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Il boicottaggio funziona!!!
by Meletta Thursday, Apr. 24, 2003 at 1:20 PM mail:

contro la guerra e lo sfruttamento il boicottaggio funziona!!!

Questi due articoli apparsi su un’intera pagina nella sezione “marketing” del quotidiano economico-finaziario “ItaliaOggi” del 24 aprile 2003 sono indicativi di quanto fanno “male” alle saccoccie di lorsignori i boicottaggi mirati. E quanto è necessario intensificarli e propagandarli, anche, riguardo al secondo articolo, non far dormire sogni tranquilli ai signori delle multinazionali dello sfruttamento e della guerra neanche per l’Italia.
Oltre ai boicottaggi contro la guerra penso anche al boicottaggio mirato alla Coca-Cola, mandante degli assassini da parte degli squadroni della morte di sindacalisti e lavoratori negli impianti colombiani
Da notare le “Quattro regole per non sbagliare” indicate dal quotidiano per ingannare e aggirare le giuste ragioni dei consumatori decisi al boicottaggio.

Seguono articoli:

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Una ricerca di KRC per Weber Shandwick lancia l’allarme ai marketing maneger: affari a rischio in Europa

Iraq, effetto boomerang sui brand Usa

In Germania e Francia un consumatore su dieci boicotterà i prodotti anglosassoni

Di Barbara Battaglini

Gli americani boicottano i prodotti francesi per ripicca contro il no alla guerra di Jacques Chirac. Ma succede anche il contrario: secondo un recente sondaggio, commissionato alla Krc research dall’agenzia di relazioni pubbliche internazionale Weber Shandwick, Stati Uniti e Gran Bretagna rischiano di perdere affari per miliardi di dollari in Europa a causa dell’antipatia suscitata dalla guerra all’Iraq.
Il 17% dei consumatori francesi, per esempio, si è dichiarato meno disposto ad acquistare prodotti americani, mentre il 10% si è detto pronto a evitare i prodotti inglesi.
Situazione analoga in Germania, dove il 13% degli intervistati ha affermato di essere meno propenso all’acquisto di prodotti “made in Usa”, mentre il 10% si prepara a chiudere la porta in faccia ai prodotti inglesi.
Anche se va detto che il 9% dei tedeschi è più disposto di prima all’acquisto di prodotti Usa e il 7% è più favorevole a mettere prodotti britannici nella busta della spesa.
Anche i consumatori inglesi, comunque, condividono sentimenti anti-americani: l’11% dei britannici, per esempio, è favorevole al boicottaggio dei prodotti a stelle e strisce e solo il 4% si dimostra più propenso di prima al loro acquisto.
Dal sondaggio (condotto attraverso interviste telefoniche svolte tra l’11 e il 13 aprile su un campione di mille persone in ciascun paese: Gran Bretagna, Francia e Germania) emerge, inoltre, che, rispetto a cinque anni fa, la Gran Bretagna è il paese in cui si è verificato il più forte aumento al boicottaggio dei prodotti per porre l’accento su questioni ritenute importanti, come la guerra in Iraq, il lavoro minorile o i problemi ambientali. Gli inglesi insomma sembrano pronti più di prima a sfruttare il loro potere d’acquisto per creare un caso politico o etico. E così, il 39% si dichiara più propenso al boicottaggio rispetto a cinque anni fa, rispetto al 29% che è invece contrario. In Francia il 32% è più favorevole al boicottaggio contro il 35% meno disposto. In Germania il 28% è più propenso e il 56% meno.
“In Francia e Germania”, fa notare Colin Byrne, joint chief executive di Weber Shandwick Uk, “la presa di posizione pacifista dei leader politici e dei principali media si è diffusa anche fra i consumatori. L’opinione pubblica inglese è meno ostile alla guerra, ma la cosa sorprendente è che, in termini generali, i consumatori sembrano essere diventati più politicizzati. Dei tre paesi presi in esame, gli inglesi sembrano maggiormente propensi a far leva sul proprio potere d’acquisto per evidenziare una questione importante che li riguarda”.
Le aziende inglesi e americane “dovrebbero evitare”, continua David Brain, l’altro joint chief executive di Weber Shandwick Uk, “che il marchio di un prodotto venga collegato alla bandiera nazionale. Le multinazionali dovrebbero inoltre enfatizzare le origini locali del prodotto e il contributo all’economia nazionale. Far percepire che l’azienda fornisce contributi alla comunità in cui opera e comunicare maggiormente con i propri dipendenti, in modo che non considerino un fatto negativo il lavorare per un’azienda statunitense o inglese.

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Quattro regole per non sbagliare

1) Evitare che il marchio di un prodotto di origine USA/Uk venga collegato direttamente alla bandiera nazionale, prestando particolare attenzione alle immagini che circolano via internet
2) Enfatizzare al massimo i legami dei prodotti con le tradizioni locali del paese in cui si è venduto e il suo contributo all’economia nazionale
3) Far percepire che l’azienda fornisce contributi alla comunità in cui opera: l’azienda non deve solo vendere prodotti, ma deve comportarsi come un buon cittadino
4) Comunicare maggiormente con i dipendenti, in modo che non considerino un fatto negativo il lavorare per un’azienda statunitense o inglese

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E l’Italia dorme sonni tranquilli

Le multinazionali americane e inglesi possono dormire sonni tranquilli in Italia: non corrono nella penisola alcun rischio di boicottaggio dei propri prodotti. E’ questo l’orientamento generale degli esperti delle dinamiche dei consumi interpellati da ItaliaOggi per commentare la ricerca di Weber Shandwick. “La guerra in Iraq”, spiega per esempio Giuseppe Minoia, presidente dell’istituto di ricerca Eurisko, “non ha provocato alcun cambiamento significativo nelle abitudini di consumo degli italiani, che continuano ad acquistare prodotti “made in Usa” e “made in England” spesso anche incosciamente, senza identificarne immediatamente provenienza e produzione.
“Certo”, continua il sociologo Enrico Finzi, presidente di Astra-Demoskopea, “se gli Stati Uniti dovessero attaccare, dopo l’Iraq, anche la Siria, l’immagine del paese a stelle e strisce potrebbe peggiorare bruscamente, e in quel caso potrebbero anche essere avviate ritorsioni verso le merci Usa. Ma si tratterebbero comunque di azioni sporadiche, episodiche, isolate. Manca infatti, al momento, un forte sostegno politico per operazioni di questo genere”.
“La Coca-Cola”, continua Minoia quasi per fugare ogni dubbio residuo, “che è un tipico prodotto americano, non si identifica immediatamente, nella mente dei consumatori italiani, con la politica estesa di Bush; ma simboleggio piuttosto uno stile di vita ben definito, giovanile, il piacere di stare in compagnia con gli amici, la libertà, l’amicizia”.
“Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, continua Finzi riferendosi alla ricerca di Krc commissionata da Weber Shandwick, “e così, se si fa una domanda diretta: “Sarebbe disposto ad acquistare prodotti americani in relazione al ruolo svolto dagli Stati Uniti nella guerra”, si risponderà in un cero modo ma non è detto che si agirà di conseguenza. E questo non perché i consumatori siano bugiardi ma semplicemente perché in questo momento l’attenzione al problema, il coinvolgimento psicologico è molto elevato e le risposte sarebbero inevitabilmente gonfiate.
E poi gli italiani, si sa, si emozionano facilmente ma dimenticano altrettanto in fretta”.

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