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Islamofobia
by Dago Saturday, Nov. 20, 2004 at 6:21 PM mail:

L'islamofobia in Occidente


di Annamaria Rivera, docente di etnologia all'università di Bari

Fonte: Guerre & Pace, ottobre/novembre 2003

anche in
http://www.kelebekler.com/occ/islamofobia.htm



Ogni approccio che voglia contrastare l'islamofobia deve muovere dal compito di pluralizzare concettualmente l'islam mostrando i modi molteplici in cui la tradizione musulmana è vissuta e agìta nei diversi contesti locali

Se il termine "islamofobia" è relativamente nuovo, il fenomeno che esso denota non è inedito ma costituisce una tendenza latente che i sanguinosi attentati dell'11 settembre hanno contribuito a riattivare in forme e gradi, essi sì, inediti (1).

UNA RECRUDESCENZA D'ETEROFOBIA

L'antagonismo o il rifiuto verso l'islam o ciò che ad esso è assimilato è infatti uno degli elementi costitutivi della stessa identità occidentale, che spesso si è definita per antitesi con un Oriente e un islam rappresentati come blocchi monolitici connotati da arretratezza, oscurantismo e fanatismo. Diciamo "spesso" perché altrettanto mistificante sarebbe sottacere la lunga storia di rapporti, di contatti pacifici, di scambi reciproci fra i due mondi; e fallace dimenticare il debito della cosiddetta civiltà occidentale verso la cultura arabo-musulmana, cui deve buona parte delle basi filosofico-scientifiche della propria modernità. Gli eventi dell'11 settembre e ciò che ne è conseguito - la dottrina della guerra preventiva e infinita contro il "terrorismo islamista" e gli "Stati-canaglia" - hanno, certo, riattivato, non solo negli Stati uniti ma anche in Europa, una certa diffusione di sentimenti e produzioni discorsive anti-islamici, e anche di atti violenti contro persone, simboli e luoghi dell'islam "trapiantato" (2).

Ma, particolarmente in Italia, tali umori e atteggiamenti erano latenti - e talvolta perfino manifesti - ben prima. La peculiarità del nostro paese, infatti, mi sembra risieda nella sua incapacità di fare i conti con il passato coloniale, dimenticato o rimosso se non nel retaggio inerte e inconsapevole di stereotipi e cliché razzialisti; nel suo carattere che, malgrado le immigrazioni e una pluralità culturale di fatto, permane sostanzialmente biancocentrico e monoculturale, "visibile persino nel paesaggio, segnato ovunque da chiese, pievi, tabernacoli" (3); infine, nella presenza nel governo, e con incarichi istituzionali prestigiosi, del maggiore "imprenditore politico" dell'eterofobia e della sua variante islamofobica.

Simmetrica a questo fenomeno è la recrudescenza in Europa (e in Francia in particolare) della giudeofobia e dell'antiebraismo (4): una tendenza anch'essa, e ancora di più, latente e periodicamente riemergente, che oggi come in occasione di altre aspre congiunture internazionali torna a manifestarsi nella forma non solo di enunciati e discorsi, ma anche di attentati contro sinagoghe e cimiteri ebraici, ingiurie e aggressioni personali. Tanto il primo quanto il secondo fenomeno - che condividono alcuni meccanismi concettuali, verbali e linguistici - sono il frutto, fra le altre cose, di una retorica che ricorre e al tempo stesso alimenta una polarizzazione ideologica sempre più accentuata. Alla quale non poco hanno contribuito le dichiarazioni pubbliche di leader politici nazionali e internazionali, le prese di posizione di intellettuali e opinion leaders anche di area liberaldemocratica, una pubblicistica spesso d'infimo livello nonché numerosi mezzi di comunicazione con i loro pericolosi slittamenti semantici: per esempio, quelli che fanno del conflitto mediorientale e della guerra preventiva una lotta "fra civiltà" o addirittura "fra razze", attribuendo a tutti gli ebrei o a tutti i musulmani, compresi quelli della diaspora, responsabilità che sono della strategia imperiale Usa, di ben determinati governi, dell'islamismo politico armato.


LA TEORIA DELLO SCONTRO DI CIVILTÀ

Di questa retorica fondata sul dispositivo della polarizzazione, il clash of civilizations di Samuel T. Huntington (5) è l'illustrazione più emblematica e più mediatizzata. Il politologo di Harvard, espressione di quel pensiero ultraconservatore che ha contribuito a elaborare le legittimazioni scientifiche della nuova strategia statunitense, propone, attraverso nozioni totalizzanti come quella di civiltà (6), una configurazione dei rapporti di forza internazionali basata su rigide linee di frattura cultural-religiose.

