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San Foca, gli immigrati si ribellano, e scatta la repressione
«Chiudete il cpt di San Foca», ed è caccia all'uomo tra i bagnanti Un arresto e 15 feriti tra gli anarchici che chiedevano la chiusura del centro.
Un arresto per violenza e minacce a pubblico ufficiale e 15 feriti tra gli anarchici che domenica davanti al Regina Pacis di San Foca hanno chiesto la chiusura dei centri di permanenza temporanea. E del cpt salentino in particolare, la cui «gestione» (il direttore don Cesare Lodeserto, 6 membri del suo staff e 11 carabinieri) è sotto processo per lesioni, maltrattamenti e abuso dei mezzi di correzione ai danni di 16 maghrebini lì trattenuti fino a novembre scorso. Una ventina gli anarchici che davanti al centro hanno lanciato qualche sasso mandando in frantumi le vetrate della direzione; una quindicina i poliziotti e i carabinieri in servizio. «Intervenuti solo per sedare la contemporanea rivolta interna», scrive la stampa pugliese. Di certo per riacciuffare uno dei maghrebini che, nel tentare di scavalcare la recinzione, è caduto sotto la presa dei carabinieri, uno dei quali rimasto ferito dal calcio del megafono impugnato da Salvatore Signore, unico arrestato. Giunti i rinforzi e serrato l'ingresso, poliziotti e carabinieri si sono lanciati a manganellate sui manifestanti. Prima un lungo inseguimento, poi la carica, dura, tra i bagnanti poco distanti. «C'era un ragazzo che non riusciva a rialzarsi. Aveva ecchimosi su tutta la schiena - racconta Claudio Longo, fotografo del Quotidiano. La rivolta si è poi allargata alle giovani trattenute in una delle strutture comunicanti con il cpt, un casermone basso controllato a vista dalla polizia. Dovrebbero godere dell'articolo 18 della legge 40 per aver denunciato i loro sfruttatori, ma stanno da anni con i loro bambini. «Per proteggerle», spiega Lodeserto. «Libertà, libertà», gridavano.
Alla fine, due i manifestanti fermati. Tra loro Signore, un anarchico di 34 anni di Casarano (Lecce), che domani sarà interrogato dal gip del tribunale di Lecce. Nulla trapela invece su quanto sia accaduto nel centro: su come, ad esempio, la rivolta sia stata sedata; o che fine abbia fatto il maghrebino che ha tentato la fuga. I deputati Ds Antonio Rotundo e Alberto Maritati, ieri in ispezione al centro, non lo hanno incontrato. «Ci hanno detto che si è rotto una gamba», riferisce Rotundo. Ma di lui nessuna traccia, né all'infermeria del centro né al pronto soccorso dell'ospedale. «Certo - aggiunge il diessino - nel cpt c'erano i segni della guerriglia: infissi divelti, vetri rotti, brandine a pezzi». Nessun segno invece sui trattenuti, su quelli che il direttore ha fatto incontrare loro. «L'aria che si respira lì dentro è violenta», conclude Rotundo, «sono anni che il Regina Pacis non è più un centro di accoglienza».
Quanto ai trattenuti, la direzione dichiara 160 presenze: nordafricani, tutti in attesa di espulsione. «Sessanta sono già stati condannati per reati gravi», racconta Lodeserto. «Dubito che questo possa spiegare tutto», ha commentato Rotundo. «Il Regina Pacis, come tutti i cpt, va chiuso», dice Antonella Mangia del Prc, «sono carceri preventive per persone che non hanno commesso alcun reato». Dello stesso avviso Roberto Aprile dell'Osservatorio sui Balcani di Brindisi, che aggiunge: «Quanto è accaduto al Regina Pacis conferma il desiderio di vendetta di chi, reprimendo il dissenso, fugge dalle responsabilità riempendosi le tasche». «Finché esisteranno i cpt questi episodi si ripeteranno», dichiara invece Silverio Tomeo dell'Arci Salento. E il quadro si allarga. «Non abbiamo riscontri su quanto sia accaduto all'interno. Alle associazioni - conclude - l'ingresso è vietato». Il 26 ottobre intanto a Lecce riprende il processo a carico dei «gestori» del Regina Pacis. Al momento solo l'Asgi (Associazione studi giuridici per l'immigrazione) si è costituita parte civile.
ORNELLA BELLUCCI
Il Manifesto
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