II ASSEMBLEA INTERNAZIONALE DI PREPARAZIONE DEL FSMed – FORUM SOCIALE MEDITERRANEO Tavolo dei Movimenti Sociali “Conflitti, guerra, militarizzazione” Napoli (Italia) – 04.07.2003
DOCUMENTO INTRODUTTIVO DELLA RETE ORGANIZZATIVA LOCALE (ALLEGATO n° 1)
http://www.noglobal.org/nato/med/index.htm / http://www.fsmed.info/ PREMESSA
La Rete Organizzativa Locale ha redatto questo Documento Introduttivo come canovaccio di lavoro per il Tavolo dei Movimenti Sociali “Conflitti, guerra, militarizzazione” della II Assemblea Internazionale di Preparazione del FSMed – Forum Sociale Mediterraneo, svolto a Napoli (Italia) il 04.07.2003, e che ha visto la partecipazione di esponenti di diverse realtà dell’area mediterranea.
CONFLITTI E SMILITARIZZAZIONE NEL MEDITERRANEO
Agli inizi del Terzo Millennio, una riflessione su nodi cruciali quali guerra e smilitarizzazione non può prescindere da alcune considerazioni sul dispiegamento di nuovi dispositivi di attacco militare e di controllo sociale che, a partire dalla fine del bipolarismo, hanno caratterizzato i conflitti dell’ultimo decennio.
A partire dalla prima Guerra del Golfo, attraverso le guerra civile nella ex–Jugoslavia, l’intervento in Somalia, la guerra del Kosovo e poi in Afghanistan, la guerra ha raggiunto, via via perfezionandosi, un nuovo livello di legittimazione, movendo dalla banalizzazione dell’uso della tecnologia militare, agendo sul rafforzamento dell’elemento etico, riportando alla luce antiche categorie medioevali come ad esempio il principio della “guerra giusta” e dell’antinomia della lotta del Bene contro il Male.
A tale trasformazione concettuale fa seguito lo sviluppo del principio del “diritto di intervento” da parte di coalizioni, di soggetti sopranazionali: la guerra è diventata, così, negli ultimi 15 anni, lo strumento di un nuovo diritto di polizia, legittimato da valori di ordine superiore definiti come universali; e le polizie, di conseguenza, si trovano facilmente e direttamente in guerra. La pianificazione strategica delle politiche di aggressione militare che l’Amministrazione Bush ha sviluppato, è stata preceduta da ben 15 anni di operazioni di polizia internazionale, non a caso con il coinvolgimento diretto delle polizie nazionali ad accompagnare gli strumenti di repressione e controllo, per contenere e governare la conflittualità sociale, per limitare e reprimere la richiesta di partecipazione dal basso alla ri-costruzione delle società “liberate” dagli interventi militari.
Stiamo assistendo al tentativo, portato avanti in primis da parte degli U.S.A., di ristabilire un nuovo ordine mondiale, destinato, secondo i calcoli dei loro strateghi, a durare per i prossimi decenni, L’asse del mondo è in movimento, e il tentativo messo in campo da parte degli U.S.A. è quello di operarne una rotazione, fino a farne un meridiano che divide gli equilibri non più tra est e ovest, ma tra nord e sud del mondo: la spinta a questa scelta va individuata innanzitutto nella crisi profonda nella quale è caduto il sistema del consumo capitalista, crisi cominciata ben prima dell’11 Settembre, anche se fino a quel momento saggiamente occultata.
Gli aiuti umanitari, coordinati dai governi, collocati nel quadro delle operazioni militari e subordinati alle logiche militari, diventano dispositivo di guerra e controllo, di ridistribuzione diseguale delle risorse finalizzata alla gestione politica del territorio, al rafforzamento di gruppi sociali funzionali al controllo politico ed alla selezione di autoreferenziali elite di governo dei processi locali. La tecnologia militare di cui si avvalgono funge alla legittimazione dell’intervento militare teso a garantire l’efficacia.
La pace diviene, quindi, un affare di polizia, una questione di sicurezza, invece che esercizio di libertà; anche se con diversa intensità, cosa analoga si registra a proposito di un intervento repressivo in un ghetto nero di Harem, o in una bidonville sudamericana.
La guerra al “terrorismo”, a corollario del poderoso dispiegamento delle nuove tecniche di controllo sociale e culturale, si mostra da un lato per essere una dispiegata iniziativa poliziesca nelle aree del mondo su cui si giocano e si scontrano gli interessi dei poli del potere globale, eredi del bipolarismo; dall’altro diventa un potente strumento di coercizione e ricatto per condizionare la vita pubblica e la partecipazione popolare delle società.
