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Media e guerra : articoli da Il Manifesto del 04.03
by blicero Friday, Apr. 04, 2003 at 3:40 PM mail:

Media e guerra : articoli da Il Manifesto del 04.03

BAGHDAD
«Ci censurano»: la protesta di Al Jazeera
L'Iraq sospende un giornalista e ordina l'espulsione della star Allouni E la rete reagisce «spegnendo» i suoi reporter: «Nessuno ci impone chi va in video»
DONATELLA DELLA RATTA
Senza dare alcuna spiegazione ufficiale, il ministro dell'informazione iracheno ha deciso di sollevare Diyar Al Omari, della rete satellitare Al Jazeera, dai suoi incarichi giornalistici a Baghdad, mentre al corrispondente Tayseer Allouni è stato ordinato di lasciare il paese. La rete del Qatar ha immediatamente reagito bloccando l'attività giornalistica dei suoi otto inviati in Iraq: continua a trasmettere immagini dagli uffici di Baghdad, Bassora e Mosul, ma senza alcun commento giornalistico. La vicenda ha una sorprendente analogia con ciò che accadde una settimana fa alla Cnn, costretta a far partire i suoi reporter e a lasciare simbolicamente le telecamere fisse sui tetti di Baghdad senza commento dal vivo. Ma questa volta, trattandosi della rete che tutti davano vincitrice del conflitto mediatico in corso in Iraq, l'avvenimento è a dir poco spiazzante. In attesa di una spiegazione ufficiale il caporedattore di Al Jazeera, Ibrahim Helal, dichiara che non sposterà i giornalisti della rete dal paese. «Non possono imporci chi può e chi non può lavorare», ha detto ieri alla Reuters. Questa dichiarazione porterebbe a pensare che il provvedimento iracheno sia diretto non tanto contro Al Jazeera in quanto emittente, ma contro i due giornalisti oggetto del «richiamo».

Allouni è una star del giornalismo televisivo, arabo e non. Accusato da molta stampa occidentale di legami con i talebani, divenne famoso per essere l'unico corrispondente a Kabul durante il conflitto in Afghanistan dell'ottobre 2001, in cui la redazione della rete venne bombardata «per errore» da due bombe americane da 500 libbre e lui, in fuga, venne malmenato e rapinato da mujaheddin anti-talebani. Siriano, residente in Spagna, vanta interviste uniche al mullah Omar e a Osama Bin Laden in persona. Quella con il leader di Al Qaeda è un'intervista celebre e contestata, l'unica realizzata dopo l'11 settembre. Allouni venne prelevato da uomini armati a Kabul a fine ottobre del 2001, bendato e portato al cospetto di Bin Laden, che seppellì le sue domande in una sorta di lungo monolgo, minacciando il giornalista e pretendendo che fosse mandato in onda tutto e senza tagli. Al Jazeera decise di non trasmettere per nulla questa intervista coatta, la Cnn (che con la rete quatariota aveva un accordo commerciale) selezionò invece una manciata di minuti tra i più deliranti.

Al Omari invece è un cittadino iracheno, già al centro, lo scorso anno, di un diverbio con le autorità irachene, per aver fatto riferimento al «presidente iracheno», omettendone nome e titolo completi come vuole il protocollo ufficiale. La sospensione dal servizio di Al Omari durò dieci giorni e fu ritirata dopo che la direzione generale della rete, da Doha, aveva scritto al governo iracheno, minacciando la chiusura di tutti i suoi uffici in Iraq.

Al Jazeera non è nuova a situazioni di questo tipo: molti paesi arabi, dall'Algeria allo Yemen, dalla Tunisia alla Libia, hanno protestato -fino a consumare vere rotture diplomatiche con il Qatar- per i toni aggressivi adottati dalla rete nei confronti dei governi in carica. In Iraq, dopo l'episodio che aveva coinvolto Al Omari Al Jazeera non sembrava incontrare problemi. E la rete di Doha aveva cominciato a risollevare polemiche nel mondo intero, seguite da accuse di «antiamericanismo», per aver trasmesso le immagini dei prigionieri americani in Iraq. Ma le cose evidentemente non stanno così: venerdì scorso - e quasi tutti i media occidentali lo hanno taciuto, con la significativa eccezione del quotidiano francese Libération - Al Jazeera ha mostrato i campi di internamento militare riservati agli oppositori di Saddame ha dato voce all'opposizione curda, ricordando i bombardamenti chimici ad opera del regime. Mentre uno degli analisti politici della rete, già nei primi giorni di guerra commentava: "Sono cinquant'anni che accumuliamo errori su errori (..) ecco i risultati delle (..) elezioni vinte dai nostri dittatori con il 99% dei voti -e anche con il 100% nel caso dell'Iraq- (..) Non vedo che una sola speranza, che la società araba si ribelli e reagisca con forza, che i popoli si liberino dai dittatori, a cominciare dalla dittatura irachena, e facciano sentire le loro voci!». E' lo slogan della rete: l'opinione e l'opinione opposta. E da oggi per i soldati americani sarà molto difficile dire di Al Jazeera che è la «tv del nemico».





