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La "dura" vita di alcuni inviati...
by tonyleung Tuesday, Mar. 25, 2003 at 11:34 AM mail:

Come sappiamo i vertici anglo-americani cercano di limitare ill più possibile un'informazione corretta e indipendente...

Doha, sala stampa alleata: il silenzio è d'oro

Posted on Monday, 24 March @ 11:16:51 CET
Topic:

Il lavoro dell'inviato, a Doha può essere anche noioso. Come lavorare in una sala stampa per essere informati soprattutto dalle tv


di Giancarlo Rossi

Arrivare a Doha, in Qatar, e soggiornarvi e' facile e piacevole, accreditarsi per poter entrare nel "Coalition press centre" di As Saliyah e lavorarvi un po' meno, anche se alla fine si tratta soltanto di avere pazienza e tenacia. In realta` guai a chi, come al sottoscritto, capita di perdere un aereo il martedi` sera di provenienza dall`Italia, e di presentarsi al Foreign Information office dell`emirato dopo le 13 del mercoledi'. Trovera' le porte chiuse, e per ottenere la "Visiting press card" che gli permettera` di accreditarsi presso il comando alleato, dovra' attendere sabato mattina. Anche la guerra non cambia le abitudini e gli orari dei burocrati...

Pe recarsi al comando alleato, si deve uscire da Doha - il deserto solcato dalle corsie di strade asfaltate di fresco e' popolato da ville in costruzione di stile moresco e dotate di molteplici antenne - e viaggiare per circa venti minuti. I controlli di sicurezza sono meno pedanti, ma colpisce il fatto che l`outsourcing abbia reclutato proseliti al Pentagono, e che questo servizio di controllo, cosi` come le corvées che scandiscono la vita di un accampamento militare, siano stati appaltati a una societa` filippina (a volte i luoghi comuni trovano le piu` inattese conferme), i cui dipendenti familiarizzano piu` con i giornalisti che con i soldati statunitensi. Mi e` capitato che la signora che ha controllato le mie apparecchiature elettroniche - tutt`altro che un cerbero inattacabile - mi abbia chiesto di scattarle una foto, ma si sia poi sottratta ridendo quando mi sono detto disposto ad accontentarla. Si dira`: che cosa c`entra tutto cio` con il tema della (dis) informazione in questa guerra? Beh, l`atmosfera vagamente "cool" che ho cercato di descrivere non incita alla ricerca di notizie, ma l`atteggiamento falsamente disponibile dei public information officers che circolano in sala stampa svia definitivamente il fiuto del reporter.

La grande sala briefing e` un esempio di tecnologia applicata al quasi nulla, e se nell`etere e sulla rete l`enorme flusso di informazione travolge le notizie, qui la televisione diventa la fonte principale per i reporter, che vedono Fox, Bbc, Cnn e Al Jazeera e confezionano un cocktail di guerra. Certo, ci vogliono ore prima che si ammetta che e' stato un Patriot statunitense ad abbattere un Tornado britannico. Certo, non si hanno conferme o smentite sulla cattura di un gruppo di marines americani. Ma piu` che attribuire questa lentezza a un piano ben preciso, preferisco constatare che almeno in questa prima settimana di guerra la confusione regna sovrana, soprattutto nei ministeri della Difesa di Londra e Washington, quanto alla comunicazione esterna.

Manca un unico centro dell`informazione, perche' a mio parere i politici si sovrappongono ai loro collaboratori militari, nel tentativo di neutralizzare le cattive notizie e enfatizzare quelle buone, ma cosi` facendo non guadagnano credibilita` e minano quella degli Stati maggiori. Si potrebbe capire la politica della chiusura assoluta, ma quando si permette agli inviati piu` coraggiosi, e disposti a lasciarci la pelle, di seguire i reparti impegnati in battaglia, non si possono poi centellinare le conferme, anche perche` i videotelefoni permettono di fornire testimonianze inoppugnabili in tempo reale. Chi si aspettava una cavalcata delle Valchirie verso Baghdad ha dovuto arrendersi all`evidenza che questa non sara` una guerra a perdite zero, neppure fra i giornalisti.

Come al solito, il progresso tecnologico precede l`apparato che dovra' controllarlo, e fornisce qualche elemento di riflessione all`intelligenza che prova a mettere insieme i frammenti del mosaico dal nome "Iraqi freedom".

Fonte: http://www.politicaestera.it

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