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Pestaggio sistematico di extracomunitari, teppisti in divisa a Bologna
by bruce lee Friday, May. 23, 2003 at 3:47 PM mail:

Per chi si fosse perso l'articolo del Manifesto. Poliziotti e Croce Rossa (!!) uniti nel linciaggio


«Picchiavano senza pietà»
Uno degli stranieri massacrati nel cpt di Bologna racconta il pestaggio
del 2 marzo. Denunciati 11 agenti di ps, un carabiniere e il responsabile
della croce rossa. «Volevano dimostrare che il centro non appartiene all'Italia
ma alla polizia».
SARA MENAFRA
BOLOGNA
Macchie di sangue sui muri, lividi e teste spaccate. Le deputate Titti De
Simone (Prc) e Katia Zanotti (Ds) si sono trovate davanti un gran brutto
spettacolo quando hanno visitato il centro di permanenza temporanea per
stranieri (cpt) di via Mattei a Bologna, 48 ore dopo il pestaggio della
notte del 2 marzo. Così, per una volta, le violenze contro gli immigrati
non sono annegate nel silenzio. Rischiano grosso i tredici «giustizieri»,
undici poliziotti, un carabiniere e il responsabile della croce rossa, dirigente
della struttura. La procura della repubblica ha aperto un'indagine che fa
tremare la questura. In attesa degli accertamenti, uno dei nordafricani
pestati ci ha raccontato quell'orribile notte. Ne conosciamo nome e cognome
ma lo chiameremo M.N., rischia già abbastanza per aver denunciato i poliziotti.

Perché la polizia è intervenuta nel centro?

Erano circa le 10 di sera. Io ed altri ci trovavamo dentro la sala in cui
ci sono la tv e la macchina del caffè. Abbiamo sentito delle grida da fuori
e siamo corsi a vedere. Dall'altro lato della cancellata che separa il centro
vero e proprio dalle stanze dove stanno la croce rossa, il gabbiotto della
polizia e l'infermeria, c'erano due persone del centro che avevano scavalcato.
I carabinieri li avevano presi. Noi abbiamo iniziato ad urlare. I carabinieri
hanno preso i due e li hanno trascinati nella stanza della polizia, consegnandoli
agli agenti ed hanno chiuso la porta ma da dentro si sentivano ancora le
urla. Allora alcuni di noi sono saliti sulla tettoia del centro, e da li
svitavano le lampadine che sono attaccate sotto la tettoia e le lanciavano
contro la stanza, mentre altri erano davanti al cancello di ingresso e lanciavano
immondizia e bottigliette d'acqua e altri ancora sono andati in fondo al
cortile, ed hanno staccato un pezzo di grondaia dal muro lanciandolo oltre
il cancello.

Quanto è durata?

Non molto. Poi i poliziotti sono usciti dalla stanza portandosi dietro i
due immigrati, che erano pieni di sangue dappertutto, e li hanno spinti
dentro il nostro cancello. Spingevano per entrare anche loro ma noi bloccavamo
la porta e sono andati via.

Secondo le vostre denunce, dopo un po', i poliziotti sono intervenuti una
prima volta colpendo con gli idranti quelli che erano sulla tettoia. Cosa
ricordi esattamente?

Quando hanno usato gli idranti quasi tutti sono scesi. Solo due o tre hanno
resistito sopra. Uno è un marocchino che vive in Italia da anni, ha due
figli italiani. Il caposquadra della croce rossa è andato sotto alla tettoia
e lo chiamava: «Vieni giù - gli faceva - è finito tutto, non ti facciamo
niente». Lui è sceso e l'hanno riempito di botte. Un altro è sceso e un
agente ha preso un pezzo di cemento, uno di quelli che si erano staccati
quando avevano rotto la grondaia, e l'ha colpito di nuovo. Il terzo era
andato dalla parte delle donne, perché la tettoia passa anche sopra le loro
stanze. Credo che l'abbiano preso durante il pestaggio successivo, quando
hanno picchiato anche una donna.

A quel punto cos'è successo?

