>Cari compagni di Alessandria, leggo la vostra
> lettera e rimango stupito.
>> >Pensavo che in questi anni di percorso comune, di
> strada fatta camminando
>> >e domandando, avessimo acquisito insieme anche
> qualche risposta valida per
>> >tutti. E invece siamo ancora al “chi decide che
> cosa”, che se permettete è
>> >la classica domanda, tra le tante che ci facciamo,
> che proprio non solo
>> >non serve a far camminare, ma ti inchioda, anzi ti
> fa tornare indietro.
>> >Che senso ha chiedere “chi decide” in meccanismi
> come i nostri che sono
>> >volutamente diversi dalle burocrazie di partito. Su
> ogni cosa agiamo per
>> >assemblee, per sinergie tra reti, per comunicazioni
> caotiche e rizomatiche
>> >e non per linee politiche decise da congressi. E’
> la nostra salvezza,
>> >questa, di essere movimento e di tendere alla
> sostanza più che alla forma,
>> >alla molteplicità piuttosto che al plenum. Anche i
> ruoli, che di tanto in
>> >tanto ci cadono addosso, sono tutto fuorchè formali
> ed assoluti, o peggio
>> >permanenti. E allora da cosa deriva questa domanda
> non utile a camminare?
>> >Dal fatto che non avete saputo dell’assemblea? E’
> un vero peccato, poiché
>> >( checchè ne dica qualcuno sul manifesto con
> dichiarazioni di cattivo
>> >gusto perché utilizzabili contro di noi, noi tutti
> ) compagni di Milano,
>> >Torino, Genova, Nordest, Firenze, Roma, Jesi,
> Bologna, Napoli, molti dei
>> >quali presenti a nome di intere situazioni
> territoriali e molte realtà di
>> >rete, hanno dato vita ad una assemblea interessante
> e ricca, non solo di
>> >interventi e spunti di ragionamento, ma anche ricca
> di emozioni e di
>> >coinvolgimento, il che non fa mai male. E’ un
> peccato che nessuno vi abbia
>> >avvisato. Forse dipende dal canale di
> comunicazione/passaparola che usate
>> >di solito. I compagni dei giovani comunisti erano
> stati avvisati, ma hanno
>> >fatto sapere che non potevano essere presenti per
> una discussione che
>> >dovevano avere tra loro, vista la situazione post
> manifestazione. Questo è
>> >stato detto all’inizio dell’assemblea,
> comunicandolo a tutti i presenti.
>> >Quale sarebbe quindi il grado di “illegittimità” di
> questa assemblea, come
>> >dice sempre qualcuno? Ognuno ha il diritto di fare
> le assemblee che vuole,
>> >ed infatti come sempre è accaduto, nessuno pensa di
> aver dato linea e
>> >programma. Il comunicato è firmato dal “movimento
> dei disobbedienti
>> >riunito al corto circuito il 5 ottobre”, e
> francamente dovrebbe essere
>> >visto come una risorsa per tutti il fatto che dopo
> la sfacchinata di Roma,
>> >molti si siano posti il problema di trovarsi,
> ragionare, e proporre una
>> >prima lettura dell’iniziativa del 4 ottobre e della
> fase politica attuale.
>> >Ma veniamo alle questioni più importanti, quelle di
> sostanza. Non perché
>> >quella che chiamate “una piccola questione di
> metodo” non possa essere
>> >utilizzata per rinfrescarci la memoria
> collettivamente sulla nostra
>> >ricerca continua sul come si fa ad essere
> organizzati senza essere
>> >un’organizzazione. Si fa anche così, ricavando da
> dinamiche di prassi
>> >naturali come il fatto di trovarsi quando se ne
> sente la necessità,
>> >un’occasione collettiva di contribuire ad un senso
> e ad un interesse
>> >comune, quello di essere, pensarsi, agire da
> Movimento nei movimenti. Di
>> >vivere i disobbedienti come uno spazio politico,
> non come una sommatoria e
>> >nemmeno un fronte, un’alleanza. E quello che è più
> importante, voler bene
>> >a questo spazio politico e quindi non fargli del
> male.
