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Chiedono asilo politico, trovano indifferenza
by da tarantosera Tuesday, Nov. 28, 2006 at 9:40 AM mail:

Chiedono asilo politico, trovano indifferenza
di Anna Fornaro
Mohammed, Nicolae, Benyamin, Patthy, Ferdinand, Jorge, Kayungu, Francisco, Luis Fernando, Nsengibiembe, Alhaji, Mangane, Mathieu, Janvier Zephirin sono giovani fuggiti dalle persecuzioni politiche o religiose nei loro Paesi di origine, in Italia chiedono asilo politico, per ricostruirsi un futuro. Ospiti del centro rifugiati politici della Caritas di Taranto, erano stamattina in piazza Castello a chiedere che venisse loro riconosciuto il sostentamento al quale hanno diritto. Accompagnati da Domenico Perillo, direttore del centro nato due anni fa nello stesso edificio per l’accoglienza notturna dei senzatetto in zona Croce, hanno atteso, invano, che qualcuno ascoltasse la loro voce e poi hanno abbandonato, per oggi, la piazza. La loro protesta, dai toni pacati, è stata accompagnata da striscioni eloquenti: “Che fine ha fatto il nostro pocket money? Vogliamo solo ciò che ci spetta, manca solo una firma per avere i nostri soldi”. I fondi ministeriali per il progetto in base al quale sono accolti a Taranto - per sei mesi devono vivere all’interno del centro dopo di che possono trovare una loro sistemazione autonoma - sarebbero infatti anche arrivati. Ma sono bloccati in banca, impigliati tra le maglie del dissesto. Dopo aver vissuto innumerevoli sacrifici - perché da gennaio non ricevono un centesimo - ora dal centro Caritas chiedono che quelle risorse indispensabili per affrontare la quotidianità vengano rese disponibili. Sono circa 57mila euro. In mattinata, don Nino Borsci, direttore della Caritas, insieme a Perillo ha alla fine incontrato la dirigente dei servizi sociali del Comune, De Florio. Dal Comune una debole speranza: forse, tra una decina di giorni (o forse più) i fondi - indispensabili per pagare i fornitori che non sono più disposti a far credito e gli stipendi ai dipendenti - potrebbero essere sbloccati. Etnie diverse, storie diverse, e persino religioni distanti, ma i rifugiati del centro sono compatti, solidali tra loro. Al loro fianco i dipendenti impiegati nel centro. Anche loro vivono un momento difficile non sapendo come poter sbarcare il lunario in assenza - ormai da sei mesi - di stipendio. La Caritas ha anticipato finché ha potuto, ma ora non ce la fa più. Francisco è colombiano. In Italia, a Taranto, è da circa sei mesi. E’ insegnante e presto andrà a lavorare in una scuola, magari troverà una casa tutta sua. Per ora vive con gli altri rifugiati politici. “Dobbiamo essere uniti - commenta - altrimenti come andiamo avanti?”. Lancia uno sguardo alla signora Mimma, la cuoca del centro che, accanto a lui, esprime la sua difficoltà: due bambini da sfamare, da sei mesi senza stipendio. Mimma, lo sguardo dolce, continua a preparare i pasti per la struttura, ma anche le scorte sono destinate ad assottigliarsi. Una telefonata arriva sul cellulare di Arian, albanese che lavora all’interno della struttura. E’ la proprietaria della casa dove abita con la sua famiglia. Chiede l’affitto e, in diretta, viviamo la difficoltà di Arian. “Perché nessuno si fa vivo? Si chiede”. Solo con gli assegni familiari non ce la fa a tirare avanti. Storie che si intrecciano e che si incontrano all’interno di quella struttura che è ora in affanno. Francisco conosce bene l’italiano, parla per il gruppo: “La situazione è precaria per tutti noi”. E spiega come si vive quando per strada si incontrano sguardi diffidenti. “Vogliamo sottolineare che non chiediamo la carità - dice. L’Italia ha accettato nel 1950 la Convenzione di Ginevra. E’ per questo che siamo qui”. Non chiedono più di quanto dovuto. Il pocket money (i due euro giornalieri che dovrebbero avere in tasca per comprare il biglietto dell’autobus o fare una telefonata alle famiglie lontane) è scomparso da tempo, perché ci sono le urgenze da seguire, prima tra tutte il vitto da assicurare agli ospiti della struttura. “Doccia fredda per tre mesi, e niente pullman a meno di non essere disposti a prendere una multa e a discutere con i controllori - così riassume Francisco la situazione. E quando parla della mancanza di comprensione e dell’umiliazione che devono affrontare quando si vedono trattati con sufficienza tutti annuiscono.

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