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Bugie di sangue in Vaticano
by MOVIMENTO ANTICLERICALE Monday, Aug. 16, 2004 at 12:37 PM mail:

Il duplice omicidio commesso dalla guardia svizzera Cedric Tornay, che poì si tolse la vita, fu liquidato come un raptus. Ma intorno a quel tragico fatto di sangue non tutta la verità è stata scritta.




Tra i mestieri che sognava qualche nostro avo c'era pure quello di diventare guardia svizzera in Vaticano indossando la divisa multicolore disegnata da Michelangelo o quella blu per i servizi di piantonamento. E non riusciva a capacitarsi che il requisito essenziale fosse il possesso della cittadinanza elvetica. Toccherà poi a noi nipoti scoprire che da qualche tempo scarseggiavano gli arruolamenti tra gli stessi svizzeri e che proprio quella guarnigione tra le più antiche al mondo, fondata da papa Giulio II nel 1506, accusava un malessere che aveva anche portato a episodi di indisciplina e a qualche grave fatto di sangue.

Nella tarda mattinata dell’8 aprile 1959 l'allora comandante della Guardia svizzera, il colonnello Robert Nunlist, era stato colpito da 4 colpi di pistola del caporale Adolf Ruckert, il quale aveva tentato poi di suicidarsi, ma l’arma s’era inceppata, cosicché entrambi alla fine erano rimasti in vita, era stato ferito da un alabardiere. Ma il 4 maggio 1998, poco dopo le 21, il comandante Alois Estermann, 44 anni e la moglie Gladys Meza Romero, 49 anni, furono assassinati dal vicecaporale Cedric Tornay, 23 anni, che poi si suicidò davvero, dopo aver mandato una lettera alla mamma che iniziava così: "Spero che tu mi perdonerai perché sono stati loro a costringermi a fare quello che ho fatto. Quest'anno dovevo avere l'onorificenza e il colonnello me l'ha negata. Dopo tre anni, sei mesi e sei giorni passati a sopportare tutte le ingiustizie, l'unica cosa che io volevo me l'hanno rifiutata...".

Si parlò di raptus, gesto di follia, psicosi di persecuzione..."Mio nipote Cedric era un bravo ragazzo. Ha trascorso con noi le ferie di Natale, era sereno, non aveva pensieri", raccontava Gratien Tornay, nonno di Cedric, nella sua villetta di Saint Maurice, la cittadina del cantone vallese dove il 24 giugno 1974 era nato l'omicida-suicida, in forza alla Guardia Svizzera da tre anni e mezzo. Ma proprio il fatto che quel ragazzone alto un metro e ottanta, ritenuto da tutti gentile e riservato, avesse firmato un vicenda di sangue così clamorosa rendeva il clima ancora più fitto di suspence. E a molti dava adito a pensare che anche le mura vaticane in fondo potessero essere un angolo dell'universo violabile dal Male.

Il comandante Alois Estermann, aveva fama di uomo "serio, semplice, compito, colto, attaccato al dovere". E nella sua carriera era stato molto più di un semplice "angelo custode" che aveva seguito il Pontefice in ben 30 viaggi. Il 31 maggio del 1981 in piazza San Pietro era stato il primo a proteggere con il proprio corpo Giovanni Paolo II, ferito dai colpi di pistola sparati da Ali Agca. Proveniente a Roma dal villaggio svizzero di Gunzwill e da una famiglia di contadini, era arrivato nel 1980, da semplice alabardiere. Quando montava di guardia alla Porta Angelica le turiste se lo mangiavano con gli occhi, tanto era alto, bello e biondo. Ma il suo orgoglio erano le fotografie scattate in occasione dei pellegrinaggi con il Papa, accanto ai potenti della terra, in quanto non c'era foto del Pontefice in cui, silenzioso e appartato come un'ombra, non apparisse anche lui. Allergico agli eventi mondani fuori dall'ufficialità, aveva anche la stoffa del diplomatico e la vocazione del teologo. Il salto al grado di colonnello aveva finito per portarlo al comando delle Guardie Svizzere. Ma formalmente era riuscito a ricoprire solo per poche ore quell'incarico, spezzato dal piombo del vicecaporale. E nel suo tragico destino s'era portato dietro la bella moglie Gladys Meza Romero, originaria di Urica, nona figlia di una media famiglia borghese, plurilaureata, posto di lavoro all'ambasciata del Venezuela presso la Santa Sede, in passato anche modella e donna poliziotto, da 15 anni a fianco di Alois, in una lunga storia d'amore. Proprio il fatto che il vicecaporale Tornay avesse accomunato anche lei in quel gesto di follia esploso per la rabbia di un'onorificenza negata e di presunte ingiustizie, agli occhi dei più diventò la dimostrazione più chiara che la tragedia s'era consumata in un attimo.

L'inevitabile clamore richiamò l'attenzione del mondo sul minuscolo esercito che proprio in quei giorni celebrava il suo anniversario nel ricordo di quell'eroico 6 maggio del 1527 quando, durante il sacco di Roma, 127 guardie svizzere finirono scannate dai lanzichenecchi per coprire la fuga di Clemente VII che attraverso un passaggio segreto fortificato riuscì a mettersi in salvo a Castel Sant'Angelo. C'era dunque un alone di grande storia, sacrifici, leggenda e assoluta dedizione al Papa che accompagnava nei secoli la guarnigione di un piccolo Stato di 440 mila metri quadrati (260 mila coperti), in cui tra religiosi e laici abitavano o continuavano a operare circa 2 mila persone. E l'addestramento si susseguiva solo imparando a maneggiare l'alabarda, quella lancia arcaica da sei chili e lunga due metri da tirare in aria per riprenderla al volo con una mano sola. Quei giovanotti dal pennacchio solitamente di colore rosso che variava secondo il grado e con l'elmo d'alluminio per le udienze private e di ferro per le celebrazioni pubbliche con il Papa, avevano studiato arti marziali, si erano impratichiti nello judo e nel karatè, si erano esercitati con il fucile automatico mirando contro sagome di compensato, avevano studiato tattiche di controspionaggio e ultimato corsi di antiterrorismo. Che importava poi se nella dotazione, oltre alla spada e all'alabarda rimaneva innanzitutto la pistola calibro 9, modello Sig-Sauer, da portare solo durante i turni di notte o i servizi di sicurezza con la divisa blu?

La gloria di cui nel tempo si era coperta la Guardia Svizzera fu sempre tale che sino a qualche decennio fa per le famiglie cantonali era un onore fare arruolare i propri figli come soldati semplici di Sua Santità. Molti erano di origini nobili. Qualche casato, come quello degli Pfyffer von Althishofen, riuscì a fornire al Papato ben 11 undici comandanti e 30 ufficiali. Rigidi regolamenti medievali ressero sino alle soglie del Duemila. E sino al pontificato di Giovanni XXIII il soldato del Papa si genufletteva ogni volta in cui compariva al suo cospetto. Poi arrivarono diverse modernizzazioni ma anche uno sfoltimento degli organici sino a quello attuale, con un centinaio di elementi tra capitano comandante (grado di colonnello), cappellano, 4 ufficiali, 23 sottufficiali, 70 alabardieri e 2 tamburi. Nonostante per l'arruolamento fossero necessari i requisiti di sempre (età tra i 19 e i 30 anni, altezza non inferiore al metro e 74, essere stati battezzati e cresimati, certificato di buona condotta firmato dal parroco), negli ultimi anni la crisi di vocazioni si era sempre più accentuata. La colpa? Un po’ anche degli stipendi mensili irrisori: dal milione 200 mila lire per le reclute, al milione e mezzo per gli alabardieri, ai quattro milioni più alloggio per i comandanti. Vera l'esistenza di vari "fringe benefits" tra i quali forti sconti aerei, il diritto di andare in pensione dopo soli dieci anni, la disponibilità di palestre per il tempo libero, di una taverna detta "Il Bettolino" e di una mensa ben fornita, con vivandiere le suore della Divina Provvidenza di Baldegg (anch'esse dunque svizzere doc!), ma altrettanto vero che i parametri con quanto un giovane poteva guadagnare nella Confederazione da tempo facevano sì che le domande da una parte si assottigliassero e dall'altra vedessero in lizza soprattutto ragazzi mossi dalla fede o dalla tradizione. Il vicecaporale Cédric Tornay era stato tra quelli che aveva coltivato in sé la voglia di fare la guardia del Papa, arruolandosi il primo dicembre 1994. Ed era eccolo lì, cadavere, accanto ai corpi del comandante Estermann e della moglie Glady Meza Romero.

Una suora trova i corpi della guardia svizzera Tornay e delle sue vittime. Subito un comunicato fornisce la versione dei fatti. Ma qualcosa non convince, come in molti intrighi del passato tra le mura del Vaticano.




Toccò a un suora, della quale non si saprà mai l'identità, scoprire i tre cadaveri e dare l'allarme. L'intervento per il trasporto nel vicino obitorio della chiesa di Sant'Anna sarebbe avvenuto manualmente, senza neppure adoperare i tradizionali guanti e le abituali sacche per il trasporto. E prima ancora che partissero le indagini, venne resa nota una versione ufficiale: "Da una prima sommaria ricognizione, è possibile affermare che il comandante Estermann, la moglie e il vicecaporale Tornay sono stati uccisi con un'arma da fuoco. Sotto il corpo del vicecaparale è stata trovata la pistola d'ordinanza del medesimo". Per farla breve, verso le 21 Tormay si sarebbe recato nell'appartamento del nuovo comandante della Guardia Svizzera e "in un momento di follia" avrebbe ucciso i coniugi Estermann, per poi suicidarsi. Solo un'ipotesi? Macché! Un comunicato affermava come il Vaticano avesse "la certezza morale" che i fatti si fossero svolti così.

Alois Estermann era stato promosso comandante della Guardia Svizzera appena 9 ore prima della strage. Tre morti dunque solo per un raptus del vicecaporale, frustrato per qualche mancato riconoscimento? Di certo, anche se il fattaccio s'era svolto in Vaticano e godeva di una sua extraterritorialità, quella notte tra il 4 e il 5 maggio carabinieri ed agenti del Sismi (il servizio segreto militare italiano) si attivarono per sapere cosa fosse realmente accaduto, poco convinti che la vicenda si fosse svolta proprio come accreditava la versione ufficiale. Sul corpo della Guardia Svizzera, pur glorioso e carico di storia e di allori, spesso si giungeva ormai a parlare di crisi. O quantomeno di qualche situazione di disagio sin dal 1970. Hughes de Wurstemberger, un fotografo, era riuscito a superare la selezione e ad arruolarsi per un anno con lo scopo di documentare la vita di caserma. E Bernhard Dura negli anni Ottanta aveva prolungato la ferma di due a quattro anni per poi convertirsi al protestantesimo e scrivere un libro polemico dal titolo: "Non più guardia ma cristiano". Ma gli episodi con nomi e cognomi erano isolati. E allora non restava che vedere il fenomeno anche sotto l'aspetto del costume. Lo sapevate che il termine "nostalgia", da "nostos" (ritorno) e da "algos" (dolore) era stato usato già tre secoli fa per i soldati elvetici? Aveva incominciato ad adoperarlo il 22 giugno del 1688 un giovane alsaziano, tale Johannes Hofer, studente all'Università di Basilea, nella sua "Dissertatio medica de nostalgia": veniva per l'appunto definito "nostalgia" il malessere dei soldati svizzeri che per motivi diversi si allontanavano dai loro villaggi di montagna e si mettevano a inseguire i loro sogni in una città lontana. Finché restava un sentimento dolceamaro, esso corazzava cuore e cervello di sensibilità... e rendeva dolcissimo ogni ritorno per la vacanze. Ma in qualche caso poteva trasformarsi in una vera e propria malattia, persino mortale.

Sarà comunque nostalgia, sarà malessere, sarà che ogni caserma abusa di nonnismi e goliardismi vari, sarà la vita monacale mentre davanti sfilano le tentazioni di una Roma godereccia, fatto sta che pochi anni prima a Castel Gandolfo un alabardiere ubriaco fradicio si era tuffato nudo nella fontana del Bernini, urlando un misto di insulti italiani e tedeschi. Nel 1983 due guardie, nonostante il regolamento prevedesse che dovessero indossare pantaloni lunghi anche in agosto, erano state fotografate in costume sulla terrazza della Torre di Alessandro VI. E nel 1995, per festeggiare lo scudetto della squadra di calcio del loro Cantone, una decina di guardie alticce si erano messe a sfasciare nella notte le auto parcheggiate in piazza Risorgimento. Insomma, neppure la guarnigione all'interno della cinta sembrava vaccinata a rancori e screzi, sino ad esplodere in episodi di violenza. Ma un episodio come quello dei tre morti del maggio 1998 non s'era mai verificato. Inevitabilmente le voci sul malessere superarono per la prima volta le Mura Leonine alimentando spiegazioni e racconti. Si disse, per esempio che, all'interno della guarnigione, gli alabardieri appartenevano simbolicamente a due gruppi: quelli dei "santos" (o degli "abatini", per usare il termine dei romani), i quali amavano le sane ricreazioni, lo studio, la musica classica, le passeggiate portandosi dietro il cliché di soldati modello, e quelli dei "killer", specie di Rambo che alle biblioteche preferivano le discoteche e che compensavano la rigidità dei regolamenti tuffandosi di gran lena nei piaceri della Roma by night.


Stupirsi significherebbe però essere fuori dal tempo e dimenticare vicende del passato. Semmai la tragedia del 4 maggio 1998 riapriva anche capitoli a ritroso di una Roma papale che nei secoli aveva visto anche ben altro. A ripercorrere certi fatti dalla notte dei tempi ad Ali Agca non basterebbe un'enciclopedia. Basti ricordare che nel 974, appena eletto, Bonifacio VII fece strangolare il predecessore Benedetto VI per essere detronizzato meno di un anno dopo e assassinato. Il periodo di Papa Borgia vide tra i nefandi protagonisti il figlio Cesare, il quale fece ammazzare in piazza San Pietro il marito della sorella Lucrezia e gettare nel Tevere il fratello Giovanni. Il cardinale di S. Onofrio votò in ben cinque conclavi, si vantò d'essere stato determinante nell'elezione di un paio di papi ma tutto ciò non gli impedì di fare uccidere un mastro di posta e suo padre, chiudendo gli ultimi giorni tra un carcere e un convento.

E intorno alla metà del secolo scorso, proprio in Vaticano, il cappellaio De Felici tentò di assassinare il Segretario di Stato, cardinale Antonelli. Anche il succedersi di antichi fatti di sangue e di tanti vecchi intrighi era la dimostrazione di come nulla fosse riuscito nei secoli a fermare il cammino della Chiesa di Roma, insostituibile guida per oltre un miliardo di cattolici sparsi nei cinque continenti. E che importava anche il fiorire di voci su intrighi e misteri? Proprio a vent'anni dalla scomparsa di Giovanni Paolo I, il cardinale brasiliano Aloisio Lorscheider rilanciava qualche sospetto persino sulla sua morte in un'intervista a "Trenta Giorni", il mensile diretto da Giulio Andreotti. Albino Luciani aveva regnato solo 33 giorni, dal 26 agosto al 28 settembre 1978. Le fonti ufficiali avevano dichiarato che era stato stroncato da un attacco cardiaco fulminante. Non era stata fatta l'autopsia poiché il collegio dei cardinali si era rifiutato di autorizzarla. E il Segretario di Stato Jean Villot aveva dichiarato che Luciani aveva gravi problemi di circolazione trascurati. Per il cardinale Lorscheider invece Luciani non era malato: "Lo dico con dolore: il sospetto rimane nel nostro cuore, è come un'ombra amara, un interrogativo cui non è stata data piena risposta". Ma si era anche trattato di voci, chiacchiere, indiscrezioni in libertà, sulle quali si erano succedute innanzitutto strumentalizzazioni e speculazioni che non avevano fatto inciso sul prestigio del Vaticano, né avevano intaccato la sua storia.

E quel doppio omicidio-suicidio del 4 maggio 1998 era oltretutto una storia che non c'entrava affatto con la Chiesa, con la sua struttura, con il carisma dei suoi stessi organici. Però non ci si poteva non chiedere coma mai un bravo vicecaporale, in un amen, da bravo ragazzo fosse diventato sterminatore di un bravo comandante e della sua brava moglie. Forse la causa era da identificarsi in un intreccio sentimentale? "Assolutamente da escludere - precisò ancora la versione ufficiale - Conoscevamo i coniugi Estermann: erano una coppia modello e il fatto che non avessero figli non era importante poiché entrambi si dedicavano a opere di carità. E' stato un gesto di follia, un improvviso raptus del vicecaporale Tornay". Ma ecco che Valeria, 22 anni, impiegata in uno studio grafico, ultima fidanzata del vicecaporale, non faceva che ripetere: "Cedric era così allegro, pieno di vita, rideva sempre. Non posso credere che abbia voluto uccidere". Si erano lasciati un mese prima ma erano rimasti amici. Le aveva telefonato quella mattina invitando lei e altri amici a una festa, proprio per quella sera, in camera sua, visto che una volta l'anno era permesso. Invece della festa, ecco invece una stanza del Vaticano trasformarsi in camera della morte. Ma anche per Alois Estermann e la moglie Gladys i ricordi e gli encomi si sprecavano: "Erano come due gocce d'acqua, persone insomma che avevano qualcosa in più rispetto agli altri".

Il caso viene archiviato dalla giustizia vaticana per la morte dell'omicida. La dietrologia però si scatena. Si parla di un bossolo mancante e di una lettera mai consegnata. E dell'ultima telefonata di Tornay.




Fedeltà, diligenza e riservatezza sono stati da sempre i pilastri della giustizia in Vaticano. I giudici della Santa Sede hanno continuato a prestare giuramento con un rito antico. Una vera struttura giudiziaria, modellata su quella italiana e con pochissime differenze, nacque solo all'indomani dei Patti Lateranensi nel 1929. L'assetto prevedeva un tribunale di prima istanza composto da tre giudici, competente per cause penali e civili, con la possibilità di presentare ricorso al Tribunale della Rota. Fu Pio XII che nel 1946 modificò l'assetto istituendo la figura del Giudice Unico e aggiungendo una Corte d'Appello e una Cassazione di soli cardinali. Poi nel 1987 il segretario di Stato Agostino Casaroli fece aggiornare lo schema, specificando per esempio che il Giudice Unico, nominato dal Papa, deve essere cittadino vaticano. E il segreto d'ufficio restava tra i cardini di quel giuramento.

Circa i "tre morti in Vaticano", il 5 febbraio 1999, il Giudice Istruttore del Tribunale dispose "l'archiviazione degli atti" , accogliendo quindi la tesi del Promotore di Giustizia il quale aveva chiesto " il non doversi procedere l'azione penale" poiché era giunto alla conclusione che i coniugi Esterman erano rimasti uccisi dal vicecaporale Cèdric Tornay, il quale subito dopo si era tolto la vita. E per dimostrare come l'indagine fosse stata svolta con rigore e pignoleria, venne sottolineato come prima del verdetto di archiviazione fossero stati portati a termini numerosi atti, tra cui "dieci perizie necroscopiche, anatomo-istopatologiche, tossicologiche, balistiche, grafiche e tecnico-telefoniche affidate a illustri specialisti; cinque rapporti di polizia giudiziaria affidati all'ispettore generale del Corpo di Vigilanza; trentotto audizioni di persone informate sui fatti; numerose richieste di informazioni e rapporti a uffici pubblici dello Stato della Città del Vaticano e della Conferenza episcopale svizzera, nonché diversi servizi fotografici e rilievi tecnici".

Caso chiuso dunque? Per le cronache sì. Per la dietrologia invece tanti strascichi mai cancellati, al punto che le "Kaos Edizioni" subito dopo l'archiviazione ci hanno anche fatto un libro dal titolo "Bugie di sangue in Vaticano - Il triplice delitto della Guardia Svizzera", a firma di un gruppo di ecclesiastici e di laici, racchiusi dalla sigla "Discepoli di verità", i quali - secondo una nota di precisazione - hanno ritenuto di non poter più avallare, con il loro silenzio la verità ufficiale", muovendosi "in quanto credenti e secondo l'imperativo dell'Ottavo Comandamento". Ma al di là dello stesso libro-dossier, molti dubbi e interrogativi hanno continuato a rincorrersi dalla stessa sera della tragedia. Per esempio: se la pistola d'ordinanza del vicecaporale sparò cinque colpi, come mai nella stanza vennero trovati quattro bossoli? E se fosse vero che al momento degli spari il comandante Estermann stava parlando al telefono con qualcuno, chi era e che incarico ricopriva questo presunto "testimone acustico"? L'ufficiale sarebbe stato colpito da due proiettili, la moglie da uno solo. E il vicecaporale si sarebbe poi sparato con un colpo in bocca. Ma ammesso che i colpi dunque furono effettivamente quattro e non cinque, come mai il corpo dell'omicida-suicida sarebbe stramazzato a terra bocconi sulla pistola nel frattempo caduta? Insomma, non sarebbe stato più plausibile che stramazzasse all'indietro anziché in avanti?

In Svizzera, una delle prime reazioni di Mèlinda Tornay, sorella del vicecaporale, si rivelò improntata a toni di questo tipo: "Penso che il Vaticano non ci dirà mai tutta la verità. I giornali parlano di una lettera che Cèdric ci avrebbe scritto per spiegare tutto, ma noi familiari questa lettera non l'abbiamo mai vista, non ne sappiamo niente, nessuno ci dice niente. Noi vogliamo vedere questa lettera...Abbiamo sentito dalla radio che è stata organizzata per le prossime ore una cerimonia funebre, ma nessuno da Roma ci ha avvertiti...".

Le esequie dei due coniugi si tennero la mattina del 6 maggio nella chiesa dei santi Martino e Sebastiano. Il giorno dopo, per il rito funebre del vicecaporale, il colonnello Roland Buchs, fatto tornare in Vaticano per prendere ad interim il comando delle Guardie Svizzere, ordinò che la salma venisse vestita con l'alta uniforme e che le venissero resi gli onori militari da un picchetto di 40 alabardieri. Ma Cèdric Tornay era ritenuto assassino-suicida, insomma quasi un traditore in quanto soldato, forse dunque il colonnello Buchs era tra quelli che restavano scettici davanti alla "verità" diffusa dai comunicati ufficiali? E alla fine le tre bare non solo finirono per trovarsi nella stessa camera ardente, ma Muguette Baudat, cioè la madre del vicecaporale, gli anziani genitori del colonnello Estermann e una sorella della moglie, prima si scambiarono un segno di pace, poi si abbracciarono. Solo un perdono cristiano oppure anche tra di loro non c'era l'effettiva convinzione che la vicenda si fosse svolta così come veniva accreditata?

Muguette Baudat sin dal primo momento non accettò l'ipotesi che il figlio potesse aver sparato per certe punizioni che gli erano state inflitte dal comandante, che ai suoi occhi si sarebbe reso anche colpevole di avergli negato una medaglia al merito. E arrivava ad arrabbiarsi non appena si chiamavano in causa affaticamento e stress. Giurava che quel giorno il figlio era serenissimo, che al telefono le aveva comunicato d'aver trovato un posto in una banca svizzera, che la notizia della sparatoria l'aveva dunque lasciata letteralmente senza parole, che dal Vaticano le era giunto l'invito a non recarsi a Roma per vedere la salma perché il colpo alla bocca l'aveva ridotta in uno stato pietoso, che alle sue insistenze avevano evocato il troppo caldo e lo stato di decomposizione come se lei non sapesse dell'esistenza delle celle frigorifere e davanti alla sua irremovibilità si era giunti a dirle che gli alberghi erano pieni e che era praticamente impossibile trovarle un posto...

E invece, cocciuta e irremovibile, eccola a Roma. Durante la funzione, sulla soglia sarebbe stato visto un affranto sacerdote francese, tale "padre Ivano", presunto padre spirituale del vicecaporale, il quale avrebbe detto a un giornalista che intorno alle 20.30 di quel tragico 4 maggio la segreteria telefonica del suo cellulare aveva registrato la voce di Tornay che gli chiedeva una sorta di aiuto, senza però specificarne il motivo. A suo avviso insomma anche il vicecaporale sarebbe caduto in una trappola e ora pure lui, in quanto latore di questo sospetto, correva grave pericolo. Solo disinformazione quella di "padre Ivano" con inevitabile riflesso di paura sulla sua incolumità?

Tra le voci c'era però anche quella secondo cui non erano mancati ostacoli alla promozione di Estermann a comandante delle Guardie Svizzere. Semplice il motivo:l'ufficiale era ben visto dall'Opus Dei. Il fatto dunque che salisse al vertice di quanti controllavano il Palazzo apostolico e seguivano tutti i movimenti del Santo Padre, poteva tradursi in un'ulteriore crescita del potere dell'Opus Dei all'interno del Vaticano. Ma ad accrescere l'atmosfera di suspence c'era anche dell'altro. Per esempio, mentre nella cittadella pontificia si celebravano i funerali, in Germania il quotidiano "Berliner Kurier" usciva con una notizia che aveva del sensazionale: Alois Estermann, forse coperto dal nome in codice "Werder", sarebbe stato un informatore della Stasi, la polizia segreta della ex Germania dell'Est! Subito sdegnata e vibrante la reazione della Santa Sede: "Sono tutte bugie. E' un'assoluta falsità che non merita neppure di essere presa in considerazione".

Che in effetti si trattasse di una bufala fu convinzione generale e non ebbe alcuna eco. Solo l'ammiraglio Fulvio Martini, capo del Sismi dal 1984 al 1990, parlò di "ipotesi possibile" e spiegò che "in quegli anni i servizi segreti di Germania Est, Polonia e Cecoslovacchia erano interessatissimi a tutto quello che succedeva in Vaticano". E il Sismi sapeva "che il Vaticano sospettava la presenza di una spia al proprio interno". Il che non voleva però affatto dire che si trattasse di Estermann, ritenuto da sempre devoto alla Santa Sede e per sua natura estraneo a ruoli ambigui di doppiogiochismo. Comunque in molti ambienti italiani l'ipotesi che l'integerrimo Estermann potesse essere stato vittima di "un complotto" per mantenere inalterati equilibri di potere che correvano il rischio di essere minati dalla sua nomina a comandante delle Guardie Svizzere, ricorse in ripetute occasioni.

E venne anche alimentata dalla stessa Muguette Baudat, convinta che il figlio, forse di guardia alla stanza dei due coniugi, potesse essere rimasto vittima incolpevole e occasionale di vero e proprio "complotto" contro il comandante. Cosicché l'archiviazione del "caso" da parte degli inquirenti della cittadella pontificia non solo suscitò nella donna molto malumore, ma la indusse a rilanciare la possibilità di controperizie e a parlare di due "importantissimi documenti" che aveva messo al sicuro in banca. Insomma, secondo la donna "in Vaticano c'è qualcuno in grado di spiegare la verità sulla strage ma questo qualcuno è scomparso": ecco il perché,a suo dire, di pressioni e avvertimenti per indurla a tacere. Anche qui solo l'esasperazione del dolore di una madre? Ecco infatti la replica del Vaticano: "Comprendiamo il dolore della madre, ma le risultanze dell'inchiesta sono quelle che sapete. I fatti sono stati accertati,la realtà non si può cancellare. Il suo dolore è comprensibile e va rispettato, così come va rispettato il dolore molto silenzioso e molto dignitoso delle famiglie dei coniugi Estermann......"

La famiglia Estermann chiede la fine delle voci e il rispetto del loro dolore. Per un altro mistero irrisolto. Anche se qualcuno dice ancora che il killer, Cedric Tornay, era stato appositamente "suicidato".




L'archiviazione ufficiale dell'inchiesta portò le famiglie Estermann e Meza Romero a rivolgersi ai mezzi di comunicazione affinché venisse rispettato il loro dolore, rifiutando di polemizzare "con quanti hanno lanciato una valanga di insinuazioni infamanti e di calunnie, il cui risultato è stato solo di creare una grave confusione nell'opinione pubblica e soprattutto di rendere ancor più profonda la nostra sofferenza". E l'appello offriva anche l'occasione per respingere "categoricamente le informazioni apparse su aspetti morali della vita" dei due coniugi e per rifiutare " i minimi sospetti su presunte ipotesi o fomentate storie d'amore o di spionaggio con le quali si è voluto macchiare Alois Estermann, impegnato solo nel servizio della Chiesa e nel compimento fedele della sua missione, vissuta come vocazione...". Insomma, "con informazioni capovolte o inventate si riesce solo a sconvolgere la società. Rafforzando al tempo stesso un mercantilismo scandaloso e dando luogo a manifestazioni di pessimo gusto, poiché si trae profitto dalla morte di persone oneste e degne". E lasciando intravedere "una realtà nascosta all'interno di alcune ipotesi", le famiglie sottolineavano che "l'unico obiettivo è colpire non solo le persone, ma anche la Chiesa cattolica e le sue istituzioni...". E nell'uscire definitivamente di scena, chiedevano con fermezza "che tacciano una volta per tutte le voci prive di scrupoli che invece di ridare speranza, desiderio di vivere e di lottare, non fanno che seminare depressione, delusione, sfiducia e tristezza".

Atteggiamento comprensibile nel respingere voci e calunnie. Non solo: parole pronunciate con grande coerenza, evidente sincerità e assoluta buonafede da parte due famiglie irreprensibili che si erano viste colpire nei loro affetti e per le quali ogni voce e ogni brandello di ipotesi al di fuori della ricostruzione e delle conclusioni cui era pervenuta l'inchiesta, non faceva che provocare in loro ulteriore dolore. Ma ognuno doveva pur fare il suo mestiere. E allora come non vedere in quei tre morti in Vaticano qualcosa che comunque sfuggiva alla logica e che si trascinava dietro più di un velo di mistero?

D'altronde Alois Estermann non era una guardia svizzera qualsiasi, era appena diventato il comandante del Corpo. E non solo aveva seguito tutti i viaggi del Pontefice, ma quel 13 maggio 1981, quando Giovanni Paolo II era stato ferito da Alì Agca in piazza San Pietro, i giornali lo avevano accomunato tra gli "eroi" che si erano catapultati verso la jeep, pronti a far scudo contro quel presunto e misterioso commando di attentatori. E di quel pomeriggio intorno alle 17 era rimasta anche una foto che per l'appunto ritraeva Estermann accanto al Pontefice ferito. Il 27 ottobre 1982 ecco la promozione a capitano. E nell'aprile 1983 quella a maggiore, con la dispensa a potersi sposare, pur non avendo ancora ultimato i cinque anni di servizio richiesti dal regolamento. Il rito civile era stato celebrato il 7 marzo 1984 a Urica, in Venezuela, ma quello religioso due mesi prima aveva avuto l'imprimatur a Roma nientemeno che del vescovo venezuelano Josè Rosalio Castillo Lara, in piena scalata di potere, ritenuto in buoni contatti per ragioni di apostolato con alcune logge massoniche, impegnatissimo altresì nella carica di Pro-presidente della Pontifica commissione per le revisione del Codice di Diritto Canonico. Sarebbe infine persino puerile dimenticare che erano gli anni in cui le finanze vaticane, dopo la "cura Sindona" erano passate alla "cura Calvi" e che c'erano già tutte le avvisaglie di quel crack, ben oltre lo stesso Ior-Ambrosiano, in cui si sarebbe contata una voragine di quasi 4 mila miliardi di lire.

Al di là dunque della straordinaria bravura, delle ottime referenze e del comportamento cristallino di Alois Estermann, chi può escludere che proprio da uomo ligio ai regolamenti, avesse incominciato ad annusare o fors'anche a respirare un'atmosfera che non lo lasciava proprio tranquillo? E possiamo mai credere che non conobbe personaggi potenti come monsignor Marcinkus? Vero che in quel 1998 in cui Estermann avrebbe assunto il comando delle Guardie Svizzere quelle nubi addensatesi sul Vaticano intorno agli anni Ottanta si erano completamente dissolte, ma è altrettanto vero che a Estermann era stato comunque impossibile non intravederne e leggerne alcune anche nei periodi in cui era stato prima capitano, quindi maggiore, infine sposo felice. E poi forse che, anche sul fronte estero, i coniugi Estermann non avevano avuto modo di intrattenere ottimi rapporti politico-finanziari, diplomatico-militari per esempio in Austria, in Liechtenstein (con i membri della famiglia regnante, molto vicina all'Opus Dei), in Svizzera, in Francia, in Germania? E quale ufficiale della Guardia Svizzera, forse che non era routine, anche per sacrosante ragioni di servizio e di immagine, incontrare periodicamente addetti militari di varie ambasciate estere in Italia?

Tra i particolari apparentemente insignificanti ma strategicamente interessanti, non dimentichiamone però uno: i coniugi Estermann crebbero in splendore e considerazione tra le mura vaticane e altrove sino a quando il loro padre putativo e padrino monsignor Rosalio Castilio Lara (ottenne poi la porpora nel 1985) incalzò in potere diventando uno dei pupilli dell'allora Segretario di Stato cardinale Agostino Casaroli e impadronendosi delle maggiori leve amministrative della cittadella pontificia. E poiché la scalata di Castilio Lara fu consistente e prolungata con incarichi vari (membro della Segnatura apostolica, presidente dell'Amministrazione del patrimonio e in sostanza "ministro del Tesoro" e capo supremo di tutte le finanze vaticane), di riflesso i coniugi Estermann, i quali comunque sfoggiavano vera bravura, intelligenza e tanto savoir faire, vissero anni splendidi e sereni, dedicandosi oltretutto a molte iniziative di solidarietà e cultura. Ma non appena la stella di Sua Eminenza Castilio Lara incominciò a declinare già con l'avvento del cardinale Angelo Sodano alla Segreteria di Stato, anche i coniugi Estermann sembrarono trovarsi senza santo protettore. Però l'ufficiale aveva ormai altri appoggi solidi. E comunque, a dar retta a quanto si raccontava, c'era sempre l'Opus Dei che lo sponsorizzava quale nuovo comandante delle Guardie Svizzere. Che poteva lui saperne di eventuali scontri di potere pronti a scatenarsi al di fuori delle Sacre Mura per invisibili motivi strategici? E perché anche l'Opus Dei, pur così ricca di storia e di benemerenze, non doveva dunque avere i suoi avversari, ai quali non era certo gradito vedere quell'uomo "primo guardiano" del Soglio Pontificio?

Sicuramente è stata solo una dannata coincidenza, ma occhio alle date: il 4 settembre 1997 il cardinale Lara, raggiunti i 75 anni d'età, si congedò dalla Santa Sede. E poiché non risultò che avesse ottenuto, o quanto meno avesse chiesto proroghe di sorta, a novembre se ne tornò in Venezuela. Il 4 maggio 1998, la strage in Vaticano, i tre morti. Abbiamo visto in che scenario, ma relativamente ai numeri, e per l'appunto alle coincidenze, la morte di Alois Estermann avveniva nove ore dopo essere stato nominato comandante e sei mesi dopo la partenza per Caracas del suo patron con la porpora, il quale era rimasto così legato alla coppia da richiederne immediatamente il trasporto e il seppellimento delle salme in Venezuela. Quel 4 maggio l'ufficiale non aveva certo l'aria di uno che doveva morire. Due giorni prima si era recato "Da Andrea" in via Plauto, il suo barbiere, manifestando la propria soddisfazione per la nomina, poi aveva pranzato "Da Marcello", in via di Borgo Pio ed era sereno e rilassato. E la stessa sera del 4 i due coniugi avevano stabilito di cenare con amici e parenti all'Hotel Columbus, di via della Conciliazione. Li aspettavano alle 21. Ma non sarebbero mai arrivati. Il vicecaporale Cèdric Tornay era di guardia in servizio straordinario nell'androne d'ingresso della palazzina vaticana, dov'era riunito uno dei Gruppi di lavoro linguistici del Sinodo dei vescovi. Il piantonamento sarebbe dovuto terminare intorno alle 19. Ma dopo?

Nel dossier "Bugie di sangue in Vaticano" dei cosiddetti "Discepoli di Verità" si legge testualmente: "In Vaticano c'è chi sostiene che il vicecaporale Tornay sarebbe stato aggredito alla fine del servizio, pochi minuti prima delle 19 e trascinato in divisa e armato della pistola d'ordinanza, in quello scantinato nel quale gli aggressori erano penetrati dall'accesso situato verso la Porta di Sant'Anna. Tornay sarebbe poi stato "suicidato" nel locale sotterraneo con una pistola silenziata calibro 7. E la sua arma di ordinanza utilizzata per uccidere i coniugi Estermann nel loro appartamento. Successivamente il corpo di Tornay sarebbe stato trasportato nell'abitazione degli Estermann per allestire la messinscena dell'omicidio-suicidio. I killer avrebbero poi lasciato lo stabile attraverso il locale sotterraneo. Le due testimonianze di un sergente e di un caporale senza nome secondo le quali Cèdric Tornay sarebbe stato visto intorno alle 20,59 in abiti civili recarsi verso la palazzina, sarebbero fasulle. Né risulta che l'inchiesta vaticana abbia effettuato alcun tipo di rilevamento investigativo all'interno dello scantinato dell'edificio....". E ancora: "In Vaticano si mormora che Alois e Gladys Estermann e Cèdric Tornay la sera del 4 maggio 1998 sono stati uccisi da un commando formato da un killer spalleggiato da due complici. Si dice che qualcuno il commando l'ha visto, ma non lo testimonierà mai". Insomma, ecco il vicecaporale nel ruolo di "ideale copertura" per addossargli il duplice omicidio e impedire indagini a vasto raggio. Ma andò così? Sappiamo che l'inchiesta ufficiale ha escluso categoricamente ogni intervento di esterni. E sappiamo a quali conclusioni è arrivata ribadendo l'assoluta certezza che si è trattato di duplice omicidio e di suicidio senza contorno di altri retroscena. Ma al di là dell'archiviazione argomentata in corposi documenti, come pensare che, trattandosi di tre morti senza testimoni, si dissolvessero del tutto certe voci e che sull'intera vicenda non sopravvivessero almeno sprazzi di mistero?





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I RAPPORTI INTERNAZIONALI
by Autore (Obbligatorio) Monday, Aug. 16, 2004 at 6:41 PM mail:

Lo studio dei rapporti internazionali della Loggia P2 e dell'attività di Licio Gelli in tale contesto non può che essere di circoscritte dimensioni in considerazione della difficoltà, per non dire della impossibilità, per la Commissione, di indagare su queste situazioni che trovano sviluppo al di fuori delle frontiere nazionali. Né si può sottacere che la presenza di Licio Gelli in paesi stranieri non ha lasciato praticamente traccia, con riferimento evidentemente al periodo antecedente al sequestro di Castiglion Fibocchi, presso gli archivi delle nostre ambasciate, nonostante di essa esistano numerose ed autorevoli testimonianze che tutte convergono ad indicare l'intrinseca dimestichezza di questo cittadino italiano con personaggi stranieri di altissimo livello politico.
Muovendo da queste premesse, la Commissione è in grado di affermare, in base ai documenti ed alle testimonianze in suo possesso, che il rilievo dell'attività internazionale del Maestro Venerabile è di segno certamente non inferiore a quello della sua presenza italiana, anche se l'analisi di questo versante della sua personalità non può essere in pari modo approfondito per le oggettive ragioni già indicate.
Si pone in primo luogo, come dato di sicura constatazione, che Licio Gelli pervenne ad inserire l'organizzazione da lui guidata in più ampio contesto organizzativo di respiro internazionale.
Rilievo questo che si pone del resto in armonia con la natura in certo qual senso internazionale della massoneria, la quale, come abbiamo già rilevato, aspira a porsi e concretamente si muove come un'organizzazione che, assumendo a sua base premesse filosofiche di portata generale, tende a stabilire legami fra gli affiliati che travalicano le frontiere. Nell'ambito di questa dimensione
sovranazionale, Licio Gelli appare interessato a due iniziative la cui esistenza è documentata in modo certo. La prima è la cosiddetta Loggia di Montecarlo, per la cui esistenza la Commissione è in possesso di scarsi, ma inequivocabili elementi documentali. E’ agli atti un modulo di iscrizione (le indicazioni sono in tre lingue e cioè nell'ordine: inglese, francese ed italiano), per un Comitato esecutivo massonico che aveva sede nel Principato di Monaco e che dal contestuale riepilogo delle finalità associative risulta porsi come una sorta di organizzazione di livello superiore rispetto alle tradizionali strutture massoniche. La finalità reale dell'organismo traspare dal documento, pur condito dagli abituali generici richiami a superiori motivazioni, nel quale è dato leggere: "...scopo è quello di realizzare...una forza di governo universale..." ed ancora: "...La Massoneria è l'organismo più qualificato a governare, perciò se non governa manca alla sua vera ragion d'essere...".
Schede di iscrizione già compilate e corrispondenza agli atti dimostrano che il Comitato di Montecarlo ebbe pratica attuazione, superando la fase progettuale; ma non ci è dato di sapere quale consistenza esso venne a raggiungere. In sede interpretativa si può affermare che esso si pose certamente come un momento qualificante dell'operazione piduista; e particolare interesse suscita la circostanza che ad esso Licio Gelli pose mano in quel periodo, alla fine degli anni Settanta, che abbiamo indicato come contrassegnato da un inizio di incrinamento del potere del Venerabile Maestro. In questa prospettiva l'iniziativa di creare una organizzazione posta a ridosso dei confini nazionali, ma al di fuori della portata delle autorità italiane, potrebbe inserirsi come
elemento di arricchimento e conferma al quadro delineato.
Altra iniziativa di respiro internazionale è quella dell'ONPAM, una istituzione a carattere sovranazionale rivolta con particolare riferimento ai paesi dell'America latina, la cui esistenza è documentata in modo certo e il cui significato appare, allo stato degli atti, ancor più difficile da interpretare.
La Commissione è in possesso di una tessera intestata a Roberto Calvi, rilasciata nel 1975 e sottoscritta da Licio Gelli in qualità di Segretario. Si ha inoltre notizia che al Gamberini era stato affidato il compito di tenere i contatti tra l'organizzazione ed il Grande Oriente. Risulta che di questa organizzazione esiste ampia documentazione nel materiale sequestrato presso la villa uruguaiana di Licio Gelli e certo la sua conoscenza aprirebbe squarci di notevole interesse su tutta la vicenda della Loggia P2, la cui dimensione internazionale, una volta conosciuta in modo meno sommario, consentirebbe una valutazione più completa del valore politico di questa organizzazione, che del resto era stato intuito dall'ispettore Santillo nella sua terza nota informativa.
Appare infine dalla documentazione che il Venerabile della Loggia P2 godeva egli stesso di un prestigio internazionale proprio nell'ambiente massonico. Non solo egli era infatti tramite dei rapporti tra la massoneria italiana e quella argentina, ma già nel
1968 appare accreditato presso il Grande Oriente quale garante di amicizia di una loggia estera, elemento questo che conferma la precocità della carriera massonica di Licio Gelli, ampiamente analizzata nel capitolo primo.
L'attività personale di Licio Gelli del resto appare sicuramente documentata come ampiamente proiettata fuori dell'Italia, attraverso una fitta rete di contatti, anche esterni alla massoneria, tutti di alto livello per il rango delle personalità con le quali il Venerabile intratteneva rapporti. In questo senso l'epistolario rinvenuto apre uno spaccato, parziale ma efficace, delle relazioni che Licio Gelli
intratteneva con un’opera di continuo contatto e costante aggiornamento; ne emerge il ritratto di un accorto professionista nell'arte dei rapporti sociali, comunque non certo confinabile all'interpretazione di uno spregiudicato arrampicatore sociale, come dal tono generale delle lettere si evince in modo non equivoco.
L'ambito di interessi di Licio Gelli appare in questo panorama rivolto eminentemente ai paesi d'oltre Atlantico. Sicure e documentate sono le relazioni di Gelli con i paesi del Sudamerica ed in particolare l'Argentina, paese nel quale egli era in relazione con l'ammiraglio Massera, ma soprattutto con Peron e il suo entourage, nel quale grande rilievo aveva Lopez Rega, interessato
anch'egli alla iniziativa dell'ONPAM.
Giancarlo Elia Valori(1), iscritto alla Loggia P2 e da questa espulso, ha testimoniato di aver ricevuto una confidenza del Presidente Frondizi, che si domandava quale ruolo un privato cittadino svolgesse per i Servizi segreti italiani ed argentini. In proposito di estremo interesse è la deposizione del generale Grassini, Direttore del SISDE, il quale davanti alla Commissione ha dichiarato: "...Non avevamo nessun rapporto con i Servizi dell'America latina...Sapendo bene che Gelli aveva grandissime possibilità per quanto riguarda l'Argentina, gli chiesi se mi poteva mettere in contatto con gli argentini. Egli aderì a questa richiesta e l'indomani mattina puntualmente il Capo del Servizio argentino in Italia, all'Ambasciata argentina in Italia, si presentò nel mio ufficio, dicendosi pronto a
collaborare per qualsiasi cosa. Da quel momento nacque un contatto perenne e continuo tra il nostro Servizio e il Servizio argentino, che si impegnò anche a fare da tramite tra noi ed i Servizi degli altri paesi dell'America latina dove erano stati segnalati dei fuoriusciti, fu impostato quindi un sistema idoneo per la ricerca di questi fuoriusciti".
Si ricorda al proposito che Gelli ricopriva un incarico ufficiale presso l'Ambasciata argentina in Italia in qualità di consigliere economico e in tale veste intratteneva rapporti con autorità italiane, in particolare in occasione di visite di Stato.
Altra importante direttrice degli interessi di Licio Gelli è costituita dagli Stati Uniti, per ì quali appare accertato un solido legame con Philip Guarino in relazione alla vicenda Sindona. Gelli si mette a disposizione di Guarino, membro del comitato organizzatore della campagna elettorale del Presidente Reagan, e da questi viene invitato all'insediamento del nuovo Presidente americano.
Certo è che, come la vicenda degli affidavit raccolti in favore di Sindona ampiamente dimostra, Licio Gelli era in contatto con gli ambienti politici e finanziari che costituivano il retroterra del finanziere siciliano con una rete di rapporti di livello altamente qualificato.
La componente affaristica, assolutamente da non sottovalutare nella interpretazione del personaggio Gelli, non gli impediva peraltro di avere contatti con la Romania, paese con il quale l'azienda di Gelli aveva instaurato un importante rapporto di collaborazione produttiva.
Gli elementi esposti, pur nella loro sommarietà, consentono alla Commissione di affermare che la dimensione del personaggio Gelli, sotto il profilo indagato, è certamente di peso non minore rispetto a quello pure rilevante già documentato con riferimento al nostro Paese. Se l'articolazione dei rapporti e delle conoscenze è necessariamente conosciuta, allo stato degli atti, in modo sommario, quello che appare sicuro in questo contesto è non solo il rilievo assunto dal Venerabile della Loggia P2, ma soprattutto, oltre la dimensione affaristica pur rilevante, il valore politico indubitabile che le relazioni intrattenute denunciano.