Reporter arrestati dagli Usa come spie
Quattro giornalisti - due israeliani e due portoghesi - sono stati arrestati dai militari americani con l'accusa di spionaggio e rilasciati dopo 48 ore da incubo. Entrati in Iraq con mezzi propri dal Kuwait, i quattro si erano uniti a un convoglio americano ma sono stati sospettati di spionaggio e tenuti in stato di detenzione per due giorni. «E' stata la più folle rappresentazione di un teatro dell'assurdo», hanno raccontato dopo la «liberazione» al quotidiano israeliano Maariv. Sono stati costretti a spogliarsi per provare di non essere armati e di non portare esplosivi, umiliati, insultati e accusati di essere agenti iracheni o terroristi al soldo dell'Iraq, tutte le loro attrezzature per comunicare sono state confiscate. Il qotidiano israeliano aggiunge che americani e britannici, che hanno a lungo criticato gli israeliani, si comportano «un po' peggio» di quanto facciano loronei Teritori occupati. Non è l'unica disavventura capitata a reporter non «incorporati» nelle truppe britannico-americane. La European broadcasting union, un'associazione di emittenti commerciali e pubbliche che comprende Bbc, Cnn e canali francesi, italiani e tedeschi ha protestato formalmente per il divieto opposto dalle truppe americane alla presenza di giornalisti «autonomi» dalle truppe. Alcuni di loro, fermati in Iraq da militari americani, sarebbero stati riportati a forza in Kuwait.



MEDIAWAR
La battaglia di Rula
Incollato il logo Iraq sul vecchio armamentario, la nuova Rai ha lasciato la bussola del dibattito e dell'approfondimento nelle mani di chi gioca la guerra di Berlusconi. Così l'altra sera ecco Vespawar pronto a fare l'avvocato del governo (rappresentato dalla ministra per le pari opportunità). La giornalista palestinese, Rula Jabreal, contesta l'umanità dei bombardamenti e la ministra definisce propaganda le immagini dei bambini uccisi dalle bombe. Quando Rula replica che non di propaganda ma di «cronaca di guerra» si tratta perché è doveroso «far vedere i missili che colpiscono un mercato o la maternità di un ospedale», ecco il conduttore precisare: «scusate, per dovere di cronaca, l'ospedale era vuoto» e, alzando due dita, aggiungere, «sono morti due guardiani». Tante storie per due custodi, magari saddamisti travestiti? E poi è tutta colpa del dittatore che mette gli obietivi militari accanto agli ospedali. Ma Rula non s'arrende: «e se ci sono duecento persone accanto a un obiettivo militare lei che fa? ammazza i duecento? come Sharon che per per uccidere un terrorista ha buttato giù un intero condominio?». Vespa, annaspa, prova a rilanciare con la guardia repubblicana annidata nelle moschee, aiutato dalla ministra che se la prende con Pietro Ingrao per aver «inneggiato a Saddam». Rula li punta: «ammazzate i duecento?». I due indietreggiano, si devono arrendere: questa battaglia l'hanno persa (n.r.).



INFORMAZIONE
Jessica e l'happy end
GIOVANNI CESAREO
E finalmente, nell'informazione (diciamo così) su questa sporca guerra, siamo arrivati allo spettacolo vero e proprio. Una storia avventurosa conclusa con la classica happy end, come vuole la antica tradizione hollywoodiana. Una ragazza americana, Jessica Lynch, che si era arruolata perché non trovava lavoro, inviata in Iraq, ferita e catturata in un'imboscata, viene liberata grazie a una missione audace e fulminea dei corpi speciali. Marines e Delta Force penetrano nell'ospedale di Nassirya nel quale Jessica è ricoverata e la portano via in barella, con la bandiera a stelle e strisce stretta al petto, mentre il popolo degli Stati uniti, dal presidente all'ultimo cittadino, ride e piange di gioia insieme alla famiglia della protagonista. Ne siamo lieti anche noi, naturalmente. E anche qualche produttore che già pensa a un possibile film, magari diretto dal regista omonimo della protagonista. Nello stesso giorno, tuttavia, un'altra storia si svolge in un altro ospedale, a Baghdad. Una storia senza lieto fine: al contrario. Le bombe colpiscono il reparto maternità, ci sono feriti, forse morti, alcuni aborti spontanei. Ma dell'«evento» non si hanno le immagini e - tranne che in qualche notiziario, come il TG3 - si parla quasi di sfuggita. In compenso, il generale Brooks ieri si è compiaciuto della nascita di una bimba irachena vicino a Nassirya. Di insopportabili disparità come questa, certo, è anche responsabile il criminale regime di Saddam che mira a eliminare qualsiasi mezzo d'informazione che non sia suo, in una logica eguale e opposta a quella praticata dagli americani che bombardano gli impianti televisivi iracheni e i luoghi dove si trovano i giornalisti di Al Jazeera. Per Bush questa guerra dovrebbe registrare soltanto avanzate vittoriose e applausi, per Saddam eroi kamikaze e sconfitte del nemico. Ma l'odio e la morte non si cancellano con l'informazione drogata e tanto meno con l'informazione-spettacolo: ci vorrà molto tempo per scontare questa tragedia, e certe ferite rischiano di non rimarginarsi mai.

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