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SUDAN: il petrolio non c'entra niente!
by mazzetta Thursday, Aug. 05, 2004 at 8:17 AM mail:

Dicono così, ma.........

SUDAN: il petrolio n...
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Esattamente un anno fa, fonti missionarie dal Sudan riportavano l'inizio dell'offensiva governativa in Darfur.L'esercito circondava i villaggi, li bombardava con l'aviazione, e compiva una vera e propria pulizia etnica. Gli abitanti del Darfur erano puniti per l'appoggio allo SLA-M, L'esercito di liberazione della regione. Da allora non ci sono state tregue, ma solo notizie sempre peggiori. Il Sudan è il paese più vasto dell'Africa, ma frequenta pochissimo le colonne dei nostri giornali, non è facile avere un quadro d'insieme.

Il governo sudanese, presieduto da una specie di dittatore talebano che si chiama al-Bashir, è da anni al centro dell'attenzione delle cancellerie mondiali, ma è poco interessante per i media. Dopo il bombardamento di una fabbrica ai tempi di Clinton, e la seguente cacciata di Osama Bin Laden dal paese, il Sudan è scomparso dai media. Riappare ora, e pochi, nemmeno giornali informati come il Guardian, paiono possedere le informazioni minime necessarie.

Il governo sudanese ha pessimi rapporti con le diverse etnie e confessioni nel paese, lo stile è quello mistico-pauperistico talebano, all'insegna di un Islam troglodita che ricorda fanatismi comuni anche ad altre religioni: peggiora le cose la tendenza ad imporre questi stili di vita alle altre etnie, tendenza che ne ha provocato la ribellione. L'esclusiva alle scuole craniche non è piaciuta

Il paese è impossibile da controllare militarmente, è grande più di sette volte la Germania riunificata, con solo trentotto milioni di abitanti Fino all'anno scorso il maggiore problema del governo sudanese era lo SPLA, l'esercito dei cristiani del Sud. Per oltre venti anni tra Sud e Nord c'è stata una guerra che ha provocato milioni di morti, ma quando il Sudan entrò nel cono d'attenzione americano le sorti della guerra cambiarono. I sudanesi dovettero rinunciare ad usare l'aviazione, i cristiani si ritrovarono armati meglio e la situazione si fece presto di stallo. La strategia euramericana è sicuramente di lungo respiro, l'obiettivo petrolifero in questo caso è accuratamente dissimulato, sotto una doppia coltre, ma appare chiaro che la diplomazia internazionale agisce per mandato della lobby petrolifera.

Decisioni sponsorizzate dalle compagnie e dai loro interessi, sono direttamente responsabili di un genocidio. Il Darfur non è assurto agli onori della cronaca perché occorreva discrezione, occorreva nascondere l'ennesimo comportamento discutibile, l'ennesimo omaggio di vite umane alla teoria del controllo delle risorse. La politica occidentale in Sudan ha provocato nell'ultimo anno vittime dieci volte più numerose che in Iraq, e milioni di profughi. L'Occidente ha sponsorizzato un accordo di pace tra nord islamico e sud cristiano, dimenticando completamente la sorte delle altre etnie, semplicemente perché sui loro territori non c'è petrolio. L'evidenza supera l'omertà del sistema informativo: a gennaio, a Naivasha, in Kenia, Nord e Sud siglano una pace che precede la spartizione fifty-fifty dei proventi del petrolio sudanese, giacimenti ed oleodotti corrono esattamente sul confine ideale tra le due parti.

A patrocinare i colloqui di pace un inedito "quartetto": Usa, Gran Bretagna, Italia e Norvegia a rappresentare l'industria estrattiva dei rispettivi paesi. Controllare chi abbia parlato di questo prestigioso successo della diplomazia italiana è facile, qualche avventuroso notista in centesima pagina. Il fatto che il Sudan, noto stato-canaglia, fosse diventato degno di fede non incuriosì nessuno. Il risultato ovvio è stato che il governo sudanese, di nuovo nel business petrolifero, non più impegnato dai cristiani, si arma e schiaccia le altre etnie, ora l'attenzione è sul Darfur, ma il governo colpisce con la stessa durezza anche i monti Nuba, la regione del Nilo Azzurro e i sudanesi di origine eritrea. Concluso il business, il Darfur viene all'attenzione e la Gran Bretagna si dice pronta ad inviare truppe, gli Stati Uniti pure, la Francia sigilla le frontiere del Chad e tutti parlano dell'ennesimo intervento umanitario a mano armata.