NOTE:

Uscito indenne dalla tempesta della P2, ricoprirà incarichi importanti nell’amministrazione pubblica, fino a diventare presidente della Società Autostrade. (La nota è nostra)

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1973
by compagno scapestrato Monday, Aug. 16, 2004 at 6:43 PM mail:

1973

Febbraio Isabelita Peron e Lopez Rega sono in visita in Italia per favorire il ritorno di Peron in Argentina. Si incontrano con Giancarlo Elia Valori e Licio Gelli. Impegnati nel perorare la causa è anche l'estrema destra, in particolare l'ex segretario del PNF, Carlo Scorza e Claudio Mutti
3 Febbraio Nuove nomine ai vertici delle forze dell'ordine: Efisio Zanda Loy è il nuovo capo della polizia e Enrico Mino è il nuovo comandante dei carabinieri
Marzo Vengono riunificate le due osservanze massoniche italiane, quella di Palazzo Giustiniani e quella di Piazza del Gesù che erano separate da 65 anni.

Brano tratto dal libro di Roberto Fabiani, "I Massoni in Italia"

La Gran Loggia d'Italia ci scrive..

12 Marzo Peron, dopo la vittoria del suo partito alle elezioni rientra dall'esilio. I militari vengono convinti della necessità dell'operazione da Carlos Suarez Mason, iscritto alla loggia P2 di Licio Gelli, capo del I corpo di armata e comandante del distretto militare di Buenos Aires
7 Aprile Nico Azzi, iscritto al MSI, rimane ferito per l'esplosione di un detonatore mentre sta innescando una bomba ad alto potenziale in una toilette del treno Torino-Roma. Le successive indagini porteranno alla condanna per strage di un gruppo di neonazisti di Milano che pubblica il giornale "La Fenice" (vicino alle posizioni di Ordine Nuovo, da poco rientrato nel MSI), di cui era leader Giancarlo Rognoni
12 Aprile Durante una manifestazione neofascista, due iscritti al MSI, Vittorio Loi e Maurizio Murelli lanciano bombe a mano SRCM contro la polizia e uccidono l'agente Antonio Marino
13 Aprile Fallisce, a causa di un incidente, un tentativo di strage sul diretto Torino-Roma. Dell'attentato avrebbe dovuto essere incolpata la sinistra rivoluzionaria (erano già pronti i volantini di rivendicazione), ma i veri autori vengono identificati e risultano iscritti al MSI
14 Aprile Vittorio Loi, nel corso di un interrogatorio confessa l'esistenza di un piano preordinato per creare disordini e fa i nomi degli organizzatori, successivamente però ritratta tutto
15 Aprile Il presidente del Consiglio, Andreotti parte per un lungo viaggio negli USA e in Giappone. A New York elogia Michele Sindona, definendolo "salvatore della lira"
26 Aprile Muore il generale De Lorenzo
27 Aprile Affidata al giudice istruttore Guido Salvini, per individuare i mandanti e sulle provenienza delle bombe a mano SRCM lanciate contro la polizia da Vittorio Loi e Maurizio Murelli nella manifestazione del 12/4/1973.
15 Maggio Avvisi di garanzia per Guido Giannettini e Guido Paglia, giornalisti di destra rientrati nelle indagini su piazza Fontana. Il primo si rivelerà un agente del SID
17 Maggio Gianfranco Bertoli , sedicente anarchico (in realtà ha fatto parte dell'organizzazione Pace e Libertà e fa parte di Gladio) proveniente da Israele, compie una strage davanti alla questura di Milano nell'anniversario dell'uccisione del commissario Calabresi, lanciando una bomba a mano sulla folla che esce da una cerimonia presieduta dal ministro dell'interno Rumor, Il bilancio è di 4 morti e 52 feriti

Michele Sindona tenta di aumentare il capitale della Finambro da un milione a 160 miliardi, ma l'operazione viene bloccata dall'opposizione del ministro La Malfa e di molti finanzieri di area laica. E' l'inizio della fine di Sindona

11 Luglio Scoperti 11 chili di dinamite su un binario ferroviario, nei pressi di Nuoro, poco prima del passaggio di un treno di pendolari
5 Settembre Guido Giannettini e Massimiliano Fachini vengono incriminati per la strage di Piazza Fontana
Ottobre Viene scoperta l'organizzazione segreta della Rosa dei Venti, che punta ad attuare un colpo di stato in 6 fasi di cui la quarta è rappresentata dall'intervento militare e la quinta dalla fucilazione di alcuni ministri, parlamentari socialisti e comunisti, dirigenti della sinistra, vecchi comandanti partigiani, in tutto 1.624 persone, è programmato inoltre l'avvelenamento di acquedotti con uranio radioattivo. Secondo una confessione raccolta dai magistrati la Rosa dei Venti è composta da 20 organizzazioni fasciste e gruppi clandestini di militari e al suo vertice ci sono ben 87 ufficiali superiori, rappresentanti tutti i corpi militari e tutti i servizi di sicurezza italiani. Dell'organizzazione risulta far parte anche Gianfranco Bertoli
1 Ottobre Undici candelotti di dinamite vengono scoperti sotto un ponte della ferrovia Napoli-Roma
12 Novembre Primi arresti, a La Spezia e a Padova, che porteranno alla scoperta della organizzazione neofascista "Rosa dei Venti". Le indagini del giudice Tamburrino, dimostreranno che la Rosa dei Venti è un'organizzazione foraggiata dal SID e in contatto, con strutture della Nato
21 Novembre Clemente Graziani ed altri 29 aderenti ad Ordine Nuovo vengono condannati per ricostituzione del partito fascista. Viene decretato lo scioglimento dell'organizzazione fondata da Pino Rauti
23 Novembre Precipita, vicino a Porto Marghera, a causa di un attentato l'aereo "Argo 16", usato da Gladio per i trasferimenti a Capomarrargio, dove i gladiatori ricevono addestramento militare. Le ipotesi formulate dal giudice Mastelloni, a cui è affidata l'inchiesta sono due: 1) una vendetta del MOSSAD (servizio segreto israeliano), perché l'aereo aveva trasportato dei palestinesi liberati dalla magistratura italiana. 2) un avvertimento dei membri di Gladio nel momento in cui il gen. Serravalle stava tentando di disarmare l'organizzazione
Dicembre Viene decretato lo scioglimento di Ordine Nuovo
17 Dicembre Da un inchiesta sulle intercettazioni telefoniche attuate illegalmente risulta che sono oltre 2.000 le linee poste sotto controllo

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MA LO SCANDALO E' UN ALTRO
by pugno chiuso Monday, Aug. 16, 2004 at 7:33 PM mail:

20 MARZO - I giudici della Corte di Assise d'Appello di Catanzaro assolve dal reato di strage - per insufficienza di prove- tutti gli imputati maggiori dell'attentato di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 a Milano che causò la morte di 16 persone; Franco Freda e Giovanni Ventura sono condannati a 15 anni (3 condonati) di reclusione solo per associazione sovversiva.

MA LO SCANDALO E' UN ALTRO

L'Italia che conta, trema. Si parla già da mesi dei 500 grandi esportatori di valuta, ed ecco spuntare i 962 iscritti alla fantomatica P2.

Tutto inizia il 17 marzo di quest'anno.

Da notare che negli Stati Uniti al giuramento del nuovo Presidente Reagan, invitato e presente c'è un personaggio italiano: Licio Gelli.
Mentre in Italia si sta indagando sul dissesto Sindona-Ambrosiano-Calvi

"Arezzo, 17 marzo 1981- La villa di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi in provincia di Arezzo è stata perquisita dai carabinieri per ordine dei magistrati milanesi Gherardo Colombo e Giuliano Turone. Sembra che si sia trovata, fra l'altro, una lista di 962 iscritti alla loggia, denominata P2, di cui Licio Gelli è "maestro venerabile" (Comunic. Ansa del 17 marzo 1981, ore 12,18)

"6 MAGGIO 1981 - Roma - La sede della massoneria italiana a Palazzo Giustiniani è stata perquisita per ordine della magistratura romana. L'operazione è stata compiuta dai carabinieri, che per tutta la notte scorsa, sotto la direzione del sostituto procuratore DOMENICO SICA, hanno esaminato numerosi carteggi e il contenuto di tutti gli archivi". ( Ib. ore 13,27).
Al centro dell'inchiesta c'è l'attività della Loggia P2, il cui capo è LICIO GELLI. Il suo nome è balzato più colte in questi ultimi tempi alla ribalta della cronaca. Ciò ha indotto il procuratore Achille Gallucci ad ordinare l'apertura di un'inchiesta che comunque non interferirà sui procedimenti che su Gelli sono in corso da tempo in altre città italiane. La procura vuole accertare la fondatezza delle numerose accuse che in questi ultimi tempi sono state rivolte da quotidiani e settimanali alla Loggia P2, della quale farebbero parte personaggi di primo piano della vita nazionale" ( Ib. ore 16,30).

"21 MAGGIO 1981 - ROMA - L'ufficio stampa della presidenza del consiglio dei ministri ha distribuito in serata l'elenco dei nomi degli iscritti alla P2. Si tratta di fotocopie. Ogni nome è preceduto da un numero di fascicolo e da un numero di gruppo; segue un "codice", al quale talvolta segue il numero della tessera e un appunto relativo alle quote sociali". (Ib. ore 00,22)
Nella lista ci sono 52 alti ufficiali dei carabinieri, 50 dell'esercito, 37 della Guardia della Finanza, 29 della marina, 11 questori, 5 prefetti, 70 imprenditori, 10 presidenti di banca, 3 ministri in carica, 2 ex ministri, il segretario di un partito di governo, 38 deputati, 14 magistrati.
Ma chi è mai questo Licio Gelli che giò Paese Sera parlava di lui?
Un "gran burattinaio" egli si definisce in un'intervista. Sembra che abbia una copia dei fascicoli (rapporti) personali che, per ordine del governo, il Sifar avrebbe dovuto bruciare tutti nell'inceneritore di Fiumicino il 10 agosto del 1974. E proprio per questi rapporti del servizio segreto in suo possesso viene colpito da un mandato di cattura per procacciamento di notizie sulla sicurezza dello stato.
Lui fugge all'estero. Verrà poi arrestato a Ginevra nel settembre dell'82, mentre sta prelevando da un "conto" 180 miliardi. Evade dal carcere un anno dopo. Poi si costituisce e viene estradato dalla Svizzera in Italia nel febbraio del 1988, ma solo per alcuni reati; per gli altri non potrà essere processato, sebbene il suo nome sia stato coinvolto nell'omicidio Pecorelli, nell'affare Sindona, e perfino nella strage di Bologna.

Ma proseguiamo la cronaca di quest'anno e anche dei successivi per dare un quadro completo sugli sviluppi della vicenda.

"22 MAGGIO 1981 - Roma - Ordine di cattura per Licio Gelli. La procura della repubblica ha emesso ordine di cattura contro Licio Gelli e contro l'ex ufficiale dei carabinieri Antonio Viezzer. Ad entrambi viene contestato l'art. 257 del codice penale che punisce lo spionaggio politico o militare con al reclusione non inferiore a 15 anni". (Ib. ore 17,48)

5 GIUGNO 1981- Il tenente colonnello Luciano Rossi, l'ufficiale che era stato chiamato dal sostituto procuratore a testimoniare sulla Loggia P2, e sul ritrovamento dei documenti a Castel Fibocchi, viene rinvenuto cadavere al secondo piano della sede del nucleo centrale della polizia tributaria in via dell'Olmata a Roma. E stato trovato con un colpo di pistola sparato con la sua calibro 9 d'ordinanza alla tempia. Si parla subito di suicidio e il caso subito archiviato.
E' il primo "cadavere eccellente", e il primo "suicidio".

7 LUGLIO 1981 - Primo effetto (o panico) degli "affaires" P2 (Corriere, Calvi, Gelli. Ambrosiano, Sindona ecc.). La Borsa di Milano dopo una valanga di vendite che fa bruciare in un mattino miliardi su miliardi con un ribasso dei titoli del 20% sono sospese le contrattazioni e viene chiusa per 6 giorni. Quando riapre il 13, i titoli perdono un altro 10%.

9 LUGLIO 1981 - Roberto Calvi tenta il suicidio in carcere. Ha assunto dei barbiturici e si è svenato il polso destro con una lametta da barba. E' stato rinvenuto dopo cinque ore, alle sette del mattino. Ricoverato al Mangiagalli è fuori pericolo. Il mattino alle 9 doveva presentarsi dal sostituto procuratore Gerardo d'Ambrosio.
Si svolge una movimentata seduta in Parlamento. Longo sulla P2 (c'è anche il suo nome fra gli iscritti) parla di "scandalismo" su tutta la vicenda e si dichiara "inorridito da certe Pubbliche amministrazioni nei riguardi di presunti iscritti alla P2".

"Anche CRAXI dedica la parte più significativa del suo intervento alla P2 e alla magistratura. Secondo il leader socialista nell'indagine sulla Loggia massonica sono stati commessi degli "errori", il primo dei quali è stato di assumere come vera tutta la lista ritrovata nelle valigie di Gelli, col risultato di mescolare "notori farabutti" con "galantuomini" (Ma non fa i nomi dei "farabutti").
Ma continua "...è cresciuta una campagna che a un certo punto ha cominciato a puzzare di maccartismo, che ha fatto vittime spingendo molti alla disperazione e financo a suicidio"
Craxi sferra l'attacco specifico alla magistratura milanese, colpevole di aver messo le manette a Calvi "Quando si colpiscono finanzieri che rappresentano in modo diretto o indiretto gruppi che contano per quasi metà del listino di Borsa è difficile non prevedere incontrollabili reazioni psicologiche. Il tentato suicidio di Calvi ripropone con forza il clima inquietante di lotte di potere condotte con spregiudicatezza e violenza intimidatoria, contro il quale bisogna agire per ristabilire la normalità dei rapporti tra Stato e cittadini" ("Con questo ragionamento i russi non sarebbero dovuti entrare a Berlino per il timore che Hitler si sarebbe ammazzato" è stata la battuta di un deputato".(La Repubblica, sabato 11 luglio 1981, articolo di Lucio Caracciolo)
(Da notare: che, "Secondo la ricostruzione fornita da Franco Giustolisi sull'Espresso del 4 ottobre 1981 e che Calvi nella sostanza non smentì mai, mentre si trovava in carcere avrebbe confessato ai giudici di aver aperto una linea di credito estero su estero a favore del PSI tramite il banco Andino-Ambrosiano. Il credito ammontava a 26 miliardi di lire. Una iniziativa nella speranza di essere in qualche modo protetto dalle "persecuzioni" della procura milanese.

Craxi smentì sempre vibratamente tutta la faccenda). (Nota riportata a più dell'intervista fatta a Calvi da Enzo Biagi su La Repubblica, l'1 agosto, 1981 (appena Calvi si era ripreso dal tentato suicidio) pubblicata nello speciale "Dieci anni 1981", supplemento a "La Repubblica" n. 59 del 11-3-1986)

Non meno "inquisitorio" "PICCOLI della DC con il suo attacco alla magistratura ha assunto toni apocalittici: "Non possiamo nascondere la nostra inquietudine nel vedere così rapidamente bruciate le tappe che portano attraverso l'uso di strumenti di giustizia a situazioni di palmare e clamorosa ingiustizia. Il lavoro dei tribunali troppe volte sconfina dal campo del diritto a quello della politica, per converso, la lotta politica emigra indecorosamente nel terreno della giustizia"..."bisogna far cessare lo spettacolo inverecondo di certi modi di azioni giudiziarie, per cui si hanno verdetti emanati a priori" Al termine del suo "grido di libertà", Piccoli ha chiesto al Guardasigilli Darida di "esercitare il suo potere di indagine" sul caso Calvi" (Ib.)

Il 24 luglio il Governo Spadolini decide lo scioglimento della loggia P2, nell'ambito delle norme che puniscono le società segrete e i loro appartenenti.
Il 9 dicembre viene formata la commissione d'inchiesta sulla P2 (20 deputati e 20 senatori) presieduta dalla democristiana Tina Anselmi. Al suo insediamento ha affermato "Non lasceremo nulla di intentato per far luce di verità su un fenomeno tanto inquietante nella vita della repubblica" (ib 9 dic. 1982, ore 14,32).

"TREMA LA MILANO DEGLI AFFARI!"
E MOLTI QUESTA NOTTE NON DORMIRANNO"

"13 SETTEMBRE 1982 - Roma- Licio Gelli è stato arrestato a Ginevra" ( Ib. ore 18,45).
"E' finita dopo 500 giorni la latitanza di Licio Gelli, il capo della loggia massonica P2, protagonista del più grande scandalo italiano del dopoguerra. In una intervista, poco prima che venisse alla luce la vicenda della P2, disse che da piccolo sognava di fare il burattinaio. Non era una battuta. Per anni Licio, toscano di 63 anni, è stato il burattinaio di alcune tra le più oscure vicende o, come lui stesso ha sempre detto. "il confessore di questa repubblica".
Figlio di un mugnaio, nato a Pistoia, a 17 anni, nel '36, venne espulso "da tutte le scuole del regno". Volontario nella guerra civile in Spagna con il corpo di spedizione fascista, tornò in Italia 18 mesi dopo e scrisse il libro "Il fuoco". Nel 1941 era in Jugoslavia come rappresentante fascista a Cattaro e dopo l'8 settembre 1943 aderì alla repubblica di Salò. In quel periodo a Pistoia, secondo alcuni documenti, fece il doppio gioco, aiutando anche alcuni partigiani. Dopo la liberazione andò in Argentina, paese al quale è sempre rimasto legato.
Negli anni Cinquanta cominciò la sua carriera di industriale nella società di materassi "Permaflex".
Agli inizi degli anni Settanta divenne dirigente della "Giole" di Arezzo". ( Comunic. Ansa, del 13 settembre 1982, ore 20,33).

(C'è un singolare finale nel link di Martin Bormann )
(ritorna poi qui con "pagina precedente")

Un ora dopo: ore 21,20 - "Roma - LA TELA DEL RAGNO DI LICIO GELLI - Ma il potere che ha accumulato negli anni non nasce dalla sua attività industriale. La sua fortuna coincide con il suo ingresso nella massoneria, dove, con pazienza, negli anni Sessanta cominciò a tessere la sua tela. Iniziato in una loggia toscana, Gelli divenne nel 1972 segretario organizzativo della loggia "Propaganda due", la più esclusiva di tutto il "Grande Oriente d'Italia", nata ai primi del '900 con lo scopo di farvi aderire personaggi pubblici desiderosi però di riservatezza. Era infatti una loggia in cui i "fratelli" non si conoscevano tra di loro ed erano esentati dal partecipare a riunioni. Lino Salvini il "grande maestro" dell'epoca la demolì, ma Gelli nel 1975 la ricostruì e partì per quell'impresa che, sei anni dopo, ha fatto cadere un governo, perdere il posto a ministri, generali, ufficiali dei carabinieri, giornalisti.
Amico intimo di Lopez Rega, oscuro personaggio che guidò l'Argentina alla fine degli anni Settanta, nominato consigliere diplomatico, con tanto di passaporto speciale, divenne, per "fratellanza massonica" amico e depositario dei segreti di MICHELE SINDONA, da tempo latitante. L'Aver messo la mano in segreti è stato uno dei motivi che gli hanno aperto le porte della Roma politica, ancora sotto il terrore del crac provocato dal finanziere di Patti, Sindona gli presentò CALVI, il presidente del Banco Ambrosiano e uomo di tutte le transazioni targate P2. Ma è stata proprio l'inchiesta su Sindona a provocare la fine dell'impero di Gelli. I magistrati milanesi che indagavano sull'omicidio AMBROSOLI vollero vedere le carte del maestro venerabile e mandarono in tutta segretezza a marzo una pattuglia di finanzieri nella villa e nell'ufficio di Gelli a Cariglion Fibocchi. Ne uscirono molte ore dopo con quattro valigie di documenti: vi erano tutti i segreti della P2". (Comun. Ansa, 13 settembre 1982, ore 21,20).


(viene anche sequestrato il famoso "PIANO RINASCITA DELL ITALIA")
(Il progetto per "una nuova Italia")

Nel 1982 si svolgono le indagini. Il 17 Marzo 1983, viene depositata la sentenza ordinanza riguardante alcuni episodi emersi durante la vicenda della Loggia P2.

"Il magistrato ha prosciolto in pratica tutti gli imputati o ha applicato l'amnistia e solo in alcuni casi ha stralciato fatti sui quali dovranno essere fatti accertamenti. Per quanto riguarda i circa 200 dipendenti pubblici che erano stati indiziati per aver partecipato ad una associazione segreta, il giudice ha deciso per l'archiviazione, in quanto il fatto all'epoca della loro associazione non era previsto come reato" (Ib. 17 marzo, ore 12,49).
"Licio Gelli è stato amnistiato per la truffa ai danni degli iscritti alla P2, e per quanto riguarda l'accusa di rivelazioni di segreto d'ufficio in concorso con Calvi" (Ib. ore 14,14).

"Ma con questa sentenza il discorso sulla p2 non deve considerarsi concluso. Altre vicende saranno oggetto di indagini. Tra queste l'uccisione di Mino Pecorelli, delitto per il quale recenti rivelazioni fatte da un pentito hanno rilanciato le indagini che si ricollegano sempre alla figura di Gelli, in quanto sarebbe stato proprio il capo della P2 a decretare l'eliminazione del direttore di "Op". Gelli inoltre deve sempre rispondere di cospirazione politica mediante associazione nella sua veste di capo assoluto e manovratore unico della P2" (Comun. Ansa, del 17 marzo 1982, ore 15,40).

"10 AGOSTO 1983 - Ginevra- Licio Gelli sarebbe fuggito dal carcere di Champ Dollon, dove era detenuto dal 12 settembre dell'anno scorso. La notizia è stata appresa da fonti bene informate" (Ib. 10 agosto 1983, ore 11,13).
Qualche giornale titola avanzando i dubbi e preoccupazioni. I dubbi perché il successivo 19 agosto la Svizzera ha concesso finalmente l'estradizione (ormai inutile). E preoccupazioni perché si pensa che sia stato rapito (la pagine del giornale é quella riportata nell'agosto 1983 - vedi)
Altri avanzano inquietanti dubbi: è stato fatto evadere dopo le pressioni delle banche? Lo hanno forse rapito e lo ritroveremo appeso sotto qualche ponte?

"9 MAGGIO 1984 - Roma - La RELAZIONE ANSELMI - Le liste trovate nella villa di Gelli nel 1981 sono aiuentiche. Licio Gelli faceva parte dei servizi segreti fin dal 1950. La P2 è una organizzazione che aspira non alla conquista del potere nelle sedi istituzionali ma al controllo di esse in forma surrentizia. Sono alcune delle affermazioni contenute nella prerelazione, di circa 200 cartelle, che la presidente Tina Anselmi ha letto alla commissione parlamentare sulla Loggia P2, facendo il punto su ciò che è emerso durante l'indagine e offrendo una chiave di lettura dell'"universo piduista". (Ib. ore 19,19)
Nelle conclusioni del capitolo che analizza il progetto politico della P2, l'Anselmi afferma che la loggia di Gelli entra come elemento decisivo in alcune vicende finanziarie -quella di Sindona e quella di Calvi, che hanno interessato il mondo economico italiano - "in modo determinante". In questo contesto, la loggia P2 ha anche acquisiti il controllo del maggior gruppo editoriale italiano, mettendo in atto nel settore primario della stampa quotidiana una operazione di concentrazione di testate non confrontabili ad altre analoghe e riconducibili a sia pur preminenti centri di potere economico. La presidente si pone quindi l'interrogativo se "non esista una sproporzione tra l'operazione complessiva e il personaggio (Gelli) che di essa appare l'interprete". (Ib. ore 19,57)
"Roma - Ancora sulla relazione Anselmi - Ricorrendo ad una metafora, la Anselmi ha parlato di una piramide il cui vertice è costituito da Licio Gelli, e di un'altra piramide sopra a questa, rovesciata, che vede il suo vertice inferiore appunto in Licio Gelli. "Questi è infatti il punto di collegamento fra a piramide superiore, nella quale vengono identificate le finalità ultime, e quella inferiore, dove esse trovano pratica attuazione". Quale forse si agitino nella struttura superiore "non ci è dato di conoscere sia pure in termini sommari, al di là dell'identificazione del rapporto che lega Gelli ai servizi segreti". (ib. ore 21,25)

"10 LUGLIO 1984 - La commissione P2 ha concluso oggi suoi lavori, approvando a larga maggioranza la relazione (31 voti favorevoli, quattro contrari). La commissione era oggi alla sua 147ma seduta, L'inchiesta si è protratta per oltre due anni e mezzo. Intervenendo per dichiarazione di voto, il democristiano Padula, ha detto che la DC non ritiene preclusi ulteriori approfondimenti sulla vicenda P2 e ha negato che ci siano stati "processi alle streghe"; ha tenuto anche a sottolineare che "non si possono trarre conclusioni personali da un documento che per sua natura non può contenere nessun dispositivo su condizioni particolari; a ciascuno deve essere assicurata la possibilità di precisare la propria posizione personale". (Ib. ore 19,06).

21 SETTEMBRE 1987 - "Ginevra - Licio Gelli si è costituito stamani a Ginevra. Lo hanno annunciato i suoi avvocati" Si vuole costituire perchè non vuole finire i suoi giorni da fuggitivo, e intende affrontare i suoi giudici tanto in Italia quanto in Svizzera" (Ib. ore 11,19).

19 NOVEMBRE 1991 - "Dopo dieci anni si è conclusa con il rinvio a giudizio di 16 persone, tra le quali Licio Gelli, l'istruttoria penale sull'attività della loggia P2. I reati contestati vanno dalla cospirazione politica, allo spionaggio, al millantato credito, all'attentato contro la costituzione. Il GI ha disposto innanzitutto il rinvio a giudizio per i reato principale, la cospirazione politica, di Umberto Ortolani, dei generali Franco Picchiotti, Gianadelio Maletti, raffaele Giudice, Pietro Musumeci e Giulio Grassini, del colonnello Antonio Vezzier, del capitano Antonio Labruna. Del reato era imputato anche
Gelli, ma non essendo stato estradato per questa accusa, il magistrato ha disposto per lui il non luogo a procedere." (Ib. ore 12,19)
"Gelli è stato anche prosciolto dalle imputazioni di procacciamento di notizie riguardanti la sicurezza dello stato, di rivelazioni di segreti d'ufficio e di estorsione (ai danni di Roberto Calvi). Gelli risponderà invece di millantato credito nei confronti dei magistrati di Milano in relazione all'inchiesta sul dissesto del Banco Ambrosiano e di calunnia nei confronti degli stessi magistrati. Tutta l'attività, secondo 'accusa, fu svolta in funzione degli obiettivi perseguiti dalla loggia massonica P2, che mirava a diventare un centro di potere in grado di condizionare il funzionamento dello stato. (Ib. ore 14,05).

16 APRILE 1994 - Roma - "La loggia massonica P2 non fu una struttura che cospirò contro lo stato. Lo ha stabilito la corte di assise di Roma, che ha assolto gli imputati, perchè il fatto non sussiste, dall'accusa di cospirazione politica mediante associazione. I giudici hanno condannato Licio Gelli a 17 anni di reclusione, di cui cinque condonati, per millantato credito, calunnia e procacciamento di documenti contenenti notizie riservate, e il generale Gianadelio Maletti a 14 anni, di cui cinque condonati, per procacciamento di notizie riservate. Assolti gli altri imputati, fra i quali Ortolani, il colonnello Vezzier e il capitano Labruna. Il PM che aveva chiesto la condanna di tutti, ha preannunciato che ricorrerà in appello; prima ha detto "Se mai è esistita una associazione di condizionamento, questa è la P2" (Ib. ore 10,51)

Termina così una lunga vicenda che era partita indicando tutti criminali, e che invece si è rivelata essere (secondo le commissioni, i processi, e gli stessi coinvolti) una associazione con dentro molti arrivisti, tanti schiocchi, e qualcuno si è assolto da solo affermando di essere stato "tanto cretino".
Ma la vicenda non è stata poi così tanto sciocca. E neppure tanto ridicola.
Ci sono stati crolli di imperi bancari, la rovina di case editrici (Rizzoli) le tempeste dentro i giornali (Il Corriere della Sera), tanti licenziamenti, dimissioni di governi, di ministri; tanti atti di espiazione di alcuni personaggi coinvolti, e anche lutti.
(qui la storia di ROBERTO CALVI finito impiccato al Ponte dei Frati di Londra)
Tutto termina nella settimana che Berlusconi forma il suo governo, Andreotti viene indagato, e il processo Enimont si chiude, dopo aver tenuto banco con tutta la casta politica nella dissoluzione più totale.

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L’ultimo Potere Forte
by Gianni Barbacetto Monday, Aug. 16, 2004 at 7:37 PM mail:

Inaffondabile.Temutissimo.Ricco di relazioni
internazionali.Ecco la storia segreta di Giancarlo Elia Valori, l’unico boiardo di Stato passato dalla Prima alla Seconda Repubblica mantenendo intatta tutta la sua influenza. E pronto, oggi, per nuove avventure !!!!!

Chissà se è davvero, come dicono tanti, l’uomo più potente d’Italia. Certo è uno dei più temuti. E dei più misteriosi. E con le migliori relazioni internazionali. Sicuramente Giancarlo Elia Valori, il supermanager che lascia dietro di sé una scia di odore d’aglio (lo divora a spicchi, crudo, convinto delle sue virtù salutari) è l’unico sopravvissuto di una specie ormai estinta: quella dei boiardi di Stato. Tutti gli esemplari della specie sono scomparsi: i potentissimi membri della casta che presidiava le imprese pubbliche per conto dei boss dei vecchi partiti sono stati spazzati via da Mani Pulite, dal tramonto della Prima Repubblica, dalla nuovelle vague delle privatizzazioni... Ma lui, il Manager-Professore, il Signor Autostrade, è sopravvissuto felicemente al crollo della Nomenklatura (e non è la prima volta che attraversa il fuoco come una salamandra). Ha pilotato la privatizzazione della società Autostrade, restandone – caso unico – presidente. E continua a collezionare onori, cariche, poltrone.
Ora, come amministratore delegato, alle Autostrade è arrivato un manager forte, Vito Gamberale; e Valori, a cui non basta fare il presidente di rappresentanza, ha cominciato a cercare altri spazi di potere. Tanto per cominciare, all’inizio di marzo è stato eletto presidente dell’Unione Industriali di Roma, ma non ha certo intenzione di fermarsi lì: sta decidendo che cosa farà da grande, e ha (come sempre) grandi idee. La prossima poltrona potrebbe essere tutta politica; non gli dispiacerebbe, per esempio, quella di sindaco della capitale. In questo caso, trasversale com’è, avrebbe un solo imbarazzo: scegliere se essere candidato dalla destra o dalla sinistra.
Ma chi è davvero Giancarlo Elia Valori, l’inossidabile? Raccontarlo non è facile. Attorno a lui aleggiano leggende nere, che odorano, più che d’aglio, di incenso e, nello stesso tempo, di zolfo. È circondato da una barriera di protezione e di silenzio. Chi lo conosce bene, pur senza amarlo, sembra averne un sacro terrore. Tanto che viene la voglia, per una volta, di dimenticare la Regola Numero Uno del Bravo Giornalista («Non tediare il povero lettore con il racconto delle difficoltà incontrate nel raccogliere le notizie»), perché quelle difficoltà fanno parte del personaggio. Perfino una persona coraggiosa e senza scheletri nella cassapanca come Tina Anselmi, mitica presidente della Commissione parlamentare sulla P2, appena sentito il nome fatidico si blocca: «Non insista, io su quel signore non ho nulla da dire».
Se risponde così lei, figuratevi gli altri. E, visto il personaggio, abituato a essere trattato più che bene dai giornali, non ci si potrà stupire neppure dei sospetti dietrologici con cui potrebbe essere accolta un’inchiesta sul Signor Autostrade: ma chi c’è dietro? quale gioco fanno? per conto di chi? E invece dietro – è la stampa, bellezza – c’è solo la curiosità per una maschera del teatro italiano del potere, c’è la voglia di capire perché Giancarlo Elia Valori è così potente, così misterioso, così temuto, così inossidabile. E, allora, proviamo a raccontarlo, partendo dal presente.

DAI DINOSAURI ALLA NEW ECONOMY. Valori dal marzo 1995 è presidente della Autostrade spa, la più grande rete autostradale del mondo, con i suoi 3 mila chilometri d’asfalto, 3.200 miliardi di fatturato, 426 di utili. Ma ci tiene a qualificarsi, prima che come manager, come «professore»: anche se le sue cattedre sono solo onorarie, virtuali, una a Pechino («Economia e politica internazionale») e una a Gerusalemme («Studi sulla pace e la cooperazione regionale»). L’elenco delle onorificenze, poi, riempie mezza pagina: cavaliere di Gran Croce della Repubblica italiana, cavaliere dell’Ordine di Isabella la Cattolica, cavaliere della Legion d’Onore e un vasto campionario di medaglie e riconoscimenti collezionati in giro per il mondo, a partire dall’Argentina e dalla Corea.
La nuova poltrona che ha appena aggiunto alla sua collezione, quella di presidente degli industriali romani, è stata invece, fino a oggi, una briscola bassa, di poco valore, perché è al Nord che sta la grande industria privata. Ma ora, dopo le privatizzazioni, nel club romano sono entrate anche le ex imprese di Stato, il gigante Telecom, le Autostrade... Valori non ha perso tempo e si è subito piazzato. Lo ha fatto a modo suo, senza contrasti apparenti: ha incontrato il candidato naturale, espressione dei piccoli imprenditori romani (Gennaro Moccia) e lo ha velocemente convinto a ritirare la candidatura. Appena designato, ha incassato i complimenti di Francesco Rutelli, sindaco di Roma («Valori rappresenta la novità, ma anche la continuità...»). E ha subito buttato lì, in un intervento sul molto ospitale Messaggero, l’idea di Roma «cerniera tra Nord e Sud», tra «due Italie» da avvicinare: e come, se non con un paio di belle autostrade («riqualificazione della Salerno-Reggio Calabria e trasformazione della Taranto-Reggio») e un bel ponte sullo Stretto di Messina? In questo programma, Valori trova una sponda sinistra dentro il governo D’Alema: in quel Marco Minniti che è il braccio destro del presidente del Consiglio, ma prima ancora è un politico calabrese, che tanto si sta dando da fare per portare sviluppo (cioè soldi e lavori pubblici) alla sua regione.
Un altro tema che Valori ha subito toccato dopo la sua ultima nomina, anche se non c’entrava niente, profuma di new economy: è il programma di Blu, il consorzio per la telefonia di cui è presidente. «Vogliamo grossi partner che rappresentino innanzitutto gli interessi nazionali e poi i grandi interessi europei». Blu (soci: Autostrade, cioè Benetton e il gruppo Caltagirone, più Mediaset, più British Telecom) sarebbe il quarto gestore Gsm, aveva annunciato la partenza del servizio per il 1 marzo 2000, ora l’ha riannunciata per il 1 maggio; per ora non si è visto ancora niente, ma forse il consorzio è interessato, più che all’affollato Gsm, alla gara per le licenze Umts, il sistema che unisce telefonino e servizi internet, per le quali si è già scatenata una guerra di lobby. In corsa, oltre a Telecom, Omnitel e Wind, ci sono Blu, Tiscali ed e.Biscom. Valori conta, per vincere, sull’amico ministro delle telecomunicazioni Salvatore Cardinale, ma le cinque licenze saranno assegnate, quest’estate, da un comitato di ministri presieduto da Massimo D’Alema in persona. Valori vuole esserci, vuole dimostrare di saper passare dai dinosauri di Stato alla new economy. Chissà che cosa gli riserverà il futuro. Ma intanto, per conoscere il personaggio, è necessario tuffarsi nel passato dei dinosauri.

IL RAGAZZO PRODIGIO. Giancarlo Elia nasce a Meolo, un paesotto vicino a San Donà di Piave non distante da Venezia, il 27 gennaio 1940, sotto il segno dell’Acquario. I genitori sono toscani, il padre Marco è compagno di scuola di Amintore Fanfani. Il ragazzo studia Economia e commercio e si trasferisce presto a Roma. Gli piacciono da morire gli ambienti vaticani, le divise e i riti della curia romana. Riesce a diventare «Cameriere di spada e cappa»: è la prima onorificenza della sua collezione, è il 1963, Giancarlo Elia ha 23 anni. C’è una foto che lo ritrae, giovanissimo, accanto all’uomo allora più potente Oltretevere, il cardinale Alfredo Ottaviani. Il fratello maggiore di Giancarlo, Leo, ex partigiano bianco, mandato da Enrico Mattei fin dal 1948 in Argentina a rappresentare l’Eni, lo introduce invece negli ambienti del governo di Buenos Aires. Il presidente Arturo Frondizi era amico del fratello, tanto da diventare padrino dei suoi figli.
Nel 1965, a 25 anni, Giancarlo Elia entra nella Rai di Ettore Bernabei, prima come consulente e poi come funzionario: si occupa di relazioni internazionali, è una sorta di enfant prodige, stringere relazioni è la sua specialità. Ottime quelle con le curie, incredibili quelle con l’estero. Efficiente, attivissimo, ben introdotto: così lo ricorda lo scrittore Alvise Zorzi, che in quegli anni era condirettore centrale Rai per i rapporti esterni. Valori si specializza in dittatori: Kim Il Sung in Corea del Nord, Nicolae Ceausescu in Romania, i dirigenti della Cina. Nei primi anni Settanta organizza una visita in Italia di Frondizi, presidente democratico dell’Argentina tra il 1958 e il 1962, che fa incontrare con diverse personalità italiane. Ma Valori conosce bene anche l’ex dittatore argentino Juan Domingo Peron, a quei tempi esule a Madrid. È il fratello che gli passa i contatti, poi Giancarlo li coltiva. La nuova moglie di Peron, Isabelita, diventa amica della madre di Valori. E quando i due argentini vengono a Roma, sono ospiti di casa Valori, a Trastevere. Il 12 marzo 1972, dopo un lavorio durato sette mesi, sullo sfondo di un fitto impegno di lobby economiche internazionali, il trentaduenne Giancarlo Elia riesce a far incontrare a Madrid, faccia a faccia, Frondizi e Peron, l’ex presidente e l’ex dittatore: è la prima pietra del trionfale ritorno di Peron in Argentina. Quando Peron nel 1973 torna in Argentina da trionfatore, sull’aereo che lo porta da Madrid a Buenos Aires, insieme ai notabili peronisti, alla moglie Isabelita e al cadavere di Evita trafugato dal cimitero di Milano, ci sono due italiani: Licio Gelli e Giancarlo Elia Valori.
I rapporti con l’Argentina sono anche rapporti massonici. E il cattolicissimo, papalino Giancarlo, malgrado la scomunica vaticana per i Liberi Muratori, comincia prestissimo a frequentare le Logge. A 25 anni si iscrive alla Loggia Romagnosi del Grande Oriente. L’anno dopo, nel 1966, si presenta però alle elezioni amministrative di Roma nelle liste della Dc, senza avvisare la Loggia: viene sottoposto a processo massonico e radiato. «Non accettarono la mia linea», tenterà di spiegare poi Valori, «del dialogo tra cattolicesimo e massoneria».
Nel 1973, un iscritto alla Loggia Romagnosi che aveva voglia di mettersi in proprio, un certo Licio Gelli, lo contatta perché sa dei suoi ottimi rapporti con l’Argentina, lo iscrive al Centro Culturale Europeo (in realtà è la Loggia P2) e lo coinvolge in una società di import-export chiamata Ase. Che cosa importi e che cosa esporti – carne, armi, informazioni – non è dato sapere. Valori comunque sostiene di esserne uscito subito, lasciando Gelli al suo destino. Non prima, però, di avergli presentato, a Roma, all’Hotel Excelsior, il presidente Peron e il suo braccio destro, l’esoterico José Lopez Rega.
Dopo il ritorno di Peron al potere, il rapporto con Gelli si rompe: il Gran Maestro della P2 gli scippa il contatto con l’Argentina, stringendo un rapporto diretto con Lopez Rega, che approfittando della malattia di Peron diventa il vero padrone del Paese. Valori lo disprezza: «Fino al ritorno di Peron in Argentina, Lopez Rega aveva un ruolo puramente da cameriere, ai colloqui di Peron non partecipava mai, se non per servire una bibita o un caffè... Era autore di un libro intitolato Dall’Alfa all’Omega nel quale parlava di una chiesa al di sopra delle chiese. Un pazzo, io lo ritenevo, spessissimo nelle nostre conversazioni parlava di queste cose che mi facevano veramente ridere». Intanto, però, Gelli strappa a Valori il mercato (massonico, di contatti, di affari) argentino. Lo scontro Gelli-Valori, dunque, si conclude apparentemente con la sconfitta di quest’ultimo, che risulta infatti l’unico espulso dalla P2. Visto oggi, però, a vincere è Valori.

ARMI & AGENTI SEGRETI. Nei primi anni Settanta, l’attivissimo Valori, stregato dal potere e dai suoi riti, si avvicina anche all’ambiente dei servizi segreti. Nel 1972 conosce Mino Pecorelli, giornalista che si muove in quel mondo e che dal suo giornale Op lancia messaggi, avvertimenti, ricatti. «Mi attaccava, non capivo perché», dichiarerà poi Valori alla Commissione parlamentare sulla P2. Allora lo contatta, e subito i rapporti tra i due diventano molto stretti e personali: telefonate quotidiane, incontri frequenti. Spesso la domenica Pecorelli passa con la macchina a prendere Valori, che non guida, per serene gite nei dintorni di Roma. Ma è Pecorelli a inventare e diffondere quel soprannome allusivo, che accenna ai suoi contatti in Oriente e lo fa andare su tutte le furie: Fiore di Loto.
Sempre nel 1972, in Rai, Valori conosce Nicola Falde, ufficiale del Servizio di sicurezza militare a quell’epoca di fatto infiltrato nella Rai: «Cominciò allora la nostra frequentazione e la sua richiesta di giudizi su varie persone», ammetterà Valori molti anni dopo, nel 1996, davanti al giudice Rosario Priore, in un interrogatorio rimasto finora segreto. «Sapevo della provenienza dal Sid, Ufficio Ris, del Falde, che si occupava di conferire pareri di sicurezza circa l’esportazione di armamento». Valori diventa insomma fonte di Falde dentro la Rai, arricchisce i suoi contatti con l’estero (Cina, Corea, Romania, ma anche Stati Uniti, Canada, America Latina...) e si spiana la carriera dentro le aziende di Stato.
Nel 1976, a 36 anni, è vicedirettore generale di Italstrade. «Avevo già realizzato», confessa a Priore, «che i servizi potevano avere un ruolo incisivo circa l’apertura economico-commerciale verso i mercati esteri, in particolar modo verso Libia, Iran, Algeria, Arabia Saudita e Turchia. Così nacque il mio contatto con Santovito». Giuseppe Santovito all’epoca è comandante del Comiliter di Roma e in seguito diventerà direttore del Sismi, il servizio segreto militare. È iscritto alla P2, come tanti altri amici e conoscenti di Valori in quegli anni: il magistrato Carmelo Spagnuolo, il faccendiere Francesco Pazienza, il giornalista Mino Pecorelli, l’agente Nicola Falde... «Conoscendo i rapporti che il Servizio aveva all’epoca con tutto il mondo arabo – come l’Arabia Saudita e la Libia – io chiesi al generale Santovito di tenere presente, nell’ambito della legalità e degli interessi dello Stato, la società dell’Italstrade, società a capitale Iri, per eventuali lavori da compiere in quei Paesi. Per questa ragione», dichiara Valori a Priore, «vedevo di tanto in tanto il generale Santovito e qualche volta lo sentivo per via telefonica. Sono stato, ma raramente, presso il suo ufficio in via XX Settembre e più di sovente presso la sua abitazione in via Flaminia».
Spionaggio e affari. Appalti e barbe finte. In questo contesto Santovito, diventato capo del Sismi, nel 1978 presenta a Valori due libici che lo possono aiutare a ottenere commesse nei Paesi arabi: Salem Moussa e Ladheri Azzedine. In quegli anni, spiega Valori, Italstrade puntava a realizzare ponti e strade in Libia e la diga di Karakaya in Turchia. Ma evidentemente i due libici avevano in corso affari anche più pericolosi, perché Azzedine viene trovato morto, nel 1980, a Milano. «Lessi dai giornali che era morto. Certamente non di morte naturale», dichiara Valori a verbale. Ma nega di aver avuto a che fare con triangolazioni di armi: «Mai fatto da intermediario tra la Libia e la Fiat. Escludo di essermi mai interessato a commesse per la vendita di aerei o di armi alla Libia. Mai concluso affari di missili e aerei G47».
Ammette però di aver mosso i primi passi all’ombra di Francesco Rota, direttore generale del San Paolo di Torino prima, della Fiat poi. E di avere, trentenne, redatto per la Fiat «analisi finanziarie internazionali sul mercato sudamericano, francese ed europeo». Ed è costretto ad ammettere di avere avuto a che fare con la società finanziaria Sophinia, in affari con il mondo arabo. «Avevo poco più di trent’anni», sottolinea Valori. «Vi ero entrato su invito di Davide Pellegrini, vecchio amico del Quirinale». Di più, non dice.

