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Alla ricerca di vittime e carnefici nel “triangolo degli schiavi”, ho trovato l'anima dell
by Renato Forlani Sunday, Sep. 17, 2006 at 11:23 AM mail:

Una grande Madre, la Puglia, che non partorisce, ma allatta e ridà la vita a migliaia di diseredati di mezzo mondo. Bulgari. Polacchi, Rumeni, Africani di varie nazionalità: Da Tunisia, Marocco, Nigeria, Niger, Mali, Burkina Faso, Uganda, Senegal, Sudan, Eritrea.

Fonte: Report On Line

Una ricerca doverosa, da parte mia che vivo in questa Capitanata, la provincia di Foggia al centro dell’attenzione del collega de L’Espresso Fabrizio Gatti che ha realizzato un reportage sulla condizione degli immigrati in provincia di Foggia.

Il reportage, pubblicato sull’ultimo numero de L’Espresso si intitola “Io schiavo in Puglia”, ed è, secondo quanto si può desumere dalla lettura dell’articolo, la cronaca di qualche giorno, uno o più, non è detto chiaramente, trascorso fra gli immigrati, ed anzi confuso con essi perché camuffato da immigrato, per viverne le esperienze di vita e di lavoro, poi rivelatesi allucinanti e raccontate con uno stile, una scelta di parole e di situazioni che in me, e ritengo nella maggior parte di chi ha potuto leggere il reportage, hanno provocato grande turbamento.

Turbamento, ma anche emozione forte.
Sentimenti che sono cresciuti man mano che andavo avanti nella lettura e che alla fine sono sfociati nella conclusione a cui è pervenuto chiunque abbia letto l’articolo di Gatti, sconcerto, ma anche pena profonda per le torture fisiche e psicologiche inferte a chi non aveva i mezzi per difendersi.

Sconcerto. Ma anche rabbia, rabbia per il danno provocato agli imprenditori agricoli che non bastasse una realtà che li vede operare in un settore in cui da un lato devono soccombere ai commercianti che pagano poco, come vent’anni fa e vendono invece al consumatore con ricarichi favolosi, consapevoli e forti del fatto che per l’agricoltore non cedere significa veder marcire il raccolto nei campi.

Per altro verso sopportano il peso delle produzioni dei paesi extracomunitari che fanno concorrenza insostenibile grazie ai costi irrisori del lavoro, sia sul prodotto fresco che su quello lavorato dalle industrie italiane che “delocalizzano” in questi paesi.

A proposito di delocalizzazione sarebbe interessante sapere da chi facilmente denuncia il mancato rispetto delle leggi in materia di compensi ai lavoratori stagionali, quale sia il giudizio morale su chi delocalizza, cioè su chi produce all’estero pagando alla manodopera locale stipendi ridicoli se confrontati ai nostri, anche se adeguati ai costi ed alle tariffe in vigore in quei paesi, e chi invece remunera questi lavoratori in Italia con una paga che a volte può non essere esattamente quella prevista dalla legge italiana, ma pur sempre una paga che risulta essere alla fine dieci volte superiore a quella che lo stessissimo lavoro rende ad un operaio, proprio nel paese da cui il lavoratore che prendiamo in esame proviene.

In grassetto/corsivo, vi trascrivo qui sotto le frasi che mi hanno particolarmente colpito e che hanno contribuito in misura determinante a formare nella mia mente la conclusione che, secondo quanto si dice nell’articolo di Fabrizio Gatti: Gli imprenditori agricoli (TUTTI) di Capitanata (la provincia di Foggia) sono una massa di schiavisti, tanto più spregevoli perché infieriscono su soggetti deboli e indifesi.

1 Dietro il triangolo degli schiavi ci sono gli imprenditori dell’agricoltura foggiana
E molte industrie alimentari

2 Un triangolo senza legge che copre quasi tutta la provincia di Foggia da Cerignola a Candela e su, più a nord, fin oltre San Severo

3 Piccole o grandi aziende non fanno differenza, quasi tutte scelgono la scorciatoia del caporalato

4 Ma da queste parti se ne infischiano anche della Costituzione: articoli uno, due e tre. E della dichiarazione dei diritti dell’uomo

5 Per proteggere i loro affari, agricoltori e proprietari terrieri hanno coltivato una rete di caporali spietati: italiani, arabi, europei dell’Est. Alloggiano i loro braccianti in tuguri pericolanti, dove nemmeno i cani randagi vanno più a dormire. Senza acqua, nè luce, né igiene. 6
Li fanno lavorare dalle sei del mattino alle dieci di sera. E li pagano, quindici, venti euro al giorno. Chi protesta viene zittito a colpi di spranga.

