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Pedofilia e sacerdozio
by Alex G. Wednesday, Mar. 03, 2004 at 2:01 PM mail:

NON GUARITI MA CURATI
LA CURA DEI PRETI PEDOFILI U.S.A. IN CENTRI SPECIALIZZATI PRESENTA MOLTE DIFFICOLTÀ, SIA DURANTE LA TERAPIA CHE DOPO.

CURTIES BRYANT È L’AUTORE DI QUESTO ARTICOLO, PUBBLICATO SULLA RIVISTA DEI GESUITI STATUNITENSI "AMERICA" (1/04/02). TITOLO ORIGINALE: "PSYCHOLOGICAL TREATMENT OF PRIEST SEX OFFENDERS

È tornata la dolorosa notizia di preti responsabili di abusi sessuali, e riemerge con il contorno familiare di sofferenza, vergogna e dolore. Anche se la maggior parte di queste vicende riguardano fatti avvenuti più di dieci anni fa, hanno l’effetto di riaprire la ferita.
Queste le domande più pressanti: quanto sono frequenti i casi di abusi sessuali da parte di preti? Qual è la percentuale all’interno di tutto il clero? La risposta, semplice, è che non lo sappiamo. I ricercatori sostengono che i pedofili sono tra il 3 e il 6% della popolazione. Mentre nessuno sa per certo l’esatta percentuale dei preti pedofili, nessun ricercatore serio ha asserito che vi siano più pedofili all’interno del clero piuttosto che altrove. L’arcidiocesi di Philadelphia colloca la sua percentuale di preti pedofili all’1,8%. Anche se un solo prete pedofilo è già troppo e arreca danni gravissimi, non c’è una maniera semplice per sradicare i pedofili dal clero, così come non vi è una maniera semplice per eliminarli dalla popolazione in generale.
Il gruppo, statisticamente inconsueto, di preti responsabili di abusi sessuali, è quello degli efebofili (attratti da minori di età post-puberale), il cui bersaglio sono maschi tra i 15 e i 17 anni.
Generalmente, è difficile far fare ad un maschio adolescente qualcosa che non vuole fare, anche se i preti pedofili tendono a cercare quelli più fragili o ingenui. I ricercatori dividono i responsabili in due ampie categorie: quelli che commettono abusi sessuali con la forza, che usano la costrizione o la violenza fisica, e quelli che aggrediscono sessualmente attraverso pressioni, i "groomer", che non utilizzano la forza fisica, ma usano le lusinghe, la persuasione e le trappole psicologiche. La grande maggioranza dei preti pedofili sono "groomer".