AMICHE TOGHE. Forte dei suoi rapporti particolari, Valori procede nella sua carriera di boiardo di Stato. Lo scandalo P2, nel 1981, lo colpisce, ma solo di striscio: sulle liste di Castiglion Fibocchi è scritto: «Valori Giancarlo. Professore. Espulso». La Commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi riesce a sentirlo il 7 aprile 1983, solo dopo molte insistenze di alcuni commissari, e solo in seduta segreta. Pochi i commissari che lo bersagliano di domande vere; tra questi, Rino Formica, Giorgio Pisanò e Libero Riccardelli. Formica è convinto che Valori faccia traffico d’armi per i Servizi; Pisanò e Riccardelli ritengono che Valori sia stato la mente che, per vendette interne al gruppo P2, ha fatto scoppiare lo scandalo dei petroli, fornendo le informazioni sulla truffa (già nota ai servizi segreti) a due magistrati di Treviso, Domenico Labozzetta e Felice Napolitano. Valori, come al solito, nega. Ma i commissari insistono, sono convinti che Valori sia temuto da nemici e amici perché è in grado di arrivare a dossier riservati e di scatenare indagini giudiziarie.
Valori durante la seduta continua a negare, ma fuori dall’aula non gli dispiace essere temuto. Contatti con magistrati ne ha tanti, e dove non ne ha gli piace che gli altri pensino che li abbia. Del resto, proprio da un magistrato ha iniziato la sua carriera: coltivando, per incarico della Rai, le relazioni con il procuratore generale di Roma Carmelo Spagnuolo che aveva appena avocato, strappandola al magistrato naturale, un’indagine su irregolarità contabili dell’ente radiotelevisivo di Stato. I contatti tra Valori e Spagnuolo sono intensi. Al termine, l’indagine sulla Rai è archiviata.
Poi per agganciare i magistrati si inventa un’associazione: l’Istituto per le relazioni internazionali, che ha organizzato convegni invitando personalità (da Guido Carli a Ugo La Malfa, da Frondizi al governatore della Banca d’Israele David Oroviz) e coinvolgendo una folla di giudici. Molti appartengono alla corrente di Magistratura indipendente, ma Valori si muove a tutto campo. Stringe rapporti con Mauro Gresti, ai tempi procuratore della Repubblica a Milano, ed Enrico Ferri, ex segretario dell’Associazione nazionale magistrati e poi «ministro dei 110 all’ora»; ma invita a un convegno sul terrorismo anche Giancarlo Caselli e porta in viaggio in Cina Felice Casson. Aveva saputo coltivare l’amicizia, ricorda oggi il procuratore di Milano Gerardo D’Ambrosio, anche di un uomo integerrimo come Emilio Alessandrini, il magistrato milanese ucciso dai terroristi di Prima Linea.
Così, quando negli anni di Mani Pulite a Valori si avvicina Cesare Romiti, allora presidente della Fiat, che non si perde una presentazione dei (tanti) libri scritti da Valori, «le malelingue di palazzo», scrive Franco Bechis sul quotidiano economico-finanziario Mf, «cominciano a spiegare questo feeling con l’amicizia fra Valori e il procuratore di Torino, Francesco Marzachì, il magistrato che dirige l’ufficio che indaga sui bilanci Fiat». Alla fine, comunque, a Romiti sarà risparmiata la galera, ma non il processo.
Quando, nel 1996, il presidente della Ferrovie Lorenzo Necci insegue il sogno di un ente unico per le infrastrutture, ferrovie, strade, autostrade, Alitalia e Finmare, tutte sotto la guida Fs, Valori – secondo il racconto del politico democristiano (e piduista) Emo Danesi – sbotta: «Non creda Necci di mettermi sotto, perché io gli scaravento contro chi sa lui». Il Gico della Guardia di Finanza di Firenze, in effetti, blocca Necci, arrestato per la cosiddetta Tangentopoli 2, ma non c’è nessuna prova che nel fatto ci sia lo zampino di Fiore di Loto.
Temeva Valori anche Romano Prodi, due volte presidente dell’Iri e quindi suo «superiore». Il primo mandato lo definì «il mio Vietnam»: tra i vietcong che gli facevano la guerra c’era anche Valori, ai tempi vicepresidente della Sme, la finanziaria agroalimentare dell’Iri. Prodi, che non vuole piduisti attorno, nel 1984 non lo ricandida ai vertici dell’azienda. Valori riesce però a farsi collocare alla presidenza della Sirti, una società della Stet, che allora era presieduta da Michele Principe (anch’egli iscritto alla P2). E promette vendetta. È lui infatti il sospettato numero uno del siluro sparato in quegli anni contro Prodi: un’inchiesta giudiziaria del procuratore romano Luciano Infelisi su Nomisma, la società di consulenza di Prodi a Bologna. Intanto Valori nel 1987 torna alla Sme, come presidente della Gs (supermercati). E nel 1990, spinto dal nuovo presidente dell’Iri Franco Nobili, si siede finalmente sulla agognata poltrona di presidente della Sme. Poi, nel 1995, nominato dal presidente dell’Iri Michele Tedeschi durante il governo Dini, diventa il Signore delle Autostrade.

VIP, CENE E GIORNALI. Non è solo Cesare Romiti affezionato alle presentazioni dei suoi libri (una biografia di Ceausescu, una di Ben Gurion, il volume L’eredità di Mao, i saggi La pace difficile, Quattro scritti sulla pace nel mondo, La privatizzazione delle aziende dei servizi pubblici...). Sono tante, tantissime le personalità che corrono ai Valori-show, allietati dalla presenza di Carlo Rossella nella veste di presentatore, dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga che arriva a braccetto con l’ex amministratore dell’Alitalia Giovanni Bisignani, del produttore Vittorio Cecchi Gori sorridente, dell’ex presidente della Corte costituzionale Antonio Baldassarre, del ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio, del segretario della Uil Pietro Larizza (calabrese, dunque come Valori tifoso del ponte sullo Stretto). E di tanti, tanti altri.
I giornali sono abituati a trattarlo con i guanti. I grandi quotidiani gli recensiscono i libri e raccontano con toni da Agenzia Stefani le cronache delle presentazioni infarcite di vip. Il Messaggero ospita i suoi articoli in prima pagina. E Panorama per lui ha inventato, in un numero del febbraio scorso, il genere giornalistico del «doppio servizio»: a pagina 70 un articolo di Marcella Andreoli che racconta le imbarazzanti telefonate (intercettate) tra il cardinale di Napoli Michele Giordano e Valori, alla ricerca di sostegni per Telon, un suo consorzio di telefonia («Eminenza, se entriamo noi, la Nokia apre uno stabilimento anche ad Avellino...»), con il direttore dell’Osservatore romano Mario Agnes che su Valori lancia comunque avvertimenti al cardinale («Vostra eminenza deve sapere che questo è Loggia nel senso stretto del termine...»); e a pagina 113 una entusiastica intervista di Tino Oldani allo stesso Valori sui suoi mirabolanti progetti nelle telecomunicazioni, dal titolo Valori della new economy («Rispondo con le stesse parole usate da Bill Clinton nel recente seminario di Davos...»).
Valori è un professionista del contatto, un Nobel dei rapporti, un sacerdote delle pubbliche relazioni. Scrive lunghe lettere vergate a mano («Carissimo...») anche a chi ha visto una volta soltanto, non dimentica un compleanno, un anniversario, un’inaugurazione dell’anno giudiziario. Sembrerebbe non aver altro da fare che organizzare cene, incontri, presentazioni, convegni, inaugurazioni, messe votive, concerti di Natale. Specialista in lauree honoris causa, a fine febbraio (secondo quanto ha scritto il quotidiano Il Mattino di Padova) ha voluto far concedere al capo della Polizia Fernando Masone la cittadinanza onoraria di Padova, dove è sindaco la sua amica Giustina Destro.
Ogni tanto, però, l’aggancio salta. Come quella volta che aveva organizzato una cena, in un albergo vicino all’aeroporto di Torino Caselle, a conclusione del funerale del dipendente della Società Autostrade morto nel rogo del Tunnel del Monte Bianco. Quando ha saputo che era stato invitato anche il magistrato che stava indagando sulla sciagura, il presidente dell’Iri (da cui Autostrade dipendeva prima della privatizzazione) Gian Maria Gros-Pietro ha fiutato che l’incontro non era opportuno ed è volato a Roma.

VALORI, ULTIMO ATTO. C’è stato, in verità, qualche magistrato che Valori non l’ha incontrato a cena, ma l’ha convocato per interrogarlo, nel corso di qualche indagine delicata. Domenico Sica ed Ernesto Cudillo sulla P2, Carlo Palermo sui traffici d’armi, Rosario Priore sui suoi rapporti con i Paesi arabi, nel contesto dell’inchiesta sulla strage di Ustica. Invece il pool Mani Pulite, che ha fatto un’ecatombe dei suoi colleghi boiardi, non ha trovato nulla contro di lui. L’unica ombra di Tangentopoli che lo ha sfiorato è un versamento di 150 milioni nel giugno 1991; ne parla, al sostituto procuratore di Milano Francesco Greco, Giuseppe Garofano, allora presidente della Montedison: «Si è trattato di un versamento da me effettuato a favore di Valori Giancarlo Elia, attuale presidente della Sme, che all’epoca aveva prestato consulenze professionali alla Montedison. Il Valori mi chiese di erogare la somma in nero e per contanti, per motivi fiscali». Invece di darli, i soldi, come gli altri boiardi che finanziavano i partiti, questa volta lui li prende. Ma i magistrati di Mani Pulite non trovano ulteriori conferme e del resto il versamento in sé non costituisce reato, a parte la presunta evasione fiscale e la bizzarria, per un manager pubblico, di fornire consulenze a un’industria privata concorrente.
Mani Pulite non è riuscita a togliere niente a Valori, Valori invece ha portato via qualcosa a Mani Pulite: Angelo Alfonso, già segretario del procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli, diventato collaboratore del Signor Autostrade. Dopodiché, superata d’un balzo l’era di Tangentopoli, Giancarlo Elia Valori si è presentato all’appuntamento con le privatizzazioni. Non troppo puntuale, magari, con qualche frenata, ma alla fine la sua Sme è andata ai privati. La Cirio-Bertolli-De Rica a una sconosciuta finanziaria nelle mani di uno sconosciuto finanziere, Saverio Lamiranda, che compra e subito rivende il latte a Sergio Cragnotti e l’olio all’Unilever. La plusvalenza realizzata dallo spezzettamento, così, non va nelle casse dello Stato, ma chissà dove. Poi è la volta degli Autogrill, che sono conquistati dalla famiglia Benetton.
Passato alle Autostrade, Valori compie il suo capolavoro: prima frena, sostenendo che le autostrade sono troppo importanti perché lo Stato non mantenga un ruolo nel settore, poi si dà da fare per venderle alla cordata capeggiata dai Benetton e da Franco Caltagirone (quello della Vianini costruzioni e del Messaggero), mantenendo salda la poltrona e intatto il suo potere. Ci riesce. Aprendosi al «nuovo che avanza». Intanto le sue relazioni internazionali si sono consolidate. Ha progetti autostradali negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Francia. In Israele vuole realizzare «l’autostrada della pace». In Corea vuole unire le due capitali, finora nemiche, del Nord e del Sud. Nella sua casa romana continua a ospitare personaggi di caratura internazionale, come quel Joachim Bitterlich, consigliere di Helmut Kohl per la politica internazionale, che vi passò in un momento delicato, quando l’Italia premeva per entrare nell’Euro e la Germania di Kohl frenava.
Ora Valori ha cancellato dalla sua bibliografia sul Who’s who? il libro su Ceausescu, ha dimenticato le amicizie strette con libici e arabi, e punta tutto sui rapporti con Israele. L’unica donna della sua vita, la madre Emilia, per la quale fa celebrare una grande messa ogni anno, il 15 novembre 1998 ha ottenuto l’onore di avere un albero (un ulivo) piantato nel Giardino dei Giusti, a Gerusalemme, dove sono ricordati i non ebrei che hanno aiutato il popolo ebraico. Motivazione: Emilia Valori durante la Resistenza salvò dalle deportazioni numerose famiglie ebraiche. Durante la cerimonia a Gerusalemme, Shimon Peres in persona ha sottolineato «il grande ruolo che Giancarlo Valori ha svolto nel riconoscimento reciproco tra Israele e la Cina». Grazie alle sue relazioni con i dirigenti cinesi, infatti, Valori ha posto le premesse per il primo viaggio di Peres a Pechino, nel maggio 1993.
Dieci anni prima, Valori è stato protagonista di un’azione che gli israeliani non dimenticheranno mai. Così la racconta lui stesso, interrogato a proposito dal giudice Priore: «Nel 1988 mi attivai per la liberazione di tre ostaggi ebrei francesi catturati dagli iraniani in Iran. La richiesta mi pervenne da amici francesi di ambiente governativo che mi dissero trattarsi di un “caso umano”. Mi rivolsi al presidente della Corea del Nord, Kim Il Sung, da me conosciuto nel 1975 allorché per la Rai mi recai in Estremo Oriente per allacciare contatti utili all’apertura di uffici». Il contatto funziona, gli iraniani liberano gli ostaggi, Valori è insignito dal presidente francese François Mitterrand della Legion d’Onore, da esibire sul revers della giacca nelle grandi occasioni, accanto al nastrino di cavaliere di Gran Croce conferitogli da Cossiga.

Con tutti questi onori e con tutta la sua storia, visibile e segreta, oggi Giancarlo Elia Valori progetta il suo futuro, in un mondo che non è più quello in cui si muoveva Fiore di Loto. Gli piacciono gli onori accademici, ama gli ambienti internazionali, strizza l’occhio alla new economy, forse fa un pensierino alla politica. Comunque non vuole uscire di scena. Sarebbe contrario alla sua religione, quella del Potere.

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L’ultimo Potere Forte: l'illustrazione del po(R)co illustre
by colpa di bettino Monday, Aug. 16, 2004 at 7:47 PM mail:

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P2:Denominazione abbreviata della Loggia Propaganda Massonica
by coinvolti in essa anche un Papa, alti prelati Monday, Aug. 16, 2004 at 7:52 PM mail:

P2: Denominazione abbreviata della Loggia Propaganda Massonica, sorta nell’obbedienza del Grande Oriente d’Italia nel 1877, come ricettacolo "che potesse mantenere attivi e vincolati all’Ordine, nonché in diretta corrispondenza con i vertici dell’Istituzione, uomini che per la loro posizione sociale non avrebbero potuto iscriversi nelle Logge ordinarie e frequentarne i Lavori" (Il Libro del Massone italiano, di U. Bacci, vol. II, 1972). Una premessa contenente un’affermazione aberrante: i membri della Propaganda (dalla fondazione ne fecero parte, fra gli altri, Saffi, Carducci, Crispi, Bertani, Bovio, Regnoli ed Orlando) erano esentati dal Lavoro massonico per motivi profani, in un rovesciamento di priorità denunciante una massiccia penetrazione antitradizionalista. Nell’Italia garibaldina ma ancora molto provinciale, qualche Fratello temeva di essere sommerso da richieste di favore e di raccomandazioni, preferendo perciò restare nell’ombra rispetto agli altri Fratelli. In altre obbedienze il problema è stato risolto regolamentando il diritto di visita nelle Logge. Alcuni poi si reputavano troppo importanti per sottomettersi agli arcani gesti ripetitivi della liturgia muratoria, palesando così un’assoluta deficienza di comprensione delle significanze massoniche. Come se un Massone non fosse tale proprio in quanto ha ricevuto l’iniziazione rituale e continua a praticare l’Arte. L’irritualità è un vizio ereditato dai tempi in cui l’istituzione era intesa come associazione vagamente progressista e di mutuo soccorso. La P2 non può nemmeno essere definita Loggia, in quanto questa è punto d’incontro dei Liberi Muratori, che si riuniscono per la celebrazione dei riti massonici, per la formazione culturale e spirituale, per l’approfondimento dei rapporti fraterni ed il sostegno ad attività umanitarie. L P2 non si riuniva mai, ed i suoi affiliati sono personalità del mondo politico, militare, finanziario ed accademico, per le quali la superloggia è una sorta di salvacondotto che esonera dalla frequentazione dei lavori massonici in una normale Loggia. Ricostituita dopo la parentesi fascista, la Loggia Propaganda (che nel 1945 assunse il numero 2 come attestazione della propria vetustà, seconda solo all’alessandrina Santorre di Santarosa) visse la sua vita appartata fino alla fine degli anni sessanta, allorché il neo massone Licio Gelli, raggiunse i vertici della P2 grazie all’appoggio del Gran Maestro aggiunto del G.O.I. Roberto Ascarelli, sotto la Gran Maestranza di Giordano Gamberini. Licio Gelli, grande organizzatore e dichiaratamente disinteressato verso le attività promozionali dell’Ordine, faceva registrare nella P2 un crescendo parossistico di cui la vera Massoneria conserverà a lungo ben triste memoria. Il nome della Loggia, o di suoi singoli membri, sarebbe sistematicamente apparso sui mezzi d’informazione per operazioni del tutto irrelata all’attività massonica, per scandali d’ogni fatta e per propositi d’interferenza politica. La P2 si sviluppò incontrollatamente, raggiungendo almeno il migliaio di affiliati, ed inerpicandosi sempre più lungo i sentieri di un’ambiziosa scalata politico-economica che la Massoneria e la stessa società civile non potevano accettare. Accadde allora che l’antimassoneria, latente nella concezione stessa che sottendeva la P2, si coniugò incidentalmente con la diffusa mentalità popolare ostile all’Istituzione. La linea presenzialista del Gran Maestro Lino Salvini favorì il diffondersi nel pubblico di una fobìa nei confronti del superpartito massonico, talché alla fine degli anni settanta si giunse ad una situazione ambigua di intreccio commisto a belligeranza nei rapporti della Massoneria con il mondo politico. Una scomoda ed indebita situazione poi scossa dall’esplosione del caso P2 nella primavera del 1981 e dagli eventi successivi. Negli anni 1978-1982 la campagna antimassonica raggiunse il suo apice con la produzione di decine di libri e libelli, nei quali le accuse più infamanti contro Gelli e la P2 venivano estese a tutta la Libera Muratoria, che vi appariva perversa e ridicola, grazie ad un esasperato pressapochismo giornalistico tipico dei nostri tempi. Un Piedilista della Loggia Propaganda 2 (P2) diffuso dai mezzi d’informazione nel 1981, comprende i seguenti membri, qui elencati in ordine alfabetico: "Ten.Col. Sergio ACCIAI, Dott. Pierluigi ACCORNERO, Rag. Giacomo AGNESI, Dott. Enrico AILLAUD, Dott. Aldo ALASIA, Dott. Gioacchino ALBANESE, Dott. Raffaele ALBANO, Cap. Amedeo ALDEGONDI, Ten.Col. Vito ALECCI, Magg. Giuseppe ALEFFI, Dott. Alessandro ALESSANDRINI, Amm. Achille ALFANO, Gen. Giovanni ALLAVENA, Prof. Canzio ALLEGRITI, Princ. Giovanni ALLIATA DI MONTEREALE, Dott. Italo ALOIA, Sig. Bruno ALPI, Dott. Roberto AMADI, Dott. Antonio AMATO, Dott. Wilfrido AMBROSINI, Avv. Walter AMENDOLA, Dott. Aristide ANDREASSI, Avv. Loris ANDREINI, Dott. Mario ANDREINI, On. Clement ANET BILÈ, Dott. Franco ANGELI, Dott. Ennio ANNUNZIATA, Prof. Fausto ANTONINI, Prof. Giuliano ANTONINI, P.E. Renzo ANTONUCCI, Col. Pietro AQUILINO, Dott. Giuseppe ARCADI, Dott. Aldo ARCURI, Dott. Romolo ARENA, Dott. Giacomo ARGENTO, Dott. Sergio ARGILLA, On. Gian Aldo ARNAUD, Dott. Carlo ARNONE, Dott. Francesco ARONADI, Dott. Renato ASCHIERI, Dott. Giuseppe ATTINELLI, On. Angelo ATZORI, Avv. Alfredo AUBERT, Col. Mario AUBERT, Sig. Alberto AUREGGI, Dott. José AVILA, Rag. Vittorio AZZARI, Rag. Gilberto BACCHETTI, Cap. Vasco BACCI, Dott. Enzo BADIOLI, Dott. Francesco BAGGIO, Dott. Urio BAGNOLI, Ten.Col. Enrico BAIANO, Sig. Pietro BALDASSINI, Cap. Giorgio BALESTRIERI, Dott. Giorgio BALLARINI, On. Pasquale BANDIERA, Dott. Guido BARBARO, Dott. Vito BARBERA, Rag. Franco BARDUCCI, Gen. Tommaso BARILE, Dott. Giovanni BARILLÀ, Dott. Hippolito BARREIRO, Geom. Giovanni BARTOLOZZI, Dott. Federico BARTTFELD, On. Antonio BASLINI, Dott. Giuseppe BATTISTA, Dott. Alberto BATTOLLA, Avv. Salvatore BELLASSAI, Avv. Girolamo BELLAVISTA, Dott. Danilo BELLEI, Ing. Enzo BELLEI, Dott. Ottorino BELLI, Dott. Mario BELLUCCI, On. Costantino BELLUSCIO, Prof. Nello BEMPORAD, Dott. Giorgio BENINATO, Dott. Silvio BERLUSCONI, Dott. Domenico BERNARDINI, Dott. Francesco BERNASCONI, Cap.Fr. Carlo BERTACCHI, Dott. Giuseppe BERTASSO, Dott. Luigi BERTONI, Dott. Mario BESUSSO, Dott. Luis Alberto BETTI, Dott. Lodovico BEVILACQUA, Dott. Angelo BIAGINI, Ing. Livio BIAGINI, Dott. Carlo BIAMONTI, Avv. Gian Paolo BIANCHI, Dott. Giorgio BIANCHI, Avv. Giulio BIANCHI, Avv. Pierluigi BIANCHINI MORTANI, Prof. Francesco BIANCOFIORE, Ing. Franco BIDA, P.I. Giorgio BIDA, Dott. Giorgio BILLI, Dott. Maurizio BINA, Dott. Luigi BINA, Amm. Gino BIRINDELLI, Dott. Luigi BISIGNANI, Dott. Garibaldo BISSO, Gen. Luigi BITTONI, Col. Bartolo BLASIO, Cap. Alessandro BOERIS CLEMEN, Prof. Giulio BOLACCHI, Uff. José BOLSHAW SALLES, Dott. Gianni BONAGA, Sig. Vincenzo BONAMICI, Dott. Ugo BONASI, Geom. Antonio BONETTI, Sig. Sandro BONI, Dott. Nicolò BORGHESE, Avv. Fabio BORZAGA, Dott. Enrique Victor BOULLY, Dott. Osvaldo BRANA, Gen. Ettore BRANCATO, Dott. Pasquale BRANDI, Avv. Agneletto BRANKO, Dott. Carlos BRAULIO, Sig. Maurizio BRUNI, Dott. Vittorio BRUNI, Dott. Ottorino BRUNO, Dott. Paolo BRUNO, Gen. Walter BRUNO, Sig. Ivan BRUSCHI, Dott. Ettore BRUSCO, Sig. Renzo BRUZZONE, Dott. Fosco BUCCIANTI, Avv. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI, Gen. Paolo BUDUA, Avv. Glauco BUFFARINI GUIDI, Dott. Roberto BUFFETTI, Sig. Aldo BUGNONE, Dott. Antonio BUONO, Rag. Giancarlo BUSCARINI, Magg. Antonio CACCHIONE, Cap. Carlo CADORNA, Sig. Giorgio CAGNONI, Dott. Mario CAGNONI, Sig. Paolo CAGNONI, Sig. Paolo CAIANI, Sig. Piero CAIANI, Dott. Salvatore CAJOZZO, Col. Antonio CALABRESE Dott. Silvio CALDONAZZO, Cap. Guido CALENDA, Dott. Roberto CALVI, Dott. Antonio CALVINO, Dott. Antonio CAMPAGNI, Dott. Ennio CAMPIRONI, Dott. Umberto CAMPISI, Maestro Paolo CANDIGLIOTA, Dott. Antonio CANGIANO, Col. Rocco CANNIZZARO, Cap. Antonio CANTELLI, Ing. Fernando CANTINI, Dott. Alberto CAPANNA, Prof. Ilvo CAPECCHI, Dott. Achille CAPELLI, Dott. Carlo CAPOLOZZA. Rag. Franco CAPONI, Rag. Attilio CAPRA, On. Giulio CARADONNA, Prof. Luigi CARATOZZOLO, P.I. Antonino CARBONARO, Dott. Eugenio CARBONE, Magg. Alberto CARCHIO, Dott. Italo CARDARELLI, Dott. Giampaolo CARDELLINI, Col. Rocco CARDUCCI, Prof. Cesare CARELLA, On. Egidio CARENINI, Ten.Col. Guido CARENZA, On. Vincenzo CAROLLO, Dott. Piero PIER CARPI, Dott. Vittorio CARRIERI, Dott. Giorgio CARTA, Sig. Silvio CASAGNI, Dott. Roberto CASARUBEA, Dott. Pietro CASELLATO, Gen. Giuseppe CASERO, Sig. Remo CASINI, Prof. Alessandro CASOTTO, Dott. Salvatore CASSATA, Dott. Carlo CASTAGNOLI, Ing. Antonio CASTELGRANDE, Avv. Francesco CATALANO, Dott. Giuseppe CATALANO, Ing. Laico Bruno CATTANEO, Dott. Filippo CAUSARANO, Col. Secondo CAVALLI, Prof. Luigi CAVALLINI, Prof. Giorgio CAVALLO, Dott. Enrico CECCARELLI, Sig. Mario CECCHERINI, Ten.Col. Luigi CECCHETTI, Dott. Mario CECCHI, Rag. Bruno CECCHI, Dott. Bruno CECCHINI, Amm. Marcello CELIO, Dott. Massimiliano CENCELLI, Prof. Isidoro CENTRELLA, Col. Amedeo CENTRONE, Dott. Alberto CEREDA, On. Gianni CERIONI, Dott. Giovanni CERQUETTI, Cap. Umberto CESARI, Geom. Eugenio CESARINI, Cap. Salvatore CESARIO, Dott. Gabriele CETORELLI, On. Aldo CETRULLO, Dott. Francesco CETTA, Rag. Alessandro CHECCHINI, Rag. Claudio CHIAIS, Dott. Antonio CHIARELLI, Dott. Brunetto CHIARELLI, Dott. Giulio CHIARUGI, Gen. Giuseppe CIANCIULLI, On. Fabrizio CICCHITTO, Amm. Giovanni CICCOLO, Dott. Italo CICHERO, Dott. Bernardino CIFANI, Dott. Luigi CIMINO, Geom. Mario CINGOLANI, Sig. Manlio CIOCCA, Dott. Mario CIOLINI, Sig. Mario CIOLLI, Dott. Vasco CIONI, Dott. Elio CIOPPA, Col. Enzo CIRILLO, Rag. Carlo CIUFFI, Dott. Roberto CIUNI, Sig. Renato CIVININI, Col. Enzo CLIMINTI, Col. Ennio COCCI, Dott. Joaquin COELHO, Dott. Antonio COLASANTI, Dott. Enrico COLAVITO, Rag. Giuseppe COLOSIMO, Dott. Giuseppe COMPAGNO, Magg. Marino CONCA, Magg. Giuseppe CONSALVO, Dott. Alfonso COPPOLA, Dott. Loris CORBI, Dott. Fausto CORDIANO, Col. Antonio CORNACCHIA, Sig. Hector CORREA DE MELLO, Dott. Stefano CORRUCCINI, Dott. Vincenzo CORSARO, P.I. Carmelo CORTESE, Cap. Vasc. Carlos Alberto CORTI, Dott. Francesco COSENTINO, Prof. Alfiero COSTANTINI, Ten.Col. Alessandro COSTANZO, Dott. Maurizio COSTANZO, Dott. Francesco CRAVERO, Sig. Giovanni CRAVERO, Dott. Giampaolo CRESCI, Dott. Giovanni CRESTI, Dott. Fabio CRIVELLI, Dott. Giuseppe RENATO, Dott. Francesco CRUPI, Dott. Giorgio CSEPANYI, Ing. Giampiero CUNGI, Dott. Lino CURIALE, Dott. Antonino CUSIMANO, Cap. Vasc. Sergio D'AGOSTINO, Dott. Antonio D'ALI STAITI, Gen. Romolo DALLA CHIESA, Cap. Giuseppe D'ALLURA, Dott. Federico D'AMATO, Dott. AntonioO D'ANCONA, On. Emo DANESI, Dott. Mario D'ANGELO, Col. Salvatore DARGENIO, Ing. Giovanni D'ARMINIO MONFORTE, Dott. Lorenzo DAVOLI, Avv. Sergio DE ALMEIDA MARQUES, Dott. Stefano DE ANDREIS, Dott. Gabriele DE ANGELIS, Dott. Gustavo DE BAC, Dott. Hans DE BELDER, Magg. Umberto DE BELLIS, Dott. Svandiro DE BLASIS, Rag. Antonio DE CAPOA, On. MASSIMO DE CAROLIS, Dott. Matteo DE CILLIS, Sen. Danilo DÈ COCCI, Dott. Pietro DE FEO, Prof. Domenico DE GIORGIO, Sig. Domenico DE GIUDICI, Geom. Giancarlo DEGL’INNOCENTI, Dott. Renzo DE GRANDIS, Ten.Col. Sergio DEIDDA, On. Filippo DE JORIO, Dott. Guglielmo DE LA PLAZA, Dott. Cesar DE LA VEGA, Sig. Alessandro DEL BENE, Geom. Vittorio DEL BIANCO, Col. Mario DEL BIANCO, Rag. Giampiero DEL GAMBA, Ten.Col. Manlio DEL GAUDIO, Sig. Pierluigi DEL GUERRA, Dott. Giuseppe DELL'ACQUA, Dott. Massimo DELL'AQUILA, Ten.Col. Bruno DELLA FAZIA, Dott. Giuseppe DELL'ONGARO, Dott. Pietro DE LONGIS, Dott. Jorio DEL MORO, On. Ferruccio DE LORENZO, Dott. Giuseppe DEL PASQUA, Dott. Pietro DEL PIANO, Dott. Michele DEL RE, Prof. Edoardo DEL VECCHIO, Magg. Vittorio DE MARCO, Avv. Fulviano DE MARI, Sig. Romolo DE MARTINO, Dott. Paolo DE MICHELIS, Dott. Vincenzo DE NARDO, Ing. Salvatore DENTE, Sig. Sergio DENTI, Dott. Bonifacio DE OLIVEIRA, Dott. Carlo DE RISIO, Col. Avv. Antonio DE SALVO, Gen. Luigi DE SANTIS, Dott. William DE SENA, Dott. Ercole DE SIATI, Avv. Jorge DE SOUZA, Sig. Denis DE STAFANIS BAIARDO, Dott. Levy DE SUOZA, Dott. Osvaldo DE TULLIO, Sig. Vincenzo DE VITO, Dott. Franco DI BELLA, Avv. Alberto DI CARO, Ten.Col. Sergio DI DONATO, Dott. Leonardo DI DONNA, Ten. Vasc. Bruno DI FABIO, Dott. Rodolfo DI FILIPPÒ, Prof. Giuseppe DI GIOVANNI, Rag. Sergio DI LALLO, Gen. Sebastiano DI MAURO, Dott. Mario DIANA, Dott. Luigi DINA, Dott. Vincenzo D’ISANTO, Prof. Giuseppe DONATO, Sig. Massimo DONELLI, Avv. Pedro DOS SANTOS, Dott. Duilio DOTTORELLI, Cap. Gian Carlo D'OVIDIO, Avv. Giovanni DRUETTI DI USSEL, Dott. Mario DUCE, Mar. Maurizio DURIGON, On. Mario EINAUDI, Dott. Antonio ESPOSITO, Rag. Claudio FABBRI, Dott. Giovanni FABBRI, Dott. Carlo FABRICCI, Dott. Luigi FADALTI, Col. Nicola FALDE, Dott. Carlo FALLA GARETTA, Dott. Giovanni FANELLI, Cap. Giovanni FANTINI, Dott. Francesco FARINA, Sig. Mario Elpidio FATTORI, Dott. Tito FAVI, Gen. Enrico FAVUZZI, Dott. Mario ALBERTO, Ten.Col. Luciano FEDERICI, Dott. Walter FERNANDES FINS, Prof. Franco FERRACUTI, Dott. Ruggero FERRARA, Sig. Alberto FERRARESE, Dott. Alberto FERRARI, Dott. Aldo FERRARI, Avv. Giuseppe FERRARI, Dott. Mario FERRARI, Rag. Ivo FERRETTI, Dott. Antonio FERRI, Ten.Col. Domenico FIAMENGO, Dott. Cirino FICHERA, Dott. Wilson FILOMENO, Dott. Gerardo FINAURI, Dott. Beniamino FINOCCHIARO, Dott. Ennio FINOCCHIARO, Dott. Ovidio FIORETTI, Dott. Publio FIORI, Dott. Ruggero FIRRAO, Dott. Alessandro FLORA Dott. Fabrizio FLUMINI, Gen. Carlo FOCE, Dott. Marco FOLONARI, Amm. Vittorio FORGIONE, On. Franco FOSCHI, Prof. Arnaldo FOSCHINI, Sen. Franco FOSSA, Sig. Michele FOSSA, Dott. Artemio FRANCHI, Sig. Giorgio FRANCHINI, Cap. Luciano FRANCINI, Dott. Gianfranco FRANCO, Dott. Luigi FRANCONI, Dott. Francesco FRANZONI, On. Aventino FRAU, Dott. Luis FUGASOT, Dott. Sebastiano FULCI, Dott. Silvestro FURGAS, Cap. Silvio FUSARI, Dott. Ugo FUXA, Dott. Gian Piero GABOTTO, Gen. Eduardo GALLARDO RINCON, Dott. Salvatore GALANTE, Dott. Giuseppe GALLO, Col. Salvatore GALLO, Gen. Vitaliano GAMBAROTTA, Dott. Adolfo GAMBERINI, Dott. Edoardo GASSER, Comm. Licio GELLI, Dott. Mario GENGHINI, Dott. Carmelo GENOVESE ZERBI, Ten.Col. Francesco GENOVESE, Col. Pasqualino GENTILE, Amm. Antonino GERACI, Dott. Roberto GERVASO, Dott. Antonio JOSÈ GHIRELLI GARCIA, Geom. Giancarlo GHIRONI, Dott. Giuseppe GIACCHI, Dott. Ado GIACCI, Prof. Giacomo GIACOMELLI, Sig. Romano GIAGNONI, Dott. Domenico GIALLI, Ing. Mario GIANNETTI, Ing. Osvaldo GIANNETTI, Gen. Orazio GIANNINI, Dott. Orazio GIANNONE, Gr.Uff. Piero GIANNOTTI, Prof. Gennaro GIANNUZZI, Dott. Renato GIAQUINTO Col. Renato GIARIZZO, On. Ilio GIASOLLI, Rag. Renzo GIBERTI, Prof. Luigi GIOFFRÈ, Dott. Tommaso GIORGESCHI, Avv. Raffaello GIORGETTI, Dott. Angelo GIOVANELLI, Dott. Giovanni GIRAUDI, Dott. Vincenzo GISSI, Gen. Raffaele GIUDICE, Cap. Giovanni GIUFFRIDA, Dott. Ezio GIUNCHIGLIA, Ten.Col. Umberto GIUNTA, Dott. Michele GIURATRABOCCHETTA, Sig. Vittorio GNOCCHINI, Dott. Gherardo GNOLI, Ten.Col. Vittorio GODANO, Dott. Giordano GOGGIOLI, Dott. Cesare GOLFARI, Prof. Egone GOLIMARI, Col. Umberto GRANATI, Dott. Osvaldo GRANDI, Dott. Pietro Paolo GRASSI, Gen. Giulio GRASSINI, Dott. Gianfranco GRAZIADEI Gen. Giulio Cesare GRAZIANI, Dott. Giuseppe GRAZIANO, Sig. Mario GRAZZINI, Sig. Mario Luigi GREGORATTI, Dott. Francesco GREGORIO, Dott. Angelo GRIECO, Dott. Matteo GRILLO, Cap. Ernesto GROSSI, Ten.Col. Santo GUCCIARDO, Dott. Ferdinando GUCCIONE MONROY, Dott. Giovanni GUIDI, Dott. Paolo GUNGUI, Gen. Giuseppe GUZZARDI, Dott. Ever HAGGIAG, Dott. Julio HARATZ, Col. Rubens IANNUZZI. Dott. Giuseppe IMPALLOMENI, Sig. Francesco IMPERATO, Dott. Waldemar INCROCCI, Dott. Oreste INNOCENTI, Dott. Antonio IOLI, Dott. Francesco IOLI, Dott. Carmelo ISAIA, Dott. Luigi IVALDI, Dott. José Isaac KATZ, Dott. Guido KESSLER, Gen. Giuseppe KUNDERFRANCO, Dott. Adolfo KUNZ, On. Silvano LABRIOLA, Cap. Antonio LA BRUNA, Dott. Luciano LANFRANCO, Dott. Ippolito LA MEDICA, Ten.Col. Michele LA MEDICA, Comm. Remo LANDINI, Dott. Claudio LANTI, Dott. Giovanni LA ROCCA, Dott. Raul Alberto LASTIRI, Sig. Gennaro Gino LATILLA, Dott. Armando LAURI, Dott. Silvio LAURITI, Col. Fulberto LAURO, Dott. Pablo LAVAGETTO, Cav. Lav. Mario LEBOLE, Dott. Antonio LECCISOTTI, Dott. Giovanni LEDDA, Col. Federico LENCI, Avv. Vito LENOCI, Sig. Luigi LENZI, Avv. Leonardo LEONARDI, Dott. Emilio LEONELLI, Dott. Vincenzo LEPORATI, Dott. Enzo LERARIO, Dott. Walter LEVITUS, Cap. Matteo LEX, Dott. Antonino LI CAUSI, Cap. Serafino LIBERATI, Dott. Vittorio LIBERATORE, On. Gaetano LICCARDO, Dott. Bruno LIPARI, Dott. Vincenzo LIPARI, Gen. Vittorio LIPARI, Prof. Gianfranco LIZZA, Ing. Glauco LOLLI GHETTI, Magg. Giovanni LONGO, Prof. Pasquale LONGO, On. Pietro LONGO, Dott. Gaetano Nino LONGOBARDI, Dott. Luigi LONI COPPEDÈ, Avv. Gaetano LO PASSO, Dott. Antonio LOPES, Dott. Josè LOPEZ REGA, Gen. Donato LO PRETE, Col. Giancarlo LORENZETTI, Sig. Giancarlo LORENZINI, Prof. Massimo LOSAPPIO, Dott. Domenico LO SCHIAVO, Cap. Mario LOTTA, Col. Giuseppe LO VECCHIO, Avv. Rocco LO VERDE, Dott. Alvaro LUCIANI, Ing. Luciano LUCIANI, Dott. Otello MACCHIONI DI SELA, Dott. Giuseppe MACINA, Dott. Luigi MADIA, Stt. Vasc. Fulvio MAFERA, Gen. Gianadelio MALETTI, Dott. Francesco MALFATTI di MONTETRETTO, Prof. Giancarlo MALTONI, On. Enrico MANCA, Col. Pierluigi MANCUSO, Dott. André MANDI, Ten.Col. Roberto MANNIELLO, Dott. Giuseppe MANNINO, Dott. Dario MANZINI, Cap.Fr. Vito MARANO, Geom. Guglielmo MARCACCIO, Col. Carlo MARCHI, Arch. Antonio MARCHITELLI, Sig. Maresco MARINI, Dott. Pasquale MARINO, On. Luigi MARIOTTI, Dott. Renato MARNETTO, Dott. 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Che cos’era il gruppo di Gelli? Che cosa fanno oggi i suoi membri?
by le «pagine gialle» della P2 Monday, Aug. 16, 2004 at 7:55 PM mail:

La P2 ieri. La sua vittoria oggi.

Gianni Barbacetto

Che cos’era il gruppo di Gelli?
Che cosa fanno oggi i suoi membri?
Ecco la storia della loggia e le «pagine gialle» della P2 (Propaganda 2)

Ed ora il suo affiliato piu' noto Silvio Berlusconi (tessera 1816), e' alla presidenza del Consiglio
La notizia la dà il telegiornale della notte: la presidenza del Consiglio dei ministri ha deciso di rendere pubblici gli elenchi della loggia massonica P2, l’associazione segreta che il Maestro venerabile Licio Gelli chiama «l’Istituzione». È il 20 maggio 1981, vent’anni fa. L’Italia è scossa: di quella loggia misteriosa si parla ormai da molto tempo, ma ora i suoi componenti prendono un nome e un volto. E gli italiani scoprono che esiste un potere sotterraneo, un governo parallelo, uno Stato nello Stato. Negli elenchi della loggia sono iscritti i nomi di quattro ministri o ex ministri, 44 parlamentari, tutti i vertici dei servizi segreti, il comandante della Guardia di finanza, alti ufficiali dei Carabinieri, militari, prefetti, funzionari, magistrati, banchieri, imprenditori, direttori di giornali, giornalisti...

Una settimana dopo, il governo presieduto da Arnaldo Forlani dà le dimissioni. Nasce il primo governo laico della storia d’Italia, guidato da Giovanni Spadolini. è varata una commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia di Gelli, sotto la presidenza di Tina Anselmi. è approvata una legge dello Stato che vieta le associazioni segrete e scioglie la P2. I capi dei servizi di sicurezza sono tutti licenziati. Qualche piduista ha la carriera bloccata, qualcuno subisce procedimenti disciplinari, una ventina di affiliati finisce sotto processo. I magistrati aprono indagini sulla loggia, con l’ipotesi che abbia realizzato una cospirazione politica contro le istituzioni della Repubblica.
Ma oggi, vent’anni dopo, che cosa è restato di quel terremoto? Dove sono, che cosa fanno i membri del club P2? Il più noto di essi, che vent’anni fa era soltanto un giovane, brillante palazzinaro, ora spera di diventare nientemeno che presidente del Consiglio. Ecco dunque la storia dimenticata dell’«Istituzione» che ha segnato alcuni decenni della storia italiana.

Da Sindona alla P2. Nella seconda metà degli anni Settanta qualche articolo di giornale aveva accennato all’esistenza di una loggia massonica potentissima e misteriosissima. Ombre, sospetti, dicerie? Nel 1980 il consigliere istruttore di Milano Antonio Amati deve aprire due inchieste giudiziarie: una sull’assassinio dell’avvocato milanese commissario liquidatore delle banche di Michele Sindona, Giorgio Ambrosoli, ucciso a Milano l’11 luglio 1979; l’altra sullo strano rapimento di Sindona, scomparso da New York il 2 agosto 1979 e poi ricomparso il 16 ottobre. Nessuno allora avrebbe pensato che quelle inchieste avrebbero portato alla P2.

Amati assegna i due fascicoli, insieme, a due giovani magistrati. Il primo, più esperto, si chiama Giuliano Turone, baffi curati e dita sottili, irrequieto e rigorosissimo. Dopo il liceo Manzoni di Milano, dopo un anno negli Stati Uniti, dopo la laurea in legge, era stato tentato dalla carriera diplomatica. Ma aveva scelto la magistratura: perché il diplomatico deve limitarsi a eseguire la politica estera del suo governo, mentre il magistrato decide e giudica, con il solo aiuto della legge e della sua coscienza. Affascinato dalla geometria dell’indagine, aveva voluto diventare giudice istruttore, figura mista (oggi cancellata dal nuovo codice) di giudice e investigatore. Poco più che trentenne, era entrato di persona nel covo-prigione di uno dei primi sequestrati italiani, l’imprenditore Luigi Rossi di Montelera; e nel 1974 aveva fatto arrestare il responsabile, un ometto siciliano che abitava in via Ripamonti 84, a Milano, e che sulla carta d’identità aveva scritto Luciano Leggio, anche se era già noto come boss di Cosa nostra con il nome di Luciano Liggio.

