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SudMayDay 04
by Sandino Sunday, May. 02, 2004 at 9:59 AM mail:

Qualche riflessione

Purtroppo non sono bravo a incensare : sottopongo, al contrario, alla vostra attenzione alcune considerazioni critiche sulla “SudMayDay 2004”.
Anzitutto la soggettività dei partecipanti . Mi pare doveroso un giudizio che collochi la natura sociale dei partecipanti nella “sinistra militante” palermitana. Inutile ( e fuorviante) pensare di aver fatto il corteo-parata delle realtà “ del lavoro precario ecc.” : inutile perché prenderemmo in giro noi stessi, fuorviante perché non comprenderemmo la vera natura sociale di un processo di marginalizzazione del Sud ( anzi dei Sud) che produce soggettività molto più complesse e a tutt’oggi prive di rappresentanza . Mi riferisco ai “nuovi poveri” , quelli magari con posto fisso o pensione di anzianità; mi riferisco ai lavoratori delle micro-imprese del commercio, mi riferisco a chi non è neanche precario, ma molto di meno ( e ce sono…) . Mi riferisco a quella galassia ( proletaria, sottoproletaria…boh!) che vive di espedienti, sempre in bilico…” tra il legale e l’illegale”.
Costoro, avevano presenza e visibilità nel corteo? No, o almeno non me ne sono accorto…!
Riconoscere questo limite sarebbe un primo fatto positivo e un’apertura non scontata verso inedite interlocuzioni. Perché non lanciare una sfida al sindacalismo confederale su tutto l’universo “lavoro” ? Non è sintomo (grave) di subalternità pensare a raccogliere le “marginalità” dando per scontato la rappresentanza confederale di intere categorie di lavoratori ?
Evitare di riflettere su questo piano implica inoltre una fuga di responsabilità che costringe spesso a torsioni dialettiche molto negative : perché Melfi è a Sud e non mi pare di averne letto alcunché sui documenti di convocazione della “SudMayDay 2004” !!!!

Questo primo grappolo di riflessioni possono (potrebbero) servire da introduzione ad un’altra “linea di confine” molto delicata : sul piano dei contenuti non possiamo gridare alla precarizzazione e al reddito garantito e con questo “metterci a posto” in una “sana” posizione antagonista..ecc
Ancora una volta (scuserete il mio tardo-operaismo) il luogo della contraddizione non è l’apparenza di un lavoro precario – spesso assimilato ad un ritardo rispetto ad uno sviluppo” garantista “- ma la sostanza ultramoderna di uno sviluppo capitalista che non crea precariato perché è dominato dagli istinti barbari di “uomini cattivi” , ma perché ha superato una fase , il fordismo keynesiano, la fase del welfare, e ha messo “al lavoro” l’intera società ( il “vecchio “intero sociale di Lukacs!!) in forme sorprendenti e per noi spesso intelligibili.

Penetrare nei recessi della produzione c.d. post-fordista ( processo ambivalente e non concluso vedi Melfi e la crisi Fiat) non vuol dire (solamente) entrare nei Call Center ma interrogare la “produzione” capitalistica dentro i luoghi, come dicevamo una volta, che sputano il valore-lavoro, quelli determinanti per i processi di valorizzazione capitalistica.
Per esempio cosa c’è di più determinante oggi per la produzione di profitto che i processi di finanziarizzazione del capitale ? Avete idea di quali e quante “capacità cognitive” ogni giorno vengo mese “al lavoro” ? Quali e quante “attitudini comunicativo-linguistiche” subiscono quel processo di “sussunzione reale “ di cui parliamo ( a vuoto) nei nostri documenti?
Ritengo necessario , e vado a terminare , la ricostruzione di un “lessico” , di una comprensione del reale che faccia i conti con una fase dello sviluppo capitalistico che tendenzialmente approfondisce contraddizioni e vie di fuga ma che resta spesso compreso solamente nei suoi lati marginali e periferici : da questa mancanza di analisi nascono approcci quasi “caritatevoli” nei confronti della “moderna” precarizzazione nell’utilizzo della merce forza-lavoro. La stessa tematica del “salario garantito” resta confinata dentro il “diritto individuale ad un reddito” e non scavalca il recinto del “sapere sociale generale” non retribuito.
Ricostruire la comprensione dei processi , ovviamente, ma vale la pena precisarlo, non vuol dire analizzare staticamente “come si lavora” in questa fase dello sviluppo capitalistico, come è organizzata la produzione, come sono strutturate le relazioni cooperative ecc.
Vuol dire rovesciarne il senso verso la “ricomposizione politica” del soggetto rivoluzionario , trovare gli “sfoghi “ sovversivi dentro meccanismi nati per valorizzare il Capitale ma gravidi di insospettabili possibilità di fuoriuscita dal dominio del profitto.
Naturalmente tutto ciò nasconde un’insidia pericolosa che non nego : la possibilità che ad una produzione “immateriale” (tendenzialmente tale) corrisponda un’alternativa altrettanto immateriale (realmente tale) .E’ necessario al contrario porre la “ricomposizione “ politica di classe dentro un orizzonte definito di alternativa politica e sociale al dominio capitalistico, dentro un programma di transizione a nuovi rapporti sociali e di produzione. Insomma il comunismo resta, per me l’alternativa alla barbarie, l’orizzonte necessario alle lotte “dei pezzenti” anche “oltre il Novecento”.


Spero di non avervi annoiato tanto ma di avervi messo qualche pensiero (spero utile ) nella testa.



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