Nella "cattiva antropologia" di Huntington, le "civiltà" sono viste come universi compatti, autonomi, irriducibili, potenzialmente o effettivamente ostili l'uno all'altro; i rapporti del cosiddetto Occidente con altre aree, paesi e culture sono rappresentati nei termini dell'opposizione fra the West and the Rest. Secondo la profezia di Huntington (una tipica profezia che si autoalimenta), la scena internazionale sarà nel futuro prossimo dominata dai conflitti fra otto "civiltà": occidentale, confuciana, giapponese, islamica, hindu, slavo-ortodossa, latino-americana, nonché la "potenziale" civiltà africana. E la minaccia mortale alla "civiltà occidentale", il cui baluardo è costituito dagli Stati uniti, sarebbe rappresentata dal rischio della coalizione fra le due "civiltà" più pericolose, la confuciana e l'islamica.

Dunque, in tale configurazione, la "civiltà islamica" occupa un posto assolutamente centrale, essendo fra l'altro rappresentata come un blocco monolitico caratterizzato da "frontiere sanguinose" per un'atavica e intrinseca propensione a esaltare le virtù guerresche; come un blocco il cui cemento è costituito fondamentalmente da "fedeltà tribali" che si coniugano con la fedeltà alla umma. In definitiva, alla "civiltà occidentale", rappresentata anch'essa come un'entità unitaria, cementata dalle comuni radici cristiane e la cui compattezza dipenderebbe in sostanza dalla subordinazione dell'Europa ai disegni statunitensi, spetterebbe addomesticare e ridurre a propria ragione the Rest.

Il libro di Huntington ha conosciuto un'eco larghissima, al punto che il clash of civilizations fa parte ormai del repertorio dei luoghi comuni propalati dai media e delle chiacchiere da salotti perfino còlti. Il suo successo dipende anche dal fatto che il paradigma di Huntington muove dal senso comune "e lo trasforma in una verità universale volta a giustificare, in effetti, una struttura internazionale di apartheid politico e culturale" (7). Nondimeno l'opera di Huntington è a suo modo innovativa in quanto sposta l'attenzione dalle relazioni fra gli stati alla dimensione culturale e religiosa delle contraddizioni e dei conflitti. Ma questa innovazione, interpretabile come riflesso della fine del mondo bipolare, della moltiplicazione di conflitti altri da quelli fra stati e del carattere asimmetrico, non-dichiarato, "umanitario" o "democratico" delle guerre postmoderne, ignora il carattere storico, processuale, fluido e artefatto delle identità e delle culture, ed essenzializza e naturalizza le "civiltà" facendone delle fortezze simboliche; in tal modo conferma il suo legame con l'ideologia che ha ispirato la dottrina della guerra permanente e preventiva (8).

LA VARIANTE LEGHISTA

L'analisi del teorema di Huntington è utile non solo a comprendere il pensiero che produce le legittimazioni scientifiche delle guerre postmoderne, ma anche a mostrare di quali riferimenti còlti, volgarizzati e semplificati, si nutra l'immaginario veicolato dagli imprenditori mediatici e politici dell'islamofobia e più in generale dai propalatori di visioni manichee ed essenzialiste, alla base di ogni pensiero e ideologia intolleranti. In tal senso, appaiono simmetrici e si alimentano mutualmente il fondamentalismo occidentale, come è stato definito, che è alla base della dottrina e della pratica della guerra preventiva e infinita, e l'ideologia che è alla base del radicalismo islamico armato. Entrambi muovono da una Weltanschauung che ha come cardine l'idea dell'Altro come nemicità assoluta.

Tale ideologia è alla base del principale "imprenditore politico" italiano della xenofobia e dell'islamofobia, vale a dire la Lega Nord. Nell'immaginario leghista, l'Altro assoluto è rappresentato dal Musulmano il quale a sua volta assume caratteri quasi abominevoli quando s'incarna nell'immigrato. Né si tratta di un frutto dell'11 settembre: fin dal momento della sua comparsa sulla scena pubblica, la Lega Nord ha collocato al centro della propria costruzione identitaria e della propaganda politica l'attacco e il discredito di tutto ciò che ha a che fare con il mondo musulmano, così che l'antislamismo può essere considerato, insieme all'ostilità verso i migranti e l'immigrazione, uno dei suoi pilastri ideologici.

Nel 1993 il massimo esponente del Carroccio dichiarava: "La civiltà da una parte, i barbari dall'altra. L'Occidente civile e l'islamismo. Se proprio devo dirla tutta […], io la vedo così". Sbaglierebbe dunque chi ritenesse che tale propensione leghista sia solo funzionale alla competizione sul mercato elettorale. È vero che il nuovo Nemico è oggi simbolicamente più efficace e politicamente più spendibile dei precedenti; e che alimentando "l'antislamismo latente nella società italiana il Carroccio presidia una precisa nicchia del mercato elettorale" (9).

Ma la linea antimusulmana della Lega non è principalmente o solo una scelta strumentale, bensì un elemento strutturale del suo impianto ideologico: nell'inquietante "scivolamento" della Lega Nord verso una simbologia, un lessico, una Weltanschauung che presentano tratti comuni con il neonazismo - si pensi alle locuzioni leghiste "razza padana" e "inquinamento da stranieri" nonché alla comparsa, nella toponomastica "spontanea" ispirata dalla Lega, di scritte quali "Comune deislamizzato"- è possibile leggere non una deriva ma l'esito conseguente delle sue premesse ideologiche e culturali.