Gherardo Colombo, il secondo magistrato, era invece un giovanotto che arrivava a palazzo di giustizia con i jeans e la camicia senza cravatta, e sopra gli occhiali aveva una gran corona di capelli refrattari al pettine. Era cresciuto in una grande casa sui colli della Brianza, padre medico e un po’ poeta, nonno e bisnonno avvocati. Amava i giochi di logica e il bridge. Parlava con aria apparentemente svagata, accompagnando le parole con brevi gesti secchi della mano, che poi spesso lasciava così, sospesa a mezz’aria. Per nove mesi, Turone e Colombo lavorano sodo. Macinano insieme decine e decine di interrogatori, perquisizioni, indagini bancarie. Sono letteralmente risucchiati da un’inchiesta che è un giallo appassionante, pieno di misteri e di colpi di scena. «Era un tessuto dai cento fili intrecciati», secondo Turone, «così abbiamo cominciato col tirare i fili che sporgevano dalla trama».

Il sequestro di Sindona: strano, con quella improbabile rivendicazione del «Gruppo proletario di eversione per una giustizia migliore». Strani anche gli affidavit (dichiarazioni giurate) che una decina di persone invia negli Stati Uniti, ai magistrati americani, per testimoniare che il povero Sindona, che ha fatto bancarotta e ha lasciato sul lastrico centinaia di clienti, è perseguitato dai magistrati italiani soltanto per la sua fede anticomunista. Uno degli affidavit è firmato da un certo Licio Gelli. Dice: «Nella mia qualità di uomo d’affari sono conosciuto come anticomunista e sono al corrente degli attacchi dei comunisti contro Michele Sindona. è un bersaglio per loro e viene costantemente attaccato dalla stampa comunista. L’odio dei comunisti per Michele Sindona trova la sua origine nel fatto che egli è anticomunista e perché ha sempre appoggiato la libera impresa in un’Italia democratica». La prosa non è un granché, ma l’ossessione anticomunista è ben presente (e allora, almeno, i comunisti c’erano davvero...).

Licio Gelli, fascista e massone. Chi è questo Gelli? - si chiedono Turone e Colombo. Quasi sconosciuto, allora, dal grande pubblico, era il Maestro Venerabile della loggia massonica Propaganda 2, che riuniva la crema del potere italiano. C’era la fila, per ottenere udienza da Gelli nella sua suite all’hotel Excelsior, in via Veneto, a Roma. La loggia era segreta, per non mettere in imbarazzo i suoi potenti iscritti, dispensati anche dalle ritualità massoniche. Bastava la sostanza.
Gelli era arrivato al vertice della P2 dopo una onorata carriera come fascista, simpatizzante della Repubblica di Salò, doppiogiochista con la Resistenza, collaboratore dei servizi segreti inglesi e americani, infine agente segreto della Repubblica italiana. Volonteroso funzionario del Doppio Stato: soldato, come tanti altri fascisti e nazisti, arruolato nell’esercito invisibile che gli Alleati avevano approntato, dopo la vittoria contro Hitler e Missolini, per combattere la «guerra non ortodossa» contro il comunismo. Entrato nella massoneria, aveva contribuito a selezionare, dentro l’esercito, gli ufficiali anticomunisti disposti ad avventure golpiste. Nel colpo di Stato (tentato) del 1970 aveva avuto un ruolo di tutto rispetto: suo era l’incarico di entrare al Quirinale e trarre in arresto il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, quello che mandava telegrammi a raffica che finivano sempre con un bel «viva la Resistenza, viva l’Italia». Poi il golpe non ci fu, sospeso forse dagli americani, ma la «guerra non ortodossa» continuò, con una serie di stragi che insanguinarono l’Italia. Fino al 1974, anno di svolta. Allora la strategia della guerra segreta contro il comunismo cambiò: basta con la contrapposizione diretta, con i progetti apertamente golpisti, sostituiti da una più flessibile occupazione, attraverso uomini fidati, di tutti gli ambiti della società, di tutti i centri di potere. La massoneria (o almeno una parte di essa) fornisce le strutture e le coperture necessarie a organizzare questo club del Doppio Stato, questo circolo dell’oltranzismo atlantico. Nasce la P2 di Licio Gelli. In cui poi, all’italiana, entrano anche (e per alcuni soprattutto) le protezioni, le carriere, gli affari e gli affarucci. Ma tutto ciò, tra il 1980 e il 1981, Turone e Colombo ancora non lo sapevano, non lo immaginavano neanche. I due andavano avanti per la loro strada, a districare i misteri del caso Sindona.

La perquisizione fatale. Scoprono che Sindona non è stato rapito, ma ha organizzato una messa in scena per sparire dagli Stati Uniti e arrivare in Italia, in Sicilia. Scoprono che è lui a trattare il salvataggio delle sue banche con Giulio Andreotti, a minacciare il presidente della Mediobanca Enrico Cuccia (che si oppone al piano di risanamento), è lui a far uccidere Giorgio Ambrosoli, nella notte dell’11 luglio 1979, con tre colpi di 357 magnum sparati al petto da un sicario che viene dagli Stati Uniti. A ospitare Sindona a Palermo, in quell’estate di scirocco e di sangue, è un medico italoamericano: Joseph Miceli Crimi, massone, esperto di riti esoterici e di chirurgie plastiche. è lui che spara alla gamba del banchiere, con sapienza clinica, per cercare di rendere credibile il rapimento. I due giudici istruttori gli sequestrano alcune carte e, tra queste, uno stupido biglietto ferroviario Palermo-Arezzo, usato da Miceli Crimi nell’estate del 1979. Domanda: perché un viaggio dalla Sicilia ad Arezzo? Risposta: «Per andare dal dentista presso cui ero in cura». Fantasiosa, ma i due milanesi non abboccano. Miceli Crimi, messo alle strette, ammette: ma sì, sono andato da un certo Licio Gelli, per discutere con lui la situazione di Sindona. Questo Gelli comincia proprio a incuriosire i due giudici istruttori. I personaggi che si muovono attorno a Sindona e si danno da fare per salvarlo, scoprono Turone e Colombo, finiscono tutti per arrivare a Gelli: Rodolfo Guzzi, l’avvocato del bancarottiere; Pier Sandro Magnoni, suo genero; Philip Guarino e Paul Rao, due massoni che incontrano il Venerabile poche ore dopo essere stati ricevuti da Giulio Andreotti. Ecco perché, nel marzo 1981, i giudici milanesi ordinano una perquisizione di tutti gli indirizzi del Venerabile. «Cautela assoluta», ricorda Colombo, «avevamo intuito che per ottenere risultati dovevamo procedere con la massima segretezza». La sera di lunedì 16 marzo 1981 una sessantina di agenti della Guardia di finanza si muove da Milano verso i quattro indirizzi di Gelli annotati su una agenda di Sindona sequestrata al banchiere dalla polizia di New York: villa Wanda di Arezzo, l’abitazione privata; la suite all’Excelsior dove riceveva autorità, politici, postulanti; un’azienda di Frosinone; e gli uffici di una fabbrica d’abbigliamento, la Giole di Castiglion Fibocchi.

L’incarico delle perquisizioni è affidato a un uomo di cui Turone e Colombo conoscono la lealtà istituzionale, il colonnello della Guardia di finanza Vincenzo Bianchi. Ha l’ordine di agire senza informare nessuno e senza avere alcun contatto con le autorità locali, i carabinieri, la polizia, la magistratura del posto, neppure i comandi della Guardia di finanza. I suoi finanzieri, arrivati in Toscana, non passano la notte nella caserma di Arezzo, ma si disperdono in diverse località lì attorno. Per tutti, l’appuntamento è all’alba del 17 marzo.
Scatta la perquisizione. Nessun risultato a Roma. Niente a villa Wanda. L’azienda di Frosinone è un vecchio indirizzo. Alla Giole, invece, c’è una montagna di carte. Gelli non si trova, è a Montevideo. Ma la sua segretaria, Carla, protegge con vigore i documenti stipati nella scrivania, nei cassetti, nella cassaforte, in una valigia... Nella cassaforte ci sono gli elenchi della loggia segreta. «Sequestrate tutto», ordinano, per telefono, i giudici istruttori. La perquisizione è ancora in corso quando a Bianchi arriva via radio una chiamata del generale Orazio Giannini, comandante della Guardia di finanza: c’è anche il suo nome, in quegli elenchi, come quello del suo predecessore, il generale Raffaele Giudice, come quello del capo di stato maggiore della Finanza, il generale Donato Lo Prete. E il comandante delle Fiamme gialle di Arezzo, e una folla di generali, colonnelli, maggiori...

Verso il porto delle nebbie. Tutte le carte sono portate a Milano. Turone e Colombo le catalogano, personalmente, pagina per pagina. Ne fanno due copie. L’originale entra nel fascicolo dell’inchiesta; la prima copia è affidata ai finanzieri, con l’incarico di conservarla in un luogo sconosciuto agli stessi giudici; la seconda è nascosta, sotto una falsa intestazione («Formazioni comuniste combattenti») tra i fascicoli di un collega di cui i due si fidano, il giudice Pietro Forno. Non si sa mai.
Fuori dal palazzo di giustizia di Milano, intanto, nessuno sa delle carte sequestrate a Gelli. Eppure qualcuno sta lavorando febbrilmente per parare il colpo. La notizia comincia a trapelare. La dà, per primo, il telegiornale Rai la sera del 20 marzo. Ma non è chiaro quali documenti siano stati trovati dai giudici. Il giorno dopo, sabato 21 marzo, il Giornale (allora diretto da Indro Montanelli) scrive: «Nell’ambito delle indagini per l’affare Sindona, stasera si è appresa una doppia operazione compiuta dalla magistratura di Milano e da quella di Roma, nella villa aretina di Licio Gelli, Venerabile Maestro della loggia massonica P2. Per conto dei giudici milanesi l’intervento sarebbe stato operato dalla Guardia di finanza, mentre Roma avrebbe partecipato agli accertamenti attraverso il sostituto procuratore della Repubblica Sica». Strana notizia: il ritrovamento non è avvenuto a villa Wanda ma alla Giole di Castiglion Fibocchi; e soprattutto Domenico Sica, detto «Rubamazzo», per ora non c’entra nulla. Ma basteranno poche settimane e Roma arriverà ad avverare la profezia del Giornale e a strappare l’indagine ai magistrati milanesi.

Turone e Colombo, consci del peso istituzionale della loro scoperta, decidono che è loro dovere informare il capo dello Stato: ma il presidente Sandro Pertini è all’estero, così ripiegano sul capo del governo, Arnaldo Forlani. Si recano a Roma il 25 marzo, l’appuntamento è fissato alle ore 16 a Palazzo Madama. Aspettano per due ore. Poi la segreteria di Forlani comunica che c’è stato un equivoco, che il presidente li aspetta a Palazzo Chigi. I due giudici si spostano lì. Ad accoglierli è il capo di gabinetto di Forlani. «Ci siamo guardati negli occhi in silenzio», ricorda Colombo, «il funzionario davanti a noi era il prefetto Mario Semprini, tessera P2 1637». Forlani è cortese, chiede se le carte trovate possono essere non autentiche. I due giudici gli mostrano una firma autografa del ministro della Giustizia Adolfo Sarti sulla domanda d’iscrizione alla loggia. Chiedono: «Signor presidente, avrà certamente un documento controfirmato dal suo ministro Guardasigilli...». Forlani ne prende uno, confronta i due fogli, si convince. «Datemi tempo di riflettere», conclude Forlani. «Di solito offro agli ospiti di riguardo un aereo dei servizi per tornare a casa. Mi pare che questa volta non sia il caso».
Forlani tira in lungo. Non vuole prendersi la responsabilità di rendere pubblici gli elenchi. Cerca di scaricarla sui giudici milanesi. Sui giornali del 20 maggio i titoli confermano quella sensazione: «Forlani: spetta ai giudici togliere il segreto sulla P2». Turone, Colombo e il capo dell’ufficio Amati inviano immediatamente una lettera al presidente del Consiglio, in cui sostengono che sono coperti dal segreto istruttorio i verbali delle deposizioni dei testimoni che stanno sfilando davanti a loro, ma non «il restante materiale trasmesso». Forlani capisce che non può più aspettare. Le liste di Gelli sono rese pubbliche.

Oltre agli elenchi degli affiliati e alla documentazione sulla loggia, tra le carte sequestrate vi sono 33 buste sigillate con intestazioni diverse: «Accordo Eni-Petromin», «Calvi Roberto vertenza con Banca d’Italia», «Documentazione per la definizione del gruppo Rizzoli», «On. Claudio Martelli»...
C’erano già, in quelle carte, i segreti di Tangentopoli, del Conto Protezione e di tanto altro ancora. Ma i tempi non erano maturi. Da Roma si muovono il giudice istruttore Domenico Sica (detto «Rubamazzo») e il procuratore della Repubblica Achille Gallucci. Sollevano il conflitto di competenza e la Cassazione, il 2 settembre 1981, strappa l’inchiesta a Milano per affidarla a Roma. Non sviluppata, l’indagine si spegne. «Mi è arrivata sulla scrivania già morta», dice Elisabetta Cesqui, il pubblico ministero che eredita l’indagine. L’accusa di cospirazione politica contro le istituzioni della Repubblica mediante associazione cade: tutti i rinviati a giudizio (pochi: qualche capo dei 17 gruppi in cui la P2 era divisa, più Gelli e i responsabili dei servizi segreti) sono prosciolti, e comunque il processo arriva in Cassazione quando ormai è troppo tardi e per tutti scatta la prescrizione.

Più utile il lavoro della Commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi, che dichiara le liste della P2, con 972 nomi, «autentiche» e «attendibili», ma incomplete. E con anni di lavoro produce un materiale immenso e prezioso, la documentazione di come funzionava una potentissima macchina di eversione e di potere. Ma nel 1981 le speranze - o le paure - erano altre: una parte del Paese sperava che lo scandalo P2 avviasse il rinnovamento della vita politica e istituzionale; un’altra temeva che il proprio potere si incrinasse per sempre. Sbagliavano gli uni e gli altri.

Tessera numero 1816. Oggi il più noto degli iscritti alla P2 è Silvio Berlusconi, tessera numero 1816. Per la P2 Berlusconi ha subito la sua prima condanna, ormai definitiva: per falsa testimonianza. Nel 1990, a Venezia, viene infatti giudicato colpevole di aver giurato il falso davanti ai giudici, a proposito della sua iscrizione alla loggia. L’anno prima, però, c’era stata una provvidenziale amnistia.
Quando parla della P2, Berlusconi se la cava, di solito, con qualche battuta. Eppure l’iscrizione alla loggia è stata determinante per i suoi primi affari immobiliari. Per esempio per ottenere credito dalla Banca nazionale del lavoro (controllata dalla P2, con ben otto alti dirigenti affiliati) e dal Monte dei Paschi di Siena (era piduista il direttore generale Giovanni Cresti). Conclude la Commissione Anselmi: gli imprenditori Silvio Berlusconi e Giovanni Fabbri (il re della carta) «trovarono appoggi e finanziamenti al di là di ogni merito creditizio». Ma poi, fatte le case, bisogna venderle. E non fu facile, per Berlusconi. Lo soccorse, agli inizi della sua carriera di immobiliarista, un «fratello» della loggia segreta, il napoletano Ferruccio De Lorenzo, già sottosegretario liberale in un governo Andreotti e padre di Francesco, futuro ministro della Sanità e imputato di Mani pulite: Ferruccio De Lorenzo acquistò, come presidente dell’Enpam (l’Ente nazionale previdenza e assistenza dei medici italiani) prima due hotel a Segrate, poi decine di appartamenti di Milano 2. L’Enpam decise poi di affidare a Berlusconi anche la gestione del teatro Manzoni di Milano, controllato dall’ente.

Quando Gelli parla di Berlusconi, è lapidario: «Ha preso il nostro Piano di rinascita e lo ha copiato quasi tutto», dichiara all’Indipendente nel febbraio 1996. Il Piano di rinascita democratica era il programma politico della P2. Fu sequestrato il 4 luglio 1981 all’aeroporto di Fiumicino, nel doppiofondo di una valigia di Maria Grazia Gelli, figlia del Venerabile. Riletto oggi, risulta profetico. Prevede, infatti, di «usare gli strumenti finanziari per l’immediata nascita di due movimenti l’uno sulla sinistra e l’altro sulla destra». Tali movimenti «dovrebbero essere fondati da altrettanti club promotori». Nell’attesa, il Piano suggerisce che con circa 10 miliardi è possibile «inserirsi nell’attuale sistema di tesseramento della Dc per acquistare il partito». Con «un costo aggiuntivo dai 5 ai 10 miliardi» si potrebbe poi «provocare la scissione e la nascita di una libera confederazione sindacale». Per quanto riguarda la stampa, «occorrerà redigere un elenco di almeno due o tre elementi per ciascun quotidiano e periodico in modo tale che nessuno sappia dell’altro»; «ai giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito di simpatizzare per gli esponenti politici come sopra». Poi bisognerà: «acquisire alcuni settimanali di battaglia», «coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso un’agenzia centralizzata», «coordinare molte tv via cavo con l’agenzia per la stampa locale», «dissolvere la Rai in nome della libertà d’antenna»; «punto chiave è l’immediata costituzione della tv via cavo da impiantare a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese». Tecnologia a parte: preveggente, no?

La giustizia va ricondotta «alla sua tradizionale funzione di equilibrio della società e non già di eversione». Per questo, è necessaria la separazione delle carriere del pubblico ministero e dei giudici, «l’istruzione pubblica dei processi nella dialettica fra pubblica accusa e difesa di fronte ai giudici giudicanti», la «riforma del Consiglio superiore della magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamento». Molto è già stato realizzato. Per il resto si vedrà.
Che fine hanno fatto gli altri «fratelli» di loggia? Alcuni hanno fatto proprio una brutta fine. Sindona, dopo essere stato condannato per l’omicidio di Giorgio Ambrosoli, è morto in carcere, per una tazzina di caffè al veleno. Il suo successore nella finanza d’avventura, Roberto Calvi, tessera numero 1624, ha gettato la più grande banca italiana, il Banco Ambrosiano, nelle braccia della P2 che gli ha sottratto un fiume di miliardi e l’ha fatto finire in bancarotta; alla fine, il 18 giugno 1982, è stato trovato penzolante sutto il ponte dei Frati neri, a Londra. Mino Pecorelli, tessera 1750, giornalista in contatto con i servizi segreti, direttore di Op e piduista anomalo che voleva giocare in proprio, è stato crivellato di colpi nella sua automobile, il 20 marzo 1979.

La loggia multinazionale. Gelli è agli arresti domiciliari a villa Wanda, condannato per il crac del Banco Ambrosiano. Molti degli affiliati, il nocciolo duro del club dell’oltranzismo atlantico, sono stati coinvolti in vicende di eversione, stragi, tentati colpi di Stato, depistaggi. Così Vito Miceli, Gian Adelio Maletti, Antonio Labruna, Giuseppe Santovito, Giovanni Fanelli, Antonio Viezzer, Umberto Federico D’Amato, Giovanbattista Palumbo, Pietro Musumeci, Elio Cioppa, Manlio Del Gaudio, Giovanni Allavena, Giovanni Alliata di Montereale, Giulio Caradonna, Edgardo Sogno... Ci vorrebbe almeno un libro per ciascuno, per raccontare la multiforme attività di questi fedeli servitori del Doppio Stato.
Organizzazione multinazionale, la P2 aveva affiliati che operavano in Sudamerica: Uruguay, Brasile e soprattutto Argentina. In Argentina, dove Gelli aveva rapporti molto stretti con i servizi segreti, aveva arruolato nella loggia l’ammiraglio Emilio Massera, capo di Stato maggiore della Marina, Josè Lopez Rega, ministro del Benessere sociale di Juan Domingo Peron, Alberto Vignes, ministro degli Esteri, l’ammiraglio Carlos Alberto Corti e altri militari.

Pochi del club P2 sono stati messi davvero fuori gioco dallo scandalo che seguì la pubblicazione degli elenchi. I magistrati (unica categoria che reagì con decisione) furono giudicati e sanzionati dal Consiglio superiore della magistratura. Ma ciò non toglie che uno dei magistrati iscritti alla P2, Giuseppe Renato Croce, tessera numero 2071, oggi giudice per le indagini preliminari a Roma, con arzigogoli procedurali stia dando ragione a Marcello Dell’Utri in una delle tante contese giudiziarie che il braccio destro di Berlusconi ha aperte.
Molti dei piduisti sono stati messi da parte dagli anni e dall’età. Ma chi resiste all’azione del ciclo biologico non se la cava poi tanto male. Tra i giornalisti (di allora), Gustavo Selva è parlamentare di An; Maurizio Costanzo è direttore di Canale 5 e uomo politicamente trasversale, anche se sempre dalla parte di Berlusconi nei momenti cruciali; Massimo Donelli è direttore della nuova tv del Sole 24 ore. Roberto Gervaso continua a scrivere un fiume di articoli e di libri e nessuno si ricorda più di una simpatica lettera che inviò, tanto tempo fa, a Gelli: «Caro Licio, ho chiesto a Di Bella (direttore del Corriere della sera quando era nelle mani della P2, ndr) di farmi collaborare. è bene che tutti capiscano che bisogna premiare gli amici. Oggi Di Bella parlerà della mia collaborazione con Tassan Din (direttore generale del Corriere, piduista come l’editore del Corriere, Angelo Rizzoli, ndr). Vedi di fare, se puoi, una telefonata a Tassan Din, affinchè non mi metta i bastoni tra le ruote». Più defilato Paolo Mosca, ex direttore della Domenica del Corriere. Gino Nebiolo, all’epoca direttore del Tg1, è stato mandato da Letizia Moratti a dirigere la sede Rai di Montevideo (una capitale della P2) e oggi scrive sul Foglio di Giuliano Ferrara. Franco Colombo, ex corrispondente della Rai a Parigi e aspirante piduista, oggi ha cambiato mestiere: è vicepresidente della società del Traforo del Monte Bianco e si sta dando molto da fare per gli appalti che devono riaprire il tunnel. Alberto Sensini (aspirante piduista, come Colombo) scrive di politica sui giornali.

Tra i politici, Pietro Longo, segretario del Partito socialdemocratico, divenne il simbolo negativo del piduista con cappuccio. Ma a tanti altri è andata meglio. Publio Fiori (tessera 1878), ex deputato democristiano, è trasmigrato in An e nel 1994 è diventato ministro di Berlusconi. Una poltrona di ministro è già capitata, durante il governo Berlusconi, anche ad Antonio Martino (anch’egli a Gelli aveva solo presentato la domanda d’iscrizione). Invece Duilio Poggiolini (tessera 2247), ex ministro democristiano della Sanità, ha avuto la carriera stroncata non dalla P2, ma dai lingotti d’oro di Tangentopoli trovati nel pouf del salotto. Massimo De Carolis (tessera P2 1815, solo un numero in meno di quella di Berlusconi), negli anni Settanta era democristiano e leader della «Maggioranza silenziosa», oggi è tornato alla politica sotto le bandiere di Forza Italia e grazie al rapporto diretto con Berlusconi ha ottenuto la presidenza del Consiglio comunale di Milano e la promessa di una candidatura in Parlamento. Le ha dovuto abbandonare entrambe, dietro la ferma insistenza del sindaco Gabriele Albertini, dopo essere stato coinvolto in alcuni scandali. è accusato, tra l’altro, di aver chiesto 200 milioni per rivelare notizie riservate a una azienda partecipante a una gara per un appalto a Milano. Ma il fatto curioso è che, insieme a De Carolis, nel processo in corso a Milano sia coinvolta un’altra vecchia conoscenza della P2: Luigi Franconi (tessera P2 numero 1778). I rapporti solidi resistono nel tempo.

Politica & affari. Un banchiere iscritto alla P2, certo meno noto di Sindona e Calvi, era Antonio D’Alì, proprietario della Banca Sicula e datore di lavoro di boss di mafia come i Messina Denaro. Oggi ha passato la mano al figlio, Antonio D’Alì jr, eletto senatore a Trapani nelle liste di Forza Italia. Angelo Rizzoli, che si fece sfilare di mano il Corriere dalla compagnia della P2, oggi fa il produttore cinematografico. Roberto Memmo (tessera 1651), finanziere che tanto si diede da fare per salvare Sindona, oggi è buon amico di Marcello Dell’Utri, di Cesare Previti e del giudice Renato Squillante, che incontrava insieme, e dirige la Fondazione Memmo per l’arte e la cultura, con sede a Roma nel Palazzo Ruspoli.
Rolando Picchioni (tessera 2095), torinese, ex deputato dc, coinvolto (ma assolto) nello scandalo petroli, oggi è in area Udeur ed è segretario generale del Salone del libro di Torino. Giancarlo Elia Valori, unico caso di piduista espulso dalla loggia perché faceva troppa concorrenza al Venerabile Maestro, oggi è presidente dell’Associazione industriali di Roma, infaticabile scrittore di libri e instancabile tessitore di rapporti e di alleanze. Vittorio Emanuele di Savoia (tessera 1621) è un curioso caso di uomo off-shore: non può rientrare in Italia, ma in Italia fa business, seppure attraverso società estere. Ora vorrebbe poter rientrare definitivamente, anche se nei fatti non ne è mai stato fuori, a giudicare dai suoi affari e traffici (d’armi): nei decenni scorsi è stato, anche grazie alla sua integrazione nel club P2, mediatore d’affari all’estero per conto di aziende italiane (Agusta) e addirittura di Stato (Italimpianti, Condotte...), quello stesso Stato sul cui territorio non poteva mettere piede. Di Berlusconi ha detto (era il 1994): «è un buon manager, può rimettere ordine nell’economia italiana». Come? Per esempio «cancellando quel disastro» che è «lo Statuto dei lavoratori, con il divieto di licenziamento». Apprezzamenti naturali, tra compagni di loggia. Ma con un finale obbligato per il principe: «Io? Non faccio politica». Vittorio Emanuele non vota, ma c’è da scommetterci che tifa per Berlusconi, che potrà farlo finalmente rientrare in Italia, questa volta anche fisicamente.

Vent’anni dopo, in Italia è tempo di revisioni. Anche sulla P2. è stato un legittimo club di amiconi, magari con qualcuno che ne approfittava un po’ per fare affari. Gelli? Un abile traffichino che millantava poteri che in realtà non aveva. Ma era proprio questo, la P2? Vista con distacco, appare invece il luogo più attivo per l’elaborazione di strategie di potere del grande partito atlantico in Italia, almeno tra il 1974 e il 1981. Centro d’incontro tra politica, affari, ambienti militari. Nella loggia segreta è confluito il partito del golpe, reduce della stagione delle stragi 1969-74, ma con una nuova strategia, più flessibile, più attenta alla politica. E ai soldi, che possono comprarla: come suggerisce, appunto, il Piano di rinascita.

E oggi? La fase, naturalmente, è nuova. La società è cambiata. Anche gli uomini alla ribalta sono, in buona parte, diversi. Ma nella storia italiana non si butta via niente, c’è una continuità di fondo con il peggio delle nostre vicende, fatte di un anticomunismo eversivo, bancarotte e spoliazioni di denaro pubblico, politica corrotta, stragi, morti ammazzati, rapporti inconfessabili con le organizzazioni criminali. Il passato, il tremendo passato italiano, deve sempre restare non del tutto chiarito, perché i dossier, gli uomini, i segreti, i ricatti che da quel passato provengono possano essere riciclati nel futuro. Da questo punto di vista, la parabola di Silvio Berlusconi, uomo «nuovissimo» che viene dal passato vecchissimo di Gelli e affiliati, è la parabola dell’Italia.

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LISTA APPARTENENTI ALLA P2 SEQUESTRATA A GELLI
by copia & appiccica Monday, Aug. 16, 2004 at 8:05 PM mail:

Questo è l'elenco alfabetico dei 962 iscritti alla "Loggia P2" della massoneria sequestrato il 17 marzo 1981 a Licio Gelli (distribuito dalla presidenza del Consiglio il 21 maggio 1981).

La relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta, consegnata ai presidenti della Camera e del Senato il 12 luglio 1984, afferma che: "le liste sequestrate a Castiglion Fibocchi sono da considerare:

a) autentiche: in quanto documento rappresentativo dell'organizzazione massonica denominata Loggia P2 considerata nel suo aspetto soggettivo;

b) attendibili: in quanto sotto il profilo dei contenuti, è dato rinvenire numerosi e concordanti riscontri relativi ai dati contenuti nel reperto".

Ciononostante, dal momento che questo elenco è stato contestato, con successo, da diverse persone i cui nominativi figurano nello stesso e che si sono rivolte alla magistratura, è necessario avvertire il lettore che la presenza di un nominativo in questa lista non significa l'acclarata appartenenza dello stesso alla Loggia massonica P2.

C'è infine da tenere conto del fatto che la Corte d'Assise romana ha recentemente negato la fondatezza della accusa di cospirazione mediante associazione, escludendo quindi che la P2 sia stata una struttura in grado di interferire ad un livello diverso da quello (di bassissimo profilo) dello scambio di favori e di raccomandazioni.

Quella che segue, quindi, è solo la lista degli appartenenti alla P2 così com'è stata sequestrata a Licio Gelli.

ten.col. Sergio Acciai (Firenze, in sonno, fascicolo 113)
dott. Pierluigi Accornero (Viarigi, 321)
rag. Giacomo Agnesi (Roma, 169)
dott. Enrico Aillaud (Roma, 560)
dott. Aldo Alasia (Buenos Aires, 150)
dott. Gioacchino Albanese (Roma, 913)
dott. Raffaele Albano (La Spezia, 286)
cap. Amedeo Aldegondi (Torino, 425)
ten.col. Vito Alecci (Milano, 789)
magg. Giuseppe Aleffi (Pisa, 762)
dott. Alessandro Alessandrini (Roma, 728)
amm. Achille Alfano (Livorno, capo gruppo 12, fasc 450)
gen. Giovanni Allavena (Roma, 505)
prof. Canzio Allegriti (Torino, 94)
principe Giovanni Alliata di Montereale (Roma, passato al Grande Oriente, 361)
dott. Italo Aloia (Cosenza, 173)
Bruno Alpi (Ancona, in sonno, 426)
dott. Roberto Amadi (Milano, 364)
dott. Antonio Amato (Cagliari, 807)
dott. Wilfrido Ambrosini (Verona, in sonno, 112)
avv. Walter Amendola (Brasile, 615)
dott. Aristide Andreassi (Roma in sonno, 170)
avv. Loris Andreini (Montecatini, 417)
dott. Mario Andreini (Verona, 177)
on. Clement Anet Bile' (Costa d'Avorio, 765)
dott. Franco Angeli (Montevarchi, 153)
dott. Ennio Annunziata (Roma, 134)
prof. Fausto Antonini (Roma, 1)
prof. Giuliano Antonini (Roma, 2)
Renzo Antonucci (Pisa, 736)
col. Pietro Aquilino (Perugia, in sonno, 358)
dott. Giuseppe Arcadi (Reggio Calabria, 3)
dott. Aldo Arcuri (Benevento, 4)
dott. Romolo Arena (Roma, 848)
dott. Giacomo Argento (Roma, 384)
dott. Sergio Argilla (La Spezia, 270)
on. Gian Aldo Arnaud (Torino, 726)
dott. Carlo Arnone (Firenze, 393)
dott. Francesco Aronadio (Roma, 944)
dott. Renato Aschieri (Milano, 917)
dott. Giuseppe Attinelli (Palermo, 942)
on. dott. Angelo Atzori (Oristano, capo gruppo 2, fasc 651)
avv. Alfredo Aubert (Torino, in sonno, 287)
col. Mario Aubert (Milano, in sonno, 427)
Alberto Aureggi (Roma, 727)
dott. Jose' Avila (Brasile, 599)
rag. Vittorio Azzari (Roma, 171)
rag. Gilberto Bacchetti (Firenze, 834)
cap. Vasco Bacci (San Vito, 5)
dott. Enzo Badioli (Roma, 581)
dott. Francesco Baggio (Vicenza, 732)
dott. Urio Bagnoli (Roma, in sonno, 6)
gen. col. Enrico Baiano (Reggio Emilia, in sonno, 175)
Pietro Baldassini (Firenze, 394)
cap. Giorgio Balestrieri (Livorno, 907)
dott. Giorgio Ballarini (Firenze, 701)
on. Pasquale Bandiera (Roma, 114)
dott. Guido Barbaro (Torino, 851)
dott. Vito Barbera (Livorno, morto, 182)
rag. Franco Barducci (Firenze, 702)
gen. Tommaso Barile (Roma, in sonno, 420)
dott. Giovanni Barilla' (Palermo, 288)
dott. Hippolito Barreiro (Buenos Aires, 689)
geom. Giovanni Bartolozzi (Firenze, 705)
dott. Federico Barttfeld (Buenos Aires, 479)
on. Antonio Baslini (Milano, 483)
dott. Giuseppe Battista (Roma, 518)
dott. Alberto Battolla (La Spezia, 800)
avv. Salvatore Bellassai (Palermo, 289)
avv. Girolamo Bellavista (Palermo, morto, 7)
dott. Danilo Bellei (Bologna, 484)
ing. Enzo Bellei (Roma, in sonno, 178)
dott. Ottorino Belli (Firenze, 229)
dott. Mario Bellucci (Perugia, in sonno, 174)
on. Costantino Belluscio (Roma, 540)
prof . Nello Bemporad (Firenze, 115)
dott. Giorgio Beninato (Roma, 563)

dott. Silvio Berlusconi (Milano, 625)

dott. Domenico Bernardini (Firenze, capo gruppo 6, fasc 699)
dott. Francesco Bernasconi (Roma, 155)
cap. fr. Carlo Bertacchi (Roma, 629)
dott. Giuseppe Bertasso (Torino, 870)
dott. Luigi Bertoni (Roma, 179)
dott. Mario Besusso (Roma, morto, 180)
dott. Luis Alberto Betti (Buenos Aires, 481)
dott. Lodovico Bevilacqua (Milano, 877)
dott. Angelo Biagini (Firenze, 700)
ing. Livio Biagini (Roma, 529)
dott. Carlo Biamonti (L' Aquila, in sonno, 378)
avv. Gian Paolo Bianchi (Firenze, 703)
dott. Giorgio Bianchi (Torino, morto, 422)
avv. Giulio Bianchi (Pistoia, 183)
avv. Pierluigi Bianchini Mortani (Firenze, 742)
prof. Francesco Biancofiore (Roma, 365)
ing. Franco Bida (Roma, 911)
p.i. Giorgio Bida (Novara, morto, 423)
dott. Giorgio Billi (Firenze, 548)
dott. Maurizio Bina (Cagliari, 819)
dott. Luigi Bina (Roma, 8)
amm. Gino Birindelli (Roma, 130)
dott. Luigi Bisignani (Roma, 203)
dott. Garibaldo Bisso (Livorno, 773)
gen. Luigi Bittoni (Firenze, passato ad altra Loggia, 116)
col. Bartolo Blasio (Roma, 824)
cap. Alessandro Boeris Clemen (Roma, 738)
prof. Giulio Bolacchi (Cagliari, 886)
uff. Jose' Bolshaw Salles (Brasile, 601)
dott. Gianni Bonaga (Torino, 376),
Vincenzo Bonamici (Pistoia, 880)
dott. Ugo Bonasi (Roma, 857)
geom. Antonio Bonetti (Cesena, 366)
Sandro Boni (Firenze, in sonno, 704)
dott. Nicolo' Borghese (Roma, 546)
avv. Fabio Borzaga (Trento, passato ad altra Loggia, 424)
dott. Enrique Victor Boully (Buenos Aires, 691)
dott. Osvaldo Brana (Dakar, 101)
gen. Ettore Brancato (Roma, 504)
dott. Pasquale Brandi (Bari, 9)
avv. Agneletto Branko (Trieste, passato ad altra Loggia, 291)
dott. Carlos Braulio (Brasile, 600)
Maurizio Bruni (Livorno, 774)
dott. Vittorio Bruni (Firenze, 706)
dott. Ottorino Bruno (Roma, 103)
dott. Paolo Bruno (Cosenza, 181)
gen. Walter Bruno (Roma, 10)
Ivan Bruschi (Arezzo, 395)
dott. Ettore Brusco (Roma, 11)
Renzo Bruzzone (Torino, 176)
dott. Fosco Buccianti (Firenze, 638)
avv. Brunetto Bucciarelli Ducci (Arezzo, 573)
gen. Paolo Budua (Roma, 292)
avv. Glauco Buffarini Guidi (Roma, 102)
dott. Roberto Buffetti (Roma, 322)
Aldo Bugnone (Torino, 785)
dott. Antonio Buono (Forli', 104)
rag. Giancarlo Buscarini (Roma, 850)
magg. Antonio Cacchione (Firenze, 197)
cap. Carlo Cadorna (Roma, 780)
Giorgio Cagnoni (Ravenna, 166)
dott. Mario Cagnoni (Ravenna, 167)
Paolo Cagnoni (Ravenna, 168)
Paolo Caiani (Montecatini, 838)
Piero Caiani (Montecatini, 676)
Dott. Salvatore Cajozzo (Svezia, 586)
col. Antonio Calabrese (Bologna, 485)
dott. Silvio Caldonazzo (Roma, 293)
cap. Guido Calenda (Roma, 156)
dott. Roberto Calvi (Milano, 519)
dott. Antonio Calvino (Buenos Aires, 692)
dott. Antonio Campagni (Pisa, 665)
dott. Ennio Campironi (Milano, 888)
dott. Umberto Campisi (Catania, 12)
maestro Paolo Candigliota (Roma, 379)
dott. Antonio Cangiano (Cosenza, 367)
col. Rocco Cannizzaro (Roma, 200)
cap. Antonio Cantelli (Messina, 185)
ing. Fernando Cantini (Firenze, 836)
dott. Alberto Capanna (Roma, 553)
prof. Ilvo Capecchi (Pistoia, sospeso, 205)
dott. Achille Capelli (Firenze, 640)
dott. Carlo Capolozza (Roma, 294)
rag. Franco Caponi (Civitanova, 882)
rag. Attilio Capra (Milano, 188)
on. Giulio Caradonna (Roma, 909)
prof. Luigi Caratozzolo (Messina, 875)
p.i. Antonino Carbonaro (Cagliari, 13)
dott. Eugenio Carbone (Roma, 493)
magg. Alberto Carchio (Livorno, 199)
dott. Italo Cardarelli (Roma, 385)
dott. Giampaolo Cardellini (Roma, 157)
col. Rocco Carducci (Roma, 186)
prof. Cesare Carella (Viterbo, 396)
on. Egidio Carenini (Milano, 551)
ten. col. Guido Carenza (Roma, 108)
on. Vincenzo Carollo (Palermo, 295)
dott. Piero (Pier) Carpi (Reggio Emilia, 14)
dott. Vittorio Carrieri (La Spezia, 878)
dott. Giorgio Carta (Roma, 794)
Silvio Casagni (Arezzo, 397)
dott. Roberto Casarubea (Palermo, in sonno, 296)
dott. Pietro Casellato (Treviso, 15)
gen. Giuseppe Casero (Roma, 488)
Remo Casini (Firenze, 428)
prof. Alessandro Casotto (Perugia, 190)
dott. Salvatore Cassata (Marsala, 903)
dott. Carlo Castagnoli (Torino, 876)
ing. Antonio Castelgrande (Roma, 956)
avv. Francesco Catalano (Bari, 16)
dott. Giuseppe Catalano (Roma, 17)
ing. Laico Bruno Cattaneo (Buenos Aires, 790)
dott. Filippo Causarano (Roma, 195)
col. Secondo Cavalli (Firenze, in sonno, 429)
prof. Luigi Cavallini (Pisa, 861)
prof. Giorgio Cavallo (Torino, 696)
dott. Enrico Ceccarelli (Roma, 189)
Mario Ceccherini (Grosseto, 191)
ten.col. Luigi Cecchetti (Roma, 919)
dott. Mario Cecchi (Firenze, 649)
rag. Bruno Cecchi (Firenze, 721)
dott. Bruno Cecchini (Firenze, 397)
amm. Marcello Celio (Roma, 815)
dott. Massimiliano Cencelli (Roma, 897)
prof. Isidoro Centrella (Roma, 905)
col. Amedeo Centrone (Roma, 187)
dott. Alberto Cereda (Roma, 645)
on. Gianni Cerioni (Ancona, 843)
dott. Giovanni Cerquetti (Roma, 18)
cap. Umberto Cesari (Roma, 630)
geom. Eugenio Cesarini (Roma, 741)
cap. Salvatore Cesario (Udine, 670)
dott. Gabriele Cetorelli (Roma, 723)
on. Aldo Cetrullo (Pescara, passato al Grande Oriente, 154)
dott. Francesco Cetta (Roma, in sonno, 192)
rag. Alessandro Checchini (Firenze, 835)
rag. Claudio Chiais (Roma, 265)
dott. Antonio Chiarelli (Firenze, passato ad altra Loggia, 399)
dott. Brunetto Chiarelli (Firenze, 797)
dott. Giulio Chiarugi (Firenze, 400)
gen. Giuseppe Cianciulli (Bari, 164)
on. Fabrizio Cicchitto (Roma, 945)
amm. Giovanni Ciccolo (Lerici, 129)
dott. Italo Cichero (Genova, morto, 204)
dott. Bernardino Cifani (Roma, 193)
dott. Luigi Cimino (Cagliari, 822)
geom. Mario Cingolani (Ancona, 668)
Manlio Ciocca (L' Aquila, 380)
dott. Mario Ciolini (Firenze, morto, 221)
Mario Ciolli (Firenze, morto, 430)
dott. Vasco Cioni (Firenze, 431)
dott. Elio Cioppa (Roma, 658)
col. Enzo Cirillo (Firenze, 352)
rag. Carlo Ciuffi (Firenze, 419)
dott. Roberto Ciuni (Roma, 814)
Renato Civinini (Firenze, 743)
col. Enzo Climinti (Roma, in sonno, 201)
col. Ennio Cocci (Pisa, 576)
dott. Joaquin Coelho (Brasile, 605)
dott. Antonio Colasanti (Roma, 360)
dott. Enrico Colavito (Venezia, 345)
rag. Giuseppe Colosimo (Livorno, 681)
dott. Giuseppe Compagno (Palermo, 298)
magg. Marino Conca (Roma, 351)
magg. Giuseppe Consalvo (L' Aquila, 381)
dott. Alfonso Coppola (Roma, 19)
dott. Loris Corbi (Roma, 562)
dott. Fausto Cordiano (Brescia, 910)
col. Antonio Cornacchia (Roma, 871)
Heitor Correa De Mello (Brasile, 593)
dott. Stefano Corruccini (Pisa, 664)
dott. Vincenzo Corsaro (Roma, 416)
p.i. Carmelo Cortese (Catanzaro, 20)
cap. vasc. Carlos Alberto Corti (Buenos Aires, 641)
dott. Francesco Cosentino (Roma, 497)
prof. Alfiero Costantini (Fiesole, 512)
ten.col. Alessandro Costanzo (Roma, 152)

dott. Maurizio Costanzo (Roma, 626)

