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Palestina: storie di muri e aparthied: Qualquiliya
by ilnonsubire Wednesday, Aug. 13, 2003 at 2:13 AM mail:

Muro dell'aparthied, Palestina 2003. Giriamo e incontriamo e scopriamo "le implicazioni" di tale muro...

Palestina: storie di...
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Check Point di Qualquilya
"Non si può entrare. Ordine dell IDF (Esercito Israeliano)" ... "Cosa ci entrate e fare qui, non c'e' niente di bello da vedere, andate magari in Israele" ... "Non credo che vi sarà mai possibile entrare qui, ne oggi ne per un bel po' di altro tempo" ... "Lo facciamo per voi, è pericoloso entrare" ... "Fidatevi non c'e' niente da vedere" ...

Rinunciamo. Non serve a niente. Dal check point non si passa.
Conosciamo un'altra entrare. Sentiamo un compagno palestinese della città.
E' pericoloso ma spesso si può fare.
Risaliamo sul taxi con cui siamo venuti, che con enorme affetto e gentilezza ha atteso li per vedere se passavamo... senno si rifaceva tutta la strada indietro a gratis per riportarci da dove siamo venuti... a volte davvero pensi che queste cose possono avvenire solo qua...

Prendiamo la strada dei coloni e vediamo la rete. La famosa rete elettrifica...
enorme, lunga, raccapriciante... gira attorno a tutta la città... dove non c'e' il muro...
si perchè a Qalqilia hanno deciso di fare una gabbia a cielo aperto... un'esempio in minuatura di quello che stanno facendo in tutta la Palestina e dentro la Palestina stessa...
osserviamo stupefatti la rete. Quando te la trovi davanti fa un'altro effetto rispetto alle foto o ai racconti... quando la vedi che scorre e cresce distruggendo campi, strade e case è difficle non pensare a come possa qualcuno solamente immaginare una cosa del genre...
e invece è là...
la cosa non ci ferma, anzi ci da forza a voler entrare dentro... superiamo un'altro blocco, con non poche difficoltà... questa volta per un blocco fisico. Una strada palestinese bloccata dall'esercito israeliano con buche e macigni. Perchè ai palestinesi è impedito anche muoversi.

arriviamo vicino a una torretta... scendiamo e corriamo per non essere a vista.
Siamo in mezzo a quelli che fino a poco tempo fa erano i campi dei palestinesi di Qalqilia. Con la costruzione del muro sono stati tagliati fuori dalla città.
Li attraversiamo velocemente... tra salite e discese... ora siamo una 15ina. Nel frattempo si sono aggiunti altri internazionali respinti... arriviamo alla fine del campo e la ritroviamo... la rete. Il compagno palestinese ci fanno segno di correre... e scopriamo un buco nella rete, vediamo alcune guardie... corriamo... momenti di silenzio... solo la polvere che si alza per la corsa... pochi secondi ciascuno e siamo dentro.. tutti...
... e capiamo cosa voglia dire per questo posto il muro e la rete.
Vediamo altri campi. Un tempo una distesa di campi unica. Ora divisi. I più fertili sono rimasti fuori, tagliati da un'enorme colata di cemento alta dagli 8 ai 12 metri.

entriamo in città e iniziamo i racconti. terribili, mostruosi.
capiamo da subito gli impatti locali e i reali interessi che ci sono dietro la costruzione di questo muro. Con esso questa comunità si ritrova con enormi quantità dei propri terreni completamente isolate o per la maggior parte inaccessibili, e proprio questi territori sono quelli che oltre a essere i più fertili sono anche quelli che più rappresentano lo svillupo dell'agricoltura a livello personale, comunale e persino nazionale, oltre che a garantire una sopravvivenza generale.

Scopriamo cosi che la città di Qalqiliya a tratti sembra una città fantasma. Molti sono quelli che già non hanno retto, che sono dovuti fuggire, nuovamente profughi. In marcia verso una terra dove poter vivere.
Scoprimao che Qalqiliya è stato un centro urbano per l'intera area, ma con la fine del muro si vedrà tagliate le strade di comunicazione, di scambio e le proprie terre. Oltre ai territori (fondamentali per il sostentamento e la sopravvivenza), anche circa 30 tra falde acquifere e riserve di acqua saranno tagliate fuori dall'influenza e dall'uso palestinese.
Non contento cosi Israele controllerà ancora di più una buonissima parte delle risorse di acqua Palestinesi.

Continuano i racconti. A tratti, a momenti, a sensazioni. Sono tante le cose che ci racconto. Tutte storie di violenza quotidiana. Tutte storie di occupazione.

"Il muro non doveva fare il percorso che sta facendo, ma hanno deciso di cambiarlo mentre lo costruivano e oltre alle terre tante sono anche le case distrutte per far passare il muro"
"Chi non si arrendeva e non lasciava la propria casa che si trovava sulla linea del muro è stato arrestato, considerato un terrorista"

Arriviamo al muro. Ancora una volta stupefatti. Siamo nella strada principale della città e alla fine di ogni traversa lo intravediamo fino ad arrivare al limite della città. Dove davanti a uno spiazzo enorme il muro curva e domina tutta la strada... una torretta centrale controlla la situazione... alcuen jeep stazionano all'altezza della parte di muro ancora da costruire... soldati tutti attorno.
Lo chiamano il muro della sicurezza... non può che diventare il muro dell'odio, della divisione, della segregazione razziale, economica e religiosa. Dopo oltre 50 anni Israele sta dando il suo colpo finale...

ci chiedamo cosa deve venire ancora. non bastano i milioni di profughi del 47 e del 67 e del dopo Oslo, non basta le condizione di vità estrema a cui sono obbligati i Palestinesi, non bastano i migliaia di morti e feriti solo in questi ultimi 10 anni, non bastano le migliaia di case distrutte, le terre sottratte, non bastano i migliaia di arrestati e torturati...

Ora anche il muro. Controllo, devastazione e umiliazione totale. Questi sono i suoi unici sinonimi. Il muro dell'aparthied appunto (http://italy.indymedia.org/news/2003/08/350412.php). Ci raccontano che dovrebbe mettere in sicurezza Israele, che dovrebbe essere semplicemente una sorta di frontiera più sicura, e invece diventa lo strumento di un nuovo attacco, di una nuova fase dell'occupazione.
Centianaia di km che tagliano anche la Cisgiordania stessa, che nell'insieme si mangiano un'altro 10% dei Territori Occupati, che nel concreto ammazzano definitivamente l'economia palestinese, e con essa la speranza di un cambiamento futuro.

Continuiamo ad ascoltare i racconti, fotografiamo nella speranza di mostrare quello che succede davvero... e ci prepariamo al corteo. Il secondo nel giro di qualche mese.
Speriamo bene... nonostante la tensione e le premesse.

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