La situazione si era tranquillizzata e gli agenti erano andati via. Ognuno
era andato al suo posto, anch'io ero tornato nella mia stanza e qualcun
altro era andato nella stanza della tv a bere un caffè. Dopo qualche minuto
uno che era in camera con me mi ha chiesto di andargli a prendere un caffè.
Sono uscito dalla stanza e mi sono accorto che gli agenti e il responsabile
della croce rossa avevano fatto il giro dell'edificio e stavano entrando
dalla porta sul retro. Il responsabile della croce rossa ha tutte le chiavi
della struttura e solo lui può entrare e uscire come vuole. I poliziotti
erano bardati e avevano i manganelli in mano, gli scudi e i caschi. Sono
corso nella stanza del caffè e ci siamo chiusi dentro. Loro sono arrivati
subito ed hanno iniziato a colpire la porta. E' una porta particolare perché
in alto ha una finestra di vetro infrangibile. Uno degli uomini che era
nella stanza con me, che poi è uno di quelli che alla fine erano ridotti
peggio e che è stato immediatamente rimpatriato, ha urlato: «Ispettore,
non c'è bisogno che sfondi la porta. La apriamo e ne parliamo». E lui ha
risposto: «No. Io la sfondo e vi sfondo anche a voi». Poi è entrato e gli
ha dato una manganellata in testa.

Quanti erano gli agenti?

Almeno dodici. Noi eravamo sei. Hanno iniziato a colpirci con i manganelli,
soprattutto sulla testa. Uno, in particolare, era un vero e proprio macellaio,
se n'è accorto anche l'ispettore che lo ha richiamato un paio di volte.
In poco tempo il sangue si è sparso ovunque, sulla macchina del caffè, sulle
sedie e sulla tv.

Quanto tempo è durata?

Non lo so. Un po' di tempo, comunque. Quando sono usciti dalla stanza si
sono buttati alle spalle dei lacrimogeni ed hanno chiuso la porta. Noi eravamo
tutti per terra e all'inizio non avevamo il coraggio di uscire. Gli agenti
erano andati nelle altre stanze a picchiare gli altri. Alla fine ci hanno
messi tutti nel corridoio e lì è cominciata la vera e propria tortura perché
eravamo tutti feriti e loro continuavano a picchiarci. A me hanno spaccato
uno scudo in testa. Urlavano: «Qua comandiamo noi, vi mettiamo noi sulla
strada giusta pezzi di merda». A quel punto sono state tre ore di insulti
e di botte.

Cosa ricordi meglio di queste tre ore?

Ne sono successe tante. Mi ricordo che uno di noi era svenuto e un agente
gli ha messo un piede sul torace ed ha detto alla sua collega: «E' un motore
a tre cilindri. Funziona ancora, il bastardo». Alla fine l'hanno dovuto
portare in infermeria in barella. E poi ricordo un agente che aveva uno
di quei telefonini che fanno le fotografie. Andava avanti e indietro nel
corridoio dicendo: «Chi è il più bello?». Si è fermato davanti a me e mi
ha fatto una fotografia.

Ma come è possibile che in tre ore gli altri operatori del centro non si
siano accorti di nulla?

A tutto il pestaggio ha assistito il responsabile della croce rossa, che
dava indicazioni alla polizia su di noi, chi eravamo e come ci comportavamo.
Ai due lati del corridoio c'erano due agenti che facevano da palo e controllavano
che non arrivasse nessun altro della croce rossa e faceva segno agli altri
quando arrivava il medico. Lui entrava prendeva una persona alla volta,
la portava in infermeria e la riportava indietro. Alla fine è arrivato un
dirigente. Penso che sia stato lui ad accorgersi che la situazione gli era
scappata di mano e che bisognava coprirla in qualche modo.

Cosa ti ha colpito di più di tutta la vicenda?

La logica che sta dietro. Avrebbero potuto arrestarci per la rivolta, so
che in un altro cpt dei tunisini che avevano fatto una rivolta si sono presi
quattro anni di carcere. Invece hanno voluto la resa dei conti per dimostrare
che il territorio del cpt non appartiene all'Italia, ma alla polizia.



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