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In corteo dopo lo sgombero violento di Roma | ||
by da liberazione Saturday, Jan. 31, 2004 at 4:06 PM | mail: | |
I rom rumeni, negli occhi ancora quel campo raso al suolo.
Adesso stanno «un po' meglio», come dice a Liberazione, una volontaria dell'Opera Nomadi, ma la loro condizione resta drammatica. I centocinquanta rumeni, sgomberati violentemente il 23 gennaio dal campo sorto sotto un ponte alla Magliana Vecchia, sono ora sparsi per cinque centri d'accoglienza nella cintura a sud est della Capitale (Rebibbia e Lunghezza sulla Tiburtina, Torre Spaccata e Via Assisi sulla Tuscolana e Casal Boccone lungo la Nomentana). Tra loro una quarantina di bambini, persone anziane, spesso malate che qui si arrangiano soprattutto facendo "mangel", l'elemosina. Oggi non potranno essere in piazza nella giornata europea per i diritti dei migranti perché nei centri cui sono stati affidati c'è una sorta di coprifuoco, si rientra non oltre le 19 e si deve uscire dai locali non oltre le 9 del mattino. «La sera è l'unico momento in cui possono stare un po' insieme», dice ancora Roberta Manzi, volontaria ventiquattrenne dell'Opera nomadi che è restata sempre in contatto con loro. Lei non sa spiegarsi che cosa abbia fatto precipitare la situazione nel quartiere a ovest di Roma. Entrare in contatto con la prefettura, da cui è partito l'ordine, «è così difficile», si rammarica. Forse ad accelerare è stato il fatto che il terreno occupato da un anno e mezzo fosse di un privato. Manzi aveva conosciuto il campo in occasione del censimento dei rumeni cui aveva preso parte. Lo sgombero, racconta, manda in fumo il progetto in cantiere di uno scuolabus per seguire la scolarizzazione di quei bambini. Sotto il ponte della Magliana in parecchi avevano già il permesso di soggiorno, altri sono richiedenti asilo in attesa di risposta. Carte in regola, dunque, ma questo non gli ha risparmiato la sveglia repentina all'alba del 23, la deportazione in questura dei capifamiglia e il rogo del campo nel breve tempo in cui gli uomini mostravano i documenti ai funzionari. «Tutto spianato e bruciato - ricorda Manzi ancora scossa - tutti gli abiti, le poche cose e tutti i ricordi che avevano perché qualcuno ha deciso di far sparire ogni loro traccia. Tecniche che ricordano quelle della Gestapo, |
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