dott. Francesco Cravero (Milano, 731)
Giovanni Cravero (Fossano, 140)
dott. Giampaolo Cresci (Roma, 525)
dott. Giovanni Cresti (Siena, 521)
dott. Fabio Crivelli (Cagliari, 299)
dott. Giuseppe Renato Croce (Roma, 787)
dott. Francesco Crupi (Roma, 300)
dott. Giorgio Csepanyi (Palermo, 301)
ing. Giampiero Cungi (Brasile, 184)
dott. Lino Curiale (Ancona, 583)
dott. Antonino Cusimano (Palermo, 302)
cap.vasc. Sergio D' Agostino (Roma, 131)
dott. Antonio D' Ali Staiti (Trapani, 303)
gen. Romolo Dalla Chiesa (Roma, 500)
cap. Giuseppe D' Allura (Palermo, 892)
dott. Federico D' Amato (Roma, 554)
dott. Antonio D' Ancona (Palermo, 941)
on. Emo Danesi (Livorno, 752),
dott. Mario D'Angelo (Viterbo, 763),
col. Salvatore Dargenio (Roma, 209)
ing. Giovanni D' Arminio Monforte (Milano, 936)
dott. Lorenzo Davoli (Roma, 659)
avv. Sergio De Almeida Marques (Brasile, 616)
dott. Stefano De Andreis (Roma, 939)
dott. Gabriele De Angelis (Roma, 277)
dott. Gustavo De Bac (Roma, 657)
dott. Hans De Belder (Vienna, 208)
magg. Umberto De Bellis (Venezia, 304)
dott. Svandiro De Blasis (Roma, 663)
rag. Antonio De Capoa (Roma, 21)
on. Massimo De Carolis (Milano, 624)
dott. Matteo De Cillis (Roma, 22)
sen. dott. Danilo De' Cocci (Roma, 404)
dott. Pietro De Feo (Firenze, 432)
prof. Domenico De Giorgio (Reggio Calabria, 216)
Domenico De Giudici (Arezzo, 652)
geom. Giancarlo Degl'Innocenti (Firenze, 708)
dott. Renzo De Grandis (Bologna, morto, 433)
ten.col. Sergio Deidda (Roma, 215)
on. Filippo De Jorio (Roma, 511)
dott. Guglielmo De La Plaza (Uruguay, 589)
dott. Cesar De La Vega (Argentina, 590)
Alessandro Del Bene (Firenze, 745)
geom. Vittorio Del Bianco (Firenze, 709)
col. Mario Del Bianco (Roma, 133)
rag. Giampiero Del Gamba (Livorno, 863)
ten.col. Manlio Del Gaudio (Roma, 117)
Pierluigi Del Guerra (Firenze, 710)
dott. Giuseppe Dell'Acqua (Roma, 305)
dott. Massimo Dell' Aquila (Bari, 306)
ten.col. Bruno Della Fazia (Livorno, capo gruppo 7, fasc 23)
dott. Giuseppe Dell'Ongaro (Roma, 739)
dott. Pietro De Longis (Genova, 768)
dott. Jorio Del Moro (Firenze, 707)
on. Ferruccio De Lorenzo (Napoli, 25)
dott. Giuseppe Del Pasqua (Arezzo, passato al Grande Oriente, 353)
dott. Pietro Del Piano (La Spezia, 212)
dott. Michele Del Re (Roma, 661)
prof. Edoardo Del Vecchio (Roma, 143)
magg. Vittorio De Marco (Roma, 890)
avv. Fulviano De Mari (Roma, 24)
Romolo De Martino (Firenze, 744)
dott. Paolo De Michelis (Roma, morto, 213)
dott. Vincenzo De Nardo (Roma, 307)
ing. Salvatore Dente (Roma, 214)
Sergio Denti (Firenze, 643)
dott. Bonifacio De Oliveira (Brasile, 606)
dott. Carlo De Risio (Roma, 733)
col. avv. Antonio De Salvo (Firenze, 194)
gen. Luigi De Santis (Roma, capo gruppo 8, fasc 359)
dott. William De Sena (Brasile, 603)
dott. Ercole De Siati (Teramo, 308)
avv. Jorge De Souza (Brasile, 612)
Denis De Stafanis Baiardo (Tirrenia, 218)
Dott. Levy De Suoza (Brasile, 597)
dott. Osvaldo De Tullio (Roma, 309)
Vincenzo De Vito (Roma, 310)
dott. Franco Di Bella (Milano, 655)
avv. Alberto Di Caro (Bra, 98)
ten.col. Sergio Di Donato (Roma, 158)
dott. Leonardo Di Donna (Roma, 827)
ten. vasc. Bruno Di Fabio (Roma, 210)
dott. Rodolfo Di Filippo' (Roma, 311)
prof. Giuseppe Di Giovanni (Palermo, 935)
rag. Sergio Di Lallo (Firenze, 211)
gen. Sebastiano Di Mauro (Milano, 207)
dott. Mario Diana (Roma, 555)
dott. Luigi Dina (Milano, passato al Grande Oriente, 118)
dott. Vincenzo D' Isanto (Firenze, 777)
prof. Giuseppe Donato (Roma, 902)
Massimo Donelli (Napoli, 921)
avv. Pedro Dos Santos (Brasile, 611)
dott. Duilio Dottorelli (Roma, 434)
cap. Gian Carlo D'Ovidio (Roma, 569)
avv. Giovanni Druetti Di Ussel (Roma, 940)
dott. Mario Duce (Cagliari, 799)
mar. Maurizio Durigon (Arezzo, 418);
on. Mario Einaudi (Roma, 552)
dott. Antonio Esposito (Roma, 251)
rag. Claudio Fabbri (Milano, 132)
dott. Giovanni Fabbri (Roma, 816)
dott. Carlo Fabricci (Trieste, 26)
dott. Luigi Fadalti (Treviso, 938)
col. Nicola Falde (Roma, in sonno, 119)
dott. Carlo Falla Garetta (Cremona in sonno, rest tessera, 96)
dott. Giovanni Fanelli (Roma, capo gruppo 5, fasc 219)
cap. Giovanni Fantini (Livorno, 406)
dott. Francesco Farina (Arezzo, 510)
Mario Elpidio Fattori (Milano, 755)
dott. Tito Favi (La Spezia, 435)
gen. Enrico Favuzzi (Roma, 633)
dott. Mario Alberto Fazio (Roma, 27)
ten.col. Luciano Federici (Arezzo, 568)
prof. Franco Ferracuti (Roma, 849)
dott. Ruggero Ferrara (Roma, passato ad altra Loggia, 28)
Alberto Ferrarese (Firenze, 746)
dott. Alberto Ferrari (Roma, 520)
dott. Aldo Ferrari (Roma, 891)
avv. Giuseppe Ferrari (Roma, 538)
dott. Mario Ferrari (Firenze, 401)
rag. Ivo Ferretti (Livorno, 29)
dott. Antonio Ferri (Roma, 729)
ten.col. Domenico Fiamengo (Cosenza, 837)
dott. Cirino Fichera (Catania, 312)
dott. Wilson Filomeno (Brasile, 613)
dott. Gerardo Finauri (Argentina, 595)
dott. Beniamino Finocchiaro (Molfetta, 522)
dott. Ennio Finocchiaro (L' Aquila, 436)
dott. Walter Fernandes Fins (608)
dott. Ovidio Fioretti (Cagliari, 873)
dott. Publio Fiori (Roma, 646)
dott. Ruggero Firrao (Roma, 498)
dott. Alessandro Flora (Bari, 30)
dott. Fabrizio Flumini (Roma, 784)
gen. Carlo Foce (La Spezia, 120),
dott. Marco Folonari (Brescia, 927)
amm. Vittorio Forgione (Roma, 31)
on.dott. Franco Foschi (Roma, 680)
prof. Arnaldo Foschini (Roma, 32),
sen. Franco Fossa (Roma, 354)
Michele Fossa (Genova, 954)
dott. Artemio Franchi (Firenze, 402)
Giorgio Franchini (Firenze, 776)
cap. Luciano Francini (Pisa, 574)
dott. Gianfranco Franco (Roma, 579)
dott. Luigi Franconi (Roma, 437)
dott. Francesco Franzoni (Torino, 438)
on. Aventino Frau (Roma, 533)
dott. Luis Fugasot (Uruguay, 596)
dott. Sebastiano Fulci (Messina, passato ad altra Loggia, 313)
dott. Silvestro Furgas (Cagliari, 798)
cap. Silvio Fusari (Livorno, 788)
dott. Ugo Fuxa (Palermo, 314)
dott. Gian Piero Gabotto (Roma, 928)
gen. Eduardo Gallardo Rincon (Messico, 610)
dott. Salvatore Galante (Palermo, 315)
dott. Giuseppe Gallo (Genova, 33)
col. Salvatore Gallo (Roma, 933)
gen. Vitaliano Gambarotta (Livorno, 225)
dott. Adolfo Gamberini (Ravenna, 224)
dott. Edoardo Gasser (Trieste, passato ad altra Loggia, 316)
comm. Licio Gelli (Arezzo, 440)
dott. Mario Genghini (Roma, 523)
dott. Carmelo Genoese Zerbi (Stati Uniti, 159)
ten.col. Francesco Genovese (Pisa, 860)
col. Pasqualino Gentile (Roma, 357)
amm. Antonino Geraci (Roma, 809)

dott. Roberto Gervaso (Roma, 622)

dott. Antonio Jose' Ghirelli Garcia (Argentina, 620,
geom. Giancarlo Ghironi (La Spezia, 879)
dott. Giuseppe Giacchi (Roma, 217)
dott. Ado Giacci (Ravenna, 35)
prof. Giacomo Giacomelli (Massa, 441)
Romano Giagnoni (Firenze, 748)
dott. Domenico Gialli (Roma, 222)
ing. Mario Giannetti (Firenze, 712)
ing. Osvaldo Giannetti (Massa, 36)
gen. Orazio Giannini (Roma, 832)
dott. Orazio Giannone (Firenze, 650)
gr.uff. Piero Giannotti (Viareggio, 403)
prof. Gennaro Giannuzzi (Livorno, 735)
dott. Renato Giaquinto (Firenze, 711)
col. Renato Giarizzo (Roma, 223)
on. Ilio Giasolli (Roma, 556)
rag. Renzo Giberti (Genova, 895)
prof. Luigi Gioffre' (Roma, 883)
dott. Tommaso Giorgeschi (Firenze, 747)
avv. Raffaello Giorgetti (Arezzo, 541)
dott. Angelo Giovanelli (Roma, morto, 317)
dott. Giovanni Giraudi (442)
dott. Vincenzo Gissi (Bergamo, 227)
gen. Raffaele Giudice (Roma, 535)
cap. Giovanni Giuffrida (Reggio Emilia, 561)
dott. Ezio Giunchiglia (Tirrenia, capo gruppo 11, fasc 639)
ten.col. Umberto Giunta (Reggio Calabria, 904)
dott. Michele Giovanni Giuratrabocchetta (Potenza, 951)
Vittorio Gnocchini (Arezzo, 698)
dott. Gherardo Gnoli (Roma, 318)
ten.col. Vittorio Godano (Bologna, 226)
dott. Giordano Goggioli (Firenze, 444)
dott. Cesare Golfari (Galbiate, 817)
prof. Egone Golimari (Trieste, passato ad altra Loggia, 443)
col. Umberto Granati (Siena, 248)
dott. Osvaldo Grandi (Massa, 37)
dott. Pietro Paolo Grassi (Potenza, 319)
gen. Giulio Grassini (Roma, 515)
dott. Gianfranco Graziadei (Roma, 679)
gen. Giulio Cesare Graziani (Roma, 503)
dott. Giuseppe Graziano (Palermo, 320)
Mario Grazzini (Firenze, 445)
Mario Luigi Gregoratti (Firenze, 858)
dott. Francesco Gregorio (Roma, 803)
dott. Angelo Grieco (Novara, 446)
dott. Matteo Grillo (Livorno, 439)
cap. Ernesto Grossi (Firenze, 636)
ten.col. Santo Gucciardo (Siena, 867)
dott. Ferdinando Guccione Monroy (Pavia, 136)
dott. Giovanni Guidi (Roma, 830)
dott. Paolo Gungui (Cagliari, 859)
gen. Giuseppe Guzzardi (Roma, capo gruppo 1, fasc 694)
dott. Ever Haggiag (Roma, 137)
dott. Julio Haratz (Brasile, 604)
col. Rubens Iannuzzi (Roma, 138)
dott. Giuseppe Impallomeni (Palermo, 920)
Francesco Imperato (Genova, 865)
Dott. Waldemar Incrocci (Torino, morto, 97)
dott. Oreste Innocenti (Milano, in sonno, 355)
dott. Antonio Ioli (Torino, 852)
dott. Francesco Ioli (Torino, capo gruppo 16, fasc 572)
dott. Carmelo Isaia (Cagliari, 38)
dott. Luigi Ivaldi (Roma, 230)
dott. Jose' Isaac Katz (Buenos Aires, 688)
dott. Guido Kessler (Verona, in sonno, 39)
gen. Giuseppe Kunderfranco (Palermo, 372)
dott. Adolfo Kunz (Firenze, 766)
on.dott. Silvano Labriola (Roma, 782)
cap. Antonio La Bruna (Roma, 502)
dott. Luciano Laffranco (Perugia, in sonno, 232)
dott. Ippolito La Medica (Roma, 121)
ten.col. Michele La Medica (Firenze, 447)
comm. Remo Landini (Verona, 109)
dott. Claudio Lanti (Roma, 914)
dott. Giovanni La Rocca (Perugia, 672)
dott. Raul Alberto Lastiri (Argentina, 621)
Gennaro (Gino) Latilla (Firenze, 41)
dott. Armando Lauri (Firenze, 588)
dott. Silvio Lauriti (Roma, 952)
col. Fulberto Lauro (Roma, 542)
dott. Pablo Lavagetto (Buenos Aires, 480)
cav.lav. Mario Lebole (Arezzo, 139)
dott. Antonio Leccisotti (Roma, 662)
dott. Giovanni Ledda (Nuoro, 42)
col. Federico Lenci (Buenos Aires, 558)
avv. Vito Lenoci (Bari, morto, 231)
Luigi Lenzi (Pistoia, sospeso, 236)
avv. Leonardo Leonardi (Roma, in sonno, 373)
dott. Emilio Leonelli (Roma, 448)
dott. Vincenzo Leporati (Torino, morto, 324)
dott. Enzo Lerario (Firenze, 405)
dott. Walter Levitus (Trieste, in sonno, 325)
cap. Matteo Lex (Firenze, 724)
dott. Antonino Li Causi (Roma, 526)
cap. Serafino Liberati (Roma, 389)
dott. Vittorio Liberatore (Ancona, 804)
on. Gaetano Liccardo (Napoli, 557)
dott. Bruno Lipari (Roma, 693)
dott. Vincenzo Lipari (Roma, 326)
gen. Vittorio Lipari (Bologna, capo gruppo 13, fasc 449)
prof. Gianfranco Lizza (Roma, 233)
ing. Glauco Lolli Ghetti (Genova, 539)
magg. Giovanni Longo (Roma, 234)
prof. Pasquale Longo (Alberobello, 165)
on. Pietro Longo (Roma 926)
dott. Gaetano (Nino) Longobardi (Roma, 368)
dott. Luigi Loni Coppede' (Firenze, 278)
avv. Gaetano Lo Passo (Messina, 43)
dott. Antonio Lopes (Brasile, 598)

dott. Jose Lopez Rega (Argentina, 591)

gen. Donato Lo Prete (Roma, 482)
col. Giancarlo Lorenzetti (Roma, 44)
Giancarlo Lorenzini (Roma, 855)
prof. Massimo Losappio (Siena, 697)
dott. Domenico Lo Schiavo (Australia, 247)
cap. Mario Lotta (Udine, in sonno, 377)
col. Giuseppe Lo Vecchio (Roma, 514)
avv. Rocco Lo Verde (Palermo, 328)
dott. Alvaro Luciani (Roma, 329)
ing. Luciano Luciani (Trieste, 451)
dott. Otello Macchioni Di Sela (Roma, 45)
dott. Giuseppe Macina (Arezzo, 868)
dott. Luigi Madia (Milano, in sonno, 46)
sottoten. vasc. Fulvio Mafera (Pisa, 725)
gen. Gianadelio Maletti (Roma, 499)
dott. Francesco Malfatti di Montetretto (Roma, 812)
prof. Giancarlo Maltoni (Firenze, 415)
on.dott. Enrico Manca (Roma, 864),
col. Pierluigi Mancuso (Piacenza, 206)
dott. Andre' Mandi (Roma, 363)
ten.col. Roberto Manniello (Firenze, in sonno,249)
dott. Giuseppe Mannino (Palermo, 452)
dott. Dario Manzini (Firenze, 407)
cap.fr.Vito Marano (Livorno, 369)
geom. Guglielmo Marcaccio (Roma, 160)
col. Carlo Marchi (Reggio Emilia, 241)
arch. Antonio Marchitelli (Roma, 862)
Maresco Marini (Firenze, 408)
dott. Pasquale Marino (Roma, 566)
on. Luigi Mariotti (Firenze, in sonno, 489)
dott. Renato Marnetto (Roma, 677)
dott. Giovanni Marras (Cagliari,737)
dott. Osvaldo Marras (Firenze, 453)
cap.fr. Mariano Marrone (Ancona, 840)
Franco Marsili (Firenze, in sonno, 753)
Mario Marsili (Arezzo, in sonno, 506)
dott. Carlo Martino (Torino, 252)
on. Anselmo Martoni (Molinella, in sonno, 123)
cap. Antonio Marturano (948)
dott. Massimo Mascolo (Roma, 781)
dott. Marco Masini (Roma, 237)
on. Renato Massari (Milano, 889)
amm. Aldo Massarini (Roma, 695)
dott. Sergio Massenti (Pisa, 253)
gen. Emilio Eduardo Massera (Buenos Aires, 478),
dott. Carlo Massimo (Firenze, 409)
prof. Paolo Matassa Marchisotto (Palermo, 943)
dott. Carlo Mauro (Roma, 565)
dott. Giacomo Mayer (Roma, 47)
dott. Giorgio Mazzanti (Roma, 826)
col. Rocco Mazzei (Milano, morto, 386)
sen. Luigi Mazzei (Roma, 48)
col. Giuseppe Mazzotta (Livorno, 818)
dott. Giuseppe Mazzotti (Roma, 454)
dott. Roberto Memmo (Roma, 564)
ten.col. Gaetano Mendolia (Roma, 550)
dott. Gianni Mercatali (Firenze, 778)
gen. Francesco Mereu (Roma, morto, 490)
dott. Giorgio Merli (Roma, in sonno, 49)
cap. Pietro Mertoli (Livorno, 734)
prof. Renzo Merusi (Roma, 240),
dott. Marco Messeni Petruzzelli (Roma, in sonno, 50)
dott. Antonio Messina (Cosenza, 250)
prof. Michele Messina (Firenze, 414)
rag. Elio Messuri (La Spezia, 51)
dott. Roberto Romero Meza (Genova, 686)
dott. Leo Micacchi (Roma, 330)
gen. Vito Miceli (Roma, 491)
gen. Giuliano Micheli (Padova, 653)
dott. Franco Michelini Tocci (Roma, in sonno, 331)
rag. Enrico Michelotti (Messina, 52)
col. Giuseppe Midili (Roma, 244)
arch. Aladino Minciaroni (Roma, 931)
col. Giovanni Minerva (Roma, 517)
avv. Sergio Minervini (Livorno, 513)
gen. Osvaldo Minghelli (Roma, 142)
avv. Pietro Minnini (Bari, passato al Grande Oriente, 456)
gen. Igino Missori (Roma, 559)
geom. Roberto Misuri (Pisa, 962)
dott. Arrigo Molinari (Genova, 767)
on.prof. Ottorino Monaco (Roma, 53)
cap. Giuseppe Mongo (Firenze, 684)
on. Amleto Monsellato (Lecce, 54)
col. Giuseppe Montanaro (Brescia, 906)
ten.col. Anselmo Montefreddo (Pavia, 246)
Riziero Monti (Ravenna, 55)
dott. Flavio Montisci (Cagliari, 823)
gen.brig. aerea Otello Montorsi (Roma, 144)
ten.col. Franco Morelli (Reggio Calabria, 918)
dott. Mario Moretti (Roma, 932)
cap. Carlo Mori (Roma, 841)
dott. Gaetano Morreale (Firenze, 56)
dott. Flaviano Morri (Forli', 674)
dott. Panfilo Morroni (Venezia, 239)
dott. Paolo Mosca (Roma, 813)
dott. Francesco Mosciaro (Palermo, passato ad altra Loggia, 245)
comm. Bruno Mosconi (Firenze, capo gruppo 9, fasc 392)
dott. Giovanni Motzo (Cagliari, capo gruppo 3, fasc 57)
cap.fr. Angelo Murru (Savona, 58)
magg. Franco Murtas (Nuoro, 930)
dott. Arrigo Musiani (Siena, 59)
gen. Fausto Musto (Bolzano, 457)
col. Pietro Musumeci (Roma, 487)
dott. Franco Nacci (Roma, 759)
dott. Paolo Nannarone (Cortona, 536)
on. Vito Napoli (Roma, 887)
dott. Luigi Nebiolo (Roma, 810)
arch. Mario Negri (Firenze, 713)
prof. Rosario Nicoletti (Roma, 950)
ten.col. Renato Nicoli (Firenze, 455)
dott. Edilio Nicolini (Genova, 916)
col. Domenico Niro (Torino, capo gruppo 10, fasc 458)
dott. Giovanni Nistico' (Roma, 675)
mar. magg Enrico Nocilli (Livorno, 923)
Alighiero Noschese (Roma, morto, 343)
Alberto Nosiglia (Livorno, 869)
col. Franco Novo (Arezzo, 459)
prof. Angelo Nunziante (Messina, 460)
Antonio Nunziati (Firenze, 885)
ten.col. Salvatore Oddo (Roma, 937)
prof. Gianluigi Oggioni (Firenze, 637)
dott. Luigi Oliva (Rapallo, 770)
Carlo Onnis (Oristano, 898)
dott. Giovanni Organo (Padova, in sonno, 332)
dott. Giampiero Orsello (Roma, 60)
avv. Umberto Ortolani (Roma, 494)
dott. Antonio Pacella (Livorno, 671)
dott. Gian Carlo Pagano (Torino, morto, 202)
dott. Antonio Paladini (Roma, in sonno, 61)
dott. Giovanni Palaia (Roma, 792)
dott. Claudio Palazzo (Cagliari 821)
avv. Giampaolo Pallotta (Firenze, 258)
dott. Bruno Palmiotti (Roma, 220)
gen. Giovambattista Palumbo (Firenze 135)
ing. Pasquale Palumbo (Roma, in sonno, 62)
comm. Costantino Panarese (Torino, 461)
dott. Roberto Pandolfini (Firenze, 900)
ten.col. Giancarlo Panella (Milano, 371)
dott. Andrea Panno (Genova, 802)
dott. Sergio Panzacchi (Roma, 290)
col. Marco Paola (Bologna, passato ad altra Loggia, 462)
avv. Mario Paola (Firenze, 257)
dott. Enrico Paoletti (Firenze, 254)
prof. Ivan Papadia (Bari, 922)
rag. Nicolino Pappalepore (Paganica, in sonno, 382)
Angelo Paracucchi (La Spezia, 769)
dott. Maurizio Parasassi (Roma, 582)
cap.dott. Giuseppe Paratore (Arezzo, 845)
dott. Angelo Parisi (Pesaro, 806)
Pieruggero Partini (Roma, 255)
dott. Tito Pasqualigo (Torino, 874)
dott. Andrea Pasqualin (Firenze, 683)
dott. Bruno Passarelli (Roma, sospeso, 141)
dott.Vito Passero (Torino, 63)
dott. Ferdinando Pastina (La Spezia, 801)
ten.col. Franco Pastore (Nuoro, 370)
cap. Giovanni Pastore (Tirrenia, 894)
dott. Salvatore Pastore (Roma, 960)
Marcello Pastorelli (Livorno, 833)
dott. Giovanni Pattumelli (Roma, 64)
Alvaro Pazzagli (Firenze, passato al Grande Oriente, 259)
dott. Franco Peco (Milano, 110)
avv. Carmine (Mino) Pecorelli (Roma, morto, 235)
on. Mario Pedini (Brescia, 570)
dott. Vitaliano Peduzzi (Milano, 111)
dott. Davide Pellegrini (Roma, 387)
dott. Olivo Pelli (Roma, 107)
prof. Renato Pellizzer (Siena, 682)
dott. Walter Pelosi (Roma, 754)
dott. Francesco Pennacchietti (Roma, 65)
dott. Corrado Pensa (Roma, in sonno, 333)
dott. Maurizio Pepe (Torino, 263)
Claudio Perez Barruna (Costa Rica, 594),
dott. Aldo Peritore (Roma, passato al Grande Oriente, 261)
dott. Alberto Perna (Torino, 796)
dott. Cesare Peruzzi (Firenze, 716)
dott. Carlo Pesaresi (Forli', 172)
rag. Lamberto Petri (Ancona, 567)
cap. Gianfranco Petricca (Livorno, 627)
Antonio Petrucci (Firenze, 715)
on. Sergio Pezzati (Firenze, 528)
Claudio Pica (in arte: "Claudio Villa") (Roma, in sonno, 262)
on.dott. Rolando Picchioni (Torino, 808)
gen. Franco Picchiotti (Roma, capo gruppo 4, fasc 495)
ten.col. Antonio Piccirillo (Como, 264)
mar.cav. Romano Piccolomini (Firenze, 256)
prof. Claudio Pierangeli (Siena, 463)
dott. Giuseppe Pieri (Roma, 530)
Roberto Pieri (Firenze, 756)
Giovanni Pieroni (Firenze, 714)
on. Giulio Pietrosanti (Roma, 66)
dott. Michele Pignatelli (Roma, 334)
dott. Waldimiro Pinto (Brasile, 602)
magg. Francesco Pirolo (Roma, 260)
gen.sq. aerea Luigi Pirozzi (Roma, 854)
cap. Gino Pisani (Genova, 40)
dott. Giorgio Pisano (Cagliari, 642)
dott. Sergio Piscitello (Roma, 507)
dott. Alberto Pistolesi (Firenze, 749)
dott. Giuseppe Pizzetti (Firenze, morto, 410)
dott. Giulio Pizzoccheri (Milano, passato ad altra Loggia, 242)
dott. Michele Pizzullo (Roma, 145)
dott. Giovan Vincenzo Placco (Roma, 947)
prof. Carlo Poglayen (Macerata, 267)
dott. Giuseppe Pluchino (Ragusa, 957)
cap.fr. Giuliano Poggi (Caracas, 464)
cap.fr. Osvaldo Poggi (Padova, passato ad altra Loggia, 161)
dott. Marcello Poggini (Roma, 388)
dott. Duilio Poggiolini (Roma, 961)
col. Italo Poggiolini (Livorno, 575)
avv. Wolfango Polverelli (Roma, 162)
dott. Domenico Pone (Roma, 421)
prof. Leonello Ponti (Roma, 660)
dott. Saverio Porcari Li Destri (Cuba, 831)
cap. Fausto Porcheddu (67)
cap. Roberto Porcheddu (68)
dott. Pasquale Porpora (Milano, capo gruppo 14, fasc 70)
dott. Michele Principe (Roma, 829)
dott. Massimo Pugliese (Roma, 266)
prof. Clemente Pulle' (Messina, 955)
prof. Pietro Pulsoni (Roma, 69)
cap. Giuseppe Putignano (Firenze, 764)
ten.col. Giuseppino Quartararo (Livorno, 577)
amm. Giovanni (Juan) Questa (Argentina, 617)
dott. Domenico Rabino (Modena, 825)
dott. Giorgio Ramella (Genova, 771)
prof. Vincenzo Randi (Ravenna, morto, 71)
dott. Giacomo Randon (Roma, 146)
Bruno Ranieri (Roma, morto, 465)
dott. Domenico Raspini (Ravenna, 72)
gen. Osvaldo Rastelli (Bologna, 105)
maestro Giulio Razzi (Roma, morto, 466)
dott. Angelo Rega (Roma, 73)
cap. Aldo Renai (Firenze, 268)
avv. Lucio Riccardi (Bari, 74)
avv. Emilio Riccardi (Torino, morto, 95)
dott. Giuseppe Ricci (Viterbo, 467)
gen. Giovanni Riffero (Torino, 486)
dott. Renato Righi (Firenze, 122)
dott. Giovanni Rizzi (Verona, 760)
dott. Angelo Rizzoli (Milano, 532)
col. Vincenzo Rizzuti (Roma, 811)
dott. Enrico Rocca (Cagliari, 884)
col. Fausto Rodino' (Ostia, 269)
Carlo Rolla (Genova, 881)
dott. Francesco Romanelli (Roma, 75)
dott. Ovidio Romanelli (Roma, 335)
ten.col. Antonio Romano (Roma, 549)
dott. William Rosati (Genova, capo gruppo 15, fasc 673)
cap. Andrea Roselli (Potenza, 585)
gen. Roberto Roselli (Roma, 99)
prof. Edmondo Rossi (Roma, 805)
dott. Giorgio Rossi (Milano, 323)
Mario Rossi (Frosinone, 730)
dott. Bruno Rozera (Roma, passato al Grande Oriente, 76)
ing. Mario Rubino (Palermo, 336)
dott. Carlo Ruffo della Scaletta (Firenze, 717)
dott. Felice Ruggiero (Roma, 847)
dott. Domenico Russo (La Spezia, 846)
dott. Francesco Russo (Agrigento, 196)
cap. Guido Ruta (Stati Uniti, 628)
dott. Claudio Sabatini (Roma, 783)
ten.col. Gianfranco Sabatini (Aosta, 953)
dott. Elio Sacchetto (Roma, 634)
arch. Ambrogio Sala (Torino, 228)
magg. Mario Salacone (Roma, 163)
ing. Simonpietro Salini (Roma, in sonno, 531)
dott. Francesco Salomone (Roma, 678)
arch. Francesco Sanguinetti (Roma, morto, 337)
Ermido Santi (Genova, 772)
geom. Ferruccio Santini (Roma, 775)
dott. Mario Santoro (Bologna, 77)
gen. Giuseppe Santovito (Roma, 527)
dott. Roberto Sarracino (L'Aquila, 383)
geom. Stefano Sassorossi (Firenze, 719)
cav. Carlo Satira (Reggio Calabria, 78)
dott. Vittorio Emanuele di Savoia (Ginevra, 516)
dott. Vittorio Sbarbaro (Roma, 934)
dott. Francesco Scalabrino (Messina, morto, 469)
dott. Leonardo Scali (Roma, 958)
ten.col. Pasquale Scarano (Oristano, 839)
ten.col. Michele Schettino (Torino, 761)
dott. Darcy Schettino Rocha (Brasile, 607)
Aldo Schiassi (Bologna, 924)
avv. Giulio Schiller (Padova, 654)
ten.col. Mario Scialdone (Firenze, 147)
dott. Santo Sciarrone (Milano, 635)
gen. Salvatore Scibetta (Roma, 124)
col. Domenico Scoppio (Roma, 274)
ing. Alberto Scribani (Parigi, 198)
on. Loris Scricciolo (Chiusi, 125)
dott. Piero Scricciolo (Arezzo, passato al Grande Oriente, 149)
prof. Albino Secchi (Firenze, 411)
dott. Gustavo Selva (Roma, 623)
dott. Mario Semprini (Roma, 544)
dott. Pasquale Setari (Padova, 106)
ing. Lucien Sicouri (Genova, 580)
dott. Elio Siggia (Roma, 656)
ten. vasc. Giuseppe Silanos (Roma, 271)
dott. Enrico Silvio (Genova, 338)
prof. Augusto Sinagra (Roma, 946)
avv. Michele Sindona (501)
magg. Giovanni Sini (Livorno, 578)
dott. Raffaele Sinisi (Arezzo, 297)
gen. Giuseppe Siracusano (Roma, 496)
dott. Fiorello Sodi (Firenze, 34)
dott. Edgardo Sogno Del Vallino (Torino, 786)
Ugo Soldani (Firenze, 718)
dott. Angelo Raffaele Soldano (Roma, 272)
dott. Gerolamo Sommo (Aosta, 912)
dott. Girolamo Sorrenti (Roma, 339)
dott. Franco Sorrentino (Cagliari, 79)
ten.col. Lino Sovdat (Firenze, 471)
gen. Pietro Spaccamonti (Roma, 472)
dott. Ettore Spagliardi (Aosta, 915)
dott. Carmelo Spagnuolo (Roma, in sonno, 545)
dott. Piero Spalluto (Milano, 872)
dott. Paolo Sparagana (Losanna, 537)
dott. Aldo Spinelli (Milano, in sonno, 80)
on. Gaetano Stammati (Roma, 543)
dott. Antonio Stanzione (Forli', 793)
ten.col. Savino Stella (Firenze, 722)
dott. Domenico Stellini (Treviso, in sonno, 81)
magg. Marcello Stellini (Roma, 273)
dott. Giorgio Sternini (Venezia, 82)
dott. Giorgio Florio Stilli (Firenze, 648)
dott. Randolph K Stone (Los Angeles, 899)
dott. Bruno Strappa (Ancona, 584)
cap.dott. Giuseppe Strati (Reggio Calabria, 959)
dott. Francesco Sturzo (Palermo, 340)
gen. Carlos Suarez Mason (Argentina, 609)
dott. Giuseppe Szall (Milano, 524)
Leandro Tacconi (Roma, 632)
cap. Ezio Talone (Napoli, 276)
ing. Gennaro Tampone (Firenze, 750)
dott. Vittorio Tanassi (Roma 473)
magg. Giacomo Tarsi (Roma, 151)
avv. Paolo Tartaglia (Roma, 842)
dott. Bruno Tassan Din (Milano, 534)
Giovanni Tassitano (Pisa, 925)
dott. Elijak Taylor (Liberia, 619)
dott. Alberto Teardo (Albissola, 341)
dott. Mario Tedeschi (Roma, 853),
on. Emanuele Terrana (Roma, morto, 356)
cap. Corrado Terranova (Taranto, 83)
prof. Carlo Terzolo (Torino, morto, 342)
gen. Guido Tesi (Firenze, in sonno, 587)
Augusto Tibaldi (Roma, sospeso, 100)
dott. Mario Tilgher (Roma, passato al Grande Oriente, 84)
dott. Alessandro Tizzani (Torino, 795)
col. Mario Tognazzi (Firenze, morto, 412)
dott. William Tolbert (Liberia, morto, 618)
dott. Emanuele Tomasino (Palermo, 669)
Osvaldo Tonini (Brasile, 614)
amm. Giovanni Torrisi (Roma, 631)
cap. Menotti Tortora (Firenze, 275)
Silvano Tosi (Arezzo, 477)
Massimo Tosti (Roma, 929)
dott. Gaetano Trapani (Milano, 779)
ten.col. Mario Traversa (Brindisi, 758)
dott. Roberto Trebbi (Tirrenia, 685)
prof. Fabrizio Trecca Trifone (Roma, capo gruppo 17, fasc 327)
comm. Lorenzo Tricerri (Torino, in sonno, 85)
cav. Aurelio Tripepi (Reggio Calabria, morto, 474)
col. Giuseppe Trisolini (Roma, morto, 547)
avv. Francesco Troccoli (Bari, 86)
dott. Francesco Trois (Cagliari, 820)
ten.col. Domenico Tuminello (Perugia, 148)
gen. Mauro Turini (Roma, 740)
dott. Vincenzo Tusa (Palermo, 344)
comandante Paolo Uberti (Roma, 280)
dott. Asdrubale Ugolini (Firenze, 413)
geom. Mauro Ugolini (Firenze, 720)
ten.col. Giacomo Ungania (Roma, 901)
prof. Antonio Urbano (Catania, 279)
ten.col. Ottavio Urciuolo (Firenze, 126)
dott. Salvatore Vagnoni (Roma, 468)
avv. Mario Valenti (Arezzo, morto, 644)
dott. Roberto Valenza (Roma, 757)
dott. Vincenzo Valenza (Roma, 243)
gen. Enzo Vallati (Roma, 508)
dott. Cesare Valobra (Milano, in sonno, 87)

dott. Giancarlo Elia Valori (Roma, espulso, 283)

prof. Walter Vannelli (Roma, 88)
prof. Cesare Vannocci (Livorno, 89)
dott. Giuseppe Varchi (Trapani, 908)
gen. Dante Venturi (Palermo, morto, 346)
dott. Aldo Vestri (Genova, 90)
dott. Giovanni Viarengo (Torino, 91)
cap. Massimo Vicard (Roma, 866)
col. Mario Pompeo Vicini (Roma, 127)
col. Antonio Viezzer (Roma, 509)
dott. Alberto Vignes (Argentina, morto, 592)
dott. Luigi Nello Villa (Torino, 374)
dott. Vincenzo Villata (Roma, 391)
dott. Maria Jose' Villone (Buenos Aires, 690)
avv. Enrico Vinci (Roma, 282)
dott. Francesco Viola (Torino, 375)
magg. Enrico Violante (Livorno, 284)
dott. Ferdinando Visciani (Firenze, morto, 281)
dott. Annibale Viscomi (Montecatini, 647)
Roberto Visconti (Firenze, 751)
dott. Angelo Visocchi (Roma, 791)
dott. Gaetano Vita (Roma, 390)
dott. Fabio Vitali (Torino, in sonno, 347)
dott. Vincenzo Vitali (Siena, 348)
avv. Mario Vitellio (Roma, 666)
gen. Ambrogio Viviani (Novara, 828)
avv. Carlo Voccia (Roma, 667)
avv. Gaetano Vullo (Milano, 856)
dott. Fernandes Wilson De Valle (Buenos Aires, 687)
dott. Mario Zaccagnini (Roma, 92)
cap. Maurizio Zaffino (La Spezia, 285)
dott. Leonida Zanaria (Milano, 896)
dott. Mario Zanella (Roma, 476)
dott. Lelio Zappala' (Roma, 475)
ing. Lucio Zappulla (Palermo, 349)
dott. Aldo Zecca (Roma, 350)
dott. Sergio Zerbini (Modena, 93)
dott. Giorgio Zicari (Roma, 844)
dott. Alfredo Zipari (Roma, 470)
prof. Amonasro Zocchi (Roma, 571)
Elie Zocheib (Modena, 893)
on. Michele Zuccala' (Roma, 492)
comm. Antonio Zucchi (Arezzo, 128)
dott. Paolo Zucchini (Roma, 362).

Su 962 iscritti alla loggia P2 di Licio Gelli ben 177 sono militari, tutti ufficiali. Ad essi vanno aggiunti 6 ufficiali del corpo delle guardie di PS, 5 prefetti e vice prefetti, 11 questori e 5 funzionari di polizia. Per un totale di 204 persone che, prima del giuramento massonico, avevano giurato fedeltà allo Stato. Come dire che più del 20% della Loggia massonica segreta era composta da servitori dello stato.

Ecco, comunque, un elenco per categorie lavorative degli aderenti alla massoneria del venerabile maestro Licio Gelli:

MILITARI E FORZE DELL'ORDINE: 208
MAGISTRATI: 18
UOMINI POLITICI: 67
SEGRETARI PARTICOLARI (politici) 11
FUNZIONARI REGIONALI: 7
DIRIGENTI COMUNALI: 8
INDUSTRIALI: 47
DIRIGENTI INDUSTRIALI: 23
IMPRENDITORI: 18
SOCIETA' PRIVATE (Presidenti): 12
SOCIETA' PUBBLICHE (Presidenti): 8
SOCIETA' PUBBLICHE (Dirigenti): 12
DIRIGENTI MINISTERIALI: 52
SINDACALISTI: 2
DIPLOMATICI: 9
DOCENTI UNIVERSITARI: 36
PROVVEDITORI AGLI STUDI: 2
BANCHE: 49
COMMERCIANTI: 1
COMMERCIALISTI: 28
CONSULENTI FINANZIARI: 4
COMPAGNIE AEREE: 8
EDITORI: 4
DIRIGENTI EDITORIALI: 6
GIORNALISTI: 27
SCRITTORI 3
DIRIGENTI RAI-TV: 10
COMPAGNIE DI ASSICURAZIONE: 6
MEDICI: 38
ENTI ASSISTENZIALI E OSPEDALIERI: 10
ARCHITETTI: 7
AVVOCATI: 27
NOTAI: 4
LIBERI PROFESSIONISTI: 17
ANTIQUARI: 6
ALBERGHI (Direttori): 4
ASSOCIAZIONI VARIE: 10
ATTIVITA' VARIE: 12
LIONS CLUB: 4
ROTARY CLUB 7

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ANNO 1973 - (provvisorio)
by anti nato Monday, Aug. 16, 2004 at 8:17 PM mail:

ANNO 1973 - (provvis...
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TELEVISIONE PRIVATE - PRIMO ATTO
Con ( ...omissis ) e (... omissis) la Tv commerciale compie i primi passi.
(FATE VOI GLI INCASTRI DI QUESTO WAR GAME)
(SE RIUSCITE A METTERE TUTTI I NOMI SIETE UNA PERSONA MOLTO INFORMATA. SE NON RIUSCITE, PAZIENZA ...

(Gli omissis sono costretto a metterli perché in Italia non si può nemmeno riportare quanto è di pubblico dominio, cioè quanto è stato scritto sui giornali, che paradossalmente sono nelle sale lettura delle "Pubbliche" Biblioteche. (ma in queste i potenti sanno che ci vanno in pochi)
Si dà fastidio, e piovono a valanga minacce di querele (oltre che migliaia di virus - 70 al giorno, tutti i giorni) per stroncare chiunque abbia queste intenzione di riproporre delle notizie scomode.
"Le ricordiamo che quel giornale era stato querelato per la notizia che riportava, e la querela era stata estesa anche a chiunque stampi e diffonda con qualsiasi mezzo la notizia stessa". (ci consenta e intenda!)

Come una volta, vige l'oscurantismo! I libri c'erano, ma nonostante la diffusione della stampa, non uscirono mai per il pubblico, per la massa; quella non doveva sapere! Oggi che c'è la spotocrazia che incanta come il pifferaio, ed è peggio.

Con Internet siamo a questo punto! Ma presto non sarà più così. Ci sono le isole, i satelliti e gli
"infuriati" delle ingiustizie, che per il momento abbozzano; ma fino a quando?.
Non dimentichiamo che "tecnicamente" i potenti nulla sanno com'è fatta la rete. Ne parlano, la gestiscono, ma sono degli ignoranti; sono totalmente alla mercè di un loro dipendente, spesso anche malpagato per i segreti che custodisce. Una moltitudine (globalizzata e deterritorializzata anche questa) sempre meno disposta ad accettare un management e una classe politica incapace di sviluppare rapporti più aperti e democratici nell'impresa e nella società, e sempre meno disposta a credere alle promesse di felicità lanciate con gli slogan populistici. Perfino i paradigmi classici dell'economia (di quelli ideologici nemmeno più parlarne) e con essi i grandi teorici, oggi faticano a capire i meccanismi e sono quindi del tutto incapaci di interpretare il "nuovo" scenario umano "antropologico". Cioè questa "nuova" moltitudine a loro "antagonista". Che avanza ! Usando il cervello e non la pancia! Dentro quattro mura e non dentro una ammuffita holding.

E' così; ma per il momento noi pecore dobbiamo ancora aspettare. I mandriani di turno e i cani che ci abbaiano e che ci tengono dentro il recinto, purtroppo ci sono ancora in quest'era ancora "antropologica".

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A BIELLA, come abbiamo letto a maggio, "si chiude" TELEBIELLA Tv via cavo, oscurata il 12 maggio e denunciata con il Nuovo Codice Postale, mentre a Milano "si apre" e ci si muove in grande; anche se non proprio nella capitale lombarda. Il virtuale deve ancora nascere, ma il business che sta muovendo i primi passi della televisione privata è già un mondo virtuale… capitalistico.

Sullo scenario televisivo, a parte quello pubblico, a Milano in questo 1973, si stanno mettendo in movimento molti personaggi per costituire una catena nazionale di televisioni private in modo da controllare il mercato, ma soprattutto controllare la pubblica opinione del Paese, oltre che per fare molti soldi.

Passeranno alcuni mesi, poi qualche anno di rodaggio e il business inizierà nel 1979-80. Il signor (...omissis 3) è già affiliato alla Loggia P2 (data ufficiale: 26 gennaio 1978). Nell'ancora segreto programma piduista (detto "Piano di rinascita democratica", messo a punto dalla Loggia P2 di Gelli) nel progetto era previsto "l'immediata costituzione di una grande Tv privata, che avrebbe poi dovuto essere -assieme alla creazione di nuovi giornali o acquisto di quelli vecchi - una catena di trasmissione con la stampa, in modo da controllare la pubblica opinione nel vivo del Paese".

Questo nel progetto, ma è già in atto a Milano fin dal '73 uno "sbarco" per conquistare quello che è definito (in Sicilia, come al tempo dello sbarco degli Alleati) il più colossale business dei prossimi anni. Ed è lo "Sbarco Siciliano nella Tv"!. I siciliani hanno un mucchio di soldi, mezzi, consulenti e tutta la preziosa esperienza americana. Qualcuno non è rimasto in questi anni a guardare ed ha iniziato ad agire in profondità con l'obiettivo di conquistare il mercato prima sull'Isola poi sul continente. E fra questi c'é il "boss" (...omissis 00) che è il capo storico di Cosa Nostra sin dall'inizio degli anni '70. (Poi eliminato nel 1981. A prendere il suo scettro sarà la famiglia "corleonese" guidata da ( ...omissis 0 ).

Nella città lombarda, in questi anni (dopo quella pionieristica di Biella via cavo, messa fuorilegge) spunta la prima vera TV privata italiana via etere. "Proprietario" un personaggio molto particolare, (...omissis 1) "in possesso" di un mucchio di soldi, amico, forse referente o semplicemente cura o fa affari con (...omissis 0) e (...omissis 00). Ha al suo fianco un giovane aiutante venuto dalla Sicilia è (...omissis 2) . Il primo (0) -siciliano- ha grandi imprese di costruzioni nel milanese (la terza in Italia), mentre (...omissis 2) è invece un giovane, ufficialmente dirigente di un suo cantiere, originario delle sue parti, di Palermo. Più che un tecnico di costruzioni è un funzionario-impiegato di una potente banca siciliana (...omissis 42).

( ...omissis 2) già nel lontano 1964, per un anno, poco più che ventenne, era però già stato molto vicino al giovanissimo ( ...omissis 3, un "palazzinaro") , alle sue prime esperienze d'imprenditore dopo aver già costituito in un modo abbastanza singolare la società ( ...omissis ) con i capitali avuti dalla Banca ( ...omissis 4). Una banca come vedremo molto singolare.
Poi ( ...omissis 2 ) rientra in Sicilia, ha una breve permanenza a Roma, fino a quando riceve un segnale dal Nord (o dal Sud?) e ritorna a Milano il 1° luglio 1974, e di ( ...omissis 3 il palazzinaro) diventa segretario privato. Ma in seguito, nel '77, é dipendente nuovamente di ( ...omissis 1), e con suo fratello lavora e apprende tutto il piano strategico televisivo del suo datore di lavoro; l'operatività specifica e il relativo mercato pubblicitario, visto che ( ...omissis 00 ) con ( ...omissis 0) hanno con sé i migliori - gli unici allora - tecnici, consulenti televisivi e pubblicitari.

( ...omissis 1 ) riceverà nel '79 uno strano mandato di cattura (per il fallimento della Venchi Unica, non gestita da lui, ma inguaiato dal fratello di (guarda un po' ...omissis 2) che viene anche arrestato per bancarotta.
Il potente ( ...omissis 1) per non finire anche lui in galera, è costretto improvvisamente a lasciare l'Italia e allontanarsi dal suo piccolo impero; si rifugia prima in America latina (in Columbia, presso particolari amici) poi a Parigi dove vive e prende in affitto un appartamento con il nome di (ma guarda un po', di ...omissis 2), il suo dipendente, che ogni tanto lo visita, gli consegna denaro per vivere, per mantenere i contatti e per gestire le sue molteplici attività su Milano (Tv compresa).

Ma in questa circostanza questo suo dipendente (... omissis 2) rientra nell'entourage del palazzinaro (...omissis 3) con la quale non ha mai "rotto i ponti", come segretario privato "particolare", fino al punto che diventa (?!) perfino intestatario di una sua grossa società immobiliare, la ( ...omissis ) dove poi sorgerà il grande complesso ( ...omissis ).