Lo scenario che la “guerra al terrorismo” ha aperto, è manipolato come un enorme intervento etico motivato dall’imperativo della sicurezza e dalla disciplina internazionale, di coercizione e repressione del dissenso. Le “liste nere”, con l’obiettivo di annullare qualsiasi legittimità politica, per qualsiasi organizzazione venga bollata come terroristica, servono invece sia a legittimare la guerra come forme e strumento di controllo del territorio da occupare e governare, sia a reprimere e ricattare le forme in cui la resistenza popolare alle politiche neoliberiste si manifesta, nel centro così come nella periferia. L’idea della resistenza e del conflitto rischiano così di diventare “malattie” da circoscrivere ed estirpare, siano essi prodotto di lotte di autodeterminazione, siano essi governi sovrani non allineati alle politiche securitarie. Diviene inconsistente quella linea di confine che prima divideva la figura del nemico esterno da quello interno.
Europa, U.S.A., Cina e Russia intrecciano interessi e disarticolano programmi di integrazione, producendo scenari di guerra dispiegati sull’intero pianeta e mascherati da interventi umanitari di sicurezza e disciplina internazionale.
A proposito di guerra e di nuovi assetti, non si può poi tralasciare di considerare il ruolo della zona di libero scambio euromediterranea nella ridefinizione dell’area.
Il progetto, nato all’interno di una concezione neo colonialista della politica europea e volto a liberalizzare gli scambi delle merci nell’area, fa proprie e rafforza le nuove concezioni di sicurezza sin qui delineate; soprattutto nel rafforzare il nesso tra politiche securitarie e controllo sociale.
Nel progetto dell’Euromed, infatti, il progetto della sicurezza non si pone più come una questione nazionale, ma regionale, globale. In questo contesto, diventa prioritario il controllo delle migrazioni. E’ esemplare la politica dell’U.E. per fronteggiare l’inarrestabile flusso migratorio proveniente dal bacino del Mediterraneo: gli accordi per l’aiuto economico dell’Europa ai Paesi terzi del Mediterraneo sono negoziati inserendovi la richiesta di controllo delle migrazioni (programmi di riammissione, detenzione e controllo delle frontiere).
La costruzione della Fortezza Europa, è l’altra faccia della guerra, con la militarizzazione delle frontiere e dei suoi mari, con le dichiarazioni di guerra nei confronti dei migranti, con l’abbassamento dei livelli di cittadinanza e di partecipazione attraverso vergognose leggi razziste, con l’indifferenza nei confronti dei profughi delle guerre e delle persecuzioni.
Alla luce di quanto finora detto, emerge che gli interventi di polizia internazionale, la lotta al terrorismo internazionale, la guerra umanitaria e quella preventiva alla ricerca degli arsenali di armi di distruzione di massa hanno in comune non solo la logica di dominio e controllo che non tollera alcuna diversità, ma anche la strategia o mondialità di esecuzione.
Tutti questi interventi armati, comunque li si chiami, hanno bisogno di una presenza, diffusa su scala planetaria, per consentire un intervento rapido e un controllo duraturo. Dopo circa 15 anni dalla caduta del Muro di Berlino e dal conseguente sgretolamento del blocco sovietico, ci si trova innanzi al paradosso che la presenza militare U.S.A. esterna al proprio territorio, anziché diminuire, è aumentata. Con la fine dell’“Impero del Male” e della “Guerra Fredda”, anziché usufruire dei dividendi di pace, siamo passati nell’era della guerra “calda” ed infinita.
Lo stesso ampliamento della coalizione N.A.T.O. e delle sue finalità conferma la tendenza ad una sempre più intensa presenza dell’unica superpotenza sopravvissuta all’era bipolare.
Aldilà del paradosso, resta in ogni caso l’evidente lettura che è nei fatti, e cioè quella di una crescente militarizzazione su scala planetaria che investe particolarmente il Mediterraneo, cerniera tra Mondo Islamico (identificato come nuovo nemico) ed Occidente. Il rifiuto di questa logica di dominio militare e culturale, impone la denuncia della sempre più aggressiva politica militare praticata dalla leadership di Washington e dai suoi alleati che, in piena sintonia con la superpotenza, trasformano i propri apparati di difesa territoriali in avanguardie pronte ad intervenire in qualsiasi luogo per difendere gli interessi nazionali, traducibili come difesa del modello unico neoliberista.
Proprio perché rifiutiamo la logica da “Impero”, non auspichiamo affatto che ad un ridimensionamento o ad una, più augurabile, fine della presenza militare U.S.A. e N.A.T.O. corrisponda una crescente presenza militare che, pur con altre insegne, agisca con la medesima logica. Ad un Mediterraneo libero dalle servitù militari U.S.A. e N.A.T.O., non vogliamo sostituire un Mediterraneo controllato da portaerei con bandiere stellate con fondo blu.
Il dibattito, che nei giorni 4–5–6.07.2003 vedrà solo il proprio inizio, si pone, pertanto, l’ambizioso obiettivo di affrontare le problematiche e le tensioni che dominano le aree e i popoli del Mediterraneo; ma soprattutto quello di creare forme di cooperazione dal basso tali da produrre l’internazionalizzazione delle lotte per un altro mondo possibile.
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