Un protettorato che lede ancora una volta i confini di uno stato sovrano, il Sudan è rimasto sovrano neanche cinquant'anni, a mitigare le conseguenze della guerra per le risorse. Le compagnie guadagnano, i locali muoiono e gli stati occidentali non sono "costretti" ad intervenire per garantire gli investimenti, ma lo fanno per i poveri sudanesi. Ancora una volta i cittadini occidentali pagheranno un esercito per salvare le vittime provocate da una politica decisa di nascosto dalle opinioni pubbliche, lontano da valutazioni che non fossero quelle del profitto e del dominio geopolitico, obbligando, de facto, tutti gli occidentali, anche chi avrebbe dissentito ferocemente, a confrontarsi con l'ennesima tragedia incombente, tragedia di sangue, oltre centomila cadaveri costellano gia il deserto.

Immediatamente dopo la sigla della pace, il Sudan è stato segnalato come paese soggetto a "pericolo di genocidio" da un sito americano che custodisce la memoria dell'Olocausto. Tra l'inizio della repressione e l'allarme internazionale passano quattro mesi, da allora altri sette mesi di massacri, nel mezzo di questi sette mesi arrivano i primi aiuti internazionali: teli di plastica e basta, i profughi diventano tessere azzurre sull'assolato deserto sudanese, un anno di silenzio quasi impenetrabile, inspiegabile in un sistema con milioni di addetti all'informazione e tecnologie iperboliche.

Nel mezzo centinaia di migliaia di morti, milioni di sfollati in campi profughi che sono tavole di polvere nel nulla, l'ipocrisia dell'Onu e dell'informazione internazionale che fingono di credere alla storia dei terribili predoni, i teorici della "guerre giuste" in fibrillazione che scaldano i motori, i politici che arruffano posizioni senza senso. La Libia ha aperto un corridoio umanitario, tremila comodi chilometri di pista desertica, molto umanitario. Missionari ed Ong avranno un'altra dura prova, scaldano motori anche i bianchi gipponi. L'Onu ha dato un ultimatum di trenta giorni per arrestare le violenze, il governo lo rifiuta, ma accetta di attaccare i terroristi ugandesi, i terribili Olum di Joseph Koni che dalle basi sudanesi razziano il confine ugandese e promette di sottomettere i predoni, mentre l'Onu stessa deve intervenire per vietare l'invasione prima della scadenza del termine dato al regime sudanese.

Solo ora parte il circo: palla la centro.

Regge ancora il secondo livello di copertura, a chi solleva la questione del petrolio, i guardiani della verità oppongono il fatto che i giacimenti siano sotto contratto con i cinesi, il che dovrebbe sollevare ogni sospetto di interessi diretti del "quartetto" e dell'industria estrattiva. Spiegazione che spinge il Guardian, a dare dei fessi ai governi che hanno trattato con il Sudan e che ora vorrebbero invaderlo per consegnare il petrolio ai cinesi.. Affermazione che va completata. Il Sudan non ha un'industria estrattiva particolarmente sviluppata, il petrolio sudanese è ancora tutto da sfruttare, i contratti in essere non sono con i cinesi, ma con Cina, Indonesia ed India, e riguardano l'attuale, esigua, produzione sudanese.

Il velo cade con le parole di un funzionario Onu alla sigla della pace. Intervistato dalla BBC dichiarava che per i contratti preesistenti alla firma della pace sarebbe stata fatta una valutazione, i paesi partner infatti, non fornivano le necessarie garanzie di trasparenza, addirittura nessuno di loro aveva ancora firmato al convenzione internazionale contro la corruzione; il rapporto tra sud e nord sul petrolio doveva essere trasparente per garantire la pace.. Al suo fianco un rappresentante del governo sudanese si dichiarava soddisfatto perché finalmente il suo paese avrebbe avuto accesso alla tecnologia occidentale, che avrebbe migliorato notevolmente l'industria. Ovviamente questa trascurabile evoluzione del quadro politico sudanese ha interessato solo le borse, che hanno premiato le compagnie dei paesi che hanno "aiutato" la pace, giornali e media paiono avere informazioni confuse, forse perché quelle poche che sono filtrate andavano raccolte attraverso i mesi, quando i fatti avrebbero meritato attenzione, e non solo ora che gli effetti di allora si manifestano nell'ennesimo genocidio.

Vedremo nei prossimi mesi l'esito di questo ennesimo teatrino, un filone di successo con interpreti ormai rodatissimi ed esperti Difficilmente americani ed inglesi rovesceranno al-Bashir, ma l'occasione di un muscoloso intervento umanitario è allettante, probabile che il Darfur si trasformi in una specie di Kurdistan sudanese, sottratto al controllo di Karthoum, costretta ad osservare impotente a causa di un'inferiorità manifesta.


da:
http://www.reporterassociati.org/

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