Cause

Che cosa fa sì che un prete diventi un aggressore sessuale? La caratteristica che colpisce maggiormente di coloro che abusano sessualmente è la loro apparente normalità, benché molti preti pedofili abbiano forti tratti di narcisismo o disordini da personalità dipendente. Questo significa che ad essi manca la capacità di una normale empatia, che non sono adeguatamente autonomi, o che mancano delle normali attitudini sociali del loro gruppo anagrafico.
Ciò che complica ulteriormente il quadro è che ogni approccio psicologico ha le sue teorie per spiegare l’attrazione sessuale verso i minori. Gli psicologi psicodinamici vedono l’abuso sessuale come manifestazione di un blocco dello sviluppo, un modo di dominare il trauma con la ripetizione o l’identificazione con l’aggressore che abusò di loro. Gli psicologi comportamentisti interpretano l’abuso sessuale come esito di un apprendimento disadattato, modellato o condizionato sull’esperienza della prima infanzia. Gli analisti con approccio sociologico e femminista puntano il dito sulla socializzazione avvenuta tramite pornografia o pubblicità, tolleranza culturale, socializzazione maschile tendente al dominio, norme patriarcali ed altri atteggiamenti repressivi nei confronti del comportamento sessuale.
Spesso chi abusa sessualmente è stato a sua volta vittima di abuso nell’infanzia o nell’adolescenza. Il Saint Luke Institute, un ospedale psichiatrico appena fuori Washington, D.C., ha gestito storie psicosociali di preti responsabili di abusi per più di dodici anni. Queste storie dimostrano che più del 50% dei preti trattati era stato vittima di abuso quando era bambino. Questa cifra è molto più alta delle stime fatte al livello della popolazione pedofila maschile in generale, che parlano di un 30%.
I ricercatori suggeriscono che l’abuso sessuale di ragazzi è stato ampiamente sottovalutato e che le cifre delle violenze su ragazze sono soltanto lievemente più alte di quelle relative ai maschi. I ragazzi sono meno propensi delle femmine a raccontare aggressioni sessuali o a farle raccontare da qualcun altro per loro. I ragazzi sono meno monitorati, cosa che li rende più vulnerabili; è opinione comune che abbiano meno bisogno di protezione perché si pensa a loro in termini di "forza", in contrasto con la protezione che le ragazze ricevono.
Perciò non vi è ragione di credere che i preti abusino sessualmente di maschi adolescenti perché si sforzano di essere celibi o per il loro orientamento sessuale. Alcuni preti che fanno sesso con ragazzi adolescenti hanno un orientamento adulto eterosessuale. Fanno sesso con maschi adolescenti per molte ragioni: immaturità sociale, identificazione con l’adolescente, mancanza di intimità con le donne. Gli adolescenti sono visti come più "femminili" degli uomini adulti.

La risposta della Chiesa

Dal 1985, quando sono venute alla luce le prime notizie riguardanti preti pedofili, si pensava che alcuni preti provocassero indisturbati la rovina dei minori perché i vertici della Chiesa sembravano più preoccupati di proteggere la reputazione dell’istituzione e la professione clericale che di salvaguardare i propri figli.
Dico "sembravano" perché la Chiesa, prima della metà degli anni ‘80, era più ingenua che cinica. All’inizio, la Chiesa vedeva i reati sessuali come peccati da confessare più che come una malattia da curare. Le autorità cattoliche generosamente hanno perdonato e dato fiducia al prete responsabile (come avrebbero fatto con ogni penitente), invece di allontanarlo dal ministero. Questo era rafforzato da un residuo di quel senso medievale di lealtà che esisteva tra il vescovo e il suo prete, analogo a quello esistente tra il signore del feudo e il suo cavaliere. Era quello il periodo in cui molte parrocchie chiudevano per mancanza di preti, e cacciare qualcuno non poteva essere fatto "sulla base di dicerie di persone che gettano fango".
I vertici della Chiesa hanno avuto più di 15 anni per capire la gravità del fenomeno dei preti pedofili, l’orrore dell’abuso sessuale, la necessità di dare aiuto alle vittime e la necessità di elaborare politiche che garantissero protezione da tali pratiche. Parte di questa protezione è la cura dei preti responsabili: fare, cioè, tutto ciò che si può per assicurarsi che essi non possano più compiere abusi.

