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nablus
by ba* Monday, Jul. 28, 2003 at 11:51 AM mail:

vita a nablus

NABLUS. Mettersi in viaggio verso Nablus significa entrare immediatamente in contatto con la violenza dell’occupazione israeliana.
Questa città nel cuore della West bank, un tempo motore dell’economia palestinese con le sue tante attività imprenditoriali e commerciali, si snoda tra le colline di una vasta area totalmente sigillata dai check point, che impediscono o limitano fortemente qualsiasi movimento di persone e merci.
Più di 40 insediamenti di coloni punteggiano i percorsi che conducono alla città (circa 120.000 abitanti), mentre all’interno se ne contano tre principali, riconoscibili dal contrasto con i semplici villaggi palestinesi e per la collocazione sulla cima delle colline.
Nei 4 campi per i rifugiati e nella città vecchia si trovano i segni delle ferite inferte alla popolazione negli ultimi due anni, dalla rioccupazione dell’aprile 2001, quando l’esercito israeliano ha compiuto atrocità e violenze poco documentate soprattutto nei confronti di civili inermi.
Nel campo di Askar si contano le vittime strada per strada e non ci sono famiglie che non abbiano subito almeno un ferimento o l’arresto di un parente.
La pressione dell’esercito si è parzialmente alleggerita in quest’ultimo periodo, anche se il passaggio notturno delle camionette, l’illuminazione a giorno coi bengala ed alcuni spari non concedono tregua nemmeno in queste ore alle 13.000 persone costrette a vivere per mesi sotto assedio e coprifuoco.
Le moschee, il mercato, il bagno turco, gli edifici di valore storico della città vecchia non sono stati risparmiati dai colpi dell’artiglieria; si contano scuole e palazzi dell’ANP distrutti, ricostruiti e poi distrutti nuovamente; lo spettacolo del Muqata completamente raso al suolo è raccapricciante e richiama la stessa sorte del palazzo di Ramallah, tra i cui resti è confinato da mesi Arafat.
Almeno 100 ditte e piccole imprese hanno chiuso i battenti e la disoccupazione è in costante aumento.
Sotto il fuoco israeliano sono finiti anche i capannoni industriali, le infrastrutture, i servizi pubblici.
Un’intera classe imprenditoriale piuttosto agiata si trova da un anno a questa parte a convivere con i nuovi problemi dell’impossibilita’ di lavorare e con una incombente condizione di poverta’.
Ancor piu’grave è la situazione nei villaggi che circondano Nablus.
Il capillare sistema dei checK point minori fa sì che i contadini o commercianti della zona debbano intraprendere lunghissimi e faticosi spostamenti per raggiungere la città, senza alcuna garanzia di successo.
Capita quotidianamente che decine di persone (soprattutto giovani di sesso maschile) vengano trattenuti per ore, le macchine sequestrate anche per settimane, qualcuno respinto secondo le regole dell’arbitrio inventate giorno per giorno.
Tutti subiscono l’umiliante rito dell’attesa in piedi, al caldo, carichi di qualsiasi tipo di merce, con bambini ed anziani al seguito, tutti si vedono perquisire pacchi e borse, gli uomini devono mostrare l’addome e la schiena nudi quando si avvicinano.
Il check point di Beit Iba controlla le strade d’accesso a diversi villaggi di montagna. Attraversarlo è un’impresa anche per chi ha passaporto europeo, mentre per i Palestinesi si tratta di avventurarsi su assolate e lunghissime strade a tornanti a piedi, perché a pochissime e selezionate auto è concesso circolare ed i taxi sono rari e costosi.
Tra i tornanti di un asfalto dissestato dai tanks sbucano a volte soldati che ricacciano indietro anche chi si muove a piedi o sui muli, con la copertura di cecchini appostati tra gli ulivi.
Il blocco di Beit Fourik è in piena campagna e condiziona la vita di almeno 7 villaggi e migliaia di persone.
Da qui transitano quotidianamente coloro che per studiare, lavorare, curarsi, fare acquisti, un tempo impiegavano 10’ per raggiungere Nablus; ora il perverso piano di controllo della zona fa sì che le strade siano solo due sterrati quasi impraticabili, che obbligano a tortuosi percorsi nei campi per Km, impiegando ore, spesso a piedi sotto il sole o nel fango durante l’inverno.
Per mesi i villaggi sono stati quasi completamente isolati e solo alcune ambulanze sono riuscite a passare per portare soccorso e viveri ai residenti; anche il transito delle cisterne d’acqua potabile subisce ritardi notevoli e l’approvvigionamento a volte avviene con le taniche a dorso di mulo.
Tutto cio’ mentre a pochi metri corrono rapidissimi sulla strada asfaltata i mezzi dell’esercito di Israele e le auto dei coloni dei due insediamenti vicini.
Chi pare offrire un reale sostegno ai Palestinesi di Nablus in questi anni sono i circa 150 volontari del locale Medical Relief Committee, che garantiscono stabilmente efficienti servizi di primo soccorso, distribuzione di cibo e medicinali in caso di coprifuoco, allestimento di cliniche mobili nei villaggi sulle colline, campi estivi per ragazzi e corsi di “alfabetizzazione” sanitaria, politica, sociale, informatica.
Il coraggioso e qualificato lavoro di questi volontari palestinesi ha consentito di limitare i danni dell’occupazione israeliana in un’area della Cisgiordania tanto importante quanto poco all’attenzione dei media, ma soprattutto contribuisce alla tenuta del fragile tessuto sociale in un momento di forte incertezza politica e di crisi della leadership palestinese.
Il processo avviato con la Road Map non convince quasi nessuno e ciò che gli abitanti di Nablus si attendono da un reale percorso di pace sono atti concreti, quali in prima istanza lo smantellamento dei check point e la liberazione delle migliaia di prigionieri.
In attesa degli sviluppi dello scenario più generale continuano sul campo le azioni dei pacifisti israeliani e ed internazionali: al check point di Hwarah che filtra l’ingresso in città le donne di Machsom Watch di Tel Aviv hanno ripreso ad effettuare il monitoraggio degli abusi dei militari e l’intervento a tutela dei diritti umani; alcune ONG europee effettuano la stessa operazione dall’interno e nelle campagne.
L’Associazione per la Pace italiana ha avviato a Nablus in questi giorni un presidio permanente di volontari che supportano le attività umanitarie e sociali, consolidano le relazioni con i diversi soggetti politici, progettano e realizzano forme di intervento a favore della popolazione, coordinandosi con il GIPPP (campagna internazionale per la protezione della popolazione palestinese).
Per informazioni: http://www.assopace.org
Barbara Di Tommaso, volontaria del presidio di Assopace a Nablus

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