7 Ti posso prendere, ma domani, promette, “ce l’hai un’amica?, “Un amica?.
“Mi devi portare un’amica. Per il padrone. Se gliela porti, lui ti fa lavorare subito.

8 La segregazione razziale è rigorosa in provincia di Foggia. I rumeni dormono con i rumeni. I bulgari con i bulgari. Gli africani con gli africani


9 E a fine raccolto si mettono in coda per incassare le sovvenzioni da Bruxelles. ’L’espresso’ ha controllato decine di campi. Non ce n’è uno in regola con la manodopera stagionale. Ma questa non è soltanto concorrenza sleale all’Unione europea. Dentro questi orizzonti di ulivi e campagne vengono tollerati i peggiori crimini contro i diritti umani.

10 "In Libia tutti gli immigrati sanno che gli italiani reclutano stranieri per la raccolta dei pomodori”


Scusandomi per dover pedissequamente commentare le frasi riportate faccio notare: In mancanza di una precisazione, secondo me doverosa, che la situazione descritta non può e non deve essere attribuita alla totalità degli imprenditori agricoli, se ne deduce che la frase n. 1 si riferisce appunto a TUTTI gli imprenditori agricoli.
Ovviamente nulla di più fuorviante perché non vero.

La frase n. 2 pur non essendo contestabile, indica però una estensione territoriale del fenomeno solo presunta da Gatti, giacché egli ha fatto cronaca e riferito fatti e circostanze verificate in uno o due ambiti precisi e citati specificamente. Credo che Gatti non avrebbe omesso di riferire altri fatti se questi fatti si fossero effettivamente svolti.

La frase 3 accomuna nella immagine negativa presentata le aziende di ogni dimensione.
Di per se non significherebbe nulla, ma spinge verso il rafforzamento di quel concetto per cui TUTTE le aziende del comprensorio adottano lo stesso comportamento criminale.
Ma afferma anche che quasi tutte scelgono la scorciatoia del caporalato , come se la pratica del servizio di caporalato fosse un reato. Il caporalato in effetti è il servizio di avviamento al lavoro privato, attualmente ammesso dalla legge che ne ha riconosciuto evidentemente valenza positiva (se svolto nei modi e nei termini in cui deve svolgersi qualsiasi attività legale).
Anche la frase 4 svolge la mera funzione di accomunare TUTTI gli imprenditori agricoli nel girone dei dannati : quasi tutte scelgono la scorciatoia del caporalato

La frase 5 è concepita in modo da indurre il convincimento che da parte di questi delinquenti di imprenditori agricoli si sia attuato una vero e proprio “allevamento” di caporali, indottrinati ed addestrati alla stregua dei Kapò nazisti. Ma quando mai! Certi metodi sono appannaggio esclusivo di stampo criminale e non potrebbero in nessun caso essere adottati da persone di natura diversa.

Quanto all’affermazione a proposito degli alloggi, mi sembra evidente che Gatti abbia cercato e trovato il modo per dare forza e pathos (voglio ricordare che le tattiche di questo tipo vengono utilizzate per creare un senso di repulsione e di sanzione morale verso i fatti che si espongono, per facilitare il consenso quando si ritiene che i fruitori possano non essere d’accordo).
Devo anche dire che nella mia ricerca, durata solo tre giorni, ho potuto vedere personalmente gli alloggi di molti immigrati che in genere e salvo eccezioni che pure esistono, vengono sistemati in locali delle masserie dove alloggiano anche i proprietari dei terreni per i quali lavorano.
Che dire, si tratta di locali ceduti a titolo assolutamente gratuito, che certo non possono possiedono i requisiti di igiene e di salubrità considerati normali dai nostri comuni standard, locali peraltro affidati alla cura e pulizia degli stessi occupanti, ma si tratta di posti non dissimili da quelli utilizzati dai proprietari dei terreni che vivono la stagione del raccolto soggiornando essi stessi in campagna ed avendo con gli immigrati un rapporto che il più delle volte è l’esatto contrario dei rapporti descritti da Gatti.

Le mie visite si sono svolte fra le sei del pomeriggio e le nove di sera e ho visto più di una situazione in cui immigrati e proprietari mangiavano insieme a fine giornata di lavoro, e dopo mangiato si intrattenevano come fra pari.

Non posso testimoniare circa l’ora di inizio del lavoro, ma non esiste il fatto di lavorare fino alle dieci di sera e quanto alla paga nessuno degli interpellati ha mai lamentato (da solo con me) di percepire meno di 35 o 40 euro al giorno.
In qualche caso per lavoro realizzato a cottimo anche 50 euro al giorno e le spranghe se c’erano stavano ben nascoste. Nessun immigrato mi ha lamentato, a precisa richiesta, di essere mai stato preso a sprangate o comunque a maltrattamenti fisici.

La frase numero 7 si spiega da sola. Un caporale fa il ruffiano per il padrone, un padrone inqualificabile, immondo, ma da qui a lasciar pensare che siano tutti così, ci corre.

Le frasi 8 e 9 evocatrici di situazioni che la normale natura umana respinge, ma dette, nel caso evidenziato, assolutamente a sproposito.

Non può certamente essere addebitata agli agricoltori, l’abitudine degli immigrati di “proteggersi” dagli altri immigrati e magari dai caporali adottando la precauzione di non rimanere in minoranza in un gruppo di altra nazionalità.
Ma la descrizione di questo particolare spiega ciò che Gatti non ha afferrato.

La normalità dei rapporti degli imprenditori agricoli con gli immigrati è quella che vede in ogni masseria non più di tre o quattro soggetti, in genere imparentati fra loro e dunque anche fra di loro compatrioti e che spesso vedono anche la presenza di ragazze.
Una in particolare mi ha colpito. Studentessa universitaria a Sofia, venuta per il secondo anno a guadagnare quanto le basta per mantenersi agli studi in Bulgaria, raccogliendo pomodori insieme alla madre che invece è fissa in Italia ormai da qualche anno.

Le situazioni in cui si riuniscono soggetti così diversi da doversi difendere stando esclusivamente in gruppo con i propri connazionali, sono quelle degli sbandati che non hanno trovato lavoro presso aziende condotte dai rispettivi proprietari, ma in terreni in genere presi in affitto da avventurieri che normalmente provengono da altri settori e da altre regioni.
Condizione che implica e fa gioco ai caporali che mentre li raccolgono e li trasportano sui campi di lavoro, li tengono soggiogati con le minacce e le violenze fisiche, come raccontate da Gatti.
Persone che sfruttano gli immigrati proprio come Gatti ha descritto, al servizio però di falsi imprenditori agricoli, dimenticando di aggiungere il particolare per cui le prime vittime di questi criminali sono proprio gli agricoltori.
Quelli che sfiniti da un lavoro che non consente in genere neanche il recupero dei capitali investiti a causa di una situazione paradossale per cui i loro prodotti vengono acquistati oggi allo stesso prezzo di vent’anni fa, mentre ai consumatori finali costano fino a cinque volte di più che allora, danno i loro terreni in affitto e il più delle volte ne ricevono assegni senza copertura, postdatati per consentire ai conduttori di raccogliere prima che il proprietario del terreno affittato possa rendersi conto della fregatura subita.

E in più con la beffa di dover pagare anche gli oneri, quali l’acqua che l’affittuario invece si era impegnato a pagare al consorzio che la distribuisce per l’irrigazione.
Quelli che sono costretti a diminuire i prezzi di vendita dei loro prodotti fino a mettersi in concorrenza coi prezzi dei finti imprenditori che possono vendere a prezzi più bassi, perché godono dei vantaggi che gli vengono dal loro comportamento criminale.
La concorrenza sleale dunque produce i suoi effetti nefasti verso chi lavora onestamente, cioè gli imprenditori agricoli veri, non i finti agricoltori, gente invece che è poco definire avventurieri senza scrupoli che effettivamente come sottolinea Gatti, non ha alcun rispetto per i diritti umani, anzi forse non sa neanche cosa significhi una cosa del genere.

Altro che concorrenza sleale verso l’Unione Europea, si tratta di vere e proprie truffe. Altro che tolleranza verso chi viola tali diritti.
E quanto al fatto, anche questo descritto in modo che svela con chiarezza la disistima e il biasimo di Gatti verso gli agricoltori, (E a fine raccolto si mettono in coda per incassare le sovvenzioni da Bruxelles) , che si pretende?
Anche ai delinquenti si riconosce il diritto alla difesa e invece agli imprenditori agricoli, posto che alcuni di loro non siano in regola con le norme che regolano i rapporti con la manodopera stagionale si vorrebbe negare il diritto di ricevere quanto previsto (pochissimo) da una legge dello stato che, per essere stata varata, riconosce implicitamente le storture di una situazione di mercato aberrante che costringe i produttori agricoli a vivere rincorrendo i debiti cui non possono sfuggire. Indica definitivamente che Fabrizio Gatti ha preso lucciole per lanterne.
Gatti ha ritenuto, certamente in buona fede, ma evidentemente sbagliando, che i produttori agricoli (TUTTI) fossero proprio come quelli che egli ha descritto, senonché come egli stesso dice, "In Libia tutti gli immigrati sanno che gli italiani reclutano stranieri per la raccolta dei pomodori”

Dunque tutti gli immigrati sanno in partenza che in Puglia c’è lavoro per loro, ma stranamente non sanno quali sono le condizioni, a sentir Gatti generalizzate, in cui si svolge il lavoro e vengono a decine di migliaia.
La verità è che le condizioni di disprezzo dei diritti umani e di violenza descritti da Gatti sono solo un fatto limitato a pochi casi, non posso dire quanti, ma certamente non rappresentano la totalità degli imprenditori agricoli che invece in parte preponderante hnanno un atteggiamento ed una relazione con gli immigrati che é ben diversa da quella raccontata nel reportage de L'Espresso.


Si spiega così il fatto che in un solo caso , come egli stesso afferma, sia stato effettuato un arresto da parte delle forze dell’ordine.

Certamente altri casi vi saranno, Gatti farebbe bene a rivelarli se a sua conoscenza. Si eviterebbero ulteriori sofferenze ad altri immigrati e si eviterebbe di infangare il nome di una categoria di persone che per il ruolo che svolge non merita assolutamente di vedersi moralmente sanzionata per motivazioni che, sappiamo tutti, sono assolutamente insussistenti.

Infine credo che lo scoop di Gatti vada anche analizzato sotto il profilo deontologico.
Fabrizio Gatti arriva alla stazione di Foggia, si procura una bicicletta all’altezza delle capacità economiche di un immigrato per pedalare fino a Stornara e servirsene per scappar via in caso di bisogno, come racconta nell’articolo. Inverosimile! Qualcuno lo ha aiutato.

Una cosa non facile. Le bici degli immigrati sono cimeli che si trovano solo chi sa dove e poi, pedala fino a Stornara dove subito trova le situazioni che ha descritto.
La cosa puzza di preparato lontano un miglio.
Gatti sapeva che lì, proprio lì avrebbe trovato quello che qualcuno gli aveva indicato come una situazione da raccontare per la bestialità del comportamento di cui ha così efficacemente detto, diversamente e visto che le situazioni sono in genere quelle che ho descritto sopra, si potrebbe spiegare solo con una fortuna sfacciata per una di quelle combinazioni che non convincono nessuno.

In ogni caso se sapeva, prima di vedere con i propri occhi e di raccontare, bene avrebbe fatto a denunciare. Mi auguro che le autorità preposte e tutti gli enti interessati, ciascuno per le proprie competenze, possano e vogliano prendere tutte le misure e gli accorgimenti per stanare i finti imprenditori e restituire agli agricoltori onesti la dignità e il decoro così gravemente compromessi dall’articolo di Fabrizio Gatti

Renato Forlani

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