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Salva la capra e marci i cavoli
by s/e Monday, Sep. 29, 2003 at 7:52 PM mail:

Nessuno dei rischi tradizionali che hanno reso le centrali nucleari così impopolari è stato risolto, ma il partito filonucleare sembra rinfrancato

Non è proprio una novità. Dagli anni delle grandi mobilitazioni antinucleari che a cavallo dell'incidente di Chernobyl (aprile 1986) hanno messo in crisi l'energia dell'atomo in tutto l'Occidente - e in Italia ne hanno decretato la fine prematura - quasi non è passato mese senza che qualche voce più o meno autorevole si levasse per proporre un ritorno al nucleare. Da noi in particolare la schiera dei nostalgici è composita: ci sono i reduci, nuclearisti da sempre che non hanno mai digerito la sconfitta bruciante di quindici anni fa e continuano ad aspettare la rivincita; ci sono i neo-scientisti, oltranzisti della tecnologia "buona comunque", che se la prendono con gli ambientalisti nemici del progresso; e ci sono gli ottimisti, coloro per i quali l'avanzare della ricerca ha ormai risolto tutti i problemi d'impatto ambientale e di sicurezza delle centrali.

Oggi però il partito filonucleare sembra particolarmente rinfrancato, e il motivo è semplice: gli allarmi crescenti per i mutamenti climatici legati all'aumento delle emissioni di anidride carbonica, e dunque ai consumi in accelerazione di petrolio e carbone, danno un argomento in più a chi promuove l'alternativa dell'atomo, fino a oscurarne agli occhi di qualcuno le innumerevoli controindicazioni. Verrebbe quasi da chiedersi se uno dei temi più ricorrenti nell'azione ecologista - la denuncia del clima che cambia e la richiesta di ridurre il consumo di combustibili fossili - non rischi di ritorcersi contro chi per primo l'ha sollevato. Così negli Stati Uniti il presidente Bush annuncia la costruzione di nuove centrali, e anche in Europa, dove le commesse sono ferme da anni e paesi importanti come la Germania sembravano avviati sulla stessa via italiana, l'idea di un rilancio del nucleare come male minore rispetto ai rischi climatici trova sponsor nel seno steso della Commissione europea.

I fatti però non danno grandi argomenti a questi nuovi paladini dell'atomo. Nessuno dei rischi tradizionali che hanno reso le centrali nucleari così impopolari è stato risolto: non quello dello smaltimento delle scorie; non le difficoltà connesse alla dismissione delle vecchie centrali; tanto meno il pericolo d'incidenti dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche. Certi rischi, addirittura, paiono ingigantiti: basta leggere le analisi sempre più preoccupate sulla possibilità che regimi politici fuori controllo, o peggio gruppi terroristi, utilizzino a fini militari le tecnologie del nucleare civile.

Ma soprattutto la via del nucleare - per lo meno di quello che conosciamo - sarà sempre di più un anacronismo in società aperte come quelle occidentali, ed europee in particolare. Settori ampi e crescenti dell'opinione pubblica europea danno prova ogni giorno di rifiutare modelli di evoluzione dell'economia e della vita collettiva di impronta tecnocratica e di difficile controllo democratico: questo vale per l'utilizzo degli OGM in agricoltura e vale, a maggior ragione, per un sistema energetico come quello nucleare che implica alti livelli di centralizzazione e bassi livelli di trasparenza delle decisioni.

Scongiurare un aumento ulteriore dell'effetto serra, dunque bruciare meno petrolio e carbone, serve a proteggere l'umanità, a migliorarne la vita, a salvaguardarne il futuro. Centrare questo obiettivo aumentando l'efficienza dei vari usi energetici, incentivando il ricorso alle fonti rinnovabili, promuovendo la ricerca scientifica e l'innovazione tecnologica, non è proprio lo stesso che raggiungerlo disseminando il mondo di altre migliaia di impianti nucleari che, piaccia o no restano bombe ad orologeria.

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