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La Liberazione di Milano
by dal manifesto Saturday, Apr. 26, 2003 at 8:00 PM mail:

Partigiani, centri sociali, ebrei, lavoratori, studenti, moderati, radicali, giustizialisti, libertari. Centomila persone sfilano nell'anniversario dell'insurrezione del capoluogo lombardo. E' la sinistra milanese che non vuol farsi rovinare la giornata da Savino Pezzotta, pacificamente fischiato.

L'uomo sbagliato al posto sbagliato non può rovinare il 25 aprile a Milano. Alle 17,10 parla Savino Pezzotta e piazza Duomo diventa San Siro, quando gli avversari osano uscire dal tunnel e calpestare l'erbetta per vedere l'effetto che fa. Un boato di fischi. In quel momento il segretario della Cisl, dopo aver percorso il corteo a gambe levate spiegando ai giornalisti che la sua battaglia contro l'estensione dell'articolo 18 è cosa giusta, ha reagito alzando la voce: «Guardate che tanto lo farò tutto il comizio...». Il resoconto deve essere stato consegnato alle agenzie, perché dal vivo non l'ha sentito nessuno. A cose fatte, resta solo l'incredibile coro delle reazioni ufficiali, più rituali che meditate, segno che per alcuni è sempre più difficile sentire la piazza. Fischi compresi. «Abbiamo bisogno di un sentimento unitario», se l'è cavata Antonio Panzeri, segretario della Camera del lavoro di Milano. «Savino ha tutta la solidarietà della Cgil e nostra personale per l'intolleranza ignobile a cui è stato sottoposto da frange minoritarie, l'attacco a Pezzotta è un attacco a tutto il sindacato», hanno esagerato Achille Passoni e Carlo Ghezzi, segretari della Cgil. Sopra le righe anche la replica dell'ex comandante partigiano Aldo Aniasi che ha commentato dicendo che «i nemici della festa di Liberazione non potevano comportarsi peggio». Anche Cofferati, copresidente di Aprile, uno che di piazza dovrebbe intendersene, parla di «inaccettabile atto di intolleranza». Sulla stessa linea anche Epifani, segretario generale della Cgil. Invece è stata una risposta spontanea e civile di una piazza, di sinistra, che ha tutto il diritto di fischiare e che certo non ha paura di «strumentalizzare» la Resistenza, come direbbe Berlusconi, magari per ricordare che la Repubblica ripudia la guerra, e si fonda sul lavoro.

Ricordando Dax, ucciso dai fascisti

Del resto l'«incidente» non era certo in cima ai pensieri delle centomila persone che hanno celebrato la festa del 25 aprile, formando un lungo corteo rotto solo da un imponente schieramento di camionette; davanti lo spezzone ufficiale, con i gonfaloni, i sindacati, i Disobbedienti e tutte le forze (e le debolezze) del centrosinistra; dietro quello degli «antagonisti contro la guerra» che si sono diretti al consolato americano, lasciandosi alle spalle un'auto dei vigili in fiamme e qualche scritta - solite tensioni tra polizia e «incappuciati venuti da fuori». Episodi che danneggiano i ragazzi e le ragazze di alcuni centri sociali che hanno voluto coniugare l'antifascismo al presente, ricordando Dax, il militante del centro sociale Orso ucciso a coltellate il 16 marzo scorso da tre balordi fascisti.

La testa del corteo ufficiale, tra gonfaloni e bandiere dell'Anpi, è quella di sempre, eppure vengono sempre i brividi guardando dai lati della strada: sfilano i vecchi e portano in mano cartelli neri con i nomi dei campi di concentramento. Alcuni sono ebrei, ma è una storia tutta diversa quella che pochi metri più indietro raccontano altri ebrei, più giovani, che sfilano dietro lo striscione «Brigata ebraica», accompagnati da un discreto cordone di carabinieri. Lì c'è anche chi esibisce la bandiera americana, tra gli spettatori l'imbarazzo è palpabile e un ragazzo molto giovane li saluta con una colorita espressione milanese: «Ma va' a ciapà i ratt». Un socialista antifascista spiega la sua opinione, che non è certo prevalente: «E' vero che gli americani hanno fatto delle schifezze, ma io fra un dittatore e un presidente eletto scelgo il presidente». .

Dipietristi e leoncavallini

Ovvio che la guerra si faccia sentire in un corteo come questo: sfilano tante bandiere palestinesi, e ancora di più quelle della pace. Non è un caso se gli applausi più sentiti segnano sempre il passaggio dello striscione di Emergency, anche se basta saper guardare per accorgersi che qualcosa è già cambiato dalle ultime manifestazioni: un senegalese in piazza Duomo vende bandierine a mazzi, arcobaleno e a stelle e strisce. Quanto all'articolo numero 1 della Costituzione, anche Pezzotta avrà notato il civile dissenso delle centinaia di pettorine gialle in favore dell'estensione dell'articolo 18.

Il 25 aprile a Milano è la festa di tutti gli antifascisti, e la strada diventa sempre un gigantesco salotto dove migliaia di persone si fermano volentieri anche solo per guardare chi fa parte della sfilata, portando con sé differenze e contraddizioni. Barcollano sui trampoli alcune ragazze con la faccia pitturata di rosso, «scrivetelo domani, siamo i nuovi partigiani». Ma di cosa parlano invece le signore della lista Di Pietro? Di Previti. Come mai questa volta così tante bandiere cubane? «Liberen a los cincoya» - come dire che, pur essendo faticoso, si può avere Cuba nel cuore e non tollerare che Castro condanni a morte i dissidenti. E il Leoncavallo come sfila? Ricordando che si riparla di sgombero: «Colpiscono i diritti, chiudono gli spazi: costruiamo liberazioni».

E' un corteo dove sventola in un modo speciale anche il tricolore. In corso Vittorio Emanuele si passeggia sulle note di scarpe rotte eppur bisogna andar, e la suona anche un povero al sax che chiede sempre l'elemosina. La stessa musica ieri per migliaia di persone ha continuato a suonare anche al parco dell'ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, dove fino a notte sono andati in scena gli Appunti partigiani, improvvisati da artisti e personaggi famosi che hanno voluto lasciare un segno con la mano sinistra. Intorno alle 21, al telefono da Baghdad, Vauro e Gino Strada raccontano il disastro della guerra. «Mi mancate, qui c'è molta meno civiltà, c'è brutta gente in giro vestita in modo strano, e non sto parlando dei locali». Saranno milanisti, sdrammatizza Paolo Rossi...

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