Nel quadro di tale scivolamento, la figura del Musulmano, soprattutto se immigrato e povero, nell'immaginario e nelle strategie discorsive leghiste va sempre più assumendo tratti comparabili con quelli dell'Ebreo dell'antisemitismo storico. Chi, anche a sinistra, sostiene che il leghismo non sarebbe altro che un epifenomeno, l'espressione più "colorita" e superficiale, dunque più innocua della xenofobia e del razzismo, mostra di non cogliere la valenza performativa di ogni discorso razzista, e dunque anche di quello leghista. Il leghismo ha rotto l'interdetto che dalla fine della Seconda guerra mondiale aveva reso impronunciabili il lessico e il linguaggio della supremazia razziale.

In secondo luogo, la martellante propaganda antimusulmana della Lega Nord legittima, sistematizza e amplifica un sentimento e un immaginario condivisi da una parte non esigua dell'opinione pubblica italiana, banalizzando e rendendo in qualche misura digeribile lo stesso veleno dell'islamofobia. Questa variante locale dello "scontro di civiltà" ha dunque uno specifico effetto performativo - in tal senso è propriamente una profezia che si autoavvera - ma al tempo stesso è rivelatrice di umori profondi che albergano nella società italiana.

Dei quali un'ulteriore spia è lo straordinario successo (un milione di copie vendute) conseguito del volgare e profondamente incolto libello di Oriana Fallaci contro i "fottuti figli di Allah". Nel caso italiano, non credo si possa dire che l'immagine totalizzante di un islam immobile e compatto, aggressivo e minaccioso, fanatico e premoderno, violento e conquistatore sia il frutto peculiare dell'orientalismo, per meglio dire della popolarizzazione di topoi e temi elaborati nell'ambito della letteratura orientalista.

Mi sembra piuttosto che abbia a che fare con un immaginario e un'ideologia radicati, come già detto, nella rimozione del passato coloniale - e per certi versi anche di quello fascista; nella conseguente permanenza di cliché e stereotipi ereditati dall'uno e l'altro nonché nel pervicace rifiuto di riconoscere la realtà della pluralità culturale, rifiuto spiegabile anche, certo, con una storia delle immigrazioni tutto sommato recente e con il fatto che la cultura cattolica sia stata l'unico elemento unificante della debolissima identità nazionale. Tutto questo si traduce in una diffusa ignoranza, questa sì peculiare, circa i mondi religiosi e le realtà culturali diversi dai propri, che intellettuali e imprenditori politici della xenofobia contribuiscono a rafforzare.

LO STEREOTIPO DELL'UNICO ISLAM

A questo proposito è opportuno osservare che il rozzo culturalismo della Lega Nord è indizio di un'attitudine ben più diffusa, anche in circoli còlti. La gran parte delle produzioni discorsive intorno all'"islam", infatti, sono connotate dalla costante confusione fra società, religione e cultura, che trasforma le eventuali correlazioni fra l'una e l'altra in determinazioni (10).

Ogni immigrato proveniente da un paese a maggioranza musulmana è visto non già nelle sue pratiche sociali concrete ma, anche se non credente, come interamente determinato dalla religione maggioritaria del paese di provenienza; la religione musulmana è a sua volta rappresentata come un'unica cultura e l'islam diviene criterio esplicativo per eccellenza: dalla condizione della donna al terrorismo, dalla mancanza di democrazia ai conflitti internazionali, tutto viene ricondotto alla religione o cultura islamica.

"L'Islam, come osserva Olivier Roy, viene così percepito come un sistema chiuso, che si spiegherebbe a partire dalla sua stessa storia, da quello che dice o direbbe il Corano o da quello che succede in Medio Oriente". In tal modo, soggiunge Roy, gli avvenimenti "in cui sono implicati dei musulmani vengono riferiti all'Islam: cosa dice l'Islam degli attentati suicidi […], cosa dice il Corano del jihad […], cosa dice l'Islam della donna?" (11).

Curiosamente tale propensione, verificabile nella maggior parte dei paesi europei, a etnicizzare "i musulmani" attribuendo a tutti i migranti provenienti da paesi a maggioranza musulmana un'unica identità culturale detta "islamica", indipendente dalle loro effettive credenze e pratiche religiose e sociali, è analoga a quella dei neofondamentalisti e degli islamisti, che tendono per l'appunto ad affermare l'idea totalitaria di un Islam che trascenderebbe le realtà storiche, sociali, culturali e l'indistinzione fra la dimensione politica e la dimensione religiosa. È per le ragioni qui sinteticamente esposte che, a mio avviso, ogni approccio che voglia contrastare l'islamofobia diffusa dovrebbe muovere dal compito preliminare di pluralizzare concettualmente l'islam, storicizzarlo, collocarlo nel quadro della modernità, sottolinearne gli elementi di complessità, per mostrare i modi molteplici in cui la tradizione musulmana è vissuta e agita a seconda dei contesti locali (12).

