia di rimanere è già più forte di tutto. “Cosa ci andiamo a fare a Roma”? E’ qui che facciamo più danno ad Agnelli”. La CGIL ha paura di quello che essa stessa ha evocato: centinaia di operai combattivi che vogliono far perdere soldi al padrone, questa volta senza tentennamenti, determinati. Farli rimanere lì fuori è pericoloso. Specialmente ora che a Roma si tratta. Se ne esce un accordo bidone chi li fermerà più? Le pressioni sulla CGIL, per ricordarle la sua storia di sindacato “responsabile”, devono essere tantissime. E i sindacalisti non demordono. Quella che era apparsa una posizione della RSU di Termini Imerese diventa sempre più la posizione ufficiale della CGIL e della FIOM. Comincia il lavoro ai fianchi. Si smobilita la cucina da campo della Magneti Marelli di Bologna. Vengono i furgoncini della CGIL per prendersi i tendoni dei picchetti, ma gli operai glieli rifiutano. Si ha notizia che i giornali radio stanno già comunicando che il “blocco di Melfi è finito”. Arrivano dirigenti sindacali per convincere gli operai a smobilitare. Compare anche la segretaria di Rifondazione Comunista di Potenza, che comincia a disseminare dubbi e timori. “Se continuate i blocchi” dice ad un nutrito gruppo di operai “sarete senza copertura politica e sindacale e ciò può essere molto pericoloso”. Ma la rabbia sale e la segretaria capisce ben presto che è il caso di cambiare aria e, così, si dilegua alla chetichella. Ai picchetti tutti capiscono che è un colpo basso. All’indomani, grazie alle notizie dei giornali radio verranno molti più operai per riprendere il lavoro e la tensione salirà. Si parla di vero e proprio tradimento. Si cominciano a notare figure strane ai picchetti che ascoltano le discussioni individuando i più determinati. Qualche compagno avverte tutti di queste “strane” presenze. Sembra che gli operai stiano cedendo. I sindacalisti presenti riprendono coraggio e cominciano ad affermare apertamente che il “blocco è finito”. Non si parla neanche più di Roma. Vogliono semplicemente riportare tutti a casa. Ma hanno sbagliato le previsioni, perché nessun pullman va via. A sparire da quel momento saranno solo tutti i responsabili sindacali, che non si vedranno più.

La notte che passa è carica di tensione. Quelli che sono ai picchetti hanno solo un po’ di vino, il fuoco dei falò e le “merendine” che il vicino stabilimento della Barilla fa avere agli operai in cambio del lasciapassare ai picchetti per i propri lavoratori. Grande affermazione di solidarietà di classe tra capitalisti!

Si fanno le 5.00 del 5 dicembre. Ai picchetti si è in pochi. Sono decine di ore di veglia per tutti. Gli operai melfitani e modenesi che hanno sostenuto più di tutti l’importanza della continuazione del blocco tra gli operai di Termini Imerese sono esausti, senza voce. Arrivano i poliziotti. Sono molti di più di ieri. Scendono dai loro gipponi, alcuni si avvicinano ai fuochi. Il clima è pesante. Molti poliziotti e pochi operai e il primo turno si avvicina. Sono le 5,20. Cominciano ad arrivare gli altri operai di Termini Imerese, hanno dormito nei Pullman. Il picchetto si anima. Sono ancora tutti lì. L’affluenza degli operai del primo turno è molto più massiccia del giorno prima, hanno ascoltato la radio e credevano che si lavorasse. Sono molti. I compagni ai picchetti parlano. Le loro voci martoriate da ore di discussione e di freddo devono rianimarsi per forza, devono convincere. Gli operai che arrivano non fanno storie. Prendono atto che il blocco continua, salutano e vanno via. Qualcuno rimane e solidarizza. Si fanno passare solo i lavoratori della Barilla. Si cerca di discutere e di evitare casini. I poliziotti sono stati addolciti con un bel po’ di “merendine” Barilla, ma sono sempre lì e ci ricordano con la loro presenza che se qualcuno di quelli che arrivano volesse entrare, loro non avrebbero dubbi con chi schierarsi tra la FIAT e gli operai ai picchetti. Il turno viene bloccato. Comincia a fare giorno. Si tira un sospiro di sollievo. I “fratelli” si guardano negli occhi e sorridono.