Cura

C’è stato un cambiamento nei programmi di trattamento per i colpevoli di abuso sessuale. I primi programmi spesso enfatizzavano l’aspetto medico e utilizzavano tecniche fisiche come la castrazione, la chirurgia neurologica (lobotomia) e una cura che abbassava la libido. Gli anni ‘70 hanno visto un aumento dei metodi comportamentali, ma molti di questi programmi non li sottolineavano abbastanza, concentrandosi soprattutto sulla deviazione sessuale e usando spesso tecniche contrastive. Negli anni ‘80 e ’90 molti programmi arrivarono a prevedere tecniche psicodinamiche, cognitive-comportamentali e di prevenzione della recidività.
Il trattamento al Saint Luke Institute, per esempio, dura più o meno sei mesi ed è diviso in tre fasi. La fase di induzione risolve le crisi che possono interferire con il trattamento: prevenzione del suicidio, trattamento medico se necessario, partecipazione a 12 incontri e individuazione della tendenza nel paziente a negare, a evitare o a manipolare la realtà che precede il trattamento.
Una resistenza molto maggiore si incontra quando il prete deve lasciarsi andare (mutando il suo ruolo da "colui che aiuta" a "colui che è aiutato") e imparare a essere un paziente. I preti, come i medici o i terapeuti, oppongono resistenza, perché sono abituati ad avere il controllo e non si trovano bene in una qualsiasi posizione di dipendenza. Possono perdere la loro posizione professionale e perciò sono vigili di fronte ad ogni minaccia percepita. Un sentimento di "unicità", alimentato dalla loro professione, incoraggia il loro senso di grandezza, facendo del processo di guarigione una "discesa". La loro precedente formazione in seminario, promuovendo l’intellettualizzazione piuttosto che il sentire, diventa un inconveniente. La base autentica della loro identità professionale può essere un compulsivo "aiutare gli altri" e ignorare se stessi. La competitività che i professionisti sperimentano incoraggia la diffidenza e una limitata apertura di sé.
Durante questa fase, che dura un mese, vengono utilizzate l’arteterapia e la bioenergetica per neutralizzare sia l’intellettualizzazione come difesa, sia il problema comune dell’alexitimia (l’incapacità di dare un nome ai sentimenti). In questa fase i preti scrivono una storia sessuale o "diario" dettagliato che diventa il punto focale della loro terapia individuale e di gruppo.
La fase successiva è chiamata ‘fase di lavoro’: i pazienti sacerdoti consegnano i loro diari sessuali ai loro colleghi preti. In un secondo momento il prete che ha consegnato la sua storia ascolta gli altri pazienti preti esprimere le loro reazioni. È in questo momento che il paziente può ottenere il più completo elenco delle distorsioni, evasioni, convinzioni irrazionali e così via che fondano il suo comportamento aggressivo. I responsabili di abuso sessuale spesso sono più astuti dei terapisti nello scoprire i tentativi di altri preti pedofili di minimizzare, negare, razionalizzare, giustificare o scusare il loro comportamento.
Essi inoltre portano in una piccola dinamica di gruppo il materiale dei loro diari sessuali. Questa esperienza di psicodinamica dura 90 minuti, tre volte alla settimana, per i successivi cinque mesi. I temi che si sviluppano possono essere rivissuti in psicodrammi (in cui il paziente ha il ruolo del protagonista che si ritrova "bloccato", traumatizzato o incapace di sentire), che ripetono la scena con il previsto effetto catartico.
A volte vengono utilizzati psicofarmaci nel tentativo di modificare la preoccupazione del responsabile dell’abuso, il suo comportamento e la sua motivazione. Gli ormoni come gli estrogeni sono stati utilizzati per diminuire il risveglio sessuale. L’oggetto particolare del desiderio dell’aggressore è sempre lo stesso, ma l’intensità del desiderio è indebolita.
La terza fase è chiamata fase di consolidamento. Viene elaborato un contratto di cura permanente che serve da base per la continuazione della terapia e serve a dare una credibilità all’esterno per i successivi cinque anni. Il paziente verrà invitato a tornare ad intervalli di sei mesi per controllare il suo comportamento e ad aggiornare il contratto per i successivi sei mesi. Vengono compiute ricerche per appurare se, nel periodo intercorso, siano pervenute denunce alla diocesi di competenza, o al provinciale, o all’autorità giudiziaria.
Gli obiettivi del trattamento comprendono: 1) che il prete riconosca di avere un problema sessuale; 2) che accetti la responsabilità del suo comportamento sessuale; 3) che capisca la sequenza di pensieri, sentimenti, eventi, circostanze, o le "molle" che compongono il quadro che precede il suo comportamento sessuale aggressivo; 4) che impari tecniche per prevenire le ricadute, per disinnescare il suo modello di offesa e fare ricorso alle procedure o "strumenti" per bloccarlo; 5) che sviluppi modalità alternative e più appropriate per esprimere se stesso, il bisogno di gratificazione e per gestire l’impulso con competenze educative e formative; 6) che maturi nella valutazione delle gravi conseguenze per gli altri e per se stesso della sua attività sessuale; e infine 7) che riconosca che il suo disordine sessuale non può essere risolto definitivamente, ma curato, non può essere eliminato, ma controllato; che il suo disordine è cronico e dev’essere affrontato e elaborato continuamente.