Solo così è possibile illuminare i processi attraverso i quali i simboli religiosi vengono incessantemente reinterpretati alla luce delle diverse condizioni locali e situazioni culturali, e ciò particolarmente nelle società di arrivo dei migranti. Applicando una tale logica situazionale si può pervenire a comprendere che in realtà non esiste un islam ma degli islam. In tal modo è possibile anche smontare l'idea assai corrente, asimmetrica e a senso unico, che alimenta pregiudizio, intolleranza e razzismo: quella secondo cui gli stranieri immigrati provenienti da paesi a maggioranza musulmana sarebbero interamente e rigidamente determinati dalla loro religione, che a sua volta è concepita, concettualmente ed effettivamente, al pari di uno stigma, di un marchio negativo.




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NOTE (1) Sull'islamofobia e, più in generale, l'eterofobia in Italia vedi, fra l'altro, A. Rivera, 2003, Estranei e nemici. Discriminazione e violenza razzista in Italia, con un Inventario dell'intolleranza di P. Andrisani, Roma, DeriveApprodi.

(2) La lotta al "terrorismo islamico" e il clima di ostilità verso i musulmani hanno prodotto anche in Italia numerosi casi di lavoratori immigrati provenienti da paesi musulmani, inquisiti per semplici sospetti o indizi labilissimi, con grandi campagne mediatiche seguite dal quasi assoluto silenzio quando gli immigrati sono stati rilasciati perché innocenti.

(3) R. Guolo, Xenofobi e xenofili. Gli italiani e l'islam, Laterza, Bari-Roma 2003, p. VI.

(4) P.-A. Taguieff (La nouvelle judéophobie, Mille et une nuit-Fayard, Paris 2002), propone di sostituire "giudeofobia" al termine "antisemitismo", che presuppone la vecchia teoria delle razze e la distinzione razzialista fra "razze semite" e " razze ariane" o "indo-europee".

(5) Vedi The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order (1996), ed. it. Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale, 2000. Huntigton aveva proposto per la prima volta il suo teorema nel 1993 su "Foreign Affairs".

(6) Per un'indagine critica della nozione di civiltà cfr. A. Rivera, 2003, Il disagio della "civiltà". Genealogia di una nozione controversa, "La società degli individui", a. VI, n. 16 (2003/1), pp. 5-19.

(7) M. Hertzfeld, 2001, Anthropology. Theoretical Practice in Culture and Society, Oxford, Blackwell-Unesco, p. 28.

(8) Considerazioni analoghe in J. Cesari, Islam de l'extérieur, musulmans de l'intérieur: deux visions après le 11 septembre2001, "Cultures et conflits", prim. 2002.

(9) R. Guolo, op. cit., p. 76.

(10) Sul culturalismo come determinismo, i conseguenti processi di etnicizzazione, l'uso sociale di nozioni quali "cultura" ed "etnia", il neorazzismo, cfr.: R. Gallissot, M. Kilani, A. Rivera, 2001, L'imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave, Bari, Dedalo.

(11) O. Roy, 2003 (2002), Global Muslim. Le radici occidentali del nuovo Islam, Milano, Feltrinelli.

(12) Per un tentativo di tal genere cfr. A. Rivera (a cura di), 2002, L'inquietudine dell'islam (saggi di Arkoun, Cesari, Jabbar, Kilani, Khosrokhavar, Rivera), Bari, Dedalo.


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la libertà di religione
by cristianofobia Saturday, Nov. 20, 2004 at 7:42 PM mail:

ROMA – Lanciata dall’informatissima agenzia “AsiaNews” del Pontificio istituto missioni estere, la notizia dell’arresto in Egitto di cittadini colpevoli d’essersi fatti da musulmani cristiani getta nuova luce sui pericoli che incontrano i convertiti dall’islam a un’altra fede.

I pericoli esistono anche per i musulmani che si convertono in occidente. Essi circondano di mille precauzioni la loro scelta. E da parte sua la Chiesa cattolica fa altrettanto, coi convertiti alla fede cristiana. Sulla loro preparazione al battesimo, la conferenza episcopale italiana ha stampato nel 2000 un manualetto di istruzioni. La prima: “Fin dall’accoglienza è importante assicurare discrezione”. Anche il numero dei battesimi è tenuto segreto. Si sa che in Italia circa la metà dei convertiti sono albanesi: e questi sono i meno in pericolo, perché in Albania l’islam è quasi solo anagrafico, con debolissimo controllo sociale. Ma per chi è maghrebino, o siriano, o pakistano, il rischio è serio. La comunità musulmana d’origine e la stessa famiglia mettono al bando l'apostata. Persino la sua vita può finire appesa a un filo.

I musulmani curdi sono un’altra isola di relativa tolleranza per chi di loro si converte. Daniel Ali abbracciò il cristianesimo quando ancora viveva nell’Iraq del nord e combatteva contro Saddam Hussein. Poi nel 1993 emigrò negli Stati Uniti, nel 1995 fu battezzato e nel 1998 entrò nella Chiesa cattolica. Oggi assieme al gesuita arabista Mitch Pacwa ha creato un “Christian-Islamic Forum” e gira gli States per predicare a sua volta il cristianesimo ad altri musulmani.