(....omissis 3) fatta la sua esperienza con la Tv "casalinga" via cavo (lo troviamo il prossimo anno, ad iniziare la sua avventura), con ( ...omissis 2) che ha le preziose conoscenze del piccolo impero televisivo di ( ...omissis 1) . Ma ora con il datore di lavoro assente (in esilio a Parigi) e alla deriva, i due, insieme, si lanciano in questo nuovo business. Costituiscono nella sede della ( ...omissis ) a ( ...omissis ) la prima società che si occupa di televisione: la ( ...omissis ) che in seguito si chiamerà (...omissis ) e (...omissis ).

( ...omissis 1) non scompare del tutto dalla circolazione. Molte cose sul suo conto si mettono in Italia a posto, e lo ritroviamo di ritorno e ancora vicino a ( ...omissis 2). I rapporti negli anni che seguono diventeranno ottimi, tanto che la moglie di ( ...omissis 2) fa da madrina al figlio di (...omissis 1). Poi li ritroviamo ancora insieme ancora molti anni dopo, nel 1993 a costituire due società: la (...omissis ) e la ( ...omissis ), e lo troviamo ancora attivo ( ...omissis 1) sempre nel 1993 tra i fondatori di un nuovo movimento politico di ( ...omissis 3); è infatti lui a gestire nel suo Palazzo di via ( ...omissis ) una delle prime sezioni del nuovo movimento politico di ( ...omissis 3) fino al 1994, quando i rapporti poi si incrinarono tra i due e iniziarono reciproche accuse. (i giornali del 1998 ne saranno pieni). Il motivo è sconosciuto. Una cosa è però certa: in Sicilia tra il 1993 e il 1994 stavano (pretestualmente - è finita l'egemonia in Italia del PSI - tangentopoli imperversa) cambiando molte cose (uccisione di Lima, incriminazione di Andreotti ecc.)

Tangentopoli nel '93 aveva eliminato da Roma molti vecchi referenti politici. Nell'isola c'erano quindi grandi mutamenti nelle "grandi famiglie" ed ognuna era impegnata a ritagliarsi il suo potere, a consolidare quello di prima, e a indirizzare i propri voti ai nuovi referenti; questi necessari per conservare i lucrosi appalti distribuiti dalle amministrazioni comunali, regionali, statali)

La discesa in campo di ( ...omissis 3) in politica, é osteggiata dai suoi più diretti collaboratori ma é fortissimamente voluta dal suo "segretario" siciliano (...omissis 2) che ha fra l'altro in mano una potente organizzazione pubblicitaria la ( ...omissis ). E forse proprio in virtù di questa forza, le pressioni che vengono dai suoi amici isolani (da qualche mese orfani di "padrini" politici a Roma) lo spingono a sollecitare e a convincere ( ...omissis 3) a darsi alla politica, che alla fine, convinto, scende in campo; o è costretto a scendere in campo se non vuole fallire, lui, ma anche chi gli ha affidato i soldi per creare le sue lucrose imprese.

(Tra l'altro si era formato in Sicilia un movimento di (...omissis), "Sicilia Libera", perfino con le maglie di alcuni giocatori con la scritta "l'Altra Sicilia", o in alternativa "Forza Sicilia". Un partito indipendentista (sempre sfruttato dai politici nel 1806-1810, nel 1860-70, nel 1891 (Fasci siciliani), nel 1945 (l'EVIS, Esercito volontario indipendentista siciliano), cioè nei nei vari sbandamenti politici che l'Italia ha conosciuto). Nel 1993-'94 questo partito indipendentista è più volte citato nelle agende sequestrate a Milano proprio a (...omissis 2).

( ...omissis 3) ha successo politico. Subito ci sono le primissime battute di un lungo (o breve?) cammino della nuova politica italiana. Il nuovo ottiene la fiducia del Parlamento il giorno 20 MAGGIO 1994.

IL GIORNO 21 fra i tanti dispiaceri di tangentopoli, dentro una DC già in frantumi ed esposta al pubblico ludibrio, arriva quello più clamoroso. Si punta il dito verso il più rappresentativo dei suoi uomini, fino al ''93 considerato il più potente personaggio politico d'Italia che non è stato sfiorato da nessun avviso di garanzia, quindi l'unico forse capace di ricompattare tutta la DC. Invece la Procura di Palermo chiede il rinvio a giudizio di Andreotti che deve rispondere (chiamato in causa da alcuni pentiti) dell'accusa di concorso in associazione per delinquere semplice e mafiosa. Inizia insomma subito il lungo calvario di Andreotti, con sempre sullo sfondo i misteriosi delitti di Pecorelli, Lima, i Salvo, poi Falcone, Borsellino, processo Riina; con le accuse di TOMMASO BUSCETTA, che questa volta e dall'altra parte della barricata; è ritornato in Italia e dopo tanti anni di silenzi, finalmente "parla" o "straparla". (lo leggeremo nei prossimi anni che seguono).
(La sentenza assolutoria di Andreotti la possiamo già accennare, l'abbiamo riportata
in OTTOBRE 1999, GIORNO 24, ed anche uno spezzone nel 1983). Con tanti ipocriti commenti ("solidali" !?) di alcuni politici; forse gli stessi che lo vollero esautorare oppure allontanare per un po' dalla politica attiva.

Da notare che nelle ultime elezioni in Sicilia il 15-5-91 la DC (tutta Andreottiana - con l'abile Salvo Lima, suo sottosegretario al Bilancio, gli procurava sull'isola 240.000 voti Dc ) aveva il 42,3% dei voti, e in queste politiche del '94, il nuovo partito ottiene il 42,4. Una vera e propria defenestrazione, cambiamento di rotta, una intera sostituzione di potere in Sicilia, con alcuni democristiani andreottiani subito pronti a fare del trasformismo.

A operazioni concluse, i segnali dall'Isola però arrivarono molto forti che fecero "rumore", furono "esplosivi" (forse non si mantennero certi patti elettorali). Infatti già il 1° luglio a pochi giorni dall'insediamento a palazzo Chigi del nuovo premier, si verificarono una serie di attentati nelle maggiori città d'Italia (Roma, Milano, Brescia, Trento, Modena e Firenze) che colpirono i grandi magazzini ( ...omissis ) -ma guarda un po'- di (...omissis 3). Il resto e i particolari li troveremo nei prossimi anni. Ma dobbiamo ritornare a questo 1973.

In questo 1973 ( ...omissis 3) non è ancora un personaggio pubblico. Ancora giovane, quest'anno è impegnato a vendere solo appartamenti....in un grande ufficio, nella città meneghina. Ma dobbiamo fare ancora un grande passo indietro....

( ...omissis 3) guida da alcuni anni la ( ...omissis ) . Ha avuto dalla sua parte la "fortuna" - fin dal '63, quando é stata costituita: quella di avere un suo diretto congiunto occupato come impiegato in una piccola e misteriosa Banca. Una Banca privata molto particolare, fortissimamente legata a grossi personaggi siciliani. Al figlio poco più che ventenne di questo semplice impiegato, quasi nullatenente, e nessuno sa con quali garanzie, la singolare e microscopica banca (In Italia, a Milano ha un solo sportello!) nel '63 -'65, gli concede imponenti finanziamenti. E' la Banca ( ...omissis 4) . Sconosciuta alla maggior parte dei meneghini, ma non ai siciliani di Milano e ai siciliani di Sicilia e a diverse Banche svizzere. E' una Banca molto vicina ad importanti personaggi siculi-americani, che a Milano hanno il loro crocevia finanziario Sicilia-Svizzera e ritorno Svizzera-Milano, con la vocazione a investire su molti settori in ascesa, principalmente nell'edilizia milanese in questi anni in piena esplosione. Vi domina incontrastato il già accennato sopra, finanziere siciliano (...omissis 1). Il siciliano già ricordato sopra che é già sulla piazza di Milano il terzo maggior costruttore italiano. Tanti soldi a disposizione (da essere perfino soprannominato "rotolino" per il vezzo di tenere sempre arrotolati i milioni in tasca) ma, dicono i suoi avversari, sono soldi non suoi, ma di "gente" che glieli affida per fare grandi affari e investimenti (compresa la Tv) nella capitale lombarda e nei dintorni.
E' un periodo che se ti incontri con qualche riccone in Sicilia, ti senti sempre dire "a Milano, a Como, a Varese ecc. affari sto facendo".

La banca ( ...omissis 4), più che una banca è un unico "sportello" aperto al pubblico nel 1956 con un capitale di 100 milioni; il minimo per aprire un istituto di credito privato. Nel gruppo dei fondatori c'è (guarda un po' ...omissis 0) originario di Misilmeri, Palermo, che assume il padre di ( ...omissis 3). Poi dopo sette anni, nel 1963 da semplice impiegato costui diventa procuratore, ovvero ha potere di firma. E' quindi lui a valutare e ad avallare i prestiti e le erogazioni di denaro ai clienti, quindi è sempre lui a finanziare (non certo con i suoi soldi) anche il giovanissimo figlio venticinquenne. Nel 1970 poi la banca (...omissis 4) effettuerà un salto di "quantita" (e chi vi entra prendendosi una quota ? SINDONA!); assume una quota di capitale di una finanziaria di Nassau, nelle Bahama, la Brittener Anstalt. Che ha però rapporti nell'isola con la Cisalpina Overseas Nassau Bank. Su quest'ultima troviamo nel consiglio di amministrazione alcuni nomi che diventeranno famosi: Calvi, Sindona, Gelli, e il cardinale Marcinkus della banca vaticana Ior. Famosi poi per il crack dell'Ambrosiano, della Italcasse, famosi per la lista dei 500 esportatori di valuta, e famosi per la successiva lista dei 962 della loggia P2, e tutto quello che accadrà e che troveremo in diversi anni che seguono, piuttosto drammatici.

In questo periodo entrano come Sindaci della finanziaria Banca ( ...omissis 4) i signori ( ...omissis 6), ( ...omissis 7) e ( ...omissis 8) , poi ( ...omissis 9) con ( ...omissis 10) tutti di Palermo. (Li ritroveremo poi tutti dentro una holding di scatole cinesi di (...omissis 3). Come amministratore c'è un avvocato di Roma, ( ...omissis 11), costui nel 1977 farà recapitare ad ANDREOTTI una lettera - non si sa per cosa ottenere - scritta di pugno da Michele SINDONA il potente banchiere che morirà poi avvelenato con un caffè in carcere, e porterà nella tomba i suoi segreti e la lista degli esportatori di valuta. Lista che stava togliendo il sonno a molti nomi eccellenti e uno in particolare.
Sindona in una sua deposizione ai giornali non ebbe riguardi nel rivelare alcune poco chiare operazioni della singolare Banca di Milano (...omissis 4 dove attingeva i fondi ...omissis 3) (intervista su La Stampa, 2 ott., '82, dopo lo stranissimo e misterioso suicidio al Ponte di Londra di CALVI). (vedi GIUGNO 1982)

La Banca ( ...omissis 4) verrà quindi indagata da un'inchiesta della Criminalpol (riciclaggio di denaro), verrà chiusa e sparisce temporaneamente dalla circolazione. Nell'operazione detta di "San Valentino" molti finirono in carcere. La Banca ( ...omissis 4) verrà rilevata dalla banca ( ...omissis ) legata alla banca ( ...omissis ). Nome quello di ( ...omissis ) che ritornerà prepotentemente nelle cronache al processo ( ...omissis ) nel 1998 (dove si intrecciano i nomi di Pecorelli, delitto Moro, Lima, P2, stragi varie, scandalo petroli, Calvi, Sindona, Gelli e vari politici vecchi e nuovi. Non mancano come contorno i nomi di Falcone e Borsellino. Quest'ultimo, due giorni prima di essere ammazzato, si era sbilanciato troppo (anche se in un modo evasivo ma piuttosto esplicito nella sostanza: prima dice "non so", poi "so che c'è una inchiesta in corso") in una intervista rilasciata a un francese).

Finì dunque la Banca ( ...omissis 4) virtualmente in "Chi ha avuto avuto chi ha dato dato"?. Ma non fu proprio così. Chi aveva "avuto", prima o poi "doveva" "ridare"; restituire; è nella logica delle banche, e lo è di più (ma vogliamo scherzare?) se questa banca era tenuta in piedi da siciliani super-doc, di Corleone e di Similmeri.

Ma ritorniamo al 1963 dove troviamo il giovanissimo ( ...omissis 3) non ancora imprenditore che viene però ora finanziato dalla Banca ( ...omissis 4) dove ora suo padre ( ...omissis ) è diventato procuratore con il potere di firma. Ha appena 26 anni (!!!) non è un ingegnere costruttore e sbarca il lunario in qualche modo come tanti figli di semplici impiegati, ma ad un tratto, improvvisamente con i soldi ricevuti da questa Banca ( ...omissis 4) (tantissimi soldi!) inizia a costruire a ( ...omissis ) un complesso per 4.000 abitanti (!!!!), non una semplice villetta (!!). In un primo momento si appoggia ai fratelli dell'Impresa ( ...omissis ) , ma poi il difetto che ha il giovane costruttore, quello di voler sempre comandare lui, cioè fare il Cesare, porta a delle incomprensioni fra i due soci e quindi alla rottura del sodalizio. Ma ha imparato ( ...omissis 3) come si fa il mestiere, ha inoltre al suo fianco un esperto di mutui e finanziamenti venuto apposta dalla Sicilia cioè (...omissis 2) che ha (suoi o non suoi) una montagne di soldi nella singolare banca ( ...omissis 4).
( ...omissis 3) costituisce la sua impresa costruttrice ( ...omissis ). E con cosa? con i soldi che gli giungono dalla Svizzera nel 1963-64 attraverso la mediazione della già citata singolare Banca (...omissis 4), dove come accennato é procuratore suo padre: sono questi gli ingenti finanziamenti della Finazierungesellenschaft fur Residenzen AG di Lugano (dove qualcuno deve pur aver fatto prima dei depositi. Quindi si tratta di un "ritorno" di soldi versati tramite la banca (...omissis 4).

Ma non è solo il giovane ventiseienne (ed é comprensibile) a gestire questa grande e complessa operazioni finanziaria, compresa quella logistica. Vicino a ( ...omissis 3) , (lo abbiamo detto) troviamo affiancato un siciliano inviato dai potenti dell'isola a "curarlo" da vicino; è ( ...omissis 2). Resta a Milano un anno al suo fianco, come esperto di mutui e finanziamenti, poi ritorna sull'isola, alla potentissima Banca siciliana (...omissis 42) , fino al 5 marzo 1974, per ricomparire a Milano subito dopo, esattamente il 1° luglio 1974, quando (...omissis 3 preso da un attacco di megalomania) ha acquistato il complesso di una grande monumentale villa a ( ...omissis ) in questo 1973. Il ( ...omissis 2) diventa improvvisamente suo "segretario privato" portandosi dietro dalla Sicilia un certo (...omissis 12) , commerciante di cavalli, "con il compito" di fare il "guardiano" o meglio il "fattore stalliere" (!). (...omissis 12) non è un bifolco, tanto meno un "portinaio di ville", ma a Palermo ha studiato da perito industriale, é uomo d'onore, è uno dei reggenti della potente famiglia siciliana di (...omissis ) con già alle spalle qualche noia -vera o presunta- con la giustizia.

Quale può essere il motivo? Nel frattempo tra le due date dal 1968 al 1974, era già nato il 2° Progetto della società costruttrice (...omissis ) di (...omissis 3), che consiste in un altro colossale complesso, che sorge su quasi 3.000.000 di metri quadri. Quasi una città! Quindi altri colossali investimenti, che indubbiamente la "famiglia" siciliana vuole "curare" da vicino. Anche perchè a Milano pochi giorni prima ( il 17 maggio ) è accaduto un fatto molto singolare: cioè la cattura (!) del riconosciuto capo di ogni "cosa" e, affermano gli inquirenti, il "cervello" dei clamorosi sequestri in Lombardia e in Piemonte. Chi afferma questo sui giornali? Il Giudice TERRANOVA, che però si è condannato, ha le ore contate. Finirà ammazzato.

Il giovane ( ...omissis 3) (fra i 26 e i 32 anni) a partire da questa data, improvvisamente diventa il maggior costruttore italiano; vende centinaia di appartamenti a ricconi e altre centinaia ad enti pubblici, dove non è che sia tanto facile entrare. Cosa che incuriosisce. Un giornalista ( ...omissis ) sul giornale (...omissis) si fa molte curiose domande "ma chi é questo palazzinaro? e giù altri commenti "urtanti". Ma poi il giornalista (..omissis) invitato da ( ...omissis 3) per il suo irriverente attacco, lo incontra e se ne "innamorerà" (lo scrive lui ( ...omissis ) in un suo libro. Dopo l'incontro sulla via di Damasco, il "critico" diventa un suo servile "panegirista", ripagato subito con una quota di un giornale appena fondato dallo strano personaggio, che prima disprezzava, ma che ora afferma dalle stesse colonne che "(...omissis 3) "é ammirevole, godibile...C'é anche il feeling, le affinità elettive che lui può volgere al plagio...."Non ho mai sentito uno mentire in un modo più innocente e convinto".
Altrettante -per un certo periodo- laudi e incenso, li riceve anche da ( ...omissis 13); un famoso giornalista di un autorevole quotidiano che controlla sempre ( ...omissis 3) e che (come l'altro) riceve anche lui una partecipazione al nuovo giornale e ci scrive. Così i suoi panegirici rientrano quindi nella logica: "dare e avere". Il patto comunque (a parte qualche panegirico di natura imprenditoriale) fra direttore e proprietario sono chiari. Nessuna interferenza, piena libertà di scrivere. Ma quando poi il proprietario scenderà nell'agone politico, questi lo obbliga ad allinearsi a fare quella politica che lui vuol fare. L'altro non ci sta più; segue una polemica ed é rottura. Senza mezzi termini un "fede...le" seguace (di ...omissis 3), dalla "sua" TV lancia la scomunica "quello lì se ne ne deve andare, e subito".

Torniamo alla grande Impresa-società "nuova" (...omissis ); i finanziamenti di questa ultima colossale operazione arrivano ancora dalla Svizzera, 3 miliardi di allora (lo stipendio di 25.000 operai) dalla Privat Credit Bank controllata da Tettamanti e da GIUSEPPE PELLA, dall'Intercharge Bank, a dalla Banca Svizzera Italiana sempre da Pella controllata, insieme a un famoso principe d'Italia, decaduto, ma in Svizzera, che anche lui per "hobby" fa il "banchiere" (Figurerà poi anche lui nella Lista P2.)

Pella é un importante personaggio biellese, uomo politico democristiano fortissimamente di destra; Ministro del Bilancio nel '48, del Tesoro nel '52, Presidente del Consiglio nel '53, agli Esteri nel '59, nel Bilancio nel'60, e lo troviamo ancora lo scorso anno 1972 Ministro delle Finanze nel primo governo ANDREOTTI che a sua volta conosce molto bene GELLI (a fianco nella foto).
Così bene che CARLO BORDONI il braccio destro (oltre che essere suo genero) di MICHELE SINDONA, alla Commissione d'inchiesta parlamentare sulla P2 (il 29 settembre del '83) destando clamore, affermerà che è lui, GIULIO ANDREOTTI il vero capo effettivo della loggia segreta P2, e non LICIO GELLI. Andreotti sdegnato respingerà l'accusa.

Una lunghissima carriera quella di PELLA, sempre in mezzo ai soldi dello Stato. Pella é molto vicino all'ambiente ecclesiastico, agli affari vaticani della Ior, ai Salesiani, agli industriali biellesi, all'Opus Dei, e alla massoneria toscana (Licio Gelli, P2; e questa a sua volta molto vicina a quella siciliana - con Sindona e Calvi che stanno ora scalando i vertici di alcune banche milanesi, grandi aziende e lo stesso Corriere della Sera, il giornale più venduto e influente della borghesia del triangolo del nord.

GIUSEPPE PELLA è un anticomunista così viscerale, che il 2 aprile del 1959 a Washington al Consiglio di Sicurezza Atlantico, parlando come ministro degli esteri suscitò vivaci proteste in Italia, quando affermò: "L'Italia preferisce correre il rischio di un attacco atomico piuttosto che avere in casa i comunisti". L'Autore che scrive (Biellese) lo ha conosciuto molto da vicino, sia a Biella sia in altre particolarissime circostanze, e Pella non scherzava affatto, i comunisti li voleva liquefatti o tutti appesi. E i suoi sentimenti per Moro, filo-sinistra (catto-comunista come dicono altri) , erano di profondo disprezzo, e quest'ultimo l'antipatia la ricambiava nella stessa misura (fino a che punto gli fu fatale non lo sappiamo)

Il "fantasma rosso" comunista secondo lui c'era: non per nulla che Pella (emulo del suo concittadino Quintino Sella, anche lui ministro delle Finanze e che a Biella creò la più grande banca privata italiana) per precauzione le sue banche le ha messe in Svizzera, non a Biella o in Italia. Le controlla mentre é al governo (come già accennato, fino allo scorso anno 1972 come ministro delle Finanze e del Tesoro, con CARLI alla Banca d'Italia). Questo mentre in Italia, proprio loro, i governanti di turno e quelli del Tesoro, accusavano platealmente gli imprenditori di esportare capitali, e imponevano i ridicoli limiti valutari ai turisti che andavano oltre Chiasso con 500mila lire. (Una farsa !!)

Ritorniamo a Milano nel 1970. Era appena terminato il primo cantiere e il progetto 1 di ( ...omissis 3) ed ecco nascere il già accennato 2° progetto ( x ...omissis ); infatti sono passati pochi mesi e con inizio anno 1970 l'impresa (y...omissis ) di (...omissis 3) riceve altri (di allora) decine e decine di miliardi (la congruità è considerevole ed anche astronomica - pari agli stipendi di un anno della intera Fiat, dirigenti compresi) di mutui fondiari dalla Banca ( ...omissis ) e…dalla Banca toscana (...omissis ). Quest'ultima è l'unica banca che una legge fascista non era riuscita a controllare tramite la Banca d'Italia, rimanendo così incontrollata anche con la nuova Repubblica; autonoma da molti vincoli anche valutari e non soggetta a controlli della banca centrale. Questa banca proprio per questa sua caratteristica è molto utilizzata proprio da LICIO GELLI (P2); la usa per affari il potente banchiere siciliano Sindona; e la utilizza Calvi (anche lui da semplice impiegato diventato in pochi anni presidente e proprietario dell'Ambrosiano, della Centrale, e indirettamente del Corriere e quasi di tutta la Rizzoli (il cui proprietario, il direttore e alcuni giornalisti di punta, risulteranno poi iscritti alla P2). Nel rovinoso crack Sindona, i RIZZOLI (vedi) soffriranno pene d'inferno e qualcuno dei figli andrà pure in carcere, mentre attorno accadono drammi, suicidi di segretarie, e ammazzamenti vari. Nello stesso giro di Sindona, c'è un suo aiutante un certo ( ...omissis 13) che è quello che muove fisicamente e fa circolare e ricircolare i soldi dalla Sicilia alle finanziarie del nord e in quelle estere dei paradisi fiscali, che poi ritroveremo a costituire con ( ...omissis 3) una grande società turistica in Sardegna, dove vi figura pure (sempre lui come il prezzemolo) il solito ( ...omissis 2).
(Lo ritroviamo quel personaggio ( ...omissis 13), qui nella foto, con Gelli, ed entrambi spesso con gli inquilini del Quirinale. Qui è con LEONE , mentre Gelli è il terzo da sinistra).

Sindona verrà arrestato il 5 Set. del '76. Nel successivo '77 esploderà lo scandalo del "tabulato dei 500" esportatori clandestini di valuta tramite Gelli. Successivamente il 20 maggio del '81 spuntò fuori provocando un terremoto in Italia, la lista dei 962 iscritti alla loggia P2.

Stranamente e per caso la lista P2 fu rinvenuta in una perquisizione (con Gelli già resosi uccel di bosco in Svizzera) negli uffici dello stabilimento della Gio.le, che si trova a Castiglion Fibocchi, a circa una decina di chilometri da Arezzo, e da Villa Wanda.

A disporre la perquisizione fu un giovanissimo magistrato che diventò in seguito molto noto nel Pool milanese di Tangentopoli: COLOMBO. Stava indagando su Sindona e gli risultava che Gelli doveva avere molti stretti legami con Sindona, visto che aveva fatto una testimonianza giurata alla giustizia americana a suo favore, perchè minacciato di estradizione. Gelli ritenne che era meglio tenerlo lontano dall'Italia per via delle rivelazioni sulla lista, che toglieva il sonno a tanti.

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mafia al potere
byMonday, Aug. 16, 2004 at 8:23 PM mail:

Nella lista rinvenuta, c'é il gotha della politica, della finanza, del giornalismo, degli apparati militari di varie forze politiche, e ovviamente nessun comunista. Lista che provocò un terremoto. (ma lo stesso giudice Colombo dopo aver rigirato in mano quella lista con molti dubbi affermò "L'archivio vero di Gelli e ben altrove, forse in Svizzera o in America latina" Intervista, di G. Bocca, 11 giugno, 1981).

Gelli quel giorno fuggì a gambe levate, ma verrà riacciuffato proprio in Svizzera, a Ginevra il 13 settembre 1982 mentre stava estinguendo un conto di 170 miliardi di lire (di allora!) in una banca svizzera, alla ( ...omissis 41).
Mentre (dopo aver fatto finire in galera parecchi nomi eccellenti, Tassan Din, Bonomi, Cigliano, tanti altri, e inguaiato la Rizzoli, la Sir, e tutta la Banca D'Italia - con SARCINELLI il direttore arrestato, e BAFFI il governatore agli arresti domiciliari perché anziano) Calvi lo troveranno impiccato in uno strano suicidio al ponte di Londra il 18 (vedi GIUGNO 1982 ) non nel suo stile. (Nulla lo faceva presagire nell'intervista che Calvi rilasciò a Pansa il 21 maggio, e a Biagi il 1° agosto del '81).

Negli anni Settanta i rapporti tra la Banca ( ...omissis 4) di Milano e Gelli dovevano essere molto buoni, visto che tramite il suo reclutatore massone un certo ( ...omissis 14) democristiano, molto amico (e gli darà la tessera anche a lui) di un personaggio che diventerà drammaticamente molto noto: MINO PECORELLI famoso per le rivelazioni su Andreotti-Lima e anche ben altro (dossier Moro, Petroli, ecc). Ma da notare che ( ...omissis 14) è la stessa persona che farà entrare alla loggia P2, il 26 Gennaio 1978, il figlio del procuratore della famosa Banca ( ...omissis 4) , cioè proprio ( ...omissis 3)! con la tessera n. 1816, codice E.19.78, gruppo 17, fascicolo 0625 e col versamento di lire 100.000. Lui ( ...omissis 3) è l'uomo che sta decollando verso le alte vette "in tutto". Mentre nella Loggia massonica P2, si sta parlando già da molto tempo di televisione con le "famiglie" della Sicilia. E si parla anche di secessione della Sicilia, per poi "colonizzare" il continente (il partito indipendentista ombra "L'altra Sicilia", lo ritroveremo alle elezioni del 1994, con referente (...omissis 2) e guarda un po' di (...omissis 3).

"Una sciocchezza quell'iscrizione" dirà in seguito ( ...omissis 3) e anche ( ...omissis 16) in una intervista (di G. Pansa, del 5 giugno, su Repubblica) dirà anche lui "Sì, lo confesso sono stato un cretino a iscrivermi". Infatti ( ...omissis 16) figurava negli elenchi con la tessera n. 1819, iscritto il 26 gennaio 1978. La stessa data di ( ...omissis 3). Sono i due dunque "fratelli" ma il primo non lavora ancora con lui. Infatti la rete ( ...omissis ) non esiste ancora. Lavora con chi? con ( ...omissis ) e con ( ...omissis ) direttore al Corriere della Sera - anche lui iscritto alla P2).

Operando tutti questi soggetti nei primi passi nella televisione, non potevano di certo entrambi ignorare (visto che si sono iscritti) il "Piano Rinascita Democratica" della Loggia P2 di Gelli, con legami con le potenti famiglie siciliane. Loggia e famiglie che già avevano TV locali sull'isola e avevano in programma la costituzione della TV via cavo e via etere su tutte le province italiane per: "l'orientamento" politico dell'opinione pubblica". Oltre naturalmente ad essere interessata ai potenziali e appetitosi introiti pubblicitari.

Infatti da entrambi i due neo-iscritti, era ben conosciuto il "Piano di rinascita democratica"....
(qui il testo del "PIANO RINASCITA" sequestrato nel 1982)
...perchè proprio GELLI questo piano lo aveva illustrato a ( ...omissis 16) , in una sua intervista (Corriere della Sera, del 5 ottobre 1980) che apparve pubblicamente (sembrava un messaggio criptico fatto per qualcuno) quasi tre anni dopo l'iscrizione dei "due ingenui" (questo lo diranno loro): Gelli affermava in quell'intervista "Che attraverso l'indebolimento dei sindacati, il controllo dei giornali, dei politici dei partiti di governo e la distruzione del monopolio RAI, si puntava a un mutamento della repubblica in senso presidenziale, al fine di indebolire l'opposizione di sinistra e impedirne l'ingresso nel governo". Pochi forse lessero queste righe. Ma a chi erano destinate capirono eccome!

( ...omissis 3) diventato l'uomo che ora ha concentrato o si sono concentrati su di lui enormi e immensi capitali virtuali e gli sguardi (forse degli ex gestori della Banca ( ...omissis 4), i nuovi personaggi della "nuova famiglia" ( ...omissis ) o altre banche, gli chiesero forse i rendiconti. Infatti, la fortuna-sfortuna inizia ora, in questo 1973, quando tratta l'acquisto di una grande villa a ( ...omissis), dagli eredi di (...omissis) . Cura l'eredità e il passaggio di proprietà (...omissis); come quella dei ( ...omissis ) e ( ...omissis ) che così conosce anche ( ...omissis 17).

Poi la fortuna-sfortuna continua il prossimo 1° luglio 1974 con l'improvviso secondo ritorno a Milano di (...omissis 2) (che ha lasciato la potente banca siciliana ( ...omissis 42) e ha questa volta un incarico molto curioso, quello accennato sopra: é segretario particolare dell'ormai (forse ritenuto troppo) potente (...omissis 3), inoltre ha portato con sé quel personaggio (al centro di una complessa vicenda) che viene assunto proprio a ( ...omissis ) nella villa di ( ...omissis 3) ; è il già citato "fattore stalliere" (...omissis ) , che però -lo abbiamo già detto- non è un semplice stalliere. Anzi la sua presenza si rivelerà sempre un' "ombra" che inquieterà non poco il suo datore di lavoro, la sua famiglia e le sue attività. (un travaglio -dopo alcuni casi allarmanti di sequestri- un angoscia che non ha solo lui, ma tutti i ricconi di Milano e dell'interland. Una attività quella dei sequestri che nessuno ora (nel '74) sa a chi è in mano).

Infatti -lo abbiamo già ricordato sopra- era vacante sul territorio il "potere-boss". Pochi giorni prima (il 17 maggio) proprio a Milano, era stato catturato la "Primula Rossa" di Corleone, LUCIANO LIGGIO, ritenuto il "cervello" dell'organizzazione dei clamorosi sequestri a scopo estorsione avvenuti nel milanese.(VEDI GIORNALE MAGGIO 1974).
LUCIANO LIGGIO, è di Corleone, da quasi trent'anni al vertice e da dieci anni "Primula rossa" della più potente "organizzazione" siciliana, con al suo servizio e come guardiaspalle, gli emergenti SALVATORE RIINA e CALOGERO BAGARELLA sempre di Corleone. Con lui arrestati altri due siciliani implicati nell'ultimo sequestro di TORRIELLI e ROSSI di MONTELERA.
"Da dieci anni Liggio era inafferrabile. Ma viveva comodamente a Milano, a dirigere la sua '"organizzazione", in un bell'appartamento, in un nuovo recente bellissimo complesso immobiliare per gente in, con prato all'inglese, laghetto al centro, anatre che svolazzano, parco giochi bambini, e inquilini accanto, simpatici...".(dal Giornale di Sicilia del 17-5)
Che vivesse blindato non sembra proprio, anche perchè Liggio doveva far ricorso spesso a un rene artificiale in varie cliniche di Milano. Ma a un certo punto qualcuno decise che doveva finire la sua carriera di Boss.
(Sarebbe curioso risalire al contratto della bella casa con "prato, laghetto, con le anatre e parco giochi bambini. Chi gli aveva ceduto quell'appartamento, chi l'aveva costruito, chi era il prestanome ecc.)

Fra l'altro contemporaneamente accadono alcuni "fatti" nella "nuova regale" residenza di (...omissis 3); c'è infatti di mezzo un tentativo di sequestro di un facoltoso invitato a cena, all'uscita della sua villa - il principe (...omissis) - è il 7 dicembre, sempre del '74. Dopo pochi giorni di indagini il 27, lo stalliere (...omissis) finisce arrestato per il possesso di un coltello (! Uno stalliere con un coltello non dovrebbe però essere un fatto strano, ma semmai molto comune). Seguono altre "ombre" e alcuni (motivati) timori sulla incolumità stessa di (...omissis 3); compreso proprio un suo sequestro.
Ma come reagiscono in Sicilia?

Forse per farsi capire meglio, arriva un "segnale-avvertimento" molto rumoroso: una bomba il successivo 26 giugno del '75 in Via (...omissis) negli uffici residenza della società (...omissis), da pochi giorni costituita da (....omissis 3), forse perchè voleva fare tutto da solo e scavalcare qualcuno). La sua non è più una impresa di costruzioni ma si occupa ora (...omissis 3) di grossi Investimenti finanziari) e tra gli amministratori troviamo (...omissis), (...omissis), (...omissis), (...omissis) che entreranno poi nelle vicende di (...omissis), poi di (...omissis), e ancora di (...omissis). Alcuni come amici altri come serpi allevati in seno.

Ma dopo il "botto" , torna a risplendere il sole. L"effetto-segnale-avvertimento" con un bel pacco regalo pieno di TNT… deve aver eliminato molte incomprensioni e fatto ragionare meglio (...omissis 3).
Scoppia la "pace dei 10 anni". Solo temporanea, fino al 1986, quando alla mezzanotte del 28 novembre, un altro chilo di TNT scoppia nuovamente e ancora davanti agli stessi cancelli di via (...omissis), non sappiamo qual'era lo scopo, che segnale era e da dove veniva o che sgarro si accingeva a fare (...omissis 3) ai suoi soci siculi-milanesi.
A Milano in quei giorni c'era una grossa bufera, una tempesta immobiliare sul Comune. Il 10 novembre (18 giorni prima) era scoppiato il grosso scandalo delle aeree d'oro. Alcuni terreni erano stati acquistati dal Comune per il Piano Casa, a prezzi di molto superiori a quelli proposti alcuni anni prima. Qualcuno stava facendo una grossa colossale cresta. Il sindaco deve dimettersi. Il 22 dicembre fu eletto (...omissis), socialista, cognato di (...omissis ), che è al suo secondo governo ed é ora l'uomo più potente nella Milano di questi tempi. Ora con il cognato alla poltrona meneghina, a Milano non si muove foglia che (...omissis ) non voglia. E naturalmente anche le aree si mossero, con destinazione (ma ti pareva) verso (...omissis 3) che così crea un altro facile impero edilizio (pagando il suo "dazio" per evitare un "botto" di TNT un po' più grosso. Dopo il botto uno, poi del due, il terzo era più che scontato, i chili di TNT sarebbero stati tanti. Meglio ragionare dando ad ognuno la sua fetta di potere economico. Infatti rientrano dalla porta principale (...omissis), (...omissis), (...omissis), (...omissis) a fare pace (non con lo spirito evangelico).

I rapporti di (...omissis 3) & C. con lo stalliere (...omissis) (nonostante abbia fatto qualche anno di galera ed é imputato di omicidio) ridiventano molto idilliaci. Più tardi, nel 1998, testimonierà persino a favore di (...omissis 3) e di (...omissis 2), quest'ultimo accusato dal famosissimo pentito (...omissis) di aver riciclato con (...omissis 36) un bel po' di miliardi di dubbia provenienza; sconfessando così (...omissis 1) che in questo processo da datore di lavoro, poi amico e padrino di battesimo, e perfino intestatario di alcune società assieme a ( ...omissis 2) e ( ...omissis 3) era diventato (chissà perchè) invece gola profonda sul passato di tutti e due gli ex compari, a partire da questo 1973.

Dopo il primo "botto" avvertimento, ritorniamo al 1977, dove troviamo, subito dopo, un altro "bum bum" di TNT dentro un piccolo ufficio di Via (...omissis) una finanziaria, la (...omissis). Una fiduciaria (con una clientela siciliana con dentro molti nomi famosi, ma i veri intestatari sono tutti prestanomi, casalinghe, qualche vecchio zio, e parenti vari ) dove prendono la luce in un solo colpo (numerose) holding a scatole cinesi; l'ultima, la (...omissis) le racchiude tutte, e quest'ultima è la (...omissis) di via (...omissis) , intestata personalmente a (...omissis 3).

Dopo alcuni mesi entrano a far parte nelle costituite nuove società, le potenti televisioni nate in Sicilia (effettive, ma create come veri avamposti per il continente) dove la principale è la (Tv XX...omissis 20), a sua volta proprietaria di (Tv YY...omissis 21). Ad amministrare tutto è (...omissis 40), nativo del piccolo paese di Misilmeri che è lo stesso piccolo paese di quel tale (...omissis 0) che ha fondato ed è proprietario proprio -ma guarda un po'- della pluri-citata sopra, singolare Banca di Milano la (...omissis 4) con quell'importante ed unico "sportello" nella città meneghina, che è poi quella che ha assunto il padre di (...omissis 3), la banca ( ...omissis 4) che ha poi fornito di soldi il figlio del proprio procuratore, e che da palazzinaro si è trasformato in un pezzo grosso di varie imprese che ormai nel 1981-82 spaziano in ogni campo.

Ma (...omissis 0 proprietario della banca ...omissis 4) non era un personaggio qualunque, ma era il marito (ma guarda un po') della nipote prediletta di TOMMASO BUSCETTA; e aveva al suo fianco nel consiglio di amministrazione di (Tv XX...omissis 30), il siciliano (...omissis 55).
Amministratore unico della (Tv YY...omissis 31) -anche lui siciliano- è un certo (...omissis 56) che è anche nello stesso tempo procuratore della stessa (Tv XX...omissis 30) le cui assemblee dei soci -senza (...omissis 0)- non si svolgono più in Sicilia ma nel milanese, ma (guarda un po') nella località (...omissis), e precisamente nel costituito Palazzo (...omissis), dove nasce nel mese di dicembre la (Tv XY...omissis 32) di (...omissis 3) che ha già iniziato a trasmettere sperimentalmente pochi giorni prima. - Le quote della (Tv XX...omissis 30) e della (Tv YY...omissis 31) (siciliane) , a partire dal giorno (...omissis) vengono trasferite dalla finanziaria (x...omissis) alle holding di (...omissis 3), per poi essere acquisite dalla finanziaria (y...omissis) ma sempre -guarda un po'- intestatario è ora (...omissis 3).

E (...omissis 0)? Quello che ha iniziato e non ha mai interrotto il flusso di denaro ai suoi amici milanesi (a ...omissis 1 e 2 principalmente e a ... omissis 3 indirettamente)?. Sparisce. Il boss viene assassinato dai corleonesi. Liggio come abbiamo visto era finito in carcere ma era stato subito rimpiazzato dal suo braccio destro Toto Riina con il suo clan (...omissis 30). Tutto l'impero immobiliare e quello televisivo iniziato in questo 1973 con gli ingenti flussi di denaro alla Banca (...omissis 4) indi a (...omissis 1 e indirettamente a (...omissis 2), e da questi a (...omissis 3), scorrono lentamente in altre mani e non rimane più nulla sotto il sole siculo-siciliano e sotto quello siculo-milanese.
L'impero di (...omissis 0) in Sicilia e a Milano, si frantuma: una parte va in mano ad un'altra famiglia emergente: ai corleonesi (...omissis ) che però hanno altri interessi, quasi zero in quelli televisivi e solo alcuni in quelli immobiliari, perché in pieno decollo c'è in questi anni il narcotraffico.
Ma non c'è solo questa divisione di cose materiali, ma c'è pure uno spiccato interesse verso gli uomini politici di Roma, quelli che fanno le leggi o avventatamente mandano funzionari in Sicilia a mettere il naso nei loro affari ( e normalmente campano poco)

(La "nuova" situazione confusa in Sicilia di questo periodo del resto emerge dagli Atti d'accusa della Procura di Palermo. Dossier Andreotti. Domanda della Procura di Palermo al Presidente del Senato per l' autorizzazione a procedere contro il senatore Andreotti. Doc.IV, n. 102, 27 marzo 1993, trasmessa dal Ministro di grazia e giustizia Conso. (vedi MARZO ANNO 1993 - Pagina comunque ancora in costruzione).

Con la eliminazione di (...omissis 0), tutto il potere del business televisivo, si sposta dunque a Milano. Qui ormai agiscono quasi più solo le singolari holding di (...omissis 3) con a disposizione ingenti capitali, tanto da permettergli di installare migliaia di ripetitori su tutto il territorio italiano e in Sicilia, a organizzarsi, e ad acquistare ingenti quantità di film. Poi riuscirà a monopolizzare quasi l'intero mercato quando arriverà un provvidenziale decreto legge sulle televisioni private di (...omissis 3) il (...omissis) e il (...omissis) .(Denominato anche...decreto ...omissis 3 bis). Libertà di poter trasmettere sul territorio nazionale. Facoltà questa stranamente prima negata dalla Corte costituzionale fin dal 14 luglio 1981 alla Rizzoli.

A Milano era nata, infatti, nel frattempo tra le due date 1980-1982, (Tv rete HH...omissis 33), la televisione privata di RUSCONI, concorrente della (Tv XY...omissis 32), e nonostante il successo che stava ottenendo dovette cedere nel 1982 la sua emittente. Dichiarerà EDILIO RUSCONI (audizione al Senato il 22 settembre 1988) "Siamo usciti dal settore televisivo, pur avendo in quel momento una posizione predominante, perché....la nostra concorrente (Tv XY...omissis 32 di ...omissis 3) fruiva di un flusso di denaro illimitato e noi non potevamo fare concorrenza all'illimitato". Stessa sorte toccherà alla grande casa editrice (...omissis) che sempre nel '82 aveva costituito (Tv rete ZZ...omissis 34) ma che passò poi tutto alla (Tv XY...omissis 32 di ...omissis 3) nel '84 con una operazione che ha riempito i giornali dell'epoca ma anche nei successivi anni, e non si è ancora conclusa.

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Sono i primi fatti legati a quest'anno 1973 e nei dintorni (solo i fatti - i fatti pubblicati su giornali e riviste in varie occasioni, che conserviamo). Personaggi grandi e piccoli poi apparsi sulla stampa nei successivi 25 anni, che s'incrociano in una grande ragnatela; ma messi in un semplice "data base relazionale" e compilato in un grande ipertesto (oggi è facilissimo, basta riversare anche non sequenzialmente le notizie) gli incroci dei sottili fili della ragnatela sono visibilissimi e riservano anche sorprese; affascinano chi ama i romanzi labirintici e le epopee dinastiche di un gruppo di personaggi; e nel dipanarsi questi fili, catturano enormemente l'attenzione di chi legge. Trattandosi poi, di nomi noti e notissimi, l'attenzione è ancora maggiore. La curiosità poi permette di seguire l'avvincente trama.

Partendo dalla piccolissima Banca (...omissis 4), abbiamo solo ricostruito qui brevemente e in minima parte un pezzettino del tessuto iniziale. I nomi che s'incrociano dalla Sicilia alla Svizzera passando da Milano, saranno casuali, forse anche legittimi, ma sono abbastanza curiosi e singolari, e gli amici degli amici lo sono ancora di più, visto che sono entrati nella grandi cronache, anche drammatiche di questi ultimi trent'anni e più.
Si parte dal 1948, da ( ...omissis ) di Via ( ...omissis ) a Milano, si passa a piazza (...omissis) e si finisce in via (...omissis). Contemporaneamente in Sicilia si parte da un circolo sportivo (...omissis) di Palermo, si passa dalla potente Banca siciliana (...omissis 42) e si finisce nello stesso luogo: in via (...omissis) o in via (...omissis) a Milano. Sia (...omissis 2) che (...omissis 3) sono uomini molto singolari, e singolari sono i fatti che s'intersecano mentre entrambi si muovono chi in un settore chi in un altro. Prima sullo "scenario bancario immobiliare", poi sullo "scenario televisivo", poi in quello "politico", ma sempre e in ogni caso uniti con un forte legame e con le stesse amicizie in Sicilia, dove potremmo dire, QUI nasce e si decide il vero business della televisione privata in questo 1973, e indirettamente negli anni che seguirono anche un grande impero economico, poi in parallelo pure il potere politico.

Chi dei due personaggi di sopra sia il maggiore, quello di spicco, il più potente, se viene visto da un'altra angolazione sembrerebbe molto difficile distinguere. Ma sul piano logistico (...omissis 2) non è certo una figura di secondo piano rispetto a (...omissis 3). Anzi dai primi passi, sembra invece che (...omissis 2) sia il protagonista assoluto anche se vive quasi nell'ombra. I "grandi" normalmente non si mettono in mostra, vivono sempre appartati. Quel che sembra certo è che (...omissis 3) non esisterebbe senza (...omissis 2 & C.) fin dalle sue prime battute.