In mattinata arrivano delegazioni SLAI COBAS da Pomigliano e da Termoli. Arrivano alcuni pullman con giovani di Rifondazione. I compagni dei picchetti li vogliono utilizzare per rinforzare il blocco. Ormai sono esausti, ma vogliono tirare almeno fino al secondo turno. Si riaffaccia alla ribalta la segretaria di Rifondazione di Potenza, quella che sosteneva i sindacalisti la sera prima nel tentativo di smobilitazione. Dice che i ragazzi di Rifondazione non accettano “cappelli in testa” e non si fanno comandare da nessuno. Un compagno dei picchetti, della SATA, anche lui di Rifondazione si arrabbia e, a muso duro, le chiede allora che cosa è venuta a fare lì. Di fronte a questa elementare domanda, la tensione si stempera. I giovani di Rifondazione decidono di andare tutti insieme a rinforzare un picchetto. Si arriva fino alle 15,30. Il secondo turno è bloccato. Gli operai decidono che è arrivato il tempo di tornare a casa. “Tre giorni di blocco abbiamo deciso e tre giorni saranno”. La promessa è stata mantenuta nonostante i voltafaccia dei sindacalisti. I pullman di Termini Imerese vanno via. Passano tutti al picchetto della “Barilla”. Giù ci sono i melfitani e i modenesi. I saluti sono calorosi.

Per tre giorni, contro ogni avversità e contro quelli che volevano smobilitare, hanno resistito.

Una sola classe, un solo interesse, un’unica testa. Fratelli.



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I 3 giorni di Melfi
by Salinardi Antonio Sunday, Dec. 08, 2002 at 11:28 AM mail: ros_ant@virgilio.it

Sono un compagno che lavora alla SATA di Melfi, ho partecipato attivamente a questo straordinar)o momento di lotta,

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I 3 giorni di Melfi
by Salinardi Antonio Sunday, Dec. 08, 2002 at 11:47 AM mail: ros_ant@virgilio.it

Sono un compagno che lavora alla SATA di Melfi, ho partecipato attivamente a questo straordinario momento di lotta; peccato che i lavoratori di Melfi non hanno capito la gravità della situazione mostrando indifferenza alla rabbia dei lavoratori di Termini Imerese e a tutti i lavoratoti della Fiat che in questo momento hanno perso il posto di lavoro.
La vostra cronaca è molto dettagliata e veritiera, tranne quando avete definito di Rifondazione Comunista il compagno di Melfi che si rivolge "a muso duro" al segretario di Rifondazione, perchè il compagno, che sarei io, non è di Rfondazione ma dello SLAI Cobas della SATA di Melfi.

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SATA Melfi
by segretaria di Rifondazione Thursday, Dec. 12, 2002 at 2:37 PM mail: rifondazionepz@hotmail.com

Il racconto sulle giornate di Melfi mi pare dettagliato, ma ingeneroso, forse perchè di parte, con la Federazione di Rifondazione.
L'unico partito che ha mobilitato altri fuori dalla fabbrica è appunto stata rifondazione.
L'unica forza politica che si è attivata per garantire l'accoglienza è stata sempre Rifondazione.
L'unica forza politica che ha continuato il blocco, come la maggioranza dei lavoratori ha deciso, è stata sempre Rifondazione.
La segretaria non è andata via, ma è rimasta tutta la notte e il giorno dopo. Ha sollevato un problema politico che chi voleva continua il blocco doveva tenere nella dovuta considerazione. La stessa segretaria è rimasta con i lavoratori, a differenza di tutti gli altri, che si è presentato la mattina dopo.
La pratica di Rifondazione è quella di stare dentro il movimento, con e alla pari di tutti gli altri, gli studenti non fanno i blocchi al posto dei lavoratori, ma le pratiche che noi chiamiamo di disobbedienza si intersecano.
La presenza degli studenti ha infatti attivato una energia e una contaminazione importante che ha permesso ai blocchi in dismissione di ricomporsi. Gli operai li hanno ricomposti, gli studenti hanno contaminato e si sono fatti contaminare.
L'idea di sostituire gli studenti agli operai sarebbe stata solo una forzatura che non avrebbe centrato nessun obbiettivo politico.
Questo quello che è accaduto.

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