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Ecco come quelle molotov sono finite alla Diaz
by dal corriere Saturday, Sep. 20, 2003 at 1:23 PM mail:

G8 / Negli ultimi verbali dell’inchiesta i cambi di versione dell’uomo che portò le «false prove» nell’istituto.

GENOVA - «Tale Troiani...». Si arrabbia, il vicequestore Pietro Troiani nel suo ultimo interrogatorio davanti ai magistrati che indagano sul blitz alla Diaz. E’ il 31 maggio 2003, e lui è stato riconvocato per la terza volta.
Troiani è l’uomo che «firma» la storia delle molotov false, quelle che, trovate dalla polizia nel pomeriggio di sabato 21 luglio nel centro di Genova, finiscono dentro la scuola Diaz come «prova» contro i 93 manifestanti arrestati durante il blitz. Troiani è il poliziotto che avrebbe ordinato all’autista Angelo Burgio di prendere le molotov dalla macchina della polizia parcheggiata fuori dall’istituto, e di consegnarle a lui, che poi le avrebbe portate nella scuola. Ma con le sue contraddizioni, Troiani è anche il simbolo di una inchiesta difficile, dove le versioni degli indagati cambiano spesso, dove la verità potrà emergere solo dall’incrocio di tante dichiarazioni contrastanti.
Nel suo ultimo interrogatorio (l’inchiesta si è chiusa il 12 settembre con l’avviso di fine indagini a 30 funzionari di polizia), l’uomo chiave dell’episodio-molotov ci rimane male quando gli leggono un passo dell’interrogatorio di Gilberto Caldarozzi, il numero 2 del Servizio Centrale Operativo, che «nega - dicono i pm - di averle mai parlato quella notte, e mostra di non conoscerla». Il vicequestore si stupisce: «Provo dispiacere a sentire che Gilberto Caldarozzi mi chiama "tale dottor Troiani" perché non era la prima volta che operavo alle sue dipendenze e quindi mi conosceva bene».
Il problema è che nell’ultimo interrogatorio Troiani modifica per la quarta volta (in tre confronti con i pm) la sua versione dei fatti sul «giro» delle due molotov durante quella notte. Il primo luglio 2002 afferma che il suo autista Burgio, «mi dice che in macchina o nelle immediate vicinanze sono state trovate due molotov». Ma poi ricorda che a Massimo Di Bernardini, il poliziotto a cui sostiene di aver affidato le molotov «dissi che i miei le avevano trovate nel cortile della scuola».
Otto giorni dopo, Troiani nega di aver telefonato a Burgio (come invece sostiene l’autista) per farsi portare le bottiglie, e alla domanda successiva, invece «conferma di aver detto a Burgio di portarmi le bottiglie». Poi aggiunge di aver detto a Di Bernardini che le molotov erano sulla macchina, sostiene che Di Bernardini gli impose di portarle, e che Caldarozzi era presente in quel momento. Il 31 maggio 2003 Troiani fornisce la sua ultima versione: ricorda di aver detto a Di Bernardini che le molotov erano «tra la strada e il cortile, o comunque in quei pressi, più o meno nel cortile della scuola; mai ho sostenuto che fossero state trovate all’interno della scuola».
E al pm che gli chiede se conferma quanto detto prima, ovvero che voleva sbarazzarsi delle molotov sulla macchina: «Confermo, ma non sapevo che alla Diaz si stesse svolgendo una perquisizione, Caldarozzi mi aveva solo detto di cinturare la zona». E’ lo stesso Caldarozzi che afferma di non aver mai conosciuto Troiani.
Il 7 luglio 2003 anche Giovanni Luperi, il numero due dell’Antiterrorismo, accetta di parlare con i magistrati. Gli mostrano il filmato che ritrae un gruppo di funzionari nel cortile della Diaz, e in cui lui tiene in mano il sacchetto con le famose molotov. Visionando attentamente il filmato, dice Luperi, «può forse intuirsi che io ricevo questo sacchetto, come in realtà è avvenuto, da Caldarozzi, mentre sto facendo una telefonata». Luperi conferma che durante il filmato «si è parlato delle bottiglie», circostanza smentita invece da altri poliziotti ripresi dalle telecamere. Un rompicapo, la Diaz.


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