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Continua l'assedio di Melfi
by dal manifesto Thursday, Apr. 22, 2004 at 7:39 PM mail:

Terzo giorno consecutivo di blocchi ieri allo stabilimento «modello» della Fiat, dove si lavora molto e guadagna poco. L'unico risparmiato dalla cassa integrazione, «grazie» gli orari da robot: due settimane consecutive nel turno di notte. La Fiom chiede all'azienda di sedersi a un tavolo. «Altrimenti deve intervenire il governo».

È sempre più tesa la situazione davanti ai cancelli della Fiat Sata di Melfi, i blocchi continuano e nuovi lavoratori si aggiungono allo sciopero. Ieri le segreterie dei sindacati contrari alle manifestazioni - Fim Cisl, Uilm e Fismic - hanno addirittura pensato di organizzare una contromanifestazione per «affermare il diritto al lavoro di chi non è d'accordo con le proteste». I segretari si sono dovuti beccare più di un fischio da iscritti e delegati, e diverse Rsu - che avevano già firmato un documento comune con Fiom Cgil e Cobas - hanno deciso di tornare ai presidi accanto ai colleghi: l'assemblea è terminata dunque con l'invito a «ritrovare l'unità» invece che con l'atteso «contromanifestiamo». In effetti non è più questione di sigla, qui a Melfi si scoppia davvero e la Fiat deve trattare. Altrimenti il lavoro non riprenderà. Gli operai dello stabilimento «modello» della Fiat - la produttività più alta con il salario più basso - non ce la fanno più a sopportare. E dire che i denti li hanno stretti nei dieci anni dall'apertura della fabbrica: hanno dovuto digerire oltre 7.500 contestazioni disciplinari, sospensioni, licenziamenti a raffica dei delegati sindacali. «Non siamo ribelli, la nostra non è una rivolta - ci tengono a correggere un cronista forse un po' troppo influenzato dal linguaggio televisivo - Siamo qui per difendere i nostri diritti, è uno sciopero pacifico». Il primo di queste dimensioni dall'apertura della Sata. Sì, gli operai hanno proprio rialzato la testa.

Eppure lo spiegamento delle forze dell'ordine è quello delle grandi occasioni, i poliziotti sono diverse decine e hanno indossato gli indumenti antisommossa. Le dichiarazioni del governo - Sacconi e Maroni - e delle autorità locali - il sindaco di Melfi, di Forza Italia, e il prefetto - d'altra parte sono state tutte di un unico segno: i lavoratori creano problemi di ordine pubblico, teniamoli sotto controllo ed evitiamo che si degeneri. «Nessuno ha chiesto come mai gli operai protestassero - dice Antonio Pepe, segretario provinciale della Cgil - Abbiamo scritto al prefetto, abbiamo cercato un incontro con l'azienda. Nulla. Veniamo ignorati dal governo e dalla Fiat, che non tiene in alcuna considerazione le Rsu. Siamo tornati alla Mirafiori degli anni Cinquanta».

Ma cosa chiedono gli operai della Sata? E perché l'indotto - tutte le fabbriche che forniscono i componenti alla casa madre - sono con loro? A esporci la piattaforma è Giuseppe Cillis, segretario provinciale Fiom: «Chiediamo un miglioramento delle condizioni di lavoro, l'equiparazione salariale a tutti gli altri stabilimenti Fiat, una turistica più umana, con il superamento della doppia battuta». Bisogna sapere infatti che la fabbrica di Melfi è stato l'unico stabilimento risparmiato dalla cassa integrazione che sta martoriando le altre fabbriche Fiat proprio per il fatto che è convenientissimo: i 5 mila addetti lavorano con il Tmc2 - modello velocizzato di catena di montaggio - e soprattutto - caso unico - sono costretti a subire la cosiddetta «doppia battuta», ovvero turni di 12 o 15 notti consecutive, una vera mazzata anche per i cavalli. «In pratica - spiega uno degli operai - la prima settimana faccio il pomeriggio, ore 12-20, la seconda lavoro la mattina, dalle 6 alle 14 e per le successive due settimane la notte, dalle 22 alle 6 del mattino».

Si comincia la domenica notte e si finisce il sabato mattina, per poi riprendere subito la domenica notte successiva e chiudere (se dio vuole) il sabato mattina. E così per tutti i mesi. Negli stabilimenti del resto d'Italia, al contrario, si fa solo una settimana di notte. Senza contare che qui la «doppia battuta» tocca pure alle donne, mentre in tutta Italia le operaie Fiat sono risparmiate dal turno notturno. E non basta ancora: la discriminazione è anche salariale. Il lavoro notturno è valutato in tutti gli altri stabilimenti Fiat il 60,5%, qui a Melfi il 45%. Insomma, saremo mica dei caproni? Chi ha alzato la testa, soprattutto negli ultimi tre anni, si è così dovuto beccare le ire funeste dei dirigenti. «Basta un nulla - dice Pepe - e ti danno subito tre giorni di sospensione, senza passare neppure per contestazioni più leggere». I racconti di piccoli episodi sfociati in grosse punizioni si sprecano: «Vuoi che ti compriamo un altro taccuino? Quello che hai non basta», dicono gli operai. Contestazioni disciplinari per alcune briciole di un panino trovate sul pavimento, o per un giubbino appeso male. Perché non si ha la tuta di lavoro - «ma in molti casi è l'azienda a non fornircela», spiega il delegato Fiom Giovanni Barozzini - o, motivo meno futile, perché un capetto ti ha imposto di eseguire delle operazioni nuove e per le quali non hai ricevuto uno straccio di formazione. Tu non le sai fare? Sospensione. Un altro capetto ti ha detto di non partecipare all'ultimo sciopero generale, quello del 26 marzo. Tu rispondi che vai: ancora tre giorni di sospensione. E poi ci sono i problemi di salute, dovuti ai turni e ai ritmi: «un'altissima percentuale di lavoratori ha problemi alla schiena e soffre di tunnel carpale, una patologia che colpisce i polsi», spiega il delegato Slai Cobas Michele Passannante. L'indotto subisce le stesse pressioni antisindacali, e adesso deve pure far fronte a 400 richieste di cassa integrazione perché i livelli produttivi si sono ridotti: basti pensare che la Sata è passata, dal 2000 a oggi, da 1500 macchine al giorno a 1200. Adesso tocca alla Fiat muoversi.

«Finora ci hanno solo provocato», dice Lello Raffo, responsabile nazionale auto Fiom. «Come è accaduto con gli autobus inviati oggi, 100 capi che dicevano di voler andare al lavoro. Nessuno dei lavoratori ha fatto nulla, ma i pullman hanno fatto retromarcia senza entrare in fabbrica dicendo che erano stati i presìdi a intimidirli». L'incontro al sottosegretario Letta è stato richiesto, ieri c'è stata anche la solidarietà di cento deputati di tutti i gruppi che chiedono l'intervento di Berlusconi. «È giunto il momento che la presidenza del consiglio convochi le parti», dice il segretario generale Fiom Gianni Rinaldini. Ma la Fiat non ha ancora voluto sedersi al tavolo.


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