la banalità del male- ungheria by hannah arendt Tuesday July 29, 2003 at 03:59 PM
Tratto da "La banalità del male" di Hannah Arendt. Pagg.201-209
"" ... All'inizio degli anni '30 gli ungheresi, sotto l'influenza del fascismo italiano, avevano prodotto un forte movimento fascista, quello delle "Croci frecciate," e nel 1938, sempre seguendo l'esempio dell'Italia, avevano approvato le prime leggi antisemite. Benchè nel paese la Chiesa cattolica fosse molto potente, queste leggi colpivano anche gli ebrei che si erano convertiti dopo il 1919, e tre anni più tardi furono estese perfino a coloro che si erano convertiti prima di quella data. E tuttavia, anche quando questo rigoroso antisemitismo a sfondo razzista fu divenuto la politica ufficiale del governo, undici ebrei seguitarono a sedere sui banchi del Senato ungherese, e l'Ungheria fu l'unico satellite dell'Asse a mandare sul fronte orientale truppe ebraiche (assieme ai nazisti!n.d.t.): centotrentamila uomini assegnati ai servizi ausiliari, in uniforme ungherese. La spiegazione di queste incoerenze è che gli ungheresi, malgrado la loro politica ufficiale, erano quelli che più nettamente distinguevano tra ebrei indigeni e Ostjuden: nel caso specifico, tra gli ebrei "magiarizzati" dell'Ungheria di Trianon" (riorganizzata cioè, al pari di tutti gli altri Stati di quell'area, dal trattato di Trianon) e gli ebrei dei territori annessi di recente. La sovranità dell'Ungheria fu rispettata dai nazisti fino al marzo del 1944, col risultato che per gli ebrei il paese fu per tutto quel tempo un'isola di sicurezza in un oceano di distruzioni." Ma se è comprensibile che alla fine il governo tedesco decidesse di occupare l'Ungheria (l'Armata Rossa avanzava attraverso i Carpazi e il governo ungherese cercava disperatamente di seguire l'esempio dell'Italia e di concludere un armistizio separato), è quasi incredibile che ancora fosse all'ordine del giorno la soluzione o meglio la "liquidazione del problema ebraico", come diceva Veesenmayer, il quale in un rapporto inviato al ministero degli esteri nel dicembre del 1943 la definiva "'un presupposto fondamentale per tenere impegnata l'Ungheria nella guerra." La "liquidazione" di questo "problema" significava evacuare ottocentomila ebrei, più cento o centocinquantamila ebrei convertiti. Comunque sia, data la mole e l'urgenza del lavoro, nel marzo del 1944 Eichmann, come abbiamo detto, arrivò a Budapest assieme a tutto il suo stato maggiore: cosa che non gli fu difficile, poichè in tutti gli altri paesi questa gente non aveva ormai più niente da fare. E così egli aveva richiamato Wisliceny e Brunner dalla Slovacchia e dalla Grecia, Abromeit dalla Jugoslavia, Dannecker dalla Bulgaria, Siegfried Seidl da Theresienstadt, e, da Vienna, Hermann Krumey, destinato a divenire suo vice in Ungheria . Da Berlino portò con se tutti i principali funzionari del suo ufficio: Rolf Gunther, che era stato suo sostituto, Franz Novak, addetto alle deportazioni, e Otto Hunsche, suo esperto legale. Il Sondereinsatzkommando Eichmann era composto dunque da una decina di persone (a cui erano da aggiungere alcuni assistenti ecclesiastici) quando stabilì a Budapest il suo quartier generale. La sera stessa dall'arrivo, Eichmann e i suoi uomini invitarono i capi ebraici a una conferenza per indurli a formare un Consiglio ebraico (Judenrat) tramite il quale emanare gli ordini e a cui concedere, in cambio, la giurisdizione assoluta su tutti gli ebrei presenti nel paese. Non fu un gioco facile, in quel momento e in quel posto. E infatti, per usare le parole del nunzio apostolico, ormai "tutto il mondo sapeva che cosa significasse in pratica la deportazione"; e a Budapest, inoltre, gli ebrei avevano potuto seguire benissimo le vicende dei loro sfortunati fratelli europei. "Sapevamo benissimo quale era il lavoro degli Einsatzgruppen; sapevamo su Auschwitz anche più del necessario," come disse il dott. Kastner nella sua deposizione a Norimberga.
