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An si oppone alla sede romana del museo della Shoà
by manifesto Wednesday, Jan. 28, 2004 at 1:08 PM mail:

L'edificio prescelto è occupato da un centro sociale di destra. Veltroni accelera, Storace prima dice sì poi nicchia

MATTEO BARTOCCI
Presto anche la Capitale avrà un «museo della Shoà», un progetto voluto fortemente da tutte le istituzioni locali e regionali. Un centro che servirà a ricordare la deportazione degli ebrei romani dal ghetto del 16 ottobre 1943 e l'eccidio delle Fosse Ardeatine. Ma sulla futura sede dell'istituto - che a parole tanto il Campidoglio quanto la Regione dicono di sostenere - si è innescata una furiosa lotta politica che rischia di compromettere gli accordi raggiunti. Il progetto sembrava ben avviato, tanto che per raccogliere i fondi per la sua costruzione si è giocata ieri sera allo stadio Olimpico di Roma la «partita della memoria». Un'iniziativa promossa dalla comunità ebraica capitolina con il patrocinio dell'associazione dei «Figli della Shoà» e l'Unione delle comunità ebraiche italiane, il cui incasso sarà devoluto interamente alla costruzione del museo.

Dato l'accordo di massima tra comune, provincia e regione Lazio l'iniziativa sembrava quindi destinata ad andare in porto in tempi brevi. Ma se le intenzioni delle istituzioni sono chiare, non lo è altrettanto il loro comportamento, visto che sulla sede del futuro museo la lotta politica tra le varie correnti che squassano il partito di Fini rischia di complicare un'iniziativa che, a detta di tutti, è imprescindibile per una città medaglia d'ora della Resistenza.

Dov'è, quindi, il problema? Si tratta di un «centro sociale di destra», chiamato «Foro 753» (http://www.753.it), che occupa dal settembre 2003 i locali della vecchia Casa del popolo: un palazzo storico di proprietà della regione Lazio in via Capo d'Africa 27, a due passi dal Colosseo. L'edificio fu inaugurato nel 1906 e consiste in una superficie di quasi 1.700 mq: la sede che all'epoca riuniva le principali organizzazioni operaie della capitale, poi sciolte dal regime fascista.

«Foro753» è solo una tra le occupazioni di destra della capitale (autodefinite «occupazioni non conformi»), basti pensare a «Casa Montag», vicina al Fronte nazionale, e la recentissima «Casa Pound contro usura e carovita» (vedi l'articolo di Emiliano Viccaro sul n. 39 di Carta dell'ottobre 2003).

Il comune di Roma, con il sindaco Walter Veltroni, aveva indicato in quello stabile la sede ideale per il museo della Shoà. Una collocazione prestigiosa e adeguata sulla quale c'era anche stato il preventivo nulla osta informale del presidente del Lazio Francesco Storace.

Il problema è che i ragazzi del Foro753 sono sostenuti a spada tratta da una parte di An, non certo vicina al leader della «Destra sociale», anzi, più volte da loro contestato.

La questione del «Foro» spacca il partito di Fini. L'ufficio dell'assessore regionale al patrimonio Bruno Prestagiovanni ha risposto ancora ieri con alcuni punti fermi: il museo della Shoà si farà, ma sulla sede in cui collocarlo «non esiste alcuna intesa». D'altro canto però non si propongono collocazioni alternative.

Sull'occupazione di via Capo d'Africa, Prestagiovanni giorni fa aveva cercato di fare il cerchiobottista: «Quell'immobile è occupato da giovani che stanno portando avanti una positiva sperimentazione e per il quale, al momento, è prevista un'altra destinazione». Quale sia non si sa. Quel che è certo è che i ragazzi del Foro per ora non si toccano.

Il deputato della Margherita e coordinatore romano Roberto Giachetti parla di «palese imbarazzo» di Storace e rinfocola le critiche: «Per quei locali si parla genericamente di altri progetti, ma quale progetto potrebbe essere di più alto valore morale della memoria dell'Olocausto?». In realtà, secondo Giachetti, «la regione Lazio sta perdendo una grande occasione per partecipare a un'opera il cui valore simbolico è uguale, se non superiore, al viaggio di Fini».

Da via della Pisana si cerca di non esasperare i toni: si spiega che la regione vuole realizzare il museo ma non più a via Capo d'Africa. Ci si trincera dietro al fatto che l'incontro con il comune è stato solo informale, una colazione di lavoro tra l'assessore Prestagiovanni e il suo omologo capitolino. I contatti, si precisa, continuano tuttora. Quel che è certo è che l'«occupazione non conforme» all'ombra del Colosseo è nell'occhio del ciclone e la situazione rischia di deflagrare anche a livello nazionale.

Un altro segnale preoccupante, stavolta da parte del ministero dei beni culturali, è la vendita di alcuni spazi del «museo storico di via Tasso», la prigione-lager dell'occupazione nazista della capitale. Ieri, su iniziativa del Pdci, 200 persone hanno manifestato per la sua conservazione e perché si eserciti quanto prima il diritto di prelazione nell'acquisto.

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