La singolarità é che in ogni caso negli intrecci sia economici che politici, vengono alla ribalta, sempre nomi curiosi: Bontade, Teresi, Buscetta, Adonis, Alamia, Ciancimino, Cinà, Calò, Sbeglia, Caputo, Spatola, Citarda, Mandalari, Pulvirenti, Badalamenti, Cuntrera, Mongiovì, Giulio Di Dio, Sindona, Calvi, e tanti altri (di cui leggeremo nelle cronache giornalistiche e nei processi dei prossimi anni) non tenendo fuori Riina collegato allo stesso Gelli oltre che sui fatti Falcone e Borsellino. In un corollario anche qui virtuale, compaiono poi anche alcuni noti e importanti uomini politici come Pella (nei primi tempi) poi Craxi, e infine ANDREOTTI che dal '75 fino all'anno di tangentopoli, e fino a 24 ore prima del giorno (...omissis ) é stato l'uomo politico più influente della politica italiana.

Quest'ultimo, per strane circostanze o coincidenze, il giorno (...omissis ) viene... "scaricato" definitivamente. Si cambia cavallo "referente", e si scatena la guerra dei clan; RIINA improvvisamente è catturato, MADONIA a Longare (VI) ha la stessa sorte pochi giorni dopo, e Andreotti cade in disgrazia con delle accuse fabbricate a tavolino ma che gli costano la scocciatura di sei anni di processi. Dodici "collaboratori di giustizia" hanno cominciato a fare rivelazioni e la Procura di Palermo rinvia a giudizio proprio il giorno (...omissis ) il senatore GIULIO ANDREOTTI con l'accusa di concorso in associazione per delinquere semplice e mafiosa. Essendo non coinvolto con Tangentopoli, era l'unico politico che poteva ricompattare con il suo carisma la Dc allo sbando. Coinvolgendolo in sei anni di processo, non gli è stato quindi permesso.

Su RIINA si abbatterà un BUSCETTA (da quel momento pentito) che Riina non vorrà nemmeno incontrare in aula di giustizia per un confronto. Vedi TOMMASO BUSCETTA.

C'è insomma nelle varie pieghe di questi fatti uno spaccato della intera vita italiana, quasi tutta la storia politica ed economica del Paese Italia di questi ultimi anni, che non è proprio molto chiara. Compresa tutta la storia della televisione pubblica e privata. Forse della Sicilia stessa. E di tanti altri misteri italiani.

Abbiamo davanti molti anni (e pagine) per raccontarla (anche se non sarà facile per ovvie ragioni) Molti fatti e molte circostanze (e i fatti sono ancora tanti e seguitano ancora dopo anni ad essere al centro dell'attenzione) hanno portato alcuni personaggi ai vertici di certi poteri, che lasciano poco spazio alla libera informazione.

Molti di questi fatti, circostanze e notizie, sono anche di fonte filo- (...omissis) cioè prese dalle molte pubblicazioni delle case editrici di (...omissis 3) che ci parlano di personaggi (una volta amici, quindi ne parlavano) e di molti fatti accaduti, che collegati ad altre pagine di altri fatti si incrociano fino ad essere agli stessi fatti legati a doppio filo.

Purtroppo in Italia riportare quanto è apparso sulla stampa sembra non sia possibile; anche questo semplice riporto di notizie di pubblico dominio, se ritenute scomode (forse perchè si teme che potrebbero porre in relazioni altri fatti) si è bersagliati da inutili e pretestuose diffide che nelle intenzioni dovrebbero stroncare l'estensore.

Qui non si vuole esprimere una opinione ma riportare solo dei fatti, apparsi nella stampa nazionale, e che piaccia o non piaccia formano una cronologia Storica dei tempi: nero su bianco. Ma questo in Italia sembra che non sia possibile! Per fortuna che oggi, o domani mattina, si può andare su un isola senza lacci e lacciuoli. (anche l'informazione presto si avvarrà dell'hoff shoor)

Con i dati in questo momento disponibili, quelli sopra sono solo una infinitesima parte anonimizzata; è stata fatta solo una piccola e brevissima sintesi di migliaia e migliaia di articoli ricavati da oltre 3000 pubblicazioni e circa 5000 quotidiani (conservati), oltre a migliaia di siti in rete che hanno singolari notizie, che parlano di fatti e personaggi. Il tutto è stato inserito in un grande file ipertestuale relazionale di circa 15.000 pagine, quindi tutte collegate. A questo materiale si è aggiunto una montagne di E-mail, (1600) con interventi di molti lettori del sito (forse ex amici, i delusi dai loro beniamini, o che forse non hanno ricevuto la corrispettiva gratitudine, o più semplicemente perchè quello che sanno, non sanno a chi dirlo.
Sono comunque preziosi piccoli pezzi di un grandissimo mosaico, che spesso sfugge nella sua interezza anche al più esperto indagatore, ma non sfugge a chi si occupa unicamente di un solo personaggio e su questo raccoglie ogni piccolo e insignificante notizia che poi cuce con le altre.

Un lavoro ciclopico da mettere insieme con molta pazienza. Oggi del resto con l'ipertesto è possibile incrociare istantaneamente fatti e personaggi e metterli in relazione come mai era avvenuto in passato. Con il motore di ricerca interno ognuno potrà poi spaziare sui nomi ricorrenti, relazionarli, trarre le proprie conclusioni, trovare il filo di Arianna che forse lui cercava per avere una precisa opinione.

Attendiamo dal gentile lettore ulteriori notizie per via E-mail o per corrispondenza se il gentile lettore magari possiede e vuole inviarci giornali, riviste, pubblicazioni e fotocopie di articoli, o altre notizie che conosce. Può benissimo mantenere l'anonimato inviando i contributi per corrispondenza ordinaria.
Si ringrazia fin d'ora per la collaborazione.

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Piduismo: uno stile di 'vita'
by Henry Kissinger Monday, Aug. 16, 2004 at 8:27 PM mail:

PISANU

Nell'estate 1981, Pisanu, sardo e amico di Armando Corona (che poi diventerà Gran Maestro della massoneria) conosce in Sardegna il banchiere Roberto Calvi (tessera P2 numero 1624). A fare incontrare Calvi e Pisanu è Flavio Carboni, faccendiere sardo in contatto con un imprenditore milanese che voleva fare affari in Sardegna: Silvio Berlusconi (tessera P2 numero 1816).

Pisanu è il padrino politico di Carboni, che presenta come un "interlocutore valido per le forze politiche richiamantesi alla stessa aspirazione, cioè quella cattolica". Dichiara Pisanu al magistrato titolare dell'indagine su Calvi e il suo Banco Ambrosiano:

"Il Carboni si diceva congiuntamente interessato alle televisioni private in Sardegna: ciò in un'ottica di inserimento nella regione del circuito televisivo Canale 5, facente capo al signor Silvio Berlusconi di Milano. Il Carboni mi spiegò che il Berlusconi aveva interesse a espandere Canale 5 alla Sardegna, talché lo stesso Carboni si stava interessando per rilevare a tal fine la più importante rete televisiva sarda, Videolina. Sempre riferendosi all'oggetto delle sue attività, il Carboni mi disse di essere in affari con il signor Berlusconi non solo con riferimento all'attività televisiva, ma anche con riguardo a un grosso progetto edilizio di tipo turistico denominato "Olbia 2". Fin dall'inizio ritenni di seguire gli sviluppi delle varie attività di Carboni, trattandosi di un sardo che intendeva operare in Sardegna e che peraltro mostrava di avere vari interessi e vari contatti con persone qualificate".

Poi Carboni ebbe vari guai giudiziari. Girò assegni del Banco Ambrosiano agli usurai della Banda della Magliana. Subì arresti e condanne. Ma almeno fino alla primavera 1982 restò in stretto contatto con Giuseppe Pisanu che, mentre era sottosegretario al Tesoro, si interessò attivamente della vicenda Calvi-Ambrosiano. Nei mesi frenetici che precedono la scoperta della bancarotta dell'Ambrosiano e la fuga all'estero di Calvi, Pisanu incontra Calvi per quattro volte, sempre accompagnato da Carboni. L'ultimo appuntamento avviene il 22 maggio 1982, quando Pisanu vola a Milano sull'aereo di Carboni. Poi, il 6 giugno, il sottosegretario risponde in Parlamento ad alcune interrogazioni sulla situazione della banca di Calvi, dopo che erano ormai filtrate voci sulla drammatica crisi finanziaria che stava attraversando. Pisanu risponde tranquillizzando: la situazione è normale; il sottosegretario non accenna minimamente alla gravissima situazione debitoria in cui versa il Banco Andino, controllato dall'Ambrosiano.

Alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, dichiarerà Angelo Rizzoli:

"A proposito dell'Andino, Calvi disse a me e a Tassan Din che il discorso dell'onorevole Pisanu in Parlamento l'aveva fatto fare lui. Qualcuno mi ha detto che per quel discorso Pisanu aveva preso 800 milioni da Flavio Carboni".

Dopo lo scandalo P2 e il crac Ambrosiano, nel gennaio 1983 Pisanu è indotto a dimettersi da sottosegretario al Tesoro. "A causa di fatti incontrovertibili", secondo una dichiarazione del deputato radicale Massimo Teodori al Corriere della sera: "I rapporti strettissimi e continuativi fra Pisanu e Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi tramite Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni per la sistemazione del Corriere della sera; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni quando, sottosegretario al Tesoro, il ministro prendeva importanti decisioni sull'Ambrosiano" (Corriere della sera, 22 gennaio 1983).

Il 18 luglio 1982 Calvi fu trovato impiccato sotto un ponte di Londra. Pisanu, dopo le sue dimissioni, scomparve per molto tempo dalla scena. Beppe Pisanu ricompare nel 1994, quando torna in Parlamento e diventa vicecapogruppo dei deputati di Forza Italia: lasciata la Dc, si è schierato con il partito di Berlusconi, ex socio d'affari del suo protetto Carboni. E Berlusconi, nel 2001, pur di dargli una poltrona da ministro, inventa il curioso dicastero dell'"Attuazione del programma". Accanto, alle riunioni di governo, avrà il più feroce dei suoi accusatori, ai tempi della vicenda Calvi: Mirko Tremaglia.

LA P2 E IL "PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA"

La loggia massonica P2 balza agli onori e ai disonori della cronaca nel marzo 1981. Della sua esistenza i principali quotidiani italiani erano già da metà degli anni Settanta a conoscenza e si sapeva che tale loggia raggruppava personaggi di grosso calibro. Nessuno però sapeva che tipo d'attività venisse svolta all'interno di questo "club". L'appartenenza ad una loggia massonica non configura alcuna ipotesi di reato e non rappresenta neanche una tipologia di condotta immorale e/o compromettente. La diffusione della lista degli iscritti alla P2, infatti, non fu dovuta ad un'inchiesta sulla massoneria o sulla P2 stessa. Alla P2 i procuratori della Repubblica di Milano arrivarono solo indirettamente, indagando sul presunto rapimento del bancarottiere-mafioso Michele Sindona, avvenuto a New York nel 1979, e sull' assassinio di Giorgio Ambrosoli, liquidatore delle banche di Michele Sindona, avvenuto sempre nel 1979. Ebbene indagando sul passato di Sindona, Turone e Colombo, i magistrati incaricati delle indagini, si imbatterono spessissimo in un certo Licio Gelli ed appresero che aveva difeso Sindona con dichiarazioni giurate spedite ai giudici americani, parlando delle persecuzioni giudiziarie a cui il bancarottiere era sottoposto in Italia per la sua fede anti-comunista. Poi scoprirono che Sindona aveva organizzato il finto rapimento di New Jork per tornare in Italia e tentare di salvare le sue banche; si era fatto anche sparare ad una gamba da un amico di Palermo, tale J.Miceli Crimi, per dare credibilità alla storia del rapimento. Quando Turone e Colombo perquisiscono l'abitazione di Miceli, rimangono colpiti da un biglietto ferroviario Palermo-Arezzo; Miceli confessa di essersi recato nell'abitazione di Licio Gelli, un suo amico. Ed è a questo punto che i magistrati milanesi dispongono le perquisizioni presso i domicili di Gelli.

Chi era Licio Gelli? Innanzitutto era il "Venerabile", ossia il capo della "loggia massonica - coperta - Propapaganda 2 (P2)". Il termine "coperta" serviva a spiegare la natura di questa loggia, che era il gioiello della massoneria italiana perchè vi facevano parte personaggi di spicco della politica, della finanza, dell'imprenditoria, del giornalismo, delle Forze Armate…, per "proteggere" i quali la loggia era appunto "coperta", ossia nascosta, segreta. Gelli ne aveva la guida perchè nel dopoguerra gli era stata data dall'allora Gran Maestro, e quando quest'ultimo aveva poi cercato di tagliare fuori Gelli e di demolire la P2, Gelli era risultato troppo forte ed influente e ne rimase saldamente alla guida, acquisendo un'indipendenza totale dal resto della massoneria italiana. Con Gelli la P2 divenne un comitato d'affari, un "club del doppio Stato" , con finalità eversive e golpiste.

Gelli era nato a Pistoia nel 1919 e, dopo essere stato espulso da tutte le scuole del Regno per aver schiaffeggiato un professore, a soli 17 anni, falsificando i propri documenti, si era arruolato volontario nelle brigate mussoliniane che andarono a sostenere Franco in Spagna, tornando in Italia reduce a soli 20 anni. Poi, senza possedere alcun diploma, entra nel GUF (Associazione universitaria fascista). Aderisce alla Repubblica di Salò e diventa collaboratore dell' esercito hitleriano in qualità di traduttore, senza che conoscesse una parola di tedesco. Verso la fine della guerra, libera alcuni partigiani e si salva così dai processi ai fascisti del dopoguerra. La vita di Gelli è fatta di doppi e tripli giochi, di ricatti e favoritismi e di amicizie altolocate. Andreotti si stupì di aver visto Juan Domingo Peron salutare con ossequio il Venerabile; Montanelli definì Gelli "il Rasputin italiano", capace di circuire personaggi di tutti i tipi, un burattinaio. Andreotti stesso, quand' era Ministro della difesa, ordinò a Gelli, allora dirigente della Permaflex, 40000 materassi per la Nato. Molti hanno definito Gelli un "fascista". Se "fascista" è colui che ha combattuto per Mussolini, allora Gelli lo fu. Ma è più giusto dire che Gelli si schierava con il più forte, avvalendosi di un innato opportunismo e coraggio, come dimostra il collaborazionismo partigiano di cui si fregiò.

Comunque le perquisizioni del 1981 presso una società di sua appartenenza, la Giole, portarono alla luce questa lista di 962 nomi e una serie di progetti ed appunti appartenenti al Venerabile. Dopo pochi mesi dalle perquisizioni, in un doppio fondo di una valigia di M. Grazia Gelli, figlia di Licio, presso l' aereoporto di Fiumicino, viene rinvenuto un documento della massima importanza: il "Piano di Rinascita Democratica".

MEMBRI P2

Chi erano i membri della P2? E che ne è stato di loro dopo vent'anni dalla scoperta della lista? Ad oggi il nome più illustre dei "piduisti" è sicuramente quello dell'attuale Pres. del Cons. Silvio Berlusconi, titolare della Tessera n. 1816. Berlusconi ricevette, per questa vicenda, la sua prima condanna definitiva per falsa testimonianza, nel 1990, visto che aveva giurato il falso dinanzi ai giudici negando la sua appartenenza alla loggia; la condanna non ebbe seguiti perchè l'anno prima c'era stata una provvidenziale amnistia che salvò Berlusconi ed altri piduisti. La Commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi, getta un'ombra oscura sul Pres. del Cons. Berlusconi, secondo la Commissione, ebbe finanziamenti al di là di ogni merito creditizio, grazie evidentemente agli appoggi che la P2 gli assicurava: e con il denaro ottenuto grazie alla P2 Berlusconi costruì palazzi a Segrate, che però rischiarono di rimanere invenduti. Allora Berlusconi fu soccorso da un altro piduista, F. De Lorenzo, futuro Ministro della Sanità e futura vittima di Tangentopoli; De Lorenzo, come presidente dell'Enpam, fece acquistare i palazzi invenduti di Berlusconi.

Sindona è stato ucciso (o forse fu una simulazione di suicidio malriuscita) da un caffè avvelenato, mentre era in carcere per l'omicidio Ambrosoli. M. Pecorelli, giornalista "scomodo", e R. Calvi, successore di Sindona al Banco Ambrosiano, furono uccisi in circostanze misteriose.

Molti piduisti sono stati coinvolti in inchieste e processi per tentati colpi di stato, stragi, eversione…e sono stati "accantonati". Ma altri, miracolosamente scampati a processi ed indagini, occupano oggi posizioni di assoluto rilievo nella vita pubblica italiana. Gustavo Selva è oggi parlamentare di AN; Maurizio Costanzo è direttore di Canale 5 e, nonostante si professi "uomo di sinistra", è sempre dalla parte di Berlusconi nei momenti cruciali; Publio Fiori è stato ministro di Berlusconi nel 1994 ed oggi è parlamentare di AN; D. Poggiolini è stato Ministro della Sanità e la sua carriera è stata stroncata da Tangentopoli; De Carolis, amico personale di Berlusconi, è membro di Forza Italia, e coinvolto anche lui in Tangentopoli; Antonio D'Alì jr, figlio del banchiere Antonio D'Alì - legato ad ambienti mafiosi -, è senatore di Forza Italia, eletto in Sicilia; Vittorio Emanuele di Savoia oggi rientrato in Italia, grazie all'interessamento del Governo Berlusconi e del Parlamento a lui legato, e in Italia continua comunque da sempre a fare affari; nel 1994, intervistato, dichiarò che Berlusconi "è un buon imprenditore e può fare molto per l'Italia…" parlando, in tempi non sospetti, della necessità di abolire lo Statuto dei Lavoratori e in particolare il divieto di licenziamento.

lL PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA
http://media.supereva.it/mirabg70/p2.html?p

Nel Piano di Rinascita Democratica sono individuabili alcuni obiettivi della P2 che risultano, ad oggi, attuati o in fase d'attuazione.

In particolare si parla di "rinvigorire" i partiti politici oppure di "usare gli strumenti finanziari per l'immediata nascita di due movimenti: l'uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI-PSDI-PRI-Liberali di sinistra e DC di sinistra), e l'altro sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali, e democratici della Destra Nazionale). […] Tutti i promotori debbono essere inattaccabili per rigore morale, capacità, onestà e tendenzialmente disponibili per un'azione politica pragmatistica, con rinuncia alle consuete e fruste chiavi ideologiche. Altrimenti il rigetto da parte della pubblica opinione è da ritenere inevitabile." Non si può non fare riferimento all'attuale struttura partitica italiana, contraddistinta dalla presenza di due grandi partiti o coalizioni di partiti tendenzialmente convergenti, almeno per quanto riguarda i rispettivi fini politici.

E si legge ancora: "alleggerimento delle aliquote sui fondi aziendali destinati a riserve, ammortamenti, investimenti e garanzie, per sollecitare l'autofinanziamento premiando il reinvestimento del profitto…". E in quest'ambito è ovvio fare riferimento alla recente Legge Tremonti. E riguardo la TV si legge: "Abolire tutte le provvidenze agevolative dirette a sanare i bilanci deficitari con onere del pubblico erario ed abolire il monopolio RAI - TV"; e ancora:"La RAI-TV va dimenticata …".

Altri passi del Piano appaiono addirittura inquietanti: "Partiti politici, stampa e sindacati costituiscono oggetto di sollecitazioni possibili sul piano della manovra di tipo economico-finanziario. La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo"; "Occorrerà redigere un elenco di almeno 2 o 3 elementi, per ciascun quotidiano o periodico in modo tale che nessuno sappia dell'altro […]. Ai giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito di "simpatizzare" per gli esponenti politici come sopra prescelti"; "dissolvere la RAI-TV in nome della libertà di antenna ex art.21 Costit."; "la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati"…

Gelli, in un'intervista all'"Indipendente" del 1996, spiegò che Berlusconi stava attuando il Piano di Rinascita Democratica alla perfezione…

Occorre infine chiedersi per quale motivo non si sente più parlare di "P2" e dei suoi membri e per quale motivo i numerosi piduisti che oggi rivestono cariche politiche, non rendono conto all'elettorato dei loro trascorsi.

ELENCO DELLA PRINCIPALI VICENDE CONNESSE ALLA P2
http://media.supereva.it/mirabg70/p2.html?p

Strage del treno Italicus - strage di Bologna - strage di Ustica - strage di Piazza Fontana - strage del rapido 904 - omicidio Calvi - omicidio Pecorelli - omicidio Olof Palme - omicidio Semerari - colpo di stato militare in Argentina - tentativo di colpo di stato di Junio Valerio Borghese - tentativo di colpo di stato della Rosa dei Venti - caso dei dossier illegali del SIFAR - operazione Minareto - falso rapimento Sindona - tentativo di depistamento durante il rapimento Moro - rapimento Bulgari - rapimento Ortolani - rapimento Amedeo - rapimento Danesi - rapimento Amati - rapporti con la banda della Magliana - rapporti con la banda dei marsigliesi - inchiesta sul traffico di armi e droga del giudice Carlo Palermo - riciclaggio narcodollari (caso Locascio) - caso Cavalieri del Lavoro di Catania - fuga di Herbert Kappler - crack Sindona - crack Banco Ambrosiano - crack Finabank - scandali finanziari legati allo IOR - caso Rizzoli-Corriere della Sera - caso SIPRA-Rizzoli - scandalo dei Petroli - caso M. Fo. Biali - caso Eni-Petronim - caso Kollbrunner - cospirazione politica e truffa di Antonio Viezzer - cospirazione politica di Raffaele Giudice - cospirazione politica di Pietro Musumeci - cospirazione politica e falsificazione documenti di Antonio La Bruna - finanziamenti FIAT alla massoneria.

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ECONOMIA SELVAGGIA
by Democrazia proletaria Monday, Aug. 16, 2004 at 8:30 PM mail:

L’inchiesta ‘armi e droga’ condotta dal giudice Carlo Palermo che fornisce spunto all’articolo di Luigi Cipriani riportato di seguito, finì come noto travolta dalle assoluzioni generalizzate per tutti gli inquisiti, descritte in calce all’articolo con altre brevi notizie e indicazioni bibliografiche per chi non avesse seguito la vicenda sulla stampa.

Luigi Cipriani, Armi e droga nell'inchiesta del giudice Palermo, in Democrazia proletaria maggio 1985.

Il traffico di eroina pura e morfina base scoperto dal giudice Carlo Palermo agli inizi del 1980, proveniente dai luoghi di produzione in Turchia, arrivava in Italia passando dall'Austria o dalla Jugoslavia. La droga veniva rilavorata in Italia e distribuita in tutto l'Occidente dalla grande mafia siculo-statunitense. Molto spesso la droga veniva scambiata con armamenti, in connessione con servizi segreti, industrie belliche, finanzieri, partiti e governi.

I capi della mafia turca Abuzer Ugurlu e Bekir Celenk (entrambi padrini dell'attentatore del papa, Ali Agca) dirigevano i loro traffici dalla capitale bulgara Sofia. Entrambi, per poter agire in tranquillità, fungevano da informatori per i servizi segreti dell'est e dell'ovest, erano cioè agenti doppi. Ciò spiega anche le molte perplessità manifestate dalla Cia quando, in Italia, il giudice Martella si mise a seguire la pista bulgara in merito all'attentato al papa.

Al trasporto della 'merce' via terra provvedevano Karafa Mehmet Alì (con una dozzina di autotrasportatori jugoslavi, raggiungeva le piazze di Trento, Verona e Milano) e un dirigente della narcotici turca, su auto della polizia. Al trasporto via mare, che raggiungeva gli Usa, provvedeva l'armatore Mehemet Cantas con la società panamense Sutas. Del trasporto di eroina negli Usa via mare si occupava anche l'altro capomafia turco Cil Huseyn. L'armatore Mehemet Cantas, per gestire meglio i propri traffici, si era trasferito a Los Angeles, dove era in contatto con la mafia siciliana. Interrogato dal giudice Palermo, dichiarò di avere venduto navi sia a Bekir Celenk che al grande trafficante Henry Harsan.

In Germania agiva il trafficante d'armi turco Tegmen Herten, agente della Dea (agenzia antidroga Usa) residente a Monaco di Baviera: trattava ogni tipo di armamenti in stretto rapporto coi servizi tedeschi e la Nato. In Germania veniva anche riciclato il denaro sporco, Francesco Coll e Rodolfo Corti trasportavano la valuta da Bolzano verso la Dresdmer Bank di Monaco di Baviera, il cui direttore Kriske è stato arrestato. A Zurigo trafficava in armi, in collegamento con agenti dei servizi italiani, il finanziere Hans Kunz, che fu tra gli organizzatori dell'ultimo viaggio di Roberto Calvi.

Nell'area mediorientale, sotto la copertura della società svizzera Petrocom, trafficava il fratello del presidente siriano, Hassad Rifaat, assieme ad alcuni agenti dei servizi siriani. Trafficante di armi e di droga sull'asse Berlino-Varsavia era il turco-siriano Derki Badi, anch'egli legato al trafficante milanese Arsan.



L'Italia centro del traffico mondiale di armi e di droga.

Ma il vero centro del traffico di armi e di droga è risultato essere il nostro Paese. Le richieste di ogni tipo di armamenti, dalle pistole alle tecnologie nucleari, pervenivano da ogni parte del mondo, assieme a grandissime quantità di eroina e di cocaina. Le contrattazioni internazionali fra i trafficanti avvenivano in Bulgaria all'hotel Giapponese di Sofia e all'hotel Marmara di Monaco di Baviera. Quel che sorprende, infatti, è il numero delle società commerciali italiane che operano con la Bulgaria, ben 776 contro le 800 che operano con l'intera Urss.

La catena di trafficanti italiani scoperta dal giudice Palermo inizia appunto dalla frontiera est, da Bolzano. Nel giardino della villa di Herbert Hoberhofer, terrorista, 'eroe' sudtirolese, in realtà informatore del servizio segreto della nostra Guardia di finanza, sul finire del 1979, vennero ritrovati 130 chili di eroina. Centro del traffico a Bolzano era l'hotel Grifone. L'Hoberhofer venne arrestato insieme al giardiniere Meraner. Già da allora l'inchiesta di Palermo incontrò le prime, violente reazioni. La stampa locale e le associazioni sudtirolesi fecero pressioni fin quando l'Hoberhofer venne rimesso in libertà provvisoria dal tribunale di Trento. Successivamente riarrestato dal giudice Palermo, Hoberhofer è stato condannato a diciotto anni.

Nella provincia di Verona, responsabile del traffico era Giorgio Malon, anch'egli condannato a diciotto anni dal tribunale di Trento, presidente Antonino Crea. Il vero capozona del traffico di armi e di droga era però Karl Kofler di Trento. Il Kofler era collegato a Milano con i grandi trafficanti di armi e con la grande mafia che, tramite Angelo Marai e Leonardo Crimi, portava alla famiglia di Gerlando Alberti. Tramite Leonardo Crimi, legato alla mafia trapanese, Kofler si incontrava all'hotel des Palmes di Palermo con Gerlando Alberti. Va ricordato che all'hotel des Palmes venne portato Sindona dalle famiglie Gambino, Inzerillo e Spatola, all'epoca del famoso rapimento del finanziere della mafia, con lo scopo di fargli rivelare la lista dei cinquecento. A quei tempi, in particolare con Totò Inzerillo, si incontrava anche Francesco Pazienza, sempre al famoso hotel des Palmes.

Kofler era quindi un testimone importante, disposto a parlare molto e, puntualmente, venne eliminato. Siamo al secondo episodio di attacco all'inchiesta Palermo: il 7 marzo 1981, nel carcere di Trento, benché sottoposto a sorveglianza stretta, Karl Kolfer fu assassinato e mai venne scoperto l'assassino. Dal carcere di Trento riuscì a fuggire un altro testimone del traffico, l'industriale turco Nehiz Hasan, in realtà boss mafioso.



Tutte le vie portano a Milano.

Karl Kofler fece al giudice Palermo il nome di una società milanese, la Stibam che, caso strano, aveva sede in una palazzina di proprietà del Banco ambrosiano di Calvi e nella quale abitava anche il vicepresidente del Banco, Rosone. Perquisendo la sede della Stibam, Palermo trovò montagne di ordini, offerte, richieste di armamenti provenienti da tutto il mondo. Molte delle operazioni si avvalevano della 'consulenza' finanziaria dell'Ambrosiano. Socio maggioritario della Stibam era un siriano residente da molti anni in Italia e, forse non casualmente, a Varese, Henry Arsan. Altri soci erano Mario Cappiello, Giuseppe Alberti ed Edmondo Pagnoni. Il siriano-milanese Arsan si rivelò essere uno dei maggiori trafficanti d'armi del mondo in combutta, come vedremo, con agenti dei servizi segreti italiani.

A titolo di esempio, basti notare che in una ventina di trattative vennero smerciati 116 carri armati e 20 elicotteri per la Somalia, 238 carri armati per Taiwan, altri 10 elicotteri da combattimento antisom, missili Tow, aerei C-130, missili Arpoon e relativi lanciatori, tre fregate della classe Battista de Andrade, 100 carri Leopard, 50 elicotteri Elios, 30 carri Leopard Mk-2, 60 cannoni 155/175, 10.000 proiettili C16, 60 elicotteri Bell Ah-16 residuati dal Vietnam e destinati al Kuwait, 100 motori per carri R-16, 33 chili di plutonio e 1.000 chili di uranio.

Arsan era anche un grande trafficante di droga e disponeva di due navi, la Anika e la Golden sun, acquistate dalla società panamense Sutas dell'armatore e trafficante turco Mehemet Cantas. Nel solo 1981, Arsan fece arrivare a Milano 4.100 chili di eroina purissima, sufficiente per oltre 100.000 dosi che, distribuita sul mercato, fruttò circa 400 miliardi. Eppure, nel 1981, la Criminalpol conosceva benissimo Henry Arsan: era un agente della Dea, li aveva informati fin dal 1977 il responsabile dell'agenzia antidroga Tom Angioletti, sia pure con cinque anni di ritardo, da quando, nel 1972, era diventato loro informatore.

A Milano, la Stibam di Arsan è collegata ad alcune società di copertura di mafiosi turchi, come la Ital Orient di Mohamed Nabir e la Wapa, gestita da due turchi, Salah Al Din e Pannikian Onnik, che distribuiva eroina in Lombardia e in Calabria. Ma il collegamento più interessante, come vedremo, è quello fra il turco Salah Aldin Wacekas ed Angelo Marai, uomo di Gerlando Alberti, che ci condurrà alla grande mafia siciliana. Altra società che operava nel traffico d'armi a Milano era la Comin di via Canova i cui proprietari, Antonio De Mitri e il fratello, facevano la spola con la Bulgaria, smerciando carri armati e missili di fabbricazione occidentale. In Bulgaria, a trattare partite d'armi ben più consistenti, si recava anche, per conto di Arsan, un noto armiere della Valtrompia (Brescia), Renato Gamba.

Con Renato Gamba, entra in scena una vecchia società, quotata alla borsa di Firenze e Milano, la Broggi Izar, specializzata nella lavorazione di metalli preziosi. Con l'ingresso di nuovi proprietari, la Broggi Izar realizzò un consistente settore bellico, acquistando piccole industrie, tra le quali quella di Renato Gamba. Dall'interrogatorio del presidente della Broggi Izar, Cesco della Zorza, emerse che i capitali erano stati investiti dalla finanziaria Cepim, legata a Vittorio Emanuele di Savoia, iscritto alla P2 e noto trafficante di armi. Responsabile del settore armi della Broggi Izar era un americano, Reginald Allas, introdotto sia al Pentagono che al Cremlino. Entrambi i dirigenti della Izar furono fatti arrestare dal giudice Palermo: in sostanza, la Broggi Izar fungeva da paravento per il traffico illegale di armi, coperto da autorizzazioni ottenute per il commercio di armamento leggero. La società Broggi Izar appare anche nella attività di investimento di uno dei quattro 'cavalieri' di Catania, il Graci, assieme all'altro 'cavaliere', il Rendo, accusati di investire i denari della mafia.



Entrano in campo i servizi segreti.

Collegati al milanese Arsan, vi erano altri trafficanti internazionali di armi, legati ai servizi segreti: il giudice Palermo li fece arrestare e cominciò a ricevere telefonate minacciose. Essi erano:

-GLAUCO PARTEL: ex ufficiale di Marina, grande esperto in missilistica, direttore di un centro di ricerca privata di Roma. Il Partel era agente del Nsa (National security agency) statunitense; contemporaneamente, egli lavorava per il ministero della Difesa a Roma, come direttore del Centro studi trasporti missilistici. Lo stesso Partel, nella sua duplice funzione di trafficante d'armi planetario ed agente dei servizi, era in grado di fornire notizie interessanti sulla funzione degli eserciti, in particolare nei Pvs. Ad esempio, durante la guerra delle Falkland, per conto dei servizi segreti britannici e tramite la P2, contattò il maresciallo di vascello argentino Alfredo Corti, iscritto alla P2, per offrirgli dei missili Exocet che non furono mai trovati, facendo perdere tempo agli argentini.

-MASSIMO PUGLIESE: monarchico, massone P2, agente del Sifar e del Sid, andato in pensione, ma rimasto collegato al generale Santovito capo del Sismi, a sua volta massone P2. Uscito dal Sid, andò a fare il consulente per alcune ditte nazionali produttrici di armi. Pugliese gestiva il traffico internazionale di armi per mano di due società, la Horus e la Promec, in quanto monarchico era in rapporti stretti con Vittorio Emanuele di Savoia. Tramite l'attore Rossano Brazzi, massone a sua volta, Pugliese ebbe la possibilità di mandare messaggi al presidente Reagan, ad esempio per favorire le concessioni di crediti alla Somalia, necessari per l'acquisto di armi. Il Pugliese, assieme al bresciano Rolando Pelizza, fondò la società lussemburghese Transpresa per la vendita del 'raggio della morte'. Tramite i servizi italiani, il 'raggio della morte' venne proposto al governo italiano: il Pugliese si incontrò con Andreotti, Piccoli, Loris Fortuna. A quanto pare, i politici si convinsero di avere messo le mani sulla superarma, visto che interessarono il governo Usa, il quale organizzò un esperimento, del cui esito si sono perse le tracce. Il giudice Palermo sottopose a lunghi interrogatori i politici citati dal Pugliese, attirandosi altre maledizioni. Tra le carte di Massimo Pugliese, venne ritrovato un dettagliato dossier sulle attività del giudice Palermo. Fin dall'inizio, l'inchiesta era seguita con molta attenzione da parte dei servizi segreti. (cfr. peraltro la smentita dell’interessato nel seguito dell’articolo)

-ROSSANO BRAZZI: ex attore, amico personale di Reagan, massone, in contatto col mafioso Robert Vesco, voleva fondare su un'isola deserta la 'nuova Aragona', occasione di investimento del denaro frutto del traffico d'armi. Il Brazzi è anche indicato come personaggio legato alla Oto Melara.

-CARLO BERTONCINI: proprietario della Seric di Pomezia, specializzata in strumentazione elettronica per l'esercito, agente del Sismi dal 1970, quando venne scoperto che spediva materiale elettronico ai paesi dell'est.

-ENZO GIOVANNELLI: (ex partigiano nella brigata Osoppo Friuli, Ndr) fornitore della base Usa della Maddalena in Sardegna. Il Giovannelli apre la serie degli spedizionieri (operava a Olbia) legati al traffico di armi con la copertura del Sismi di Santovito. Un dossier della Guardia di finanza indicò il Giovannelli, con suo cognato Sebastiano Sanna, ex contrammiraglio, ed altri, implicati in un traffico d'armi favorito dalla Nato (comprendente 43 caccia F-101, 10 aerei scuola Tf-104 G, quattro fregate ed alcuni simulatori di volo) in combutta con Flavio Carboni e Francesco Pazienza.

-MAURIZIO BRUNI: massone P2, operava come spedizioniere a Livorno. Di lui si serviva il trafficante Arsan per spedire armi e droga in tutto il mondo. E' stato inquisito anche dal giudice fiorentino Pierluigi Vigna.

-ALESSANDRO DEL BENE: cassiere della P2 in Toscana, grande elettore del Psi, legato al ministro della Difesa Lagorio e spedizioniere anch'egli a Livorno. Tra l'altro, il Del Bene è stato coinvolto in un traffico di congegni di puntamento segreti della Nato che, prodotti dalle officine Galileo finivano, tramite Gelli, alla Romania.

-ANGELO DE FEO: agente Sid dell'ufficio Ris, competente per la concessione del benestare di fattibilità per la vendita di armi italiane. Interrogato dal giudice Palermo, ha affermato che tutto il traffico di armi è controllato dai servizi segreti. Ad esempio, ha affermato De Feo, i ricognitori Usa scoprirono 4 carri Leopard nel deserto libico: erano stati venduti dall'Italia, con autorizzazione del contrammiraglio Martini del Sismi. Il trasporto fu controllato dal colonnello D'Agostini del Sismi, iscritto alla P2. De Feo ha denunciato anche la vendita proibita di ingenti quantità di armi (anche navi) al Sudafrica, di 300 aerei Siai Marchetti e Aermacchi alla Libia e centinaia di missili venduti alla Mauritania, trasportati sul posto da un aereo della Cia decollato da Ciampino militare.

Sulla base di tutte queste deposizioni, il giudice Palermo chiese l'incriminazione del capo del Sismi generale Santovito, iscritto alla P2, a sua volta accusato dal giudice Sica insieme al colonnello Giovannone, agente del Sismi in Libano, iscritto alla P2 e cavaliere di Malta, per avere dichiarato il falso sulla scomparsa dei giornalisti Toni e Di Palo. I due giornalisti, recatisi in Libano per seguire le tracce di un traffico d'armi e droga, scomparvero nel nulla. Come abbiamo visto, la società Stibam di Milano e il suo proprietario Arsan erano al centro di un vastissimo traffico di armi e droga. Per questo motivo l'Arsan, molto opportunamente, morì nel carcere di san Vittore a Milano nel novembre 1983: per arresto cardiaco, questa fu la diagnosi.



C'era anche Gheddafi.

Il 29 gennaio 1985, su mandato del giudice Palermo, è stato arrestato Gabriel Tannouri, finanziere libico intimo di Gheddafi e di Nixon. Tannouri venne chiamato in causa per un contratto di fornitura di materiale fissile ed attrezzature per confezionare piccole bombe atomiche, messi in vendita da due sudamericani, Diego Arias e Helio Guerrero. Sembra una favola, ma il giudice Palermo sforna pacchi di documenti autentici: il contratto venne firmato a Ginevra da Tannouri e Mared Pharaon, fratello del saudita trafficante internazionale Gait Pharaon. Il Pharaon avrebbe dovuto fornire parte dei finanziamenti per un contratto che si prospettava da un miliardo e duecentomila dollari nel 1980.

In garanzia del finanziamento, 1l 23 dicembre 1980, a Lugano, di fronte al notaio Alida Andreoli, il Tannouri depositò ben 203.785 azioni da 4.000 lire e 203.478 azioni da 3.000 lire delle Assicurazioni generali. Una quota elevatissima che solo i maggiori azionisti come Mediobanca, Euralux, la Banca d'Italia, il servizio Italia della Bnl e la Comit erano in grado di esibire. Le azioni nel 1978 erano intestate alla società Claus Fin di Milano, sciolta nel 1984 e all'epoca del contratto vennero depositate dalla filiale svizzera della banca Lambert di Bruxelles. Dagli atti presso il notaio Andreoli di Lugano risultò che a depositare le azioni presso la banca Lambert furono gli italiani Achille Caproni e Flavio Briatore.

Ad un certo punto il Pharaon, che ha cominciato a versare accrediti per mezzo della banca Morgan di Ginevra, prelevandoli dal Credito svizzero di Ginevra e Parigi, chiede a Tannouri maggiori garanzie. Entrano in campo i trafficanti italiani, Capogrossi, lo spedizioniere Giovannelli e l'agente della Nsa Glauco Partel. Con Partel entra in campo anche la Cia tramite l'agente australiano Eugene Bartolomeus, coinvolto nel fallimento della banca della Cia, la Nugan hand bank, trafficante d'armi legato alla mafia Usa ed australiana. Di fronte alla possibilità che le bombe finissero ai libici o ai siriani, il trasportatore e agente del Sismi Giovannelli ebbe dei problemi di coscienza ed avvertì il console d'Israele a Milano.

La trattativa finì nel nulla, probabilmente si trattò di un colossale 'pacco' giocato dalla Cia alla Libia. Fatto sta che Tannouri risultò disporre proprio di un conto da 1.200.000 dollari presso la società Rexine Sa certificata dalla Deutsche bank. Molti telex rivelarono altresì contatti con altri clienti presso la Trade developement bank del Lussemburgo, spesso citata nel traffico d'armi internazionale. Molto probabilmente, giocato il 'pacco' alla Libia, la Cia dirottò il materiale fissile verso clienti più affidabili.



Da Milano alla Sicilia.

Come abbiamo visto, il duo dei trafficanti milanesi Arsan e Partel era collegato alla mafia turca tramite Salah Aldin Wacekas e a quella siciliana tramite Angelo Marai, entrambi operanti a Milano. A sua volta, Marai era collegato a Leonardo Crimi e alla grande mafia siciliana tramite Gerlando Alberti. Quest'ultimo lavorava l'eroina nei laboratori siciliani e la spediva negli Usa e ai marsigliesi incaricati di rifornire i mercati del Nordeuropa.

Assieme all'Alberti, il giudice Palermo rinviò a giudizio i mafiosi Matteo Bricola, Rosario d'Agostino e Nicolò Puccio. Gerlando Alberti porta alle grandi famiglie mafiose siculo-statunitensi dei Gambino, degli Inzerillo e degli Spatola, i padrini di Sindona. La filiale trapanese delle grandi famiglie palermitane è rappresentata dai clan di Minore, Evola, Bonanno, Magaddino, originari di Trapani. Trapani è stata definita la 'Svizzera della mafia' perché, pur avendo un'economia molto debole, in essa affluisce il 40% dei depositi bancari di tutta la Sicilia. A Trapani sono presenti sei banche di interesse regionale, 28 banche provinciali ed un centinaio di casse rurali. Inutile aggiungere che gli amministratori delle banche sono tutti uomini della Dc. I Bonanno, originari di Castellammare del Golfo (Trapani) da molti anni si sono trasferiti negli Usa, entrando a fare parte delle grandi famiglie mafiose.

Il giudice Ciaccio Montalto, prima di essere ucciso dalla mafia, aveva scoperto un colossale traffico di droga e di armi che, partendo da Trapani, raggiungeva il Nordafrica e gli Usa. Fiduciari del traffico per conto dei Bonanno erano i fratelli Di Chiara, originari di Castellammare del Golfo: Lorenzo operava negli Usa e Antonio in Sicilia, a Mazara del Vallo. I fratelli Di Chiara erano collegati al clan dei Minore di Trapani: ancora una volta, il cerchio delle inchieste dei giudici Palermo e Montalto si chiude intorno ai medesimi personaggi.

Gli stessi nomi si riscontrano in attività di riciclaggio del denaro sporco: Leonardo Crimi, trafficante di armi e droga in società con il clan dei Minore e con i cavalieri del lavoro catanesi Rendo e Costanzo, eseguirono lavori nel Belice terremotato e nel trapanese. Cominciarono ad emergere anche nomi di insospettabili. Il giudice Palermo, indagando su un grosso traffico d'armi in partenza per l'Africa, si imbattè nella società Coprofin, controllata dal Psi e gestita dal finanziere Ferdinando Mach di Palmenstein, la quale stava trattando la vendita illegale di aerei da combattimento al Mozambico. Nello stesso tempo, dal porto di Livorno era in partenza una nave ufficialmente carica di liofilizzati destinati al Mozambico. Ad organizzare la spedizione era la medesima società di Ferdinando Mach, mentre i liofilizzati erano di proprietà di una ditta del cav.Mario Rendo di Catania. Fatto strano, ma è successo che appena il giudice Palermo ha cominciato a indagare sulle attività del finanziere del Psi Ferdinando Mach, il trasporto degli innocui liofilizzati per il Mozambico è stato annullato. Il nome di Mario Rendo è comparso anche nella truffa dei petroli come uno dei padrini del comandante della Guardia di finanza, il generale Raffaele Giudice (P2) e nel traffico di armi e petrolio con la Libia, emerso dal fascicolo segreto del Sid, il famoso Mi.Fo.Biali.



C'erano anche Pazienza e Carboni.

Francesco Pazienza iniziò il suo viaggio nei servizi segreti occidentali a partire dallo Sdece francese, passò alla Nato e al Dipartimento di Stato Usa quando il suo capo, Alexander Haig, divenne segretario di Stato di Reagan, per arrivare al Sismi del generale Santovito (P2).

Fin dal 1978, il Pazienza trafficava in armi con la copertura dei servizi segreti, avvalendosi di una società lussemburghese, la Se.Debra, assieme a Nico Schaffer, ex amministraore della Fasco di Sindona e al grande trafficante arabo Kashoggi. Un rapporto del Sisde segnalò un incontro all'hotel de Paris di Montecarlo tra Francesco Pazienza e il trafficante d'armi Trapolus, il mafioso Francesco Gallo, l'ex magistrato genovese Giorgio Righetti e Licio Gelli. In qualità di amministratore dei beni della famiglia dell'ex scià di Persia, Pazienza era introdotto nelle grandi banche Usa che riciclano il denaro della mafia.