>> >Ma andiamo alle considerazioni sul comunicato. >> >Non abbiamo usato toni trionfalistici sul
> comunicato. Ci è apparso ben
>> >chiaro come i numeri dell’intero corteo fossero al
> di sotto di quelli di
>> >altri cortei, soprattutto a Roma. Come il 12 aprile
> d'altronde. Su questo
>> >non sfugge a nessuno la necessità di riarticolare
> meccanismi di
>> >aggregazione e di proposta attraente ( nel senso
> che attragga perché
>> >convince ), ma questo va letto sull’intera dinamica
> del movimento dei
>> >movimenti e della rete italiana del Forum Sociale
> europeo. Naturalmente
>> >tutto ciò va letto tenendo conto dell’andamento
> ciclico, carsico ed
>> >emergente, di volta in volta, del movimento. Ma non
> possono sfuggire le
>> >parole di Benzi ( CGIL ) apparse sul manifesto
> martedì :” c’è qualcuno che
>> >ormai pensa solo alle elezioni più che al
> movimento”. Io credo che questo,
>> >in sintesi, sia uno dei grandi problemi che tutti
> abbiamo. Il movimento
>> >non esiste se non si muove, se non continua a
> ricercare al suo interno e
>> >all’esterno forme nuove di partecipazione politica.
> Il movimento non
>> >convince se rimane legato a forme tutte politiche
> di rappresentanza e di
>> >riproduzione burocratica. Se rimane imprigionato
> nella scontatezza della
>> >politica così come la gente la percepisce. Insomma
> se noi siamo bravi
>> >ragazzi no global del grande ulivo, non interessa
> più a nessuno. Perché i
>> >bravi ragazzi vanno a votare, così si esprimono ed
> esprimono la politica.
>> >C’è già la FGCI, ci sono già le organizzazioni
> giovanili di partito, c’è
>> >già il grande associazionismo di sinistra. C’era
> già tutto. Cos’è che ha
>> >sconvolto i giochi in questi anni? Cosa ha
> rimescolato le carte? Il
>> >mettersi in cammino, e quindi alla ricerca e alla
> scoperta, di teoria e
>> >prassi anche CONTRO le sinistre esistenti, nel
> migliore dei casi per il
>> >loro SUPERAMENTO. Che le hanno costrette per un bel
> pezzo ad interrogarsi
>> >su di noi, oltre che a misurarsi con i loro
> iscritti che scappavano da
>> >loro, nonostante gli ordini di scuderia. Ora se
> vogliamo affrontare il
>> >problema dell’allargamento, della nuova
> aggregazione, non possiamo non
>> >partire da queste considerazioni, dal dna di ciò
> che siamo. Ma esiste un
>> >altro aspetto: ci interessa parlare di
> “massificazione” o di “pratiche
>> >moltitudinarie”? Ci interessa pensare alle forme di
> espressione del
>> >movimento ( e al suo stato di salute ) solo
> fermandoci a vertici e cortei,
>> >o esiste un lavoro di rete e di reti sociali che
> veicolano idee,
>> >indicazioni, esemplarità, esperienze di
> disobbedienza? Il ministro degli
>> >interni punta il dito sull’allargamento, per dirla
> con le parole
>> >dell’inquisizione, dell’area dell’illegalità
> diffusa. Ora io credo che noi
>> >abbiamo proprio questo da fare: allargare e
> diffondere le pratiche della
>> >disobbedienza alle leggi, della riappropriazione
> dei diritti, del
>> >conflitto per soddisfare i bisogni, vecchi e nuovi.
> La pratica illegale è
>> >il baricentro di questo ragionamento, poiché lo
> spazio politico
>> >dell’illegalità diffusa, della disobbedienza,
> allargandosi produce un
>> >restringimento dei meccanismi dell’autonomia del
> politico, che poi è ciò
>> >che produce e riproduce legittimazione del potere
> da un lato, e uso della
>> >rappresentanza come controllo dei movimenti sociali
> dall’altro. A Seattle
>> >una nuova legalità dal basso si è determinata come
> dinamica costituente (
>> >del nostro movimento ad esempio ) solo scontrandosi
> con una legalità
>> >imposta. Anche a Genova. A Firenze è stato un
> passaggio di tipo diverso,
>> >non meno importante SOLO se legato
> indissolubilmente a Seattle e
>> >soprattutto a Genova. Come la grandissima
> mobilitazione del 15 febbraio a
>> >Roma contro la guerra, non avrebbe avuto lo stesso
> senso senza poi il
>> >Trainstopping e le azioni diffuse contro la guerra.
