Agli attivisti e alle attiviste che hanno contribuito alla riuscita della Euromayday 2005 di Milano e alle reti di movimento e a* sindacalist* di base impegnat* contro la precarietà. A tutt* coloro che proseguono nel cammino delle lotte sfidando controllo e repressione, con un pensiero particolare a* compagn* di Bologna e a Vittorio, Carmine e Fabiano.
Abbiamo preferito prenderci tempo e non intervenire a caldo. Non solo perché siamo stat* pres* da altre urgenze di cui forse sapete, ma anche perché sentivamo la necessità di non entrare nel merito di fatti che non ci hanno riguardato. Sarebbe stato facile ergersi a censori di tutti sputando sentenze sugli uni o sugli altri; sarebbe stato facile sfruttare la felice circostanza di non aver preso parte ai fatti (marginali rispetto alla grande euromayday di quest’anno e tuttavia destinati a pesare nella prosecuzione del lavoro di tutt* noi). Sarebbe stato facile ma anche dannoso, perché sarebbe servito ad alimentare gli scontri, le divisioni, se non addirittura gli odi. Altr* hanno parlato e scritto a caldo ed è bene che lo abbiano fatto. Noi non ci sentiamo di giudicare nessuno. Solo ci sentiamo di dire che quando si arriva a colpirsi tra compagn* c’è qualcosa di marcio, uno stile, dei comportamenti, una mentalità politica che non funzionano. Se si arriva a menarsi vuol dire che si sta perdendo di vista l’obiettivo e si privilegiano le identità, le mire egemoniche, i piccoli interessi di gruppo. Naturalmente sappiamo che questo non vuol dire niente, perché ciascuna parte potrà sempre considerare l’altra afflitta da un odioso desiderio egemonico e sentire sé stessa immune da tale malattia e giustificare così i suoi comportamenti come una sorta di legittima difesa. E tuttavia il problema rimane, come rimangono i segni delle botte a chi le ha subite e cui anzitutto ci sentiamo e siamo vicin*. Noi non vogliamo stare in mezzo, fare da pacieri ed essere quell* che parlano con tutti e pertanto evitare di prendere posizione. A Roma ci sembra che si stia lavorando da un po’ di tempo con un altro spirito ed è di questo che vogliamo parlarvi, di una differenza (chissà se in meglio) che c’è da queste parti e che forse costituisce una novità su cui riflettere insieme.
E’ qualche anno che nella nostra città abbiamo ripreso un lavoro sistematico di iniziativa sociale. Abbiamo messo da parte la costruzione identitaria e la polemica ideologica e ci siamo immers* in un’attività quotidiana a contatto con le persone comuni, fuori quindi dagli ambienti tipici di movimento. Si è trattato per noi di una sorta di reinizio che oggi quasi ci fa sorridere. Ci siamo dedicat* a quello che sapevamo fare, la lotta per la casa, ma strada facendo abbiamo capito e imparato molte altre cose che non conoscevamo. Chi dice che la lotta per la casa a Roma c’è sempre stata ha ragione, ma il modo come la stiamo conducendo non è uguale a quello degli anni passati. Per almeno quattro importanti motivi: a) per la professionalizzazione degli sportelli che abbiamo aperto che sono capaci di intervenire su tutto il panorama della questione casa, dalle cartolarizzazioni agli sfratti fino alle liste di nuova occupazione; b) perché lo scontro aperto da Action è innanzitutto contro i grandi gruppi privati, mentre da vent’anni a Roma si occupavano solo strutture pubbliche dismesse, in gran parte scuole; c) perché si è costruita una unità non formale tra tutti i movimenti di lotta per la casa, il che è un fatto storico; d) perché la lotta ha un obiettivo di natura generale, la politica della casa nel suo insieme, e non solo la soluzione del problema per un settore specifico. L’esserci dedicat* ad un lavoro molto concreto con la mentalità però di chi vuole cambiare il mondo, ha prodotto degli effetti interessanti. Intanto ha formato una nuova leva di attivist*, poco ideologizzata ma con una grande capacità di comunicare con le persone. Attivist* con la vocazione all’unità e non alla divisione. E poi ha messo le forze politiche, per così dire, con le spalle al muro. Esponenti di partito che fino al giorno prima sostenevano la non violenza venuti in soccorso di un’occupazione difesa con ogni mezzo necessario. Una giunta e un sindaco che avevano chiesto più volte a Nunzio di prendere le distanze dalle illegalità costretti a riconoscere le occupazioni. Insomma un Laboratorio Roma, come lo chiamiamo qui, che cerchiamo di spingere all'opposto di quello cercato da Cofferati a Bologna proprio in contrapposizione ad ogni prospettiva di un movimento articolato di società. Un "laboratorio" che, soprattutto, comincia a produrre risultati. Una Delibera quadro sulle politiche abitative è ormai in votazione in Consiglio Comunale ed essa costituirà il riferimento più importante per incalzare le autorità nei prossimi anni a dare una svolta nella politica della casa a Roma. La casa è un bene comune diciamo noi, ma anche un pezzo di reddito. La nostra proposta di canone sociale, cioè di una forma di affitto commisurata al reddito, ancora non riesce a sfondare non solo per le ovvie resistenze dei costruttori e dei proprietari che non vogliono che qualcuno metta bocca sulla libera locazione di mercato, ma anche per una sorta di resistenza ideologica di parti di movimento. Noi abbiamo sempre pensato che il canone sociale rappresenti il ponte tra la lotta per la casa e quella per il reddito: però rispetto a chi sostiene come priorità assoluta un rilancio dell'edilizia