Ma quasi ovunque, nel mondo, la clandestinità è la regola. E da parte della Chiesa cattolica c’è la diffusa tendenza a rispondere a questo stato di cose semplicemente rinunciando a “creare il problema”, cioè a far proseliti tra i musulmani. Un dirigente italiano della Fondazione Migrantes, che chiede l’anonimato, opera da anni a contatto con musulmani tunisini e dice: “Abbiamo deciso di non incoraggiare in alcun modo le conversioni al cristianesimo, checché ne pensi il cardinale Giacomo Biffi”. Perché il battagliero cardinale la pensa proprio all’opposto: “Predicare e battezzare è dovere statutario della Chiesa. Per tutti. Gesù non ci ha comandato di predicare il vangelo a ogni creatura tranne ai musulmani, agli ebrei e al Dalai Lama”.

La tendenza a dialogare senza evangelizzare ha però i suoi contraccolpi negativi proprio su quelli che comunque si fanno cristiani. La protesta di una maghrebina di nome Nura è arrivata lo scorso settembre fin su in Vaticano: “Ci sentiamo abbandonati. Dopo la conversione non abbiamo nessuno che ci sostenga. Chiediamo aiuto alla Chiesa: proteggeteci, difendeteci”. L’arcivescovo Michael Fitzgerald, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, le rispose con parole di fumo. Peggio, di diffidenza: “Si deve sempre chiedere le motivazioni di questo cambiamento. Talvolta si presenta con il desiderio di essere un vero italiano. Ma uno potrebbe essere italiano e al tempo stesso essere musulmano. Avrei una preoccupazione all’arrivo, nel senso dell’accoglienza nella comunità cristiana”.

Pochi giorni dopo, il 28 settembre, Giovanni Paolo II pubblicò la lista dei nuovi cardinali. Fitzgerald, titolatissimo ad avere la porpora, non vi figurò. Ancora qualche settimana e il cardinale Joseph Ratzinger, in un’intervista, ingiunse che “dobbiamo avere il coraggio di assistere queste persone”, e smetterla con una certa “coscienza cristiana insicura di sé”. L'autorevole rivista “La Civiltà cattolica”, voce ufficiosa della Santa Sede, ha rinfrescato la memoria sulle condizioni di vita dei cristiani in terra islamica, con un articolo di durezza inaudita. Insomma, un soprassalto c’è stato. Chissà se Nura si sentirà meno sola.

Ma ecco qui di seguito uno sguardo ravvicinato a quanto è accaduto in queste settimane in Egitto, con un regime islamico generalmente classificato come “moderato”. L’inchiesta è uscita su “L’espresso” n. 50 del 5-11 dicembre 2003.


Non avrai altro Allah

di Dina Nascetti


IL CAIRO – Ibrahim a 13 anni conosceva a memoria il Corano. L’imam del suo quartiere al Cairo lo portava ad esempio per tanti giovani e intravedeva per lui un futuro di grande predicatore dell’islam più radicale. Ibrahim, giovanissimo predicatore lo è stato: già a 16 anni il venerdì, con l’esuberanza e la foga delle sua giovane età, arringava i fedeli che accorrevano nella moschea per sentire proprio lui, l’astro nascente della jihad, la guerra santa. “Avevo imposto a tutte le donne della mia famiglia, la nonna, mia madre e le sorelle, il velo”, racconta: “Non sopportavo le espressioni non islamiche della nostra società nella vita quotidiana. Vigilavo e denunciavo chiunque non rispettasse le regole e deviasse dalla retta via”.

Ibrahim predicava a metà degli anni Novanta, quando nell’Egitto, su pressioni dei movimenti islamisti molti dei quali legati all’università di Al Azhar, vennero rispolverati gli hadit, i detti di Maometto, sull’isba, il principio che permette a chiunque di intentare un processo contro chi si allontana dagli insegnamenti della sharia, la legge islamica, e sulla ridda, l’accusa di apostasia. Uno dei primi hadit sostiene che il sangue di un musulmano “potrà essere versato in tre casi: l’omicidio, l’adulterio e l’apostasia”. Quindi il pio cittadino è autorizzato a uccidere il peccatore. Sulla base di questo dogma, in quegli anni alcuni intellettuali furono assassinati o feriti gravemente come lo scrittore, premio Nobel, Naghib Mahfuz, condannati, appunto, per le loro opere miscredenti.

Due anni fa Ibrahim, nato nella fede in Allah e nel Corano, si è convertito alla fede cattolica. Ha preso il nome di Mikeil, Michele, l’arcangelo più venerato in Egitto. Conventi, chiese, cappelle gli sono dedicate in tutto il paese. Tracce di luoghi di culto a lui consacrati nell’Egitto preislamico sono ancora visibili nella fortezza di Babilonia nella Cairo Vecchia.

Ma Ibrahim-Mikeil vive la sua conversione in gran segreto. Non ne sono al corrente la famiglia, gli amici e neanche la giovane moglie. Rischia di essere travolto proprio dall’accusa di apostasia che “potrebbe trasformarsi in una condanna a morte”, dice, “da parte dei vecchi amici, un parente, o nel migliore dei casi in una sentenza che infligge anni di detenzione con sicure torture”.

Le paure di Ibrahim sono fondate? Formalmente no. L’articolo 3 della costituzione egiziana del 1923 proclama l’uguaglianza di tutti gli egiziani di fronte alla legge senza distinzione di razza, lingua o religione. Ma la realtà è diversa. È dal 1971 che è in corso nel paese una costante tendenza a islamizzare il sistema giuridico egiziano. È stato il presidente Anwar Al-Sadat, poi ucciso dagli integralisti islamici, ad accogliere talune richieste dei Fratelli Musulmani allo scopo di combattere i partiti nazionalisti e di sinistra che si opponevano alla sua politica economica: introdusse nella costituzione un emendamento secondo il quale la “sharia è una delle fonti principali della legislazione” per diventare poi, nel 1980, la “fonte principale”.

“Un musulmano di nascita non potrà mai cambiare religione”, conferma Youssef Sidhom, direttore del settimanale cristiano “Watani”: “Non solo cercheranno con tutti i mezzi di dissuaderlo, ma la sua stessa vita sarà in pericolo. Sarà escluso dall’eredità e dalla comunità di appartenenza. Mentre al contrario un egiziano cristiano che abbracci la fede musulmana è accolto con tante feste, la carta di identità viene cambiata in fretta, è facilitato nel lavoro, nella casa”.

La segretezza con cui vive il suo nuovo credo ha permesso per ora a Ibrahim-Mikeil di non cadere nella retata della polizia che ha portato all’arresto, tra la fine di ottobre e la metà di novembre, di 23 egiziani convertiti al cristianesimo, mentre un altro centinaio sono ricercati. La notizia, completamente ignorata dai media egiziani, è stata lanciata da Roma dall’agenzia “AsiaNews”, che informa sulla critica situazione dei cristiani nel mondo islamico. L’unico giornale arabo a dare conto degli arresti è stato “Al Quds”, edito a Londra e interdetto in Egitto. Che denuncia: “Continua in silenzio l’opera della polizia egiziana di criminalizzare ex musulmani convertiti al cristianesimo. Ci meraviglia che una vicenda così delicata sia lasciata in mano alle forze di polizia. È vero che la sharia non ammette l’apostasia, ma in uno stato di diritto la questione dovrebbe essere affrontata non certo seguendo l’onda dei fondamentalisti”.

Secondo un sacerdote che chiede l’anonimato “gli arresti da parte della polizia, ormai infiltrata, come la magistratura e le corporazioni professionali, sono dovute al radicamento dell’integralismo nel sistema educativo egiziano. Sono infatti frequenti i casi in cui gli studenti appartenenti a minoranze religiose vengono pesantemente discriminati e maltrattati. Accade ad esempio che venga imposto il velo a bambine cristiane delle elementari. Le scuole pubbliche hanno subito la forte ingerenza degli imam di Al Azhar e delle autorità governative, da tempo inclini ad accontentare le richieste degli integralisti, per mantenere il loro potere. Dei convertiti arrestati, per mesi non si sa nulla. E nel frattempo subiscono maltrattamenti bestiali. La loro sorte sarà poi demandata a un giudice, non sempre imparziale. Scontata la condanna, non rimane loro che prendere la via dell’esilio negli Usa, in Canada o Australia, per non incorrere nel disprezzo sia della famiglia che della comunità circostante».

Aspetti completamente trascurati dai media egiziani, ma non da “Watani”. “Il nostro è un giornale indipendente”, dice il direttore Sidhom, “senza relazioni particolari con la Chiesa, da cui non riceve alcun sussidio”. Di fronte a questa recrudescenza repressiva nei confronti dei cristiani, il patriarca copto Shenuda III, uso in passato a rimarcare l’armonia tra cristiani e musulmani, ha mutato atteggiamento, lamentando i numerosi attacchi portati contro la sua comunità. La vita dei cristiani, di cui i copti, 6-7 milioni, sono la gran maggioranza, negli ultimi anni non è stata facile. Le persecuzioni nei confronti di questa comunità sembrano tornare alle forme del martirio dei primi cristiani. La memoria torna ai terribili avvenimenti dell’ottobre del 1998, quando forze di sicurezza egiziane fecero rapimenti e crocifissioni durante le incursioni nel villaggio copto di El-Kosheh, nelle vicinanze di Luxor. Le crocifissioni furono a gruppi di 50 persone, letteralmente inchiodate o incatenate a porte, con gambe legate le une contro le altre. Vittime picchiate e torturate con l’uso della corrente elettrica nei genitali dalla polizia che le accusava di essere infedeli. Romani Boctor, 11 anni, è stato appeso con un cavo elettrico al soffitto.

Ma è la discriminazione perpetrata in tutti gli aspetti della società a rendere difficile la vita dei cristiani. Per legge costituzionale il presidente deve essere musulmano. Nessun cristiano può essere primo ministro, benché ce ne siano stati in passato. Dei 32 ministri solo due sono cristiani, quello dell’economia e quello dell’ambiente. Nessun sindaco di città né di villaggio può essere cristiano. Le alte cariche dell’esercito, della polizia, della guardia presidenziale sono destinate solo ai musulmani. Nessun cristiano può ricoprire un’alta carica nei tribunali. Anzi, secondo la legge, occorrono due testimoni per emettere una sentenza, ma se uno dei due è cristiano, il giudice può rifiutarne la testimonianza.

Nessun cristiano può ricoprire la carica di rettore universitario o di preside di facoltà. Il governo paga gli stipendi degli imam, ma non dei preti cristiani. L’università di Al Azhar non accetta studenti cristiani, anche se vive grazie alle imposte sia dei musulmani che dei cristiani. A ciò si aggiungono gli ostacoli insormontabili per costruire una chiesa. Difficoltà che risalgono a una legge del 1934 che detta dieci condizioni per ottenere il permesso. Ad esempio, una chiesa non può essere edificata su un terreno agricolo; non deve essere vicina a una moschea né a monumenti pubblici; occorre l’autorizzazione della polizia se viene a trovarsi vicino a ponti sul Nilo o ai suoi canali o alla ferrovia. Ed è necessaria la firma del presidente della repubblica. “Malgrado le proteste, lo stato vuole mantenere queste condizioni e ciò provoca in tutti gli egiziani uno spirito di fanatismo e di divisione tra cristiani e musulmani”, sostiene Sameh Fawzi, giornalista cristiano.

“La cultura e la vita dei copti sono completamente scomparse dalla stampa egiziana. Per questo abbiamo intensificato il nostro interesse per le minoranze cristiane. Vogliamo favorire l’unione fra egiziani, cristiani e musulmani, perché tutti sono figli della stessa nazione», dice Sidhom che avverte: “L’assenza dello stato sta portando i cristiani all’amara convinzione che l’Egitto li considera cittadini di seconda categoria. Che un cristiano è un kafir, un infedele, non conosce la vera religione né ha la vera fede, quindi non vale la pena che sia ascoltato. E che in questo paese si è creata un’umiliante discriminazione su base religiosa».

Ibrahim-Mikeil conosce tutti i pericoli della sua conversione, ma vive l’adesione al cattolicesimo con grande serenità. “Quando aprii gli occhi sulla violenza , ho cominciato a mettere in discussione la mia religione”, racconta: “Il Dio che desideravo così vicino a me, nell’islam lo scoprivo molto lontano. Padrone di ogni cosa, ma non un Dio che sta con noi. Era questo che mi tormentava. Poi un giorno mi recai allo splendido monastero di Santa Caterina nel Sinai e lì ebbi la vera ispirazione”. La giovane principessa egiziana convertita al cristianesimo venne decapitata per ordine dell’imperatore romano Massenzio. Il sogno di Ibrahim-Mikeil? “Andare a Roma e poter pregare liberamente a San Pietro, magari assieme a mia moglie”.

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by wall street Saturday, Nov. 20, 2004 at 7:47 PM mail:

>>>>>>>>>>>Lanciata dall’informatissima agenzia “AsiaNews” del Pontificio istituto missioni estere, la notizia dell’arresto in Egitto di cittadini colpevoli d’essersi fatti da musulmani cristiani getta nuova luce sui pericoli che incontrano i convertiti dall’islam a un’altra fede.>>>>>>>>>>>>:

e se lo dice il vaticano,c'è da credere obbedire e combattere...
ma vaffanculo
cmq ammesso e non concesso che sia vero,ti informo che il regime fascista egiziano NON è islamista - è una dittatura laica messa su da usa e israele

se dunque davvero si perseguitano i cristiani in egitto,la colpa è di wall street

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Non esiste l'Islamofobia
by marcos Saturday, Nov. 20, 2004 at 8:25 PM mail:

Non esiste nessuna Islamofobia ma solo, per chi è messo in grado di conoscere sia L'islam predicato che L'Islam reale (ovverosia le teocrazie islamiche) un consapevole rifiuto di tale "cultura".

Il problema è la scarsa conoscenza di tale "civiltà" poichè, se conosciuta, non può non porovocare un totale rigetto per chi ha a cuore dei valori elementari come la libertà, l'autodeterminazione, la parità dei sessi.

http://italy.indymedia.org/news/2004/11/682042.php

http://www.oliari.com/islam/allen.html

http://mondoqueer.tripod.com/approfondimenti/RapportoIran.html

http://www.saveriani.bs.it/missioneoggi/arretrati/1999_03/garusi.htm

http://213.92.16.98/ESW_articolo/0,2393,31364,00.html

http://www.freevox.altervista.org/articolo_shar'ia.htm

http://media.supereva.it/coranoislam/rassegna.html?p

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Il bue che disse cornuto all'asino
by Lucy Saturday, Nov. 20, 2004 at 8:31 PM mail:

"pregiudizio, intolleranza e razzismo"

E come definire l'atteggiamento degli Islamici verso le donne, gli omosessuali, le lesbiche, i convertiti ad altre religioni ?

Chi è razzista ?

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Lucy, se non sei una scimmia...
by utroque Saturday, Nov. 20, 2004 at 9:16 PM mail:

...hai mai succhiato un cazzo??!!

Poiche' penso di no ti do un consiglio: PROVACI, ti fara' del bene!!!!

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marcosqualo,troll sionazista
by residente Saturday, Nov. 20, 2004 at 9:19 PM mail:

su indy 24 su 7

E come definire l'atteggiamento dei neocon verso gli omosessuali, le lesbiche, i convertiti ad altre religioni ?

Chi è razzista ?

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x quello di sopra
by marcor Sunday, Nov. 21, 2004 at 8:48 AM mail:

Sicuramente sono razzisti..
ma nessuno viene lapidato dai cristiani se si converte ad altre religioni..
Adesso rispondi tu com'è l'atteggiamento dell'islam verso:
Mogli di altre religioni,omosex,atei,ecc......
Dai rispondi?dai dai..
vediamo cosa rispondi..
Spiegami perchè una donna che vuole sposare un Arabo deve convertirsi...nn è razzismo?

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x marcor, l'ignoranza fatta uomo
by Alois Sunday, Nov. 21, 2004 at 11:21 AM mail:

"...perche' una donna che vuole sposare un Arabo deve
convertirsi..?"

Beh, incominciamo col dire che vi sono Arabi cristiani,
cattolici, protestanti e ortodossi, e Arabi musulmani,
sunniti, sciiti, ismailiti..

A quali cazzo di Arabi ti riferivi con la tua affermazione
perentoria?

Dal contesto ritengo che per te "Arabo" sia sinonimo di
"musulmanto" e, se cosi' fosse, hai detto un'ulteriore
minchiata.

Un musulmano puo' sposare una donna NON musulmana, senza
bisogno che questa si converta, purche' appartenga ad un
"Popolo del Libro" (cioe' giudei o cristiani).

E' vero, peraltro, che il contrario non funziona: una
donna musulmana puo' sposare SOLO un uomo musulmano...

E adesso raglia pure che questo e' razzismo, capra.

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Ah, dimenticavo....
by Alois Sunday, Nov. 21, 2004 at 11:30 AM mail:

Per completezza d'informazione: vi sono centinaia di
milioni di musulmani che NON sono Arabi.

Ad esempio turchi,iraniani, afghani, pakistani, indonesiani, cinesi uighur, tajiki, turkmeni, kazaki ecc. ecc.

E persino....europei!!!!

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Che vi piaccia o meno....
by Abu Nidal Sunday, Nov. 21, 2004 at 8:56 PM mail:

Che vi piaccia o meno OVUNQUE andrete troverete dei musulmani...

Lo so, lo so, vorreste poter preservare la vostra
"purezza" (culturale, religiosa o razziale?) incontrando
SOLO vostri simili.

E cosi' facendo rintrodurreste VOI STESSI il concetto di ghetto".

Contenti voi...personalmente non ho niente in contrario.

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Non fanno niente e.....
by Curri Culum Monday, Nov. 22, 2004 at 10:13 AM mail:

Non fanno niente e trombano piu' degli altri...ma che cazzo di religione puo' predicare una cosa simile..??!!

Eccovela:

>La mishnah analizza e regola molto chiaramente il significato delle norme della onah : “Le volte prescritte dalla Torah per adempiere ai propri doveri coniugali sono: per un uomo che non lavora tutti i giorni; per i manovali due volte la settimana; per i conduttori di somari una volta la settimana; per i conduttori di cammelli una volta al mese; per i marinai una volta ogni sei mesi"<

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POLVERONE per giustificare Bush?
by . Monday, Nov. 22, 2004 at 6:26 PM mail:

La scelta di Berluska di appoggiare Bush è alla base di questa campagna infame contro i mussulmani scatenata da "intelletuali" di merda abbondanti in Italia.

Mussulmani, cristiani, ebrei, sono tutti uomini: la percentuale di fanatici è più o meno la stessa.

Punto e basta

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.....
by ....... Monday, Nov. 22, 2004 at 6:40 PM mail:

Nel mondo ci sono circa 1,2 miliardi di musulmani.

Di questi, "solo" il 10% sono estremisti... cioe' "solo" 120 milioni circa.... Il doppio della popolazione dell'Italia(!).

E, naturalmente, guai a parlare contro questi 120 milioni che vogliono fare strage d'infedeli!

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circa quanto i cristiani! Idiota!
by . Monday, Nov. 22, 2004 at 8:13 PM mail:

non ho parole di fronte alla tua imbecillità, servo di Bush!

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