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28.07.02 Khan Younis, storia di un asino
by di Michele-Operazione Colomba Wednesday, Jul. 31, 2002 at 12:02 PM mail: colomba@eudoramail.com

28.07.02 Khan Younis, storia di un asino

28.07.02 UN ASINO
Per la tutela dei locali coinvolti i nomi usati sono nomi di fantasia

Chissà se il clamore dei folli episodi di violenza israeliani e palestinesi vorrà lasciare un poco di spazio per la passione di un asino morto dissanguato in una notte ordinaria di spari nel buio. Chissà!

Il lettore di buona volontà sopporti intanto una metafora da due lire: non sarà certo letteratura ma proprio mi viene da scriverla e visto che vale così poco la regalo volentieri.

Con il mare mosso e la bandiera rossa non si deve fare il bagno. Questo divieto lo abbiamo sempre ignorato precipitandoci in mare per lasciarsi travolgere dalla sua forza. Lo facciamo perché è divertente. Appena si è in acqua si gode di ogni onda che ci sposta ma ben presto il ritmico spingere e risucchiare di creste tutte uguali diventa routine...e allora? Allora si inizia ad aspettare la cresta che, fra le altre, promette più forza; ogni piccola onda anomala che arriva ci diverte e insieme rende più banali le sue sorelle più comuni. Il divertimento, per conservarsi uguale, insegue sempre un’emozione più forte o comunque diversa, così, per noi bagnanti, un mare in tempesta può diventare noiosa normalità di flutti interrotta da colpi di forza che, via via che l’abitudine ci smorza la sensibilità, sempre più raramente sono degni di nota.

Poi però succede che se lasciamo i panni del bagnante e vestiamo quelli dello studioso per capire l’erosione della spiaggia dobbiamo tenere conto proprio del noioso, banale, incessante battere d’acqua sulla battigia.

Per capire l’esasperazione di questa gente bisognerà quindi rassegnarsi a stringere gli occhi abbagliati dall’F16 assassino e dal folle assassino-suicida per tentare di penetrare l’insopportabile normalità di chi, nella Striscia di Gaza, vive nei punti più caldi.

L’intero territorio di Gaza è diventato da due anni una gigantesca prigione; ma, a differenza della West Bank, la Striscia non è interamente occupata dall’esercito Israeliano. Qui esso si limita a svolgere la sua funzione di feroce carceriere dai confini, dagli insediamenti di coloni interni alla Striscia e dalle strade di collegamento fra insediamenti e Israele. Sono appunto questi i luoghi di contatto, quelli in cui si consumano le quotidiane, gratuite e logoranti violenze della Tsahal (l’esercito israeliano) fatte di coprifuoco, scorribande di carri armati su orti e campi coltivati, spari sulle abitazioni, visite di militari nel cuore della notte, uccisioni e ferimenti di persone e, appunto, di animali.

Non vorrei che nel descrivere queste sistematiche violazioni di diritti il rovesciare un elenco di parole mandasse perduto l’autentico dramma vissuto da queste persone: decine di raffiche di mitra contro le abitazioni ogni notte, pur quando non feriscano effettivamente nessuno, non sono un dispettuccio di due stupidi militari di leva. Significano la violazione del tuo spazio più intimo, nel quale all’improvviso non sei più al sicuro (le pallottole, una volta bussato alla finestra, si prendono la briga di entrare in casa e distruggere ciò che incontrano), significano il terrore di tua figlia che tu, impotente, ti ingegni di placare con innocenti bugie e forti abbracci.

Si provi ciascuno a figurarsi la propria tranquillità continuamente distrutta da queste cose, si immagini di non poter dare un sonno tranquillo ai propri figli perché i militari che sono appostati in torrette inattaccabili a 50 metri dalla tua casa si divertono a terrorizzarvi.

Ci si provi, e forse si potrà iniziare a capire come possono anche nascere dei pensieri strani...

Perché la specifica odiosità di ogni violenza non si perda nell’indefinito ripetersi di angherie tutte uguali, varrà forse la pena di dettagliare la nostra ultima nottata.

Ci troviamo a Qararah, cittdina del sud della Striscia di Gaza infelicemente incastonata fra l’insediamento israeliano di Qatif ed una delle strade che lo collegano ad Israele. Gran parte della cittadina è sotto coprifuoco dalle 20.00 della sera. La nostra attività di interposizione e condivisione si concretizza, in questi giorni, nel passare le notti nelle famiglie che subiscono coprifuoco e tutto il resto.

Siamo arrivati a metà pomeriggio a casa di Hasan, poco prima due carri armati israeliani erano entrati in territorio palestinese limitandosi questa volta a sradicare qualche albero e a lasciare evidenti tracce sull’asfalto. Ci conducono a vedere una serie di orti che si trovano lungo il confine con l’insediamento. Serre, piante, e sistemi di irrigazione sono stati completamente distrutti dai bulldozer.

E’ l’ora del coprifuoco e si iniziano a sentire le prime raffiche provenienti dalla torretta vicino la casa di Adel dunque ci incamminiamo per tornare.

A casa incontriamo Mohammed, un anziano signore che parla inglese e suo fratello Kamal. Ci informano che l’asino di Kamal è stato ferito ad una gamba. Il padrone dell’animale, un distinto signore vestito di tunica bianca, chiama a raccolta l’intera sua competenza in inglese per esclamare con rabbia e tristezza: why the donkey? why the donkey? why the donkey?Per tre volte.

Dopo la cena la nostra discussione è più volte interrotta dalle raffiche di mitra alcune delle quali colpiscono non lontano da noi. La figlia di Hasan piange terrorizzata ma sembra che le braccia del padre siano un efficacie calmante. Si riaddormenta sfinita per poi svegliarsi di soprassalto ad ogni nuova raffica.

Marco, l’unico esperto di guerre del gruppo, ci spiega un curioso effetto delle mitragliate. I proiettili viaggiano ad una velocità superiore a quella del suono, così se si ha la sfortuna di essere vicini al bersaglio colpito si sente prima il suono forte e squillante del proiettile che esplode a destinazione e immediatamente dopo il rumore più sordo e lontano del colpo sparato con una strana inversione cronologica nella percezione di causa ed effetto.

Ad una certa ora sembra che l’esuberanza dei militari si sia placata e ci mettiamo a dormire un sonno disturbato, al vero, più da insetti ed afa insopportabile che da altro.

Svegliati non troviamo nessuno in casa, usciamo quindi in strada dove si è riunito un capannello di persone al quale partecipa il nostro ospite Hasan.

Qui ci informano che l’asino ferito il pomeriggio precedente è morto dissanguato durante la notte.

Per comprendere il piccolo dramma che può ruotare attorno alla sua perdita diciamo subito che da queste parti l’asino non è un imbellettamento presepizio ma ne più ne meno un fondamentale mezzo di trasporto.

Ci rechiamo a vedere la carcassa che mostra, chiaro, il foro del proiettile nella coscia posteriore sinistra.

Nel frattempo arriva Kamal, padrone della bestia, a bordo di un trattore. Attaccano la carcassa al trattore con una corda legata al collo.

Nel rimorchiare la bestia, il peso dell’animale lo fa girare sulla schiena con le gambe all’aria dando alla triste scena un tono grottesco.

Guardando l’asino andare mi perdo...nella mente ho la stridente sproporzione fra il mostruoso bombardamento di 5 giorni fa e questo piccolo, vile crimine.

Non è neanche sufficiente a costituire una notizia in se.

Ma quale deve essere il senso di frustrazione di Kamal: hanno ucciso il suo animale e sa perfettamente che nessuno griderà l’ingiustizia di ciò che è successo. Il suo personalissimo dramma non troverà nessuno sfogo, andrà, come le altre piccole e grandi anonime violenze, ad alimentare la sorda disperazione di queste persone.

Il trattore è andato, Kamal ancora si domanda why the donkey?


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