Naturalmente; i "poteri ipnotici" di Eichmann, da soli, non sarebbero mai bastati per convincere la gente che i nazisti avrebbero rispettato la sacra distinzione tra ebrei "magiarizzati" ed ebrei orientali; la tendenza ad autoingannarsi doveva essersi trasformata in un'arte raffinatissima, se i capi degli ebrei ungheresi, in un momento come quello, poterono convincersi che in Ungheria "non sarebbe successo niente" ("Come potrebbero mandar via dall'Ungheria gli ebrei ungheresi?") e continuare a crederci anche quando i fatti dimostravano ogni giorno il contrario. Come ciò potè avvenire ce lo spiega una delle frasi più paradossali che si siano udite da un testimone al processo Eichmnn: i futuri membri del Comitato centrale ebraico (cosi si chiamò in Ungheria il Consiglio ebraico) avevano sentito dire dai vicini slovacchi che Wisliceny accettava volentieri somme in denaro, e sapevano anche che malgrado i compensi egli "aveva deportato tutti gli ebrei slovacchi." Orbene, a quale conclusione giunse il signor Freudiger? "Capii che bisognava far di tutto per entrare in contatto con Wisliceny."
In questi difficili negoziati la più abile trovata di Eichmann fu di far finta che lui e i suoi uomini fossero individui venali. Il capo della comunità ebraica, lo "Hotrat" Samuel Stern, membro del Consiglio privato di Horthy, fu trattato con la massima cortesia e accettò di divenire il presidente del Consiglio ebraico. Stern e i suoi colleghi tirarono un respiro di sollievo quando furono invitati a fornire macchine da scrivere e specchi, biancheria femminile e acqua di colonia, Watteau originali e otto pianoforti -anche se di questi strumenti ben sette andarono graziosamente allo Hauptsturmfuhrer Novak, il quale esclamo: "Ma, signori, io non ho intenzione di aprire un negozio di pianoforti; voglio soltanto suonare un po'." Eichmann, dal canto suo, visitò, la Biblioteca ebraica e il Museo ebraico, e assicurò a tutti che si trattava di provvedimenti provvisori. Ma la corruzione, dapprima simulata, ben presto si dimostrò quanto mai reale, benchè non prendesse la forma che gli ebrei speravano.
In nessun 'altra parte del mondo gli ebrei spesero tanto denaro più inutilmente.
Come disse lo strano signor Kastner: '"Un ebreo che trema per la vita sua e della sua famiglia perde completamente il senso del denaro" (sic!).
Al processo la cosa fu confermata dalla testimonianza di Philip von Freudiger, già da noi menzionato , come pure dalla deposizione di Joel Brand, che in Ungheria aveva fatto parte di un organismo ebraico rivale, il "Comitato sionista di soccorso e riscatto". Nell'aprile del 1944 Krumey ricevette da Freudiger non meno di centocinquantamila dollari, e il Comitato sionista pagò ventimila dollari soltanto per avere il privilegio d'incontrarsi con Wisliceny e con alcuni esponenti del controspionaggio delle SS. In quella riunione, ciascuno dei tedeschi presenti ricevette un ccmpenso supplementare di mille dollari e Wisliceny ripropose il suo cosiddetto Piano Europa (gia avanzato invano nel 1942), stando al quale Himmler sembrava disposto a risparmiare tutti gli ebrei, tranne quelli polacchi, per una somma di due o tre milioni di dollari. Convinti da questa proposta, che tempo addietro era stata invece accantonata, gli ebrei si misero ora a pagare degli acconti a Wisliceny. Perfino l'"idealismo" di Eichmann vacillò in questo paese dell'abbondanza. L'accusa, sebbene non potesse dimostrare che Eichmann si era macchiato di concussione, sottolineò giustamente come a Budapest egli conducesse una vita molto agiata, alloggiando in uno dei migliori alberghi della città, facendosi portare in giro da un autista su un'auto anfibia (dono indimenticabile di quel Kurt Becher che poi sarebbe divenuto suo nemico} praticando la caccia e l'equitazione e insomma permettendosi, sotto la protezione dei suoi nuovi amici ungheresi, tutti i lussi che fino ad allora aveva potuto soltanto sognare.