Pazienza era amico di Totò Inzerillo, ucciso nel 1981, ed era in contatto con le grandi famiglie della mafia Usa: i Gambino, gli Inzerillo, gli Spatola, i Bonanno ecc. Quando costoro, nel 1979, organizzarono il finto rapimento di Sindona, il Pazienza fece numerosissimi viaggi in aereo verso Palermo e Catania, utilizzando i mezzi messi a disposizione dalla Cai del Sismi e quelli dell'Ata del mafioso milanese Carmelo Gaeta. Il super-agente si incontrava con Totò Inzerillo, probabilmente per conoscere a che punto erano le trattative per la famosa lista dei cinquecento. Sui medesimi aerei viaggiava un altro personaggio molto noto a Pazienza, don Masino Buscetta.

Pazienza era legato al malavitoso romano Domenico Balducci, ucciso il 16 ottobre 1981, terminale della mafia palermitano-calabrese nella capitale, legato al cassiere della mafia Pippò Calò, arrestato recentemente. Pippo Calò investiva il denaro della mafia per mezzo del costruttore romano Danilo Sbarra in Sardegna, nelle numerose società immobiliari facenti capo alla Sofint di Flavio Carboni, legato quest'ultimo alla Dc (Roich, De Mita) e all'Opus dei, socio dell'editore dell'Espresso, organizzatore con Pazienza dell'ultimo viaggio di Roberto Calvi. Carboni era collegato al trasportatore e trafficante d'armi di Olbia, Enzo Giovannelli, che a sua volta riconduce ai grandi trafficanti Glauco Partel ed Henry Arsan di Milano.



I quattro dell'apocalisse in Sudamerica.

I quattro dell'apocalisse -Gelli, Ortolani, Marcinkus, Calvi- si affacciarono per far affari nel continente sudamericano quando questo era in preda ad una crisi disastrosa, con tassi di inflazione del 200%. Ma gli affari che essi trattavano non conoscono crisi, attraverso la P2 erano in contatto con i dittatori militari e civili del continente, notoriamente anche grandi trafficanti di armi e droga.

Obiettivo dei quattro non era solo quello di fare affari, ma di sostenere regimi autoritari ferocemente antimarxisti sui quali puntano sia il presidente degli Usa che il Vaticano, impegnato in una 'nobile' battaglia contro la teologia della liberazione. Il 1 gennaio 1980, a Buenos Aires in Argentina, Roberto Calvi inaugurò la nuova sede del Banco ambrosiano de America del Sud. Nel medesimo palazzo verranno installati gli uffici del generale Massera (P2) e di Videla. Gelli e Ortolani, attraverso i loro rapporti coi gerarchi fascisti fuggiti in Argentina, erano da molti anni in rapporti di amicizia con Peron e con il capo degli squadroni della morte, Lopez Rega; lo stesso Gelli era incaricato d'affari argentino in Italia.

Il generale Massera era un grande trafficante d'armi ed era in contatto con l'ammiraglio Torrisi (P2) in Italia. Grazie alla mediazione di Massera, buona parte dei 6.000 miliardi di armamenti spesi dal generale Videla, dal 1976 in avanti, sono affluiti alle industrie italiane. Ortolani aveva preceduto Calvi in Sudamerica con il proprio Banco financiero di Montevideo in Uruguay, divenuto insufficiente alla bisogna: si rendeva necessaria la rapida espansione dell'Ambrosiano, con le garanzie dello Ior del Vaticano. La prima banca ad installarsi fu la Cisalpina Overseas bank delle Bahamas, trasformata in Banco ambrosiano Overseas, seguita dalla Ultrafin di New York, Il Banco ambrosiano andino a Lima in Perù, l'Ambrosiano representacao y servicios in Brasile, l'Ambrosiano group banco commercial di Managua in Nicaragua, l'Ambrosiano group promotion a Panama. In Cile, l'Ambrosiano partecipava al più grande gruppo finanziario sostenitore di Pinochet, il Banco hypotecario, detto 'Piranas' dagli esuli cileni.

Il Banco ambrosiano ha finanziato, nel 1976, la vendita di 6 fregate da parte del Cnr della Fincantieri alla Marina del Venezuela, di corvette all'Equador, di 4 fregate Lupo al Perù nonché di numerosi elicotteri Agusta, mentre i piduisti installati all'Ufficio italiano cambi e alla Sace concedevano autorizzazioni e crediti. In Guatemala, l'Ambrosiano finanziò il governo di destra del generale Vernon, ex agente Cia, legato al Dipartimento esteri Usa di Alexander Haig, attraverso la società Brisa, fondata per lo sfruttamento delle risorse minerarie del Paese. Nel 1978 il dittatore del Nicaragua, Somoza, era in forte crisi sotto la pressione della rivoluzione sandinista. A partire da quella data il Banco ambrosiano, per mezzo della propria filiale di Managua, trasferì centinaia di milioni di dollari nel Paese.

Da un'altra banca del Sudamerica dell'Ambrosiano, il Banco andino di Lima, sono passate molte delle operazioni di traffico d'armi e di petrolio con Cile, Nicaragua, Argentina, Brasile, Nigeria ed i traffici con la Tradeinvest dell'Eni, fino al finanziamento di 21 milioni di dollari concesso al Psi. Esaminando i conti dell'Andino, alla fine del 1981, gli ispettori della Banca d'Italia scoprirono un 'buco' da 1.000 miliardi, inizio della fine di Calvi. Nel medesimo periodo, anche il gruppo Rizzoli ebbe una grande espansione editoriale in Sudamerica, mentre il Corriere della Sera in Italia pubblicava le interviste di Roberto Gervaso (P2) a Videla e Somoza e censurava gli articoli sui desparecidos del corrispondente dall'Argentina. Giova solo ricordare che, proprio in questi giorni, il duo Massera-Videla viene processato in Argentina, accusato di aver organizzato centri di tortura in tutto il Paese e di aver assassinato trentamila oppositori, bambini compresi.



Il caso Psi-Argentina.

Durante la perquisizione degli uffici di uno dei trafficanti d'armi, tale Michele Jasparro, arrestato il 16 giugno 1983, titolare di una fabbrica di giubbotti antiproiettile legato all'Agusta, il giudice Palermo venne in possesso di una lettera proveniente dall'Argentina. A scriverla era Gaio Gradenigo, amministratore della Comte srl di Buenos Aires. Il Gradenigo informava Jasparro che "Bettino Craxi è furibondo per il fallimento delle trattative per la costruzione della metropolitana di Buenos Aires" e parlava dell'interesse del Psi per la costruzione della fabbrica di elicotteri che l'Agusta avrebbe dovuto realizzare in Argentina, dopo la sconfitta nella guerra delle Falkland.

Sull'interesse del Psi nelle due operazioni esistono riscontri obiettivi: la metropolitana milanese (il cui presidente Natali, padrino del giovane Craxi nel Psi, è attualmente in carcere per tangenti) realizzò lo studio di progetti per il metrò di Buenos Aires. Per la realizzazione del metrò erano in gara la Fiat, l'Ansaldo e la Breda, ma il generale Gualtieri preferì destinare i fondi al potenziamento degli armamenti e alle autostrade, facendo arrabbiare Craxi. Per quanto riguarda la fabbrica di elicotteri Agusta, che fa capo all'Efim, presidente Fiaccavento di area Psdi, nel 1983 subì l'offensiva del ministro delle Pp.Ss. De Michelis. Il Psi nell'Agusta aveva già un'importante pedina, l'amministratore delegato Raffaele Teti, ma De Michelis propose di portare l'Agusta sotto il controllo dell'Iri, liquidando la quota rimasta al vecchio proprietario, il conte Agusta, scaricando contemporaneamente i debiti della società sull'Iri. Per l'acquisizione della quota del conte Agusta (20%), il Psi aveva già un'acquirente di fiducia, tale Pietro Fascione, al prezzo di 80 miliardi. In poche parole il Psi, per via pubblica e privata, puntò al controllo totale dell'Agusta, proprio nel periodo in cui si prospettava la costruzione della società di elicotteri in Argentina.

Ma vi è di più. Durante la guerra delle Falkland una delegazione di maggiorenti argentini, guidata dal segretario del partito socialista argentino, Pasquale Ammirati, si incontrò con Craxi per ottenere la revoca dell'embargo posto dal presidente del Consiglio Spadolini e dal ministro degli Esteri Colombo. Cosa che puntualmente avvenne, con il sostegno di Psi e Pci. Della delegazione che incontrò Craxi facevano parte anche i fratelli Macrì, i maggiori industriali argentini, rappresentanti degli interessi della Fiat. I Macrì sono due fratelli, Antonio e Franco, sono accusati di aver messo sul tappeto la questione della fabbrica di elicotteri e di traffico illegale di armi. I Macrì controllano con la loro holding oltre 50 imprese, hanno acquisito il controllo della filiale Fiat argentina in forte perdita. Durante il periodo delle dittature militari hanno costruito strade ed autostrade, hanno l'appalto per la pulizia di Buenos Aires e rappresentano la Techint (Fiat).

I Macrì erano strettamente legati ai militari P2 dell'Argentina, Massera e Mason, e sono imparentati con uno dei dirigenti del peronismo, Carlos Grosso. Un documento dei servizi segreti inglesi accusò i fratelli Macrì di aver cercato in Italia l'appoggio per l'acquisto di missili Exocet, formalmente destinati al Perù, durante il periodo dell'embargo posto dalla Francia. La delegazione argentina, prima di incontrare Craxi, fece tappa a Zurigo, dove operava il trafficante Hans Kunz, in contatto con Roberto Calvi durante il suo ultimo viaggio nel giugno 1982. Nello stesso frangente le banche argentine, tra le quali l'Ambrosiano, trasferirono grossi capitali nelle loro filiali svizzere. Il governo argentino era disposto a pagare per un missile più di 2 milioni di dollari, contro i 700.000 dollari normalmente richiesti sul mercato ufficiale.

Il periodo della trattativa sugli Exocet coincise con il viaggio di Calvi il quale, prima di approdare a Zurigo, venne portato da Pazienza a Carboni in Austria, a Klagenfurt, dove operava il trafficante d'armi Sergio Vatta, inquisito dal giudice Palermo. Il Vatta era in contatto con il trafficante e agente del Nsa Glauco Partel, il quale da un lato attirò gli argentini in una trattativa fasulla (per gli Exocet) e contemporaneamente informò i servizi segreti inglesi. Molto probabilmente, una delle cause della morte di Roberto Calvi sta nel ruolo svolto dall'Ambrosiano e dalla P2 in appoggio all'Argentina durante la guerra delle Falkland. Dobbiamo ricordare che i servizi segreti britannici sono strettamente legati alla massoneria inglese della quale Calvi, molto probabilmente, faceva parte, perché esistono fotografie che lo ritraggono a fianco della regina Elisabetta, notoriamente gran patronesse della massoneria. Del resto, il ritrovamento nelle tasche della giacca e sui genitali del cadavere di Calvi di alcuni mattoni (oltre al nome del ponte Frati neri) nel simbolismo massonico starebbe a indicare tradimento.

Tornando al caso Argentina-Psi, sulla base degli elementi emersi, il pubblico ministero di Trento, Enrico Cavaliere, avrebbe voluto emettere subito mandati di comparizione e convocare Bettino Craxi come testimone. Il giudice istruttore Palermo lo convinse a pazientare, chiedendo di poter approfondire le indagini e interrogando l'ex addetto stampa di Craxi, il piduista Vanni Nisticò, ed un personaggio introdotto nell'industria bellica, Giancarlo Elia Valori. Elia Valori, amico personale di Peron, contendeva a Gelli il controllo della P2 in Argentina e per questo ne fu espulso. In Italia Elia Valori è legato agli ambienti della Dc nelle Pp.Ss., è stato vicepresidente della Italstrade, attualmente forlaniano legato al cardinale Palazzini dell'Opus dei e agli ambienti golpisti della Fiat (Chiusano e Scassellati).

Dopo essere stato ad indagare in Argentina, il giudice Palermo tornò in Italia con un nome: Ferdinando Mach di Palmenstein, amministratore di alcune società facenti capo al Psi, già comparso nel caso Eni-Petromin. Le società sono: la Sofinim, al 99% del Psi, fondata nel 1976 da Nerio Nesi, presidente della Bnl; Vincenzo Balsamo e Rino Formica, tutti del Psi; la Coprofin, con sedi a Bucarest e Maputo in Mozambico; la Promit, con sede a Roma. Il Mach è anche presidente di una società di Firenze, la Promec, specializzata nella acquisizione di appalti e forniture pubbliche. Ferdinando Mach, nelle sue molteplici attività e traffici, era in stretto rapporto con Francesco Pazienza (esistono numerose registrazioni telefoniche) e fu per suo tramite che Pazienza si incontrò più volte con Bettino Craxi, con Michael Leeden, spione e provocatore della Cia, organizzatore con lo stesso Pazienza, assieme ai servizi libici, del Billygate che assestò un duro colpo al presidente Carter, favorendo l'elezione di Reagan nel 1981.

Il caso Psi-Somalia.

I rapporti del Psi con la Somalia di Siad Barre sono molto stretti; lo stesso cognato di Craxi, Pillitteri, è console onorario di Somalia a Milano. Famoso, nei rapporti Psi-Somalia, è stato il caso del piano regolatore di Mogadiscio.

Nel 1975, l'ingegner Luciano Ravaglia, con il patrocinio della regione Lombardia, iniziò a interessarsi del piano regolatore di Mogadiscio. Nel 1978, il Ravaglia si incontrò con Siad Barre ed ottenne l'avvallo alla prosecuzione dello studio. Il 5 agosto 1981, il progetto Ravaglia venne inserito negli accordi firmati a Mogadiscio dal ministro degli Esteri, Colombo, entrando così nella fase operativa. Improvvisamente, l'11 novembre 1981, il sottosegretario agli Esteri Roberto Palleschi del Psi avocò a sé con effetto immediato il carteggio del piano, che venne sospeso. Nel marzo 1982, il progettista Ravaglia ricevette una comunicazione dal sottosegretario Palleschi, nella quale si affermava che "d'accordo col ministro somalo Habib, il piano regolatore di Mogadiscio è stato affidato all'architetto Portoghesi" del Psi. Ma le attività di mediazione nel territorio africano da parte delle società facenti capo al Psi sono numerosissime: oltre al piano regolatore, esse hanno trattato la costruzione di dighe, impianti siderurgici, allevamenti di bestiame, impianti per surgelati ecc. Tutto ciò sempre in rapporto con le industrie pubbliche, le banche dell'Iri e col ministro degli Esteri.

Ferdinando Mach si interessò anche della vendita di aerei da guerra e da trasporto G-222 al Mozambico, riuscendo strumentalmente a fare sì che il presidente Pertini si incontrasse con la delegazione degli acquirenti. Il Mach è accusato di avere venduto aerei G-222 alla Nigeria, un affare da 170 miliardi per il quale ottenne una tangente del 20%. Allo scopo di agevolare i propri traffici, lo stesso Mach scrisse al Psi per ottenere che all'Ufficio italiano cambi venisse nominato un uomo fidato, carica che venne ricoperta da uomini della P2.

L'occasione dell'affare più ghiotto venne offerta, come sempre, dalla Somalia che aveva ottenuto un finanziamento Usa per l'acquisto di 116 carri H18-A5 e 20 elicotteri Cobra HgS con 1.000 missili Tow per un totale di 600 miliardi nel 1982. Non potendo esporsi direttamente, gli Usa attivarono il canale della Cia e del Sismi, vale a dire Santovito, Pugliese e Partel. Il 17 ottobre 1982 avrebbe dovuto essere firmato il contratto a Mogadiscio, contemporaneamente nella città era presente una delegazione del Psi, guidata da Pillitteri e comprendente Ferdinando Mach. Occasionalmente, nello stesso giorno, era in visita in Somalia il ministro della Difesa, il Psi Lagorio.

Sfortunatamente, tutto andò in fumo perché il giudice Palermo, con mandato di cattura, aveva provveduto ad arrestare i trafficanti Partel e Pugliese. A questo punto, il giudice decise di rompere gli indugi, accusando Ferdinando Mach di associazione per delinquere al fine di traffico di armi e, contemporaneamente, il segretario del Psi di violazione dell'art.7 della legge sul finanziamento pubblico dei partiti. Nel mandato di perquisizione a carico della società Sofinim, Palermo commise però l'errore di citare i nomi di Craxi e Pillitteri senza avere ottenuto l'autorizzazione a procedere dal Parlamento e dalla Commissione inquirente.

Avvertito tempestivamente, Bettino Craxi scrisse su carta intestata il famoso telex al Procuratore capo Tamburrino, il quale bloccò la perquisizione (che non verrà mai più effettuata) e diede inizio al provvedimento disciplinare nei confronti di Carlo Palermo.



Intimidazioni, suicidi, fughe, provocazioni, errori, avocazioni e repressione.

Sin dall'inizio della sua inchiesta, il giudice Palermo ricevette intimidazioni e minacce, sicché gli dovettero raddoppiare la scorta. Altri fatti intervennero per disinnescare la portata dell'inchiesta internazionale su armi e droga. Karl Kofler, uno dei testimoni chiave, benché in carcere isolato, venne trovato 'suicidato': gli avevano infilato uno spillone nel cuore e tagliato la gola. Altri imputati, testi, riuscirono misteriosamente ad evadere dal carcere mentre il principale imputato, l'agente della Dea Henry Arsan, morì per arresto cardiaco nel carcere di san Vittore. Vi è poi il caso degli avvocati Roberto Ruggiero e Bonifacio Giudiceandrea, figlio del Procuratore della repubblica di Bolzano, entrambi difensori del trafficante Giovannelli di Olbia. L'avvocato Ruggiero che, da intercettazioni telefoniche, risulta essere conoscente di Bettino Craxi, è stato accusato da Palermo di traffico d'armi e indicato come collaboratore del libico Tannouri, al pari del commercialista Arnaldo Capogrossi, legato a sua volta al trasportatore Giovannelli.

Nel giugno del 1983, durante un interrogatorio da parte di Palermo del Giovannelli, l'avvocato di questi, Ruggiero, interruppe continuamente il giudice, il quale commise l'errore di perdere le staffe, accusando l'avvocato di condurre in modo disonesto la professione. L'avvocato Ruggiero fece verbalizzare il tutto e lo trasmise al Procuratore generale della Cassazione Tamburrino. Due mesi più tardi, i carabinieri fecero avere al giudice Palermo il testo dell'intercettazione di una telefonata tra gli avvocati Ruggiero e Giudiceandrea, dalla quale erano ravvisabili i reati di favoreggiamento e divulgazione di segreti d'ufficio. Il giudice Palermo fece arrestare i due avvocati, scatenando la reazione dei colleghi romani che scesero in sciopero. Stranamente e solo dopo gli arresti, i carabinieri si accorsero di aver commesso un errore nella trascrizione della registrazione, nel senso che, laddove l'avvocato Giudiceandrea affermava "ho preso il fascicolo", si doveva intendere "ho appreso dal fascicolo".

Un errore molto opportuno. Il giudice Palermo venne sommerso da un'ondata di critiche, screditandosi il valore di tutta l'inchiesta su armi e droga. Il 1 maggio 1983, il giudice istruttore di Trento prosciolse Ruggiero e Giudiceandrea dai reati di favoreggiamento e corruzione e il 24 ottobre il pretore Vettorasio dichiarò non doversi procedere contro i due per rivelazione di segreti d'ufficio. Il 15 novembre l'avvocato Giudiceandrea inviò un esposto al Tribunale di Trento contro Palermo per "avere effettuato intercettazioni non autorizzate e per non aver informato il Pm e il Procuratore generale sui cambiamenti avvenuti nell'inchiesta". Il 13 gennaio 1984, sulla base della denuncia di Giudiceandrea, il giudice Palermo venne indiziato di interesse privato dal Procuratore della repubblica di Venezia. Di fronte a tanti attacchi, i magistrati di Trento scesero in campo rendendo pubblico un documento di solidarietà nei confronti di Palermo. Gli avvocati di Gerlando Alberti, sfruttando la situazione, chiesero la ricusazione del tribunale di Trento, che venne accordata.

In questo modo, tutto il filone mafia dell'inchiesta Palermo venne stralciata e trasferita al tribunale di Brescia, dove tuttora giace dal 17 giugno 1984. Un altro imputato, la spia della Guardia di finanza Oberhofer, chiese ed ottenne la ricusazione del tribunale di Trento dal Procuratore generale Capriotti che già l'aveva negata nel 1981. Dopo il Procuratore generale Tamburrino, scese in campo anche il ministro Martinazzoli, il quale avviò un'inchiesta disciplinare nei confronti dei giudici trentini, investendo anche il Csm.

Da quando, con la sua inchiesta, il giudice Palermo aveva chiamato in causa i massimi livelli politici del Psi, gli sono piovuti addosso attacchi di ogni genere e il suo lavoro venne smembrato in mille rivoli. Nel giugno 1984, Palermo chiese di lasciare l'inchiesta armi e droga. In suo appoggio intervenne il presidente del Tribunale di Trento, Rocco La Torre. Il presidente del Tribunale dichiarò: "Ci sono state velenose e virulente reazioni determinate dal processo a causa dei sudici, sotterranei, colossali interessi colpiti. Contro la persona di Palermo ci sono stati molesti, incessanti e frustranti attacchi". Lo stesso Palermo denunciò che, da quando aveva imboccato la pista politica, erano stati riesumati provvedimenti già dati per archiviati. Nel giugno 1984, di fronte al magistrato di Venezia che lo interrogava, Palermo affermò: "Non pare fuori luogo notare fin d'ora che le più pesanti accuse mosse nei miei confronti da parte di avvocati, imputati e politici sono seguite al sequestro di documenti operato il 16 giugno 1983, in cui compariva, per la prima volta, il nome dell'onorevole Craxi in relazione al commercio illecito di armi con l'Argentina e sono proseguite con maggiore spinta, dando luogo a procedimento penale e disciplinare nei miei confronti allorché, il 10 dicembre 1983, sequestrai la documentazione da me trasmessa alla Commissione inquirente".

Nel luglio 1984, il giudice Palermo inviò una memoria difensiva al Procuratore della Repubblica di Venezia dottor Naso, affermando: "Successivamente all'intervento del Procuratore generale Tamburrino (su sollecitazione di Craxi) il dottor Naso ha emesso comunicazione giudiziaria nei confronti del sottoscritto, dopo che egli stesso aveva chiesto l'archiviazione delle denunce degli avvocati Ruggiero e Giudiceandrea perché ritenute infondate. Lo stesso dottor Naso mi riferì che anche la Procura generale di Milano aveva chiesto l'archiviazione dell'esposto presentato dall'avvocato Ruggiero perché infondato".

Nonostante tutto ciò, nell'agosto del 1984, dopo che Palermo ebbe inviato alla Commissione P2 e all'Inquirente gli incartamenti sul coinvolgimento dei politici nell'inchiesta armi e droga, la Corte d'appello di Trento decise di accogliere la richiesta dell'avvocato Ruggiero, togliendo l'inchiesta al giudice Palermo.

Recentemente, la Commissione parlamentare inquirente ha scagionato Bettino Craxi e il cognato Pillitteri. Ancora una volta, la rete protettiva attorno a Bettino Craxi ha funzionato; rimangono aperte le inchieste nei confronti delle finanziarie del Psi e di Ferdinando Mach, l'accusa di traffico d'armi nei confronti dell'avvocato Ruggiero ed il procedimento penale nei confronti del giudice Palermo.



Da Trento a Trapani.

Isolato, sottoposto a provvedimento disciplinare, espropriato dell'inchiesta armi e droga, il giudice Palermo chiese 'spontaneamente' di essere trasferito da Trento alla Procura di Trapani. La città dalle mille banche non ha un palazzo di giustizia funzionante, quello vecchio è cadente, quello nuovo è in costruzione dal 1958 e la Dc domina la città. Carlo Palermo è andato a prendere il posto di Ciaccio Montalto, il Procuratore assassinato dalla mafia perché stava seguendo la pista del traffico di droga internazionale.

Anche Ciaccio Montalto, sentendosi completamente isolato a Trapani e a Roma, chiese di lasciare la Sicilia per trasferirsi a Firenze, da dove avrebbe voluto proseguire le indagini, seguendo una pista che collegava la famiglia Minore con uno dei cavalieri del lavoro, Carmelo Costanzo. Prima di andarsene, nel dicembre 1982, da una serie di intercettazioni telefoniche trovò le prove che un Procuratore della repubblica, Enzo Costa (attualmente in arresto) era un uomo della mafia, legato ai Minore. Un mese dopo, il 25 gennaio 1983, alcuni killer venuti dagli Usa, assieme ai trapanesi, assassinarono il giudice Montalto. In passato, Ciaccio Montalto si era scontrato coi politici locali, mettendo sotto accusa gli ex parlamentari dc Diego Playa, consigliere provinciale, Giuseppe Magaddino e il repubblicano Francesco Grimaldi. I fratelli Minore, accusati di essere i mandanti dell'assassinio di Montalto, opportunamente avvertiti, sono riusciti a fuggire e sono tuttora latitanti, dopo che furono assolti grazie all'intervento del Procuratore Enzo Costa.

L'indagine innescata dal giudice assassinato era però destinata ad avere un seguito. Le bobine delle intercettazioni telefoniche da lui ordinate (ben 26) furono fatte sparire dal commissario Collura. Le ritrovò, parecchio tempo dopo, il Procuratore capo di Caltanissetta, Patanè, che le consegnò a quello di Trapani, Lumia. Quest'ultimo, in procinto di essere trasferito per procedimento disciplinare dal Csm a causa dei suoi rapporti con il Procuratore Costa, probabilmente per rivalsa nei confronti dei politici, diede incarico al nuovo arrivato, Carlo Palermo, di occuparsi appunto delle intercettazioni telefoniche. Le conseguenze furono immediate: Carlo Palermo fece incarcerare Calogero Favata, un finanziere della mafia, Salvatore Bulgarella, presidente dei giovani industriali siciliani e legato al clan dei Minore. In galera finiscono anche un funzionario dell'Agip, Jano Cappelletto, ed un armatore di Messina, Antonio Micali, accusati di voler acquisire con tangenti l'esclusiva per i collegamenti con la piattaforma dell'ente petrolifero. Colpiti i personaggi minori, Carlo Palermo si trovò nuovamente sulla pista dei politici.

Infatti, su Panorama del 15 aprile 1985, sono stati indicati i nomi di costoro, menzionati nelle intercettazioni che il giudice Patanè ha provveduto ad inviare alla Procura generale di Palermo. Essi sono: Francesco Camino, dc; Aldo Baffi, dc; Domenico Cangelosi, dc; Calogero Mannino, dc; Guido Bodrato, dc; Aristide Gunnella, Pri; Gianni De Michelis, Psi; Vincenzo Costa, Psdi. Le registrazioni avevano dormito per lungo tempo, con l'arrivo di Palermo si sono messe in moto le inchieste, anche quelle della Guardia di finanza sui fondi neri e le false fatturazioni dei cavalieri Rendo, Costanzo, Graci, industriali da tempo in odore di mafia, che nessuno aveva mai osato inquisire.

Il Procuratore capo Lumia, in procinto di andarsene, avocò a sé l'inchiesta riguardante i cavalieri del lavoro che Palermo chiedeva di arrestare. Alcuni giorni dopo, il 2 aprile 1985, è avvenuto l'attentato contro Carlo Palermo. Il seguito lo conosciamo, sono partiti i mandati di cattura contro Rendo, Costanzo, Graci. Puntualmente, sono arrivati dal Palazzo gli inviti a Carlo Palermo perché desista, arrivano anche le reazioni indignate della Confindustria e dei Cdf delle industrie di proprietà degli arrestati, preoccupati per l'economia dell'isola e per il posto di lavoro.

Mentre il Tribunale di Venezia conferma l'istruttoria di Palermo contro 33 mafiosi italiani e turchi, rincarando la dose delle accuse ed emettendo nuovi mandati di cattura, e proprio in questi giorni viene scoperta un'importante raffineria di morfina base a Castellammare del Golfo (Trapani), gli avvocati dei pezzi da novanta, profittando del discredito buttato sul giudice, tentano di far saltare il processo. Dopo aver subito l'attentato, Palermo ha dovuto denunciare ancora una volta l'isolamento nel quale lo Stato lo lascia, riducendogli addirittura la scorta ed ha aggiunto che la mafia e i servizi segreti "hanno formato un potere parallelo pericolosissimo" per le stesse istituzioni.

Fatto gravissimo, Bettino Craxi, spalleggiato dal ministro degli Interni Scalfaro, è nuovamente sceso in campo contro il neo sostituto Procuratore di Trapani, esprimendo preoccupazione per i mandati di cattura emessi da Palermo (contro i Rendo, Graci, Costanzo, Parasiliti) durante il suo discorso di fronte all'Assemblea regionale siciliana, il 30 aprile scorso (1985 ndr). Il gioco del segretario del Psi e presidente del Consiglio si fa sempre più scoperto e pesante, segno di nervosismo e difficoltà. Lasceremo anche noi solo il giudice Carlo Palermo?



Il seguito (nota a cura di m.m.c.)

L’assoluzione degli inquisiti in sede giudiziaria avvenne in passaggi successivi. In primo grado, il Tribunale di Venezia, cui fu assegnata la cognizione della causa dalla corte di Cassazione, dopo 30 udienze e 10 ore di camera di consiglio, mandò assolti 22 imputati, condannandone altri 9 : Glauco Partel, a 7 anni e 8 mesi più la interdizione dai pubblici uffici per associazione a delinquere e violazioni della legge sulle armi del 1967; con le stesse accuse Carlo Bertoncini a 6 anni, Ivan Galileos a 5 anni e 4 mesi, Renato Gamba a 5 anni e 8 mesi; a pene più lievi sotto il profilo delle sole violazioni di legge, lo spedizioniere Vincenzo Giovannelli a 3 anni, a 2 anni e 8 mesi ciascuno Vincenzo Corteggiani, il colonnello Massimo Pugliese, il turco – tedesco Ertem Tegmen e il siriano Nabil Moahamed Al Maradni (sentenza del 1 febbraio 1988, presidente Giuseppe La Guardia, p.m. Nelson Salvarani). Contro la sentenza di primo grado si appellarono i 9 condannati e la Corte d’appello di Venezia assolse anche loro con la motivazione della insussistenza, per i primi 4, della associazione a delinquere e, per tutti, che ‘il fatto non costituisce reato’ in merito alle violazioni della legge sulle armi ritenute in primo grado. La Corte accolse le tesi avanzate dallo stesso rappresentante dell’accusa, Ennio Fortuna, secondo cui la intermediazione destinata allo smercio di armi non è prevista come reato dalla legge italiana se concerne gli stati esteri, senza transito in Italia, né abbisogna in questo caso di autorizzazioni; alle tesi del p.m. si rimisero i difensori, rinunciando alle arringhe in aula (sentenza del 12 aprile 1989, presidente Giuseppe Di Leo).

Mentre era in corso il processo a Venezia e nei giorni della sentenza, la stampa pur riferendone dava maggior risalto ad altri fatti, quali gli attacchi di Martelli a Leoluca Orlando che si apprestava ad aprire le porte di ‘Palazzo delle Aquile’ al Pci, e l’esito del terzo processo contro ‘Cosa nostra’ a Palermo, che il 15 aprile 1989 mandò assolti i componenti della cosiddetta ‘cupola’ (fra cui i Greco, Provenzano, Riina) così che l’esito del processo ‘armi e droga’ non suscitò particolare clamore. Esito peraltro quasi scontato in un Paese come l’Italia che non criminalizza né la intermediazione né il commercio di armamenti ma li protegge in conformità con i propri fini politici, non certo pacifici, e l’inserimento nella Nato.

Appena intervenuta l’assoluzione, l’ex ufficiale dei carabinieri Massimo Pugliese che ha smentito di aver trafficato in armi, asserendo la non veridicità del rapporto del servizio che lo indicava come personaggio centrale nel traffico e fu alla base della sua incriminazione, iniziò una lunga polemica contro il giudice Palermo, dai toni accesissimi, sia in sede giornalistica che giudiziaria, denunciandolo unitamente ai giudici che collaborarono all’inchiesta, con l’accusa di essere un “sequestratore” per aver fatto carcerare innocenti e financo della morte di Arsan, avvenuta in carcere per cardiopatia, il che definisce “omicidio bianco”. Citò inoltre a giudizio gli allora ministri delle Finanze Colombo, della Difesa Zanone e il presidente del Consiglio De Mita, nell’intento di ottenere un risarcimento di 9 miliardi, giungendo per non aver trovato ascolto in Italia, fino alla corte di Strasburgo. Più interessante è l’oggetto di una ulteriore denuncia, anch’essa archiviata dal Tribunale dei ministri, contro gli on. Spadolini e Capria per “180 miliardi trasferiti a Zurigo, con l’autorizzazione dell’on. Spadolini, come compenso di mediazione a M. Al Talal per le navi da guerra ‘vendute’ all’Iraq, che non le pagò e le lasciò sul gobbo di Pantalone per 2.500 miliardi di lire” (cfr. il suo volume Perché nessuno fermò quel giudice editrice Adriatica e La rivincita del colonnello, ne L’Espresso 5 marzo 1989).

Il giudice Palermo dal canto suo, continuò a difendere la sua inchiesta non nascondendo l’amarezza per l’esito finale, e a denunciare i traffici di armi e droga anche in sede politica (fu deputato della Rete) e giornalistica (cfr. fra gli altri i servizi pubblicati da Avvenimenti il 2 ottobre 1991 Ecco il cuore dei crimini di Stato. Le banche dei servizi segreti che prende spunto dallo scandalo della Bbci, e il 19 febbraio 1992); alcuni anni fa, egli si è ritirato dalla magistratura per esercitare la professione. La sua inchiesta è pubblicata per ampi stralci in Armi e droga. L’atto di accusa del giudice Carlo Palermo, Editori riuniti 1988, con saggio introduttivo di Pino Arlacchi ed è descritta nelle varie fasi fino alla vigilia dell’esito assolutorio, in Fermate quel giudice, di Maurizio Struffi e Luigi Sardi, Reverdito editore, Trento 1986.

Sul traffico d’armi in genere, v. fra gli altri, Amnesty International, Armi, Sonda, Torino 1992; Leyendecker-Rickelmann, Mercanti di morte. Chi ha armato Saddam Hussein, Lucarini, Roma 1991; Stockholm International Peace Research Institute, Rapporto sugli armamenti, De Donato, 1983.

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MICHELE SINDONA e la Banca Rasini
by Speciale Dossier Monday, Aug. 16, 2004 at 8:34 PM mail:

Speciale Dossier Berlusconi: Mafia e Loggia P2

Michele Sindona nasce a Patti (Messina) in Sicilia, nel 1920. Dopo aver fatto l'autotrasportatore, cominciò la sua carriera finanziaria aprendo a Milano uno studio di consulenza legale e fiscale esercitando la professione di avvocato dopo aver preso la laurea in giurisprudenza. Diventa a Milano nei primi anni Cinquanta, il commercialista più ricercato da industrie e società finanziarie, e lui stesso dopo una serie di favorevoli operazioni in borsa, cominciò a crearsi le basi della sua carriera. Nel decennio successivo crea a poco a poco un impero; ha amicizie influenti nella politica italiana e nella finanza vaticana. Ma anche appoggi negli Stati Uniti. Infatti gli viene consegnato di persona il premio dell' "uomo dell'anno 1973" dall'ambasciatore degli Usa a Roma, John Volpe, in considerazione della notevole rilevanza economica acquisita negli Stati Uniti dalle numerose società collegate al suo gruppo.

Nel 1970 la Banca Rasini di Milano (procuratore Luigi Berlusconi) assume una quota di capitale di una finanziaria di Nassau, nelle Bahama, la Brittener Anstalt. Che ha rapporti nell'isola con la Cisalpina Overseas Nassau Bank. Qui troviamo nel consiglio di amministrazione alcuni nomi che diventeranno presto famosi: Calvi, Sindona, Gelli, e il cardinale Marcinkus della banca vaticana Ior. Famosi per il crack dell'Ambrosiano, della Italcasse, famosi per la lista dei 500 esportatori di valuta, e famosi per la successiva lista dei 962 della loggia P2, e tutto quello che accadrà.

Nel marzo 1974 è sulla copertina di "Successo", ma proprio quell'anno segna l'inizio della crisi: prima, il 10 maggio, con le difficoltà dlla Franklyn Bank di New York, da lui controllata, poi, il 28 settembre, con la chiusura degli sportelli della Banca Privata Italiana; il ministro del tesoro Ugo La Malfa rifiuta di concedere l'aumento del capitale della Finambro, società finanziaria del Gruppo Sindona e in ottobre Michele Sindona è colpito da un mandato di cattura per falso contabile; fugge negli Stati Uniti.
1976 - 8 SETTEBRE - Michele Sindona viene arrestato a New York, ma subito scarcerato dopo il pagamento di una cauzione di mezzo miliardo di lire.
Nel 1977 - Indiscrezioni su un "tabulato dei 500": cinquecento nomi (che non si conosceranno mai) di persone che, attraverso una Banca di Sindona, hanno esportato all'estero 37 milioni di dollari.

1970-1978 - In tutti questi anni Settanta i rapporti tra la Banca Rasini di Milano (o quello che rimase della Banca poi assorbita da un'altra) e Gelli dovevano essere molto buoni. Un suo reclutatore è molto amico di un personaggio che diventerà drammaticamente molto noto: MINO PECORELLI noto per le rivelazioni su Andreotti-Lima, e anche ben altro (dossier Moro, Petroli, Esportazione valuta, ecc). Questo stesso reclutatore che gli ha dato la tessera, farà entrare alla loggia P2, il 26 Gennaio 1978, il figlio del procuratore della famosa Banca Rasini (Non dimentichiamo che proprietario fondatore della Rasini, non era uno qualunque, ma era nativo di Misilmeri, e marito della nipote prediletta di TOMMASO BUSCETTA).
Questo nuovo affiliato entra nella con la tessera n. 1816, codice E.19.78, gruppo 17, fascicolo 0625 e col versamento di lire 100.000. E' un "palazzinaro", un uomo che sta decollando verso le alte vette "in tutto" e che ha grandi disponibilità di denaro che proviene (e chissà da chi) dalla Svizzera. L'iniziato entra nella Loggia P2 -proprio nel '78) mentre si sta parlando già da molto tempo di "reti televisive" con le "potenti famiglie" della Sicilia; che in effetti ne hanno già due di Tv sull'isola e un'altra proprio a Milano, creata da un altro nativo di Misilmeri. Che però dovrà darsi alla latitanza e il suo impero passa al suo segretario che diventa segretario del palazzinaro.
Nel progetto di Gelli-Sindona.Calvi, si parla di concentrazione giornalistiche, televisive, editoriali per condizionare con tutta l'informazione il Paese; ma si parla anche di secessione della Sicilia, per poi "colonizzare" il continente (il partito indipendentista ombra "L'altra Sicilia", lo ritroveremo alle elezioni del 1994, con un nome curioso "Forza Sicilia".

1978 -16 MARZO - ALDO MORO è rapito dalla Brigate Rosse.
1978 - 9 MAGGIO - ALDO MORO viene restituito cadavere.

1979 - 26 GENNAIO - L'Italia chiede l'estradizione agli Usa di Michele Sindona per processarlo.
Un giornale intitola "molti cominceranno a non dormire"
Il presidente di sezione della Corte di cassazione CARMELO SPAGNUOLO, è rimosso dal CSM per aver firmato con LICIO GELLI, EDGARDO SOGNO e FLAVIO ORLANDI, una dichiarazione giurata in favore di MICHELE SINDONA per impedirne l'estradizione dagli USA in Italia. (Storia d'Italia, Cronologia, De Agostini, 1991, pag 704)

1979 - 29 GENNAIO - Assassinato da un commando di Prima Linea (di cui fa parte MARCO, il figlio dell'esponente DC DONAT CATTIN) il sostituto procuratore della repubblica di Milano EMILIO ALESSANDRINI. Si stava occupando dell'inchiesta sulla pista nera per la strage di piazza Fontana e stava indagando sul Banco Ambrosiano di ROBERTO CALVI.

1979 - 11 LUGLIO - L'avvocato Giorgio Ambrosoli, nominato nel 1974 liquidatore della Banca Privata, viene ucciso a Milano da William Arico, un killer, che, arrestato, confesserà di essere stato assoldato dal finanziere.
Nel settembre 1984, nonostante i tentativi di Ligio Gelli e di Carmelo Spagnuolo (già visti sopra), Michele Sindona è estradato dagli Stati Uniti; nel marzo 1986 è condannato all'ergastolo come mandante dell'assassinio di Giorgio Ambrosoli; due giorni più tardi muore avvelenato nel supercarcere di Voghera. Suicidio o omicidio? Il caso viene archiviato come suicidio.

Queste le tappe dei fatti dagli organi di informazioni (Giornali, Radio, Televisione, i comunicati di Agenzia)

1974 - 9 OTTOBRE - "Milano - Mandato di cattura per l'"Uomo dell'anno" il finanziera Michele Sindona. Il tentativo di arrestarlo si sono rivelati inutili. Sindona è ora a Ginevra e - si osserva- non sarà facile ottenerne l'estradizione. I reati a lui finora contestati (falso in scritture contabili e illegali ripartizioni degli utili) non prevedono l'emissione obbligatoria del mandato di cattura" (Comun. Ansa, 9 ottobre 1974 ore12,10).
"Milano - Il procuratore generale Paulesau ha restituito al sostituto procuratore Viola il fascicolo riguardante la Banca Privata Italiana di Sindona e che riguarda l'esposto presentato alla magistratura milanese il 5 settembre scorso dalla Banca D'Italia per segnalare un ammanco di circa 200 miliardi. Il giudice istruttore Urbisci e il pubblico ministero Caizzi mantengono il risrbo sulle indagini. Apparirebbe prematura la notizia dell'accusa contro Sindona di bancarotta fraudolenta per il "crac" della Banca privata" ( Ib. ore 18,28).

1974 - 16 OTTOBRE -" Milano - Inchiesta della procura della repubblica su presunti finanziamenti a partiti politici da parte di Michele Sindona. Indagini dopo un accertamento preliminare durante il quale è stato raccolto del materiale" (Ib. ore 00,45)

1979 - 19 MARZO - "New York Il finanziare Michele Sindona è stato incriminato oggi da un giurì federale per il fallimento della Banka Frankyn" (Ob. ore 21,05)
Il Gran Giurì ha accusato Sindona di aver acquistato nel 1972 la Franklyn con fondi illegittimi tolti da istituti bancari da lui controllati in Italia. Sia lui, sia Carlo Bordoni suo ex collaboratore, (poi passato a Gelli di cui diventa il genero Ndr.) sono stati accusati di aver distratto 45 milioni di dollari appartenenti alla Franklyn per speculazioni sui cambi che costarono alla banca una perdita di 30 milioni di dollari. Il "crac" della Franklyn, avvenuto nell'ottobre 1974, è stato il più grande fallimento nella storia del sistema bancario americano.
Sindona che deve rispondere anche del fallimento della Banca Privata Italiana, la magistratura italiana ha chiesto agli Usa la sua estradizione. (Ib. ore 21,22)

1979 - 20 MARZO - "Roma - MINO PECORELLI direttore del settimanale "OP", è stato trovato morto poco dopo le 21 nella sua "Citroen". Sulla schiena tracce di colpi di arma da fuoco". (Comun. Ansa, ore 21,32) . Quattro colpi di pistola con il silenziatore. Il primo proiettile al volto, all'altezza della bocca.
"Delitto Pecorelli. Tutte le ipotesi sono buone, non esclusa quella del delitto politico". (Ib. ore 23.06)
"Proprio stamane era uscito il n. 12 di OP, sulla copertina cinque titoli, fra cui il "Peculato in aeroplano" (Lo scandalo Lockheed, che poche settimane prima aveva mandato assolto Tanassi, e non luogo a procedere verso Rumor. Ndr.); "Il falò dei fascicoli Sid" , "Tutti i parlamentari in attesa di giudizio" ; Omsa: Pci calzelunghe; ecc. (Ib. ore17,53
E preannunciava nel prossimo numero le rivelazione sul dossier di Moro e lo scandalo petroli (Eni-Petronim, che scoppierà il 15 dicembre); aveva fra l'altro pubblicato di Moro (durante la sua prigionia) tre lettere sequestrate dalla magistratura e fino allora tenute segrete

"Roma - Delitto Pecorelli - L'inchiesta coinvolge i servizi segreti. Lo ha dichiarato il procuratore Achille Gallucci, precisando che le indagini riguardano un dossier attribuito al Sid, che venne trovato nell'ufficio di Pecorelli dopo la sua morte. Il magistrato ha aggiunto che parte del fascicolo riguarda la sicurezza nazionale e potrebbe essere coperto dal segreto. Sul contenuto ha fatto poche ammissioni, ma a precise domande, ha detto che si parla di una loggia massonica (della P2 non si sapeva ancora nulla- Ndr.), di importazione di petroli (che scoppierà nell'ottobre '80), di esportazione di valuta. "Un giorno vi verrà spiegato il perchè di questo silenzio". (Ib. 12 novembre 1980 ore 17,53).

1979 24 MARZO - Roma - Scoppia lo scandalo della Banca d'Italia - PAOLO BAFFI governatore indagato, il vicedirettore Sarcinelli arrestato su mandato di cattura" (In seguito saranno prosciolti - Il primo però si dimetterà, il 20 settembre del 1980 si apre così la carriera a CARLO AZEGLIO CIAMPI governatore, e a LAMBERTO DINI la direzione generale).

1979 - 11 LUGLIO - "Milano - L'avvocato Giorgio Ambrosