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Carità cristiana alla Curia di Cosenza
by reggio Friday, Oct. 20, 2006 at 5:27 PM mail:

Lo scandalo della comunità terapeutica gestita dalla diocesi di Cosenza e dal vescovo Salvatore Nunnari.

Carità cristiana

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Lo scandalo della comunità terapeutica gestita dalla diocesi di Cosenza e dal vescovo Salvatore Nunnari. I lussi di monsignor Alfredo Luberto pagati coi soldi dei dipendenti del manicomio e dei loro creditori. E i pazzi richiusi in un un lager, assaliti dalle zecche e dalla scabbia.

http://www.comune.villasangiovanni.r...e=news&id=1979

20-10-2006 - La reggia del prete in Harley Davidson

SERRA D’AIELLO (Cosenza). I trecentosessanta fantasmi condannati a scontare la malattia mentale - chi vent’anni, chi trenta e più - all’istituto Papa Giovanni di Serra d’Aiello sono vestiti con roba di recupero. Oggi arriva un furgone carico di scarpe, domani si spera nelle maglie di lana. Nel superattico intestato all’ex presidente della Fondazione che gestisce l’istituto monsignor Alfredo Luberto, dice il faldone custodito a Palazzo di Giustizia, hanno trovato un televisore al plasma in ogni stanza, una sauna e la palestra. I dipendenti del manicomio-lager travestito da casa di cura mendicano credito dal fornaio per i loro assistiti (150 mila euro gli arretrati per il pane) e a fidano nella Provvidenza, in attesa di uno stipendio che non arriva intero da anni.

Dai conti della Fondazione qualcuno ha spiccato assegni intestati alle gioiellerie più esclusive di Roma, boutique di grido, ad alberghi a cinque stelle nei registri dei quali sono annotati soggiorni da favola «in camera matrimoniale». I dipendenti, protagonisti di proteste accese contro Luberto, raccontano che il monsignore si faceva vedere in giro a cavallo di una Harley Davidson: sembrava una battuta avvelenata, carica di livore sindacale. Oggi come oggi, una maximoto è ridotta al rango di peccato veniale. Un salotto «inestimabile»

I pazienti del Papa Giovanni convivono con le zecche, i casi di scabbia sono diversi. Dormono in letti sgangherati e senza lenzuola tra servizi in condizioni penose, pareti scrostate, finestre che fanno aria: altro che ospedale, altro che casa di cura. Il lusso più sopraffino è una cioccolata alla macchinetta nell’atrio. E invece tra i tesori acquistati dai consiglieri d’amministrazione del Papa Giovanni figura un leggio firmato Giacomo Manzù un dipinto firmato Giorgio De Chirico, un «rarissimo orologio a pressione atmosferica» e un salotto d’antiquariato che ha lasciato a bocca aperta i periti incaricati dalla Procura di Paola di valutarlo: «È inestimabile», hanno risposto lì per lì. Poi, messi alle strette dai magistrati - «Abbiamo bisogno di una cifra, almeno indicativa» - hanno azzardato: «Un pezzo del genere si paga senz’altro più di un milione».

Il blitz della Finanza L’inventario dei tesori e delle miserie del Papa Giovanni è custodito nel fascicolo dell’indagine sul manicomio-istituto condotta dal pubblico ministero della Procura di Paola Eugenio Facciolla. Nei giorni scorsi (e dopo il reportage pubblicato da La Stampa) il magistrato ha mandato sul posto la Guardia di Finanza, che si è presentata ai cancelli alle due del mattino. Un blitz in piena regola per mettere nero su bianco le condizioni in cui vivono i malati: due ore dopo l’ispezione l’intera casa di cura è finita sotto sequestro probatorio.

L’attività continua, perché non sarebbe possibile sistemare in altro modo gli ospiti, ma a questo punto non si tocca più nulla, non è ammesso neppure il più piccolo ritocco salvafaccia (alle strutture) almeno finché le indagini non saranno concluse. Quelle sull’istituto e quelle su conti correnti e proprietà delle cinque persone che hanno gestito il Papa Giovanni per conto della Diocesi di Cosenza. A cominciare dall’ex presidente Alfredo Luberto.

Nel frattempo, si attendono gli esiti degli esami clinici ordinati dal magistrato, e dopo il blitz s’è allungata la lista delle ipotesi di reato su cui lavora la Procura. Appropriazione indebita, associazione a delinquere finalizzata alla truffa, false fatturazioni, abbandono di persone incapaci. Così il gergo della Giustizia riassume l’accusa: i soldi destinati ai malati finivano in tasca degli amministratori. Lo scippo all’Antiusura Ma il lavoro di Facciolla ha scoperchiato un’altro pentolone inquietante. Al buco nero nei conti del Papa Giovanni - 80 milioni di debito che si aggrava al ritmo di 500mila euro al mese -, s’è aggiunto un altro cratere. Scovato ne fondi antiusura gestiti dalla diocesi: anche il denaro destinato a combattere i cravattari (in una terra in cui povertà e omertà combinate rendono ancora più difficile una guerra del genere) sarebbe finito in una società-calderone architettata dai cinque indagati. La stessa società che avrebbe raccolto i milioni dei rimborsi per le prestazioni sanitarie pagati dalla Regione Calabria e dallo Stato al Papa Giovanni e mai convertiti in medicinali, stipendi per gli infermieri, abiti decenti, lenzuola eccetera eccetera. Denari spesi in boutique, in gioielleria, nei grandi alberghi, dagli antiquari.

Lussi da faraone, non da monsignore. La palla ai politici Ora in Calabria si muove anche la politica. Il senatore di Forza Italia Antonio Gentile ha presentato un’interrogazione, chiedendo che si vegli perché «l’istituto non cada preda degli interessi non legittimi di politici locali», il deputato dell’Ulivo Franco Laratta chiede «la chiusura dell’istituto», l’assessore regionale alla sanità Doris Lo Moro assicura che si provvederà presto a trovare una soluzione per affidare la casa di cura a una gestione degna.

Nel frattempo, i trecentosessanta ospiti del Papa Giovanni continuano a scontare la loro malattia. Troppo facile derubarli: dell’attico, della sauna, della palestra non sanno che farsene. E sul leggio di Manzù appoggerebbero la solita cioccolata della macchinetta, accompagnata dal ritornello con cui accolgono tutti i visitatori: «Me lo dai un euro?».

20/10/2006
Marco Sodano

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