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Un lunedì a caccia di ultras
by dal manifesto Tuesday, Mar. 23, 2004 at 4:22 PM mail:

Postumi di un'incredibile Lazio-Roma, digos e tifo si accusano delle violenze. Arrestati all'alba di ieri i tre tifosi che erano entrati in campo per convincere Totti a non giocare, si aggiungono ai quindici arrestati durante gli incidenti. Episodio di follia collettiva o piano preordinato nelle curve? Le accuse formali si riducono ma resta il giallo.

Il derby della follia è continuato anche di lunedì ma con altre squadre. Invece di Lazio e Roma sono scese in campo la questura e la Digos della capitale: devono vedersela con gli ultrà delle due curve, sospettati addirittura di un complotto che ha fatto saltare la partita di domenica sera. Secondo il prefetto Serra e il questore Cavaliere, entrambi all'Olimpico, laziali e romanisti si sarebbero accordati per diffondere la falsa notizia del ragazzino ucciso dalla polizia. Ma proprio le forze dell'ordine sono accusate di aver provocato il caos: sulle radio private romane i tifosi, soprattutto romanisti, raccontano delle cariche prima della partita e nel primo tempo sotto la curva sud, dei blindati della guardia di finanza lanciati in mezzo alla gente nel piazzale tra la curva e la tribuna Tevere, dei lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo o a casaccio sugli spalti, delle manganellate a donne e anziani... E' successo anche sotto gli occhi di chi scrive: sul lungotevere, quando ormai era tutto finito, un celerino ha sfondato i vetri di una macchina per reagire a un insulto, gli occupanti dell'auto sono stati malmenati (compresa una ragazza) e con loro un operatore tv. E allora si capisce che allo stadio Olimpico l'abbiamo scampata bella, che il morto poteva scapparci per davvero, altro che psicologia delle folle. Anche perché la polizia, oltre a lamentare 153 feriti refertati (soprattutto contusi ma anche qualche frattura e ferite da taglio), ha le sue buone ragioni nel denunciare le aggressioni, le coltellate e le bombe carta imbottite di bulloni e lanciate sui reparti. E se è vero che il deflusso è stato assicurato, limitando i danni, la prolungata chiusura dei cancelli ha scatenato rabbia. La gente si sentiva in trappola. All'alba di ieri mattina la Digos è andata a prelevare i tre ultrà giallorossi che in diretta tv, all'inizio del secondo tempo, eranp scesi in campo ad avvertire Totti e compagni, invitandoli a non giocare. A uno di loro è stato contestato, in base alle riprese televisive acquisite dalla polizia, di aver detto di aver parlato personalmente con la madre del giovane rimasto ucciso. E a tutti di aver insistito nonostante le smentite del prefetto, del questore e degli altoparlanti dello stadio, spingendo Totti a convincere gli altri calciatori. E le minacce? Erano consapevoli della falsità della notizia? E i laziali, dall'altra parte, cosa ne sapevano? Le certezze della prima ora, che quando si tratta di ultrà sono facili, si sbriciolano.

Le accuse infatti sono piuttosto blande, invasione di campo (violazione della legge sulla violenza negli stadi, articolo 6) e violenza privata. Non c'è minaccia, non c'è procurato allarme: ipotesi di reato coerenti con i ragionamenti fatti a caldo da questore e prefetto. Rischiano di più alcuni dei quindici arrestati durante gli incidenti. I tre sono stati portati in questura senza avvocato, formalmente arrestati in flagranza perché per tutta la notte la Digos aveva lavorato, e ascoltati solo «informalmente». Hanno tra i 27 e i 34 anni, non sono veri e propri capi ultrà. Stefano Sordini e Roberto Maria Morelli appartengono agli Asroma ultras, il gruppo forse più forte numericamente, Stefano Carriero ai Tradizione e distinzione Roma, il più esplicito nelle simbologie d'estrema destra fino ai cappellini inneggianti alla brigata nazista Charlemagne. Nessuno avrebbe precedenti da stadio, Carriero è stato segnalato per la partecipazione a iniziative di estrema destra, caratteristica assai diffusa nella curva romanista quanto tra i laziali degli Irriducibili e della Banda noantri. Non a caso c'era anche questo ragionamento «politico» dietro l'idea del complotto. E del resto, negli ultimi anni, ultrà delle due sponde si davano appuntamento al derby per attaccare insieme la polizia.

Domenica sera non è andata così, se non dopo la sospensione della partita e comunque in misura marginale, perché ai laziali della curva nord è stato impedito per diverse ore di uscire dallo stadio (come in quasi tutti i settori). Gli scontri però ci sono stati anche prima della partita, fin dalle 18 nella zona della curva romanista. E sono proseguiti all'interno, nel piazzale tra il cancello della curva e la rampa che porta agli spalti, riprendendo vigore alla fine del primo tempo. «La partita doveva essere sospesa già allora - protestano molti tifosi romanisti che erano in sud - anche se non si fosse diffusa la notizia del morto». Ma quella notizia aveva già fatto il giro dello stadio, forse davvero perché un bambino aveva avuto un malore sotto la sud ed era stato portato via. Senz'altro c'era il clima adatto, specie tra i romanisti. Solo una settimana fa la Roma aveva dovuto giocare a Villareal a poche ore dalle stragi sui treni: per l'ennesima volta il calcio non si era fermato di fronte ai morti, quelli veri.



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