popolare, che anche noi consideriamo un obiettivo ma come uno tra gli strumenti necessari, non abbiamo certo intrapreso crociate ideologiche. Semplicemente agiamo con più pazienza, dando all’unità nella lotta e all’allargamento del movimento un’importanza superiore a quella di portare tutt* sulle nostre posizioni. Ci siamo dedicat* molto alla lotta per la casa ma con lo spirito di costruire una sorta di sindacalismo metropolitano di nuovo tipo. Di nuovo tipo perché forti sono state le trasformazioni del modo di produrre e della composizione sociale e pertanto inedite crediamo debbano essere le forme di organizzazione e di lotta, espressione di un tessuto sociale diverso dal passato. Metropolitano perché consideriamo il territorio un fattore strategico non solo nell’attuale sistema di produzione ma anche per ripensare forme moderne di democrazia partecipativa. Sindacalismo, infine, perché la rappresentanza e l’organizzazione degli interessi sociali crediamo costituisca un punto irrinunciabile di ogni politica di cambiamento. Per questo, per esempio, l’obiettivo di un decentramento radicale è una delle priorità del nostro lavoro. Si può fare la lotta per la casa in modo corporativo oppure ci si può porre obiettivi generali, tentando di incidere sugli enti di prossimità come i Municipi ed allargando lo spettro delle questioni in gioco. Un’occupazione per esempio è una comunità di famiglie con un complesso di problemi, i figli e la scuola, i servizi sociali, i diritti di cittadinanza per le/i migranti. Quelli che noi chiamiamo “diritti dell’abitare” cioè quell’insieme di diritti che spettano a ciascun@ abitante e per i quali ci battiamo. La lotta per la casa diventa così la lotta per un’altra città. Attraverso questo modo di lavorare, tra mille limiti e difficoltà, avviene anche un lento ripensamento del ruolo dei centri sociali, che restano i nostri luoghi di origine, la nostra consolidata retrovia. Roma è la capitale dei centri sociali, talmente tanti sono i luoghi occupati e autogestiti ancora in attività, nonostante la crisi che questi spazi hanno vissuto negli anni.
Diciamo tutto questo per sottolineare come la stagione de* disobbedienti per noi sia davvero alle spalle. Non semplicemente ridislocata, ma propriamente conclusa. Se in questi mesi i media hanno continuato ad identificarci come “i disobbedienti romani” è stato per una sorta di abitudine ma anche di nostra pigrizia ed in fondo perché non sentivamo l’urgenza di segnalare al mondo i nostri cambiamenti. Oggi, anche alla luce dei fatti di Milano, invece si: le/i disobbedienti sono stat* una fase importante del percorso di una parte di noi, ma poi siamo andat* oltre, siamo diventat* un’altra cosa e ci poniamo altri obiettivi. Come la crescita di un movimento effettivo di reti di autorganizzazione sociale, con una dotazione di mete, proposte e battaglie condivise e capaci di aggredire anche lo spazio della politica e sostenere il peso di una fase segnata dal carattere ordinativo della guerra. Per dirla in metafora, un’organizzazione delle complicità tra Imbattibili della precarietà, Inarrestabili delle lotte per i diritti, Insaziabili del conflitto nelle aree metropolitane.
A vederla da lontano e con gli occhi di chi è immerso nel contesto di conflitti e percorsi dentro la nostra città, l’euromayday 2005 ci riconsegna un doppio messaggio. Da una parte ci dice che essa è ormai diventata una data simbolo del precariato e dell’alternativa al sindacalismo confederale, un dato di enorme importanza che dovremo custodire tutti con grande accortezza. Dall’altra che le reti di movimento e le diverse anime che cooperano alla realizzazione della mayday sono ancora complessivamente troppo deboli per reggere il peso del ruolo che così andiamo assumendo: debolezza misurata, anzitutto, su di noi che al percorso mayday ci siamo finora solo affacciat*. Le divisioni in questo senso costituiscono l’effetto e non la causa del problema: che resta, così almeno ci pare, quello di avere tutti insieme una capacità di aggregazione ed internità alla realtà sociale del paese ancora, complessivamente, insufficiente e superficiale. In conclusione ci sentiamo di avanzare un’idea, una sfida a noi stess* più ancora che una proposta. E’ quella di estendere davvero il lavorìo di ricerca e di intervento costruito intorno alla mayday dalle realtà lombarde che l’hanno “accudita” e fatta crescere con cura, per verificare concretamente un processo più ampio che investa altre aree del paese. Sarebbe bello sfidarci, noi e quant* abbiamo incontrato nei comuni percorsi di lotta, a “candidare” il prossimo anno Roma per la mayday: provando così a portare nelle regioni centrali e meridionali quel lavoro sulla “complicità” che tanto si è diffuso a Milano e dintorni ma che altrove non si è ancora diffuso a sufficienza. E nello stesso tempo riempire la mayday di quelle tematiche e di quei soggetti, senza casa, disoccupat*, migranti che sono, accanto alle altre figure del precariato, parte fondamentale dei conflitti del centro sud. Potrebbe essere…: soprattutto, potrebbe essere un modo per dare un senso ancora maggiore e ancor più vincolante di “costruzione collettiva” alla preparazione della prossima mayday.
Manca un anno, la mayday è lontana, ci sono tante cose da fare. Buon lavoro a tutt*.
ACTIon Agenzia comunitaria diritti "La più bella associazione a delinquere"
Roma, maggio 2005
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