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violenza mediatica di repubblica contro i cobas
by cobas Sunday, Nov. 02, 2003 at 10:03 AM mail:

un titolo inventato e provocatorio ad un'intervista del quotidiano repubblica al portavoce dei cobas scuola Piero Bernocchi


Un titolo inventato e provocatorio ad un'intervista del quotidiano repubblica al portavoce dei cobas scuola Piero Bernocchi;
il comunicato stampa di Piero Bernocchi e di seguito il testo dell'intervista a repubblica:


BRIGATE ROSSE E VIOLENZA MEDIATICA

Se facessi uso della violenza verbale ai livelli raggiunti ad esempio da Giuliano Ferrara direi che oggi "La Repubblica" mi dedica un "titolo omicida". Ma non arrivo a tanto. E’ indubbio, però, che quella frase virgolettata e "sparata" con tale virulenza, da me mai detta - "Assassini? No, fanno politica. Sono nostri nemici come Fassino" - e che sovrasta la mia intervista di oggi sul quotidiano romano, è un capolavoro di provocazione politica e di violenza mediatica.
Il testo dell’intervista di per sé non lo contesto. Molte cose che ho detto, e che ritengo importanti, non ci sono, ma è facoltà dell’intervistatore selezionare il materiale esposto dall’intervistato. L’importante è che ciò che viene pubblicato non deformi significativamente le affermazioni fatte: e in questo caso tale deformazione non c’è. Ma a maggior ragione risalta la violenza provocatoria del titolo.

Il fatto che io abbia affermato una cosa che quasi tutti condividono, e cioè che la follia brigatista, distruttiva e catastrofica per ogni prospettiva di trasformazione sociale, ha pur tuttavia, nelle teste dei brigatisti ma anche nella percezione generale, una matrice politica (e senno’ perché da una settimana non si parla d’altro?), viene interpretato nel titolo come se io negassi che siamo davanti ad omicidi, seppur politici.

Ma altrettanto gravissima è l’equiparazione che il titolista mi mette in bocca tra Brigate Rosse e DS. Naturalmente può essere contestato l’uso della parola "nemico" nei confronti di D’Alema, Fassino o Prodi. L’ostilità, però, del gruppo dirigente del centrosinistra nei confronti dei Cobas, del sindacalismo di base e delle componenti più radicali del movimento "no-global" (io, per la verità, penso che tale gruppo veda l’intero movimento come un ostacolo nei confronti della "politica-politicante" della sinistra liberista) mi pare assolutamente evidente.

E’ lecito fotografare tale ostilità con il termine "nemico"? Siamo in un paese dove la violenza verbale del mondo politico istituzionale è altissima (guardate oggi la selvaggia rissa a proposito de "L’Unità" o di Violante): che venga rimproverato proprio a noi, che di tale violenza subiamo quotidianamente i pesanti effetti (con campagne persecutorie mediatiche e giudiziarie continue ed ossessive) mi sembra davvero il colmo. Non è violenza un titolo che mi mette in bocca la folle equazione, che nessun passaggio dell’intervista lascia neanche vagamente trapelare e che né io né alcun membro dei Cobas si sognano di fare, DS=BR e Fassino=Lioce?

Mi auguro che "La Repubblica" abbia almeno la dignità di dare notizia ai propri lettori/trici della mia totale ripulsa verso il titolo che è stato provocatoriamente sovrapposto alla mia intervista.

Piero Bernocchi portavoce nazionale Cobas scuola

Roma, 1 novembre 2003

L'intervista, intitolata:
"Assassini? No, fanno politica. Sono nostri nemici come Fassino" :

Il leader dei Cobas, interviene nel dibattito sul terrorismo e i rapporti con il movimento aperto da Sergio Segio Bernocchi sui br: "Assassini? Sono nostri nemici come Fassino" "La lotta armata non ci appartiene, siamo violenti come lo sono Ferrara, Berlusconi e i teppisti in divisa di Genova"



ROMA - Piero Bernocchi, romano, è un insegnante di matematica di 56 anni che fa altro di mestiere. Il leader e portavoce dei Cobas, i sindacati di base. Nel '68, nella contestazione alla facoltà di ingegneria. Nel '77, nelle piazze con la componente "Nuova sinistra". Quindi direttore di "Radio città futura". Premette (ci tiene): "Parlo a nome dei Cobas. E basta".

E allora parliamo...
"Posso dire subito di Segio?"

Cosa?
"E' un uomo che ha ammazzato. Che ha responsabilità non solo nei confronti delle vite che ha tolto, ma anche delle migliaia di militanti che ha costretto alla ritirata dinanzi al suo piombo e a quello di chi è stato come lui. Non dovrebbe dimenticarlo, soprattutto ora che ha deciso di affermare il falso".

Ha riferito dei fatti.
"Guardi che abbiamo fatto una controinchiesta sull'episodio di Milano. Sulla presunta scritta Br fatta sui muri dell'arcivescovado da militanti del corteo".

Presunta? L'hanno fotografata.
"Chi era lì dei nostri non ricorda nulla di quello che Segio dice di aver visto. E mi fido dei miei. Soprattutto, mi chiedo: perché non l'ha fermata Segio quella mano? Non lo ha fatto perché era più comodo scatenare una campagna di aggressione al Movimento, ben sapendo - e Segio lo sa - che siamo coscienti non da oggi che il brigatismo è una pratica politica ostile ai movimenti. Che uccide i movimenti".

Il brigatismo è una "pratica politica"?
"Perché, che cos'è se no? Questa gente sostiene una tesi che è nella storia nel movimento operaio e a cui già si opponeva Lenin. E' una pratica politica, folle quanto si vuole, in nome della quale questa gente va a morire".
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E ad ammazzare.
"Guardi che è una pratica politica che riguarda una trentina di persone...".

Perché dice persone e non assassini?
"In che senso?".

Visto che lei non ha difficoltà a definire Segio un assassino non credo che abbia difficoltà a definire Galesi e Lioce degli assassini, o no? Se la sente di dirlo? "Galesi e Lioce sono degli assassini".
"L'espressione assassino non è mai stata usata e io non la uso per il semplice motivo che ad una pratica politica noi diamo una risposta politica".

Il che significa riconoscere ai brigatisti dignità politica.
"Tutti riconoscono a quel che fanno un tratto, un'identità politica. Non siamo i soli. Se no, non staremmo qui a parlarne".

Non trova che in questo modo si alimenti un'ambiguità che è poi quella denunciata da Segio?
"Non vedo l'ambiguità".

Le faccio un esempio. Il leader dei cobas dell'Alfa di Pomigliano D'Arco, la ex deputata Malavenda, disse, dopo la morte di Marco Biagi, "non piangiamo, né piangeremo un nemico di classe". Lo ha ripetuto tre giorni fa al quotidiano il "Riformista".
"Di quel che dice la Malavenda, risponde la Malavenda".

Lei è d'accordo o no?
"Personalmente non piango da 27 anni, dalla morte di mio padre. E comunque, a parte la dolorosa notazione personale, noi abbiamo molti nemici. Lasciamo perdere poi, se di classe o meno, visto che noi Cobas combattiamo per il superamento del capitalismo e della società divisa in classi. Ma nemici sì. Nemici ne abbiamo. Sono quelli che vogliono il nostro annientamento. Sono a destra come a sinistra. Perché sappiamo bene che gente come D'Alema, Prodi, Fassino vuole la morte del Movimento".

Perché parla di "nemici" e non di avversari? Non trova che le sue parole abbiano una carica di violenza che è esattamente il problema politico posto da Segio?
"La violenza verbale è la cifra del nostro vivere quotidiano. La praticano Giuliano Ferrara e Silvio Berlusconi. Perché dovremmo rinunciarci noi? Il termine nemico può essere legittimamente usato. Anche nei confronti, come ho detto, di chi ci è più prossimo. Quel centro-sinistra riformista che non considera il movimento per quello che è, la seconda potenza mondiale, ma la sessantesima. Che ne vuole l'annientamento. E poi basta con questa storia della violenza. Ma che significa questa ipocrisia?".

Faccia lei. Riempire qualche camion di mazze e bastoni per andare alle manifestazioni...
"Ma quali mazze! Aste di bandiera".

Si chiamano Stalin.
"Il pacifismo integrale è una forzatura. E il Movimento deve difendersi dai teppisti in divisa che hanno picchiato e torturato a Napoli e Genova".

Poliziotti e carabinieri per i quali è in corso un processo.
"No. Teppisti in divisa. Lo dico e lo ribadisco".

Sono dei teppisti anche colleghi intelligenti e attenti come quelli del quotidiano "il manifesto"? Gabriele Polo domenica scorsa e il direttore Riccardo Barenghi, ieri, hanno tracciato con rigore una linea di ragionamento che invita a sorvegliare le acque di confine del movimento.
"A me viene il sangue agli occhi... Mi fa incazzare che questi del "manifesto" si svegliano oggi. Come se non sapessero che gente come me è dal '77 che si batte per impedire che le sirene della lotta armata abbiano presa sul Movimento. Chi ci invita a vigilare, dove era dopo il '77? Non nel Movimento a vivere sulla propria pelle il dramma di dover ricostruire le macerie lasciate dalla distruttiva pratica brigatista".

Vorrà pur significare qualcosa che le biografie di alcuni degli arrestati incrocino l'attività politica dei sindacati di base. O no?
"Ma non è affatto vero. Questi ex iscritti sono signor nessuno. Nessuno li ha conosciuti. Non hanno fatto attività né con la Cgil, né con il sindacalismo di base. Il problema è un altro. Ci vogliono annientare. Costringerci a giustificarci. Sa allora che le dico? Non abbiamo nulla di cui giustificarci. Ma proprio nulla!".

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