> Su tutto vale il
>> >viceversa, come a dire che nella nostra marcia
> dobbiamo costruire tappe
>> >diverse che assumano il problema del conflitto e
> consenso come un PROCESSO
>> >non come un modellino da applicare ad ogni singolo
> passo. Il conflitto e
>> >consenso è il prodotto progettuale di
> un’articolazione complessa, non il
>> >semplice risultato di un’operazione sull’opinione
> pubblica. Altrimenti, e
>> >questo lo vedremo sempre di più in questa fase
> elettorale, resta solo la
>> >caccia al consenso, che serve a produrre
> un’opinione e ad orientarla al
>> >voto. In questo ultimo schema i movimenti hanno
> solo lo spazio dell’agit
>> >prop, non della potenza costituente, non della
> trasformazione dello stato
>> >di cose presenti, qui ed ora. Perché il problema
> del conflitto è risolto
>> >nella rappresentanza istituzionale, per la politica
> dei partiti. Le lotte
>> >sociali devono rimanere nell’ambito della
> compatibilità, non esprimere
>> >direttamente la propria azione. Ed è così che per
> molti nostri
>> >interlocutori e ri-venuta l’ora di agitare la non
> violenza come
>> >discriminante. Non come pratica ideale e strategia
> legittima per chi la
>> >adotta ( ammesso che in Italia ci sia qualcuno che
> lo fa ) ma come dogma
>> >morale, ideologico che non ha nemmeno bisogno di
> tradursi in pratiche per
>> >chi la sbandiera. Quale sarebbe la non violenza?
> Fare il corteo dove non
>> >deve accadere mai nulla? Fare i convegni? Quante
> migliaia di non violenti
>> >avete visto fare lo sciopero della fame ad oltranza
> contro la guerra?
>> >Quante marce dentro le basi, alla Luther King hanno
> fatto? Quante marce
>> >del sale ci sono state? La Perugia-Assisi forse,
> ormai divenuta la vera
>> >alternativa ai movimenti di lotta globale di questi
> anni, sempre stretta
>> >tra la rappresentanza degli enti locali come entità
> politiche e
>> >compatibilità trasversali per penetrare, motivare e
> rappresentare le
>> >enormi forze del volontariato cattolico? No non
> pigliamoci per il culo. Il
>> >problema dello scontro con il potere, non per la
> presa del potere, ma per
>> >la difesa e l’allargamento degli spazi di libertà e
> di trasformazione
>> >contro il neoliberismo, è un affare serio, pieno in
> termini generali di
>> >violenza ( pensiamo alla guerra globale ) e pieno
> nello specifico delle
>> >nostre situazioni di uso della forza contro i
> movimenti. Il problema anche
>> >simbolico ( nella società del simbolico ci viviamo
> ) di forzare i confini
>> >delle zone rosse, si pone eccome. Se si vuole
> parliamo di strategie e di
>> >efficacia, ma alla luce di una condizione umana
> prima che politica che ci
>> >pone il problema dello scontro, durissimo, con i
> meccanismi del controllo
>> >e del dominio. Mi colpisce che parliate di
> “disobbedienza civile”. Non so
>> >se la vostra sperimentazione abbia come unico punto
> di riferimento
>> >“storico” le teorie ghandiane o del movimento dei
> diritti civili dei neri
>> >d’America. Personalmente quando parlo di
> disobbedienza io penso anche alle
>> >Black Panther, a Marcos, a Che Guevara. Penso anche
> agli anni 70 in
>> >Italia, alle esperienze dell’Autonomia, penso agli
> indiani del Karnatak e
>> >a Jose Bovè. Penso a tante cose ed è per questo che
> il nostro agire non si
>> >può definire “disobbedienza civile”. A volte, per
> dirla con mio fratello
>> >Caruso, io credo che serva disobbedienza incivile
> anche. Per sintetizzare
>> >anche nel logo tutto questo abbiamo parlato di
> “disobbedienza sociale”,
>> >per cercare di tradurre l’originale interpretazione
> di tante tradizioni
>> >diverse che abbiamo prodotto in questi anni.
> Attenzione, le due cose (
>> >civile/sociale) non devono per forza annullarsi a
> vicenda, o l’una o
>> >l’altra, ma non devono negare lo spazio reciproco.
> Io ad esempio sono uno
>> >di quelli che crede nella articolazione dello
> scontro e dell’azione, nella
>> >sfera della disobbedienza, e considero molto civile
> anche la distruzione
>> >di un lager, o l’autodifesa con strumenti dalla
> violenza della polizia.
>> >Come quel giorno in via Tolemaide, considero molto
> civile aver dato fuoco
>> >ad un blindato che rischiava di ammazzare qualcuno.
