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Il blocco di Melfi diventa nazionale
by dal manifesto Friday, Apr. 23, 2004 at 12:01 PM mail:

Le lotte degli operai dello stabilimento «modello» hanno effetti a cascata. Critiche alle televisioni che non parlano delle manifestazioni. Flop del corteo dei quadri, di Fismic, Uilm e Fim: solo 150 persone. Ne avevano previste 4mila.

Stop totale degli stabilimenti Fiat italiani: ieri le fabbriche del gruppo torinese si sono fermate una dopo l'altra perché la protesta degli operai di Melfi, in sciopero da lunedì, ha ormai raggiunto dimensioni nazionali. La Fiat ha messo in libertà i lavoratori di Mirafiori, già fermi da mercoledì sera, e poi quelli di Termini Imerese. Successivamente è toccata alla Sevel Val Di Sangro: un «domino» deciso dall'azienda, che ha coinvolto oltre 7500 lavoratori, senza contare gli 8 mila lucani. Secondo la Fiat, la produzione si deve fermare perché non arrivano più i pezzi dallo stabilimento potentino (da ieri starebbero trasferendo materiale con gli elicotteri per evitare i blocchi). Lo stesso era accaduto nello scorso fine settimana qui a Melfi, quando i lavoratori della Sata erano stati messi in libertà perché quelli dell'indotto erano in sciopero. Serrate che non hanno fatto perdere consenso alla protesta di Melfi, ma che anzi l'hanno potenziata. I presidi decisi dai lavoratori della Sata stanno raccogliendo sempre più adesioni, e in Basilicata ci si prepara alla grande manifestazione nazionale di domani indetta dalle Rsu. Verranno anche i cittadini di Scanzano, già protagonisti della manifestazione contro il governo, che proprio in Basilicata voleva scaricare tutte le scorie nucleari del paese. «Ci saranno anche gli operai di Mirafiori, Termini Imerese, Termoli, Cassino, Pomigliano, Arese», afferma Lello Raffo della Fiom. Hanno aderito la Fiom nazionale e Piero Di Siena (Ds).

La giornata di ieri è stata anche caratterizzata da una particolarissima manifestazione indetta dai sindacati contrari allo sciopero, Fim, Uilm e Fismic. Un piccolo corteo - 150 persone, di cui solo una cinquantina capi Ute e operai di Fiat e indotto - hanno marciato dietro uno striscione che recitava «La Fiat è una fabbrica...!!». Insomma, vogliamo lavorare - dicevano in sostanza - ma quelli di Fiom, Slai Cobas, Ugl e Failm che presidiano i cancelli non ci fanno entrare in fabbrica. A dire il vero, l'unico tentativo fatto da chi voleva recarsi al lavoro è stato il viaggio di un centinaio di capi Ute, blindati in due pullman. I lavoratori dei presidi hanno detto che potevano proseguire a piedi, ma nessuno di loro ha tentato di scendere: hanno deciso di fare retromarcia. Secondo i segretari di Fim, Uilm e Fismic, presenti alla «contromanifestazione», i lavoratori che vogliono rientrare sarebbero «la maggioranza», solo che in piazza, degli attesi 4 mila lavoratori più uno non c'è stata affatto traccia.

«Noi siamo d'accordo su alcune posizioni di merito espresse da chi effettua i presidi - spiegano Liberato Canadà e Roberto Di Maulo, segretari di Fim e Fismic - Siamo per il superamento della doppia battuta (due turni uguali, anche notturni, di seguito, ndr)». E' l'unico punto in comune con la Fiom, perché sul mantenimento della settimana lavorativa di sei giorni e sulla equiparazione salariale con gli altri stabilimenti Fiat, Fim, Uilm e Fismic sembrano più possibilisti. Alla «contromanifestazione» si è fatto vedere anche il vescovo di Melfi, Gianfranco Todisco, che ha invece snobbato gli operai dei cancelli. Visiterà anche loro? «Ho saputo solo ieri delle proteste - ci ha risposto - Vorrei andare domani, ma devo seguire in processione la Madonna su per un paesino in montagna. Certo, vorrei sapere perché i lavoratori sono divisi, è una cosa che mi dispiace e spero che ritrovino l'unità». Solidarietà anche del sindaco, di Forza Italia. Tornando ai cancelli della Sata, moltissime sono le operaie presenti. Ci spiegano le difficoltà quotidiane, da madri e da donne, nell'affrontare la doppia battuta. «Fai una settimana di mattina - spiegano - poi due di notte e una di pomeriggio. Si ricomincia con 2 turni di mattina, poi uno di notte e due di pomeriggio».

Sempre così, e una volta ogni anno e mezzo capitano anche tre settimane di seguito con lo stesso turno. Un vero massacro. «Non puoi fare vita sociale, sei prigioniero del lavoro, non pensi ad altro. Finisci il turno notturno la mattina del sabato e poi subito, domenica sera, devi tornare per fare un'altra settimana. Non c'è tempo di vedere i parenti, di badare ai nostri bambini». Un'altra operaia racconta la sua giornata durante i turni notturni: «Vengo al lavoro alle 22 ed esco alle 6 - ci spiega - Torno a casa, accompagno i bambini a scuola e mi metto a dormire per due ore. Mi sveglio alle 12 e preparo il pranzo. Mi rimetto a letto un altro paio di ore, faccio le faccende di casa, preparo la cena e alle 21 riparto per andare al turno». Ecco i robot della Sata: come si fa a resistere anni così senza scoppiare? Forti le proteste per la copertura mediatica: «Perché paghiamo il canone Rai - ci dice un'operaia - se al Tg1 e al Tg2 danno al massimo una notizia breve nelle edizioni notturne? Abbiamo visto un servizio al Tg3, ma, a parte quello, su di noi c'è il silenzio totale». Luisa LoVaglio, operaia invalida, spiega di essere stata «terziarizzata» e di aver rischiato di finire «tra i rifiuti, dopo la cassa integrazione». Tonino Innocenti era delegato Fiom: «Sono stato licenziato e adesso sono in causa per il reintegro». Anche l'indotto, spiegano Pasquale Suozzo, Alessandro Zenti e Vittorio Cilla (Fiom), è con gli operai Sata, soprattutto per il fatto che le 23 aziende aderenti al consorzio Acm sono sorde a qualsiasi dialogo.

Eppure, nonostante la gestione «berlusconiana» dell'informazione, le cose a livello nazionale cominciano comunque a muoversi. Il governo non ha ancora convocato le parti, come chiedono Fiom e Cgil, ma la Fiat scalpita: ieri, attraverso il responsabile delle relazioni industriali Paolo Rebaudengo, ha dato la disponibilità a incontrare Fim, Uilm e Fismic. E la Fiom? «Non ce lo hanno chiesto», ha risposto Rebaudengo. Il segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini dice che la Fiat segue il metodo del «se c'ero, stavo dormendo».

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