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Il ministro che giocava alla guerra
by Collettivo Scienze Politiche - Torino Thursday, May. 25, 2006 at 8:49 PM mail: scipolto@googlegroups.com

La composizione del nuovo ministero degli esteri

Durante l’ultima campagna elettorale la coalizione guidata da Romano Prodi ha spesso parlato di “Pace”, della necessità di una politica estera meno aggressiva e filoamericana. Molti si sono fidati di queste belle parole e nel segreto dell’urna hanno dato la loro preferenza a questa visione dei rapporti con il resto del mondo. Ora che il governo è formato, si può capire attraverso una semplice analisi delle”poltrone” quanto e come le parole di appoggio verso i movimenti pacifisti siano state tradotte. Soprattutto in luce di un eventuale crisi iraniana.
Su una eventualità di guerra certamente non avranno voce in capitolo due sottosegretari: Crucianelli e Di Santo. Il primo legato alla sinistra DS e alla rivista Aprile, fu tra i fondatori de “Il Manifesto” e lascia quindi aperta la speranza, benché le sue competenze sugli esteri si concentrino nei rapporti con l’Europa, il secondo è invece legato in via esclusiva all’America Latina. Sono rappresentanti del cosiddetto terzo settore, si concentreranno di tematiche riguardanti gli aiuti ai paesi in via di sviluppo e difficilmente apriranno bocca sulla linea della politica estera.
Passiamo poi al pezzo grosso, il ministro Massimo D’Alema. In ambito internazionale lo si ricorda soprattutto per un evento: l’aver fatto decollare con una velocità degna del miglior zerbino gli aerei militari dalle basi italiane. Destinazione Jugoslavia. Il tutto senza prima passare dal Parlamento, con una decisione in odore di incostituzionalità. A lui, mr. Guerra Umanitaria, va questa poltrona importante, oltre all’incarico di vicepremier. A dimostrazione dell’ipocrisia dei componenti del futuro Partito Democratico, che riempiendosi la bocca di pace han seminato bombe e proiettili all’uranio impoverito su un’intera nazione. Per rimanere fedele alla sua giusta fama, votò anche per l’invio delle truppe in Afghanistan. Durante la lunga crisi irachena, tacque, lasciando parlare quello che da molti era considerato il suo “house organ”, ovvero il Riformista di Polito. Giornale che si distinse per una forte campagna denigratoria verso i movimenti pacifisti prima e dopo dell’intervento americano, mentre flirtava con neoconservatori come Rufus Fears, presidente dell’Heritage Foundations di cui “Il Riformista” ha pubblicato un articolo-manifesto dell’America imperiale (“L’america faccia sua la lezione dell’Impero Romano”, datato 3 Gennaio 2006).
Come suo vice-ministro troviamo Ugo Intini esponente della Rosa Nel Pugno, il cartello elettorale formato da SDI e Radicali. Anche lui favorevole all’intervento in Kosovo, si trova a dividere la tessera con il partito che più di tutti ha spinto per l’intervento in Jugoslavia, manipolando non poco la stampa attraverso le testimonianze del giornalista Antonio Russo. Intini ovviamente di ritiro dall’Afghanistan non ne vuole sapere, anzi lui e lo SDI votarono nel 2002 separatamente dalla sinistra dell’Unione una propria mozione per il proseguimento della missione e soprattutto dettero l’assenso all’invio di un contigente di 1000 alpini in sostituzione di un battaglione inglese. Sulla ritiro dall’Iraq si è già pronunciato per un ritiro “concordato con gli alleati e le autorità irachene“, facile immaginare come si tradurranno queste parole in termini di politica reale. Sarà affiancato dalla Sentinelli, del PRC, la quale dovrà difendere praticamente da sola la cittadella pacifista dell’Unione dentro alla Farnesina.
E’ il turno ora di due personaggi molto diversi tra loro, entrambi sottosegretari.
Il primo è Bobo Craxi, figlio dell’ormai defunto Bettino. Una presenza di cui nessuno sentiva la mancanza, arrivato alla poltrona attraverso il meccanismo di lottizzazione che ha caratterizzato questo governo. Inutile dire quanto sia squallido che un ruolo importante come il sottosegretario agli esteri venga ricoperto da un personaggio che non ha mai dimostrato nessuna capacità all’infuori del possedere un cognome importante. Andrà dove lo porterà la cadrega ovviamente, inutile aspettarsi gesti forti in caso di emergenza-guerra.
Il secondo è Gianni Vernetti ed è senza dubbio il più guerrafondaio tra i nomi finora esposti. Favorevole all’intervento in Kosovo, favorevole all’intervento in Afghanistan, ambiguo sull’Iraq dove non poteva probabilmente esporsi, mentre dal suo blog invoca un intervento occidentale in Darfur. E’ tra i firmatari del “Manifesto di Euston” di cui vale la pena riportare alcuni passaggi significativi: “L’intervento umanitario, quando si rende necessario, non vuol dire ignorare la sovranità ma significa porla, più correttamente, nella comunità dei popoli.”; “quando uno stato viola atrocemente la vita quotidiana dei cittadini, ha rinunciato alla propria sovranità e la comunità internazionale ha il dovere di intervenire e prestare soccorso.”; “Rifiutiamo i doppi standard dei quali si serve un’opinione autodefinita progressista, che condanna molto più duramente le violazioni (meno importanti, anche se vere) perpetrate dai governi occidentali che non quelle, palesemente molto più gravi, commesse altrove.”
Mentre aspettiamo con ansia che Vernetti intervenga a bombardare l’Italia di Bolzaneto e dei CPT, chiudiamo pensando alle grandiose manifestazioni contro la guerra in Iraq chiedendoci: quanto di quello che si chiedeva in questo campo potrà rispettare un escutivo del genere?
Poco, molto poco rispetto alle aspettative. Non resta che metterci il cuore in pace.

Collettivo scienze politiche - Torino

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