> Il problema semmai è
>> >l’efficacia delle azioni e dell’uso degli
> strumenti. Ma su questo sfido
>> >chiunque ad ergersi a maestro o critico. Critica o
> insegna chi ci prova,
>> >chi non lo fa, su efficacia, tecnica e metodologia,
> è meglio che non dia
>> >giudizi. L’efficacia “politica” va ragionata alla
> luce delle
>> >considerazioni di prima, è una lettura complessa e
> certamente a Roma sono
>> >state prodotte più azioni, una diversa dall’altra,
> grazie anche e
>> >soprattutto all’intelligenza e alla generosità dei
> fratelli e sorelle
>> >della capitale. Se quel corteo all’EUR avesse
> concluso la sua marcia
>> >funebre senza che accadesse nulla, sarebbe stata
> efficace la nostra
>> >presenza ( tralaltro massiccia rispetto agli altri
> spezzoni) ? Solo il
>> >gruppo più militante ha operato l’azione? Bene,
> cerchiamo di partecipare
>> >in di più. Non assolutizziamo però. E’ anche ovvio
> che ci sono azioni con
>> >più alto grado di partecipazione e con dinamiche
> diverse. Ma al mattino,
>> >quando siamo andati sotto Palazzo Chigi, in
> cinquanta si è avuto a che
>> >fare con i manganelli degli sbirri, il corteo con
> cui ce ne siamo andati
>> >era composto da più di mille compagni. La merda
> tirata alla casa del
>> >Berlusca è un’azione fatta in cento. Credo
> condivisa e idealmente
>> >parteciapata da svariati milioni. L’azione delle
> donne, seppur letta
>> >“male”, voleva riprodurre l’indicazione di Cancun,
> dove i campesinos e i
>> >compagni, con tanto di bastoni, sfondavano la zona
> rossa. Insomma le cose
>> >sono articolate e per nulla fatte a casaccio,
> chiaramente vanno viste come
>> >sperimentazioni per raggiungere un obiettivo.
> Quale?
>> >Veniamo così a ciò che dite sul sindacato, sulle
> burocrazie sindacali,
>> >cercando quindi di rispondere a questo quesito.
> Secondo voi Pezzotta,
>> >Angeletti ed Epifani sono la stessa cosa dei
> milioni che sono iscritti ai
>> >loro sindacati? Credo di no, ed infatti nel
> comunicato si parla e si
>> >attaccano le “burocrazie sindacali”, che come tra
> partiti, oggi
>> >ripropongono la triplice (santa) alleanza. Ma come
> mai non si è fatto un
>> >unico corteo? Perché siamo cose talmente diverse,
> dagli obiettivi
>> >adirittura in molti casi contrapposti, che sarebbe
> stato un corteo di
>> >botte tra servizi d’ordine per poter passare.
> Questo non significa che non
>> >ci poniamo il problema dell’attraversamento, come
> sempre. Perché ho citato
>> >Benzi, che è uno della segreteria nazionale della
> CGIL. Perché fa parte di
>> >quel pezzo con cui discutiamo dentro il FSE. E dice
> a volte cose
>> >intelligenti, quando non è occupato a pensare a
> come neutralizzarci perché
>> >crede “nella legalità” ( vi ricordate il
> trainstopping, lui era contrario
>> >). La Fiom ci ha, dopo Roma, chiesto un incontro,
> per parlare dello
>> >sciopero del 7 novembre. Non siamo degli scemi, e
> nemmeno sprovveduti. Ma
>> >sono proprio le delimitazioni della nostra
> autonomia sociale teorica e
>> >pratica, a produrre attenzione. Solo se realmente
> siamo ciò che siamo, e
>> >quindi anche per nulla disposti a salvare la pace
> sociale come vorrebbereo
>> >i tre porcellini, in cambio di qualche trattativa
> sulle pensioni.
>> >L’autunno caldo, io spero che sia infuocato. Non
> tiepido. Spero nella
>> >radicalizzazione delle lotte, come a Termini e ad
> Avignone, spero che
>> >questo paese esploda di ribellione, perché è dentro
> ciò che si muove che
>> >anche noi possiamo muoverci. Le forme si vedranno,
> con intelligenza ma
>> >anche con un pò di determinazione e di voglia di
> provarci. Ognuno poi è
>> >libero di essere come è, ma se siamo disobbedienti
> non ne avremo timore. E
>> >non confondete quello che io chiamo ribellione con
> le cazzate. Abbiamo
>> >ampiamente dimostrato anche questo. Ribellarsi è
> una cosa seria, viene
>> >dalla testa. Ma non farebbe male ogni tanto
> ascoltare anche la pancia e il
>> >cuore, e pensare che dare una bastonata a chi
> bastona è anche un atto di
>> >libertà. Semplicemente. >> > >> >un abbraccio >> > >> >Luca Casarini
>
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