Il trattamento è efficace?

C’è qualche prova che i programmi di trattamento per chi abusa sessualmente siano efficaci nel ridurre le probabilità di ricadere nell’aggressione? Alcuni di coloro che hanno compiuto abusi possono essere trattati in maniera efficace, in modo da ridurre la recidività. Molti studi di controllo utilizzano registri ufficiali per determinare l’incidenza della ricaduta, che spesso sottovaluta le cifre reali. Il Saint Luke Institute determina le ricadute tramite le informazioni fornite dalla diocesi di competenza o dall’ordine religioso, dalla polizia o da altre fonti pubbliche trasmesse alla diocesi. Dal 1985 al 1995, di oltre 450 preti trattati all’Istituto si è avuta notizia solo di tre casi di ricaduta (in cui non c’è stato peraltro contatto fisico).
Il trattamento dei preti che hanno compiuto abusi sessuali è lungo e costoso. Nell’attuale clima economico, c’è una crescente difficoltà a giustificare spese di questo livello, per le limitate risorse economiche della Chiesa, visto che il trattamento di rado consentirà ai preti di tornare al loro ministero. Anche se in molti casi i preti potrebbero non tornare al loro posto, la società in generale deve sentirsi più al sicuro per il fatto che sono stati curati.

Ritorno al ministero

Una volta completato il trattamento, può il prete tornare al suo compito? A quali condizioni? Con quali controlli? Con che tipo di monitoraggio? La parrocchia dev’essere informata? Sono domande molto difficili. Circa 15 anni fa, una parrocchia del Midwest perse il suo pastore, e il vescovo disse che la parrocchia era destinata a chiudere i battenti. Gli anziani della parrocchia andarono dal vescovo e chiesero un prete, perché vivevano lontano dalla città più vicina e volevano continuare ad avere una loro parrocchia. Il vescovo disse che l’unico prete che aveva era pedofilo. Gli anziani si misero da parte a confabulare. Tornarono dal vescovo e dissero che si sarebbero assunti la responsabilità del prete. Avrebbero pensato loro alla formazione dei chierichetti e controllato il prete come necessario. Terminarono dicendo al vescovo che preferivano un prete fragile ad uno arrogante.
Trattare i preti colpevoli di abuso sessuale significa fare i conti con il fatto che il problema è complesso e ostinato, e che le promesse di rapide soluzioni hanno scarse probabilità di essere mantenute. Il trattamento e la riabilitazione sono imprese ambiziose, che richiedono costanza di obiettivi e una corposa mobilitazione di risorse sociali. Il livello di cooperazione necessario tra i sistemi della giustizia criminale e quelli della salute mentale raramente è stato raggiunto. Affidare persone che chiedono un trattamento per i loro disordini sessuali alla giustizia criminale è inefficace e inumano. Le cosiddette politiche di tolleranza zero possono portare ad un atteggiamento indecoroso una amorevole comunità cristiana. Dobbiamo trovare modi per unire alle legittime preoccupazioni della giustizia le capacità dei trattamenti di salute mentale di rendere i colpevoli degli abusi responsabili del loro comportamento. Inoltre, dobbiamo rendere accessibile ai preti che hanno abusato il perdono e la riconciliazone del Vangelo. Per parafrasare una riga che il "Los Angeles Time" ha riportato recentemente, "Il mio timore è che la Chiesa venga percepita come oscillante tra il trascurare la cura dei bambini abusati e il trascurare la cura dei preti che hanno compiuto gli abusi".

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