Tuttavia, in Ungheria esisteva anche un gruppo cospicuo di ebrei i cui capi (almeno loro) non ingannavano se stessi a questo modo. Il movimento sionista ungherese era sempre stato molto forte, ed ora aveva propri rappresentanti nel Comitato di soccorso e riscatto (il Vaadat Ezza va Hazalah), quell'organismo, da poco fondato, che tenendosi in stretto contatto con l'Ufficio per la Palestina aveva aiutato profughi polacchi e slovacchi, jugoslavi e rumeni; il comitato era anche in continuo contatto con l'American Joint Distribution Committee, che lo finanziava, ed era perfino riuscito a fare arrivare qualche ebreo in Palestina, legalmente o illegalmente.
Ora che la catastrofe stava per abbattersi sul loro paese, i sionisti ungheresi si misero a fabbricare "documenti ariani," certificati di battesimo per permettere alla gente di eclissarsi più facilmente. Quali che fossero i loro principi e loro idee, i capi sionisti sapevano di essere dei fuorilegge e agivano di conseguenza.
Joel Brand, lo sfortunato emissario che mentre infuriava la guerra dovette presentare agli A1leati la proposta di Himmler per lo scambio di un milione di ebrei contro diecimila camion, era uno dei principali funzionari del Comitato di soccorso e riscatto, e come il suo vecchio rivale ungherese Philip von Freudiger venne a Gerusalemme, quando Eichmann fu processato, per testimoniare sui rapporti che aveva avuto con l'imputato. Mentre Freudiger (che tra parentesi Eichmann non ricordava affatto) raccontò di essere stato trattato in maniera rude negli incontri con i nazisti, la deposizione di Brand confermò molte cose narrate da Eichmann a proposito dei negoziati tra tedeschi e sionisti.
Brand si era sentito dire che lui, "ebreo idealista," stava parlando con un "tedesco idealista"-due nemici onorati che s'incontrano da pari a pari durante una tregua. Eichmann gli aveva detto: "Domani forse saremo di nuovo sul campo di battaglia." Naturalmente era una commedia orribile; ma dimostra come il gusto di Eichmann per le frasi altisonanti e vuote non fosse una posa fittizia, un atteggiamento fabbricato apposta per il processo di Gerusalemme. Ancor più interessante è notare che negli incontri con sionisti ne Eichmann ne alcun altro membro del Sonderinsatz-kommando ricorreva alla tattica della pura menzogna, tattica usata invece con i signori del Consiglio ebraico. Neppure adoperavano un linguaggio convenzionale, e quasi sempre dicevano pane al pane e vino al vino. Inoltre, quando si trattava di negoziare su cose concrete (prezzo di un permesso d'uscita, Piano Europa, scambio di ebrei con camion), non solo Eichmann, ma anche Wisliceny, Becher, gli uomini del controspionaggio con cui Joel Brand s'incontrava ogni mattina in un caffè, preferivano sempre rivolgersi ai sionisti: e la ragione era che il Comitato di soccorso e riscatto aveva i necessari contatti con l'estero e più facilmente disponeva di valuta straniera, mentre il Consiglio ebraico aveva dietro di se soltanto la più che dubbia protezione del reggente Horthy.
Piu tardi si ebbe a constatare che in Ungheria i funzionari sionisti avevano goduto privilegi maggiori che non la solita immunità provvisoria concessa ai membri del Consiglio ebraico. I sionisti erano liberi di andare e venire a piacimento, erano esonerati dal portare la stella gialla, potevano visitare i campi di concentramento ungheresi; e qualche tempo dopo il Dott. Kastner, fondatore del Comitato di soccorso e riscatto, poteva addirittura viaggiare per la Germania nazista senza documenti d'identita, da cui sarebbe risultato che era un ebreo.
Con tutta l'esperienza che si era fatta a Vienna, Praga e Berlino, Eichmann riuscì comunque a organizzare un Consiglio ebraico; e non ci mise più di due settimane.
Il problema era piuttosto vedere se ora sarebbe riuscito a farsi aiutare dai funzionari ungheresi in un'operazione di tanta mole. Questa era per lui una cosa un po' nuova. A regola, sarebbe toccato al ministero degli esteri e ai suoi rappresentanti provvedervi: e nel caso specifico, al dott Edmund Veesenmayer, nominato di fresco plenipotenziario del Reich, e Eichmann si sarebbe dovuto limitare ad assegnargli un "consigliere ebraico." Personalmente, Eichmann non aveva nessuna predisposizione per fare il consigliere, e del resto questa carica era sempre rivestita al massimo da uno Haaptsturmfuerer o capitano, mentre lui era un Obersturmbannfuehrer ossia tenente colonnello, cioè era due gradi più in alto.
In Ungheria la sua più grande vittoria consistè appunto nel fatto che riuscì a stabilire contatti con personaggi importanti, per proprio conto: soprattutto con tre uomini-Laszlo Endre, che grazie a un antisemitismo definito "pazzesco" perfino da Horthy, era stato di recente nominato segretario di Stato addetto agli affari politici (ebraici) presso il ministero degli interni; Laszlo Baky, sottosegretario anche lui del ministero degli interni, che dirigeva la gendarmeria (polizia) ungherese; e il tenente colonnello Ferenczy, della polizia, che si occupava direttamente delle deportazioni. Con il loro aiuto Eichnnann poteva esser certo che tutto si sarebbe svolto "in un lampo": dall'emanazione dei necessari decreti, all'internamento degli ebrei delle varie province.
A Vienna ebbe luogo una conferenza speciale a cui parteciparono anche i dirigenti delle ferrovie di Stato tedesche, dato che si trattava di trasportare quasi un milione di persone.
Hoss, ad Auschwitz, fu informato dei piani dal sua superiore, il generale Richard Glucks del WVHA, e ordinò la costruzione di un nuovo binario in modo da portare i vagoni a pochi metri dai crematori; il numero degli uomini dei commandos della morte fu aumentato da 224 a 860 sicchè tutto era pronto per uccidere dalle seimila alle dodicimila persone al giorno.
Quando nel maggio del 1944 i treni cominciarono ad arrivare, soltanto pochissimi "uomini di robusta costituzione fisica" furono selezionati e mandati a lavorare nelle fonderie Krupp di Auschwitz. (La fabbrica che i Krupp si erano da poco costruiti in Germania nei pressi di Breslavia, la Berthawerk,raccoglieva manodopera ebraica dove poteva, tenendola in condizioni ancora peggiori di quelle in cui vivevano le squadre di lavoro nei campi di sterminio.)
L'operazione ungherese durò meno di due mesi; poi, all'inizio di luglio, improvvisamente si arrestò.
Grazie soprattutto ai sionisti, questa fase della tragedia ebraica era stata portata più d'ogni altra a conoscenza del mondo, e dai paesi neutrali e dal Vaticano era piovuta su Horthy una valanga di proteste.
Il nunzio apostolico, però, ritenne opportuno precisare che la protesta del Vaticano non scaturiva "da un falso sentimento di compassione" -una precisazione che probabilmente resterà nella storia a testimoniare in eterno quanto le continue trattative e il desiderio di scendere a compromessi con gli uomini che predicavano il vangelo della"spietata durezza" avessero influito sulla mentalità dei massimi dignitari della Chiesa.
Ancora una volta la Svezia fu la prima a prendere misure pratiche, distribuendo permessi d'ingresso, e la Svizzera, la Spagna e il Portogallo seguirono il suo esempio tanto che, alla fine, circa trentatremila ebrei furono ospitati a Budapest in edifici speciali protetti da paesi neutrali.
Gli Alleati avevano ricevuto e pubblicato una lista di settanta nomi, i nomi dei principali responsabili delle persecuzioni, e Roosevelt aveva mandato un ultimatum in cui diceva: "II destino dell'Ungheria non sarà uguale a quello di nessun altro paese civile.. se non si sospenderanno le deportazioni."
Alle minacce seguirono i fatti: il 2 luglio Budapest fu sottoposta a un violentissimo bombardamento aereo.
Così premuto da tutte le parti, Horthy ordinò che si arrestassero le deportazioni.
Eichmann però, anzichè obbedire all'ordine del "vecchio pazzo," deportò a meta luglio altri millecinquccento ebrei che si trovavano in un campo di concentramento situato nei pressi della capitale magiara e più tardi, al processo di Gerusalemme, questa fu una delle prove più gravi prodotte contro di lui.
Non solo, per impedire che i funzionari ebrei informassero Horthy, egli convocò i membri dei due organismi ebraici nel suo ufficio, e qui il dottor Hunsche si trattenne con vari pretesti finchè il treno non ebbe lasciato il territorio ungherese.
A Gerusalemme Eichmann disse di non ricordare nulla di questo episodio. I giudici, invece erano convinti che dovesse ricordare "molto bene" quella sua "vittoria su Horthy . Ma può darsi che si sbagliassero perchè per Eichmann Horthy non era un gran personaggio.
Quello fu a quanto pare l'ultimo treno che lasciò l'Ungheria diretto ad Auschwitz.
Nell'agosto del 1944 l'Armata Rossa entrò in Romania ed Eichmann fu mandato la a veder di salvare i tedeschi sbandati.
Quando rientrò in Ungheria, il regime di Horthy aveva trovato il coraggio necessario per chiedere il ritiro del Sondereinsatz-kommando, e lo stesso Eichmann chiese a Berlino il permesso di tornare in patria con i suoi uomini, dato che ormai erano "superfiui." Ma Berlino non aderì alla richiesta, e non ebbe torto, perchè verso la metà di ottobre ci fu un nuova capovolgimento della situazione.
Mentre i russi erano ad appena centocinquanta chilometri da Budapest, i nazisti riuscirono a rovesciare Horthy e a sostituirlo col capo delle "Croci frecciate," Ferenc Szalasi.
Non era più possibile spedire gente ad Auschwitz, perchè ormai si stavano smantellando gli impianti dello sterminio e, inoltre i tedeschi erano disperatamente a corto di uomini.
Così fu che Veesenmayer, il plenipotenziario del Reich, iniziò a trattare col ministero degli interni ungherese onde ottenere il permesso di mandare nel Reich cinquantamila ebrei- gli uomini di età compresa tra i sedici ed i sessant'anni e le donne al di sotto dei quarant'anni; nel rapporto che fece, Veesenmayer aggiunse che Eichmann sperava di mandarne poi altri cinquantamila.
Poiché non esisteva più materiale rotabile, si effettuarono marce a piedi del novembre 1944, marce che furono sospese soltanto per ordine di Himmler.
Gli ebrei costretti a compiere queste marce erano stati arrestati a casaccio dalla polizia ungherese, senza tener conto del fatto che molti avevano diritto ad essere esentati, e senza neppure tener conto dei limiti di età fissati nelle istruzioni originarie.
In queste marce gli ebrei erano scortati da "Croci frecciate" che li depredavano e li trattavano con brutalità estrema .
E questa fu la fine.
Degli ottocentomila ebrei che c'erano in Ungheria prima della guerra, circa centosessantamila si trovavano ancora nel ghetto di Budapest (le campagne erano già judefrein), e di questi, decine di migliaia rimasero vittime di pogrom spontanei. Il I3 febbraio 1945 il paese si arrese all'Armata Rossa.
I principali responsabili ungheresi dei massacri furono tutti processati, condannati a morte e giustiziati.
Degli istigatori tedeschi, invece, nessuno tranne Eichmann pagò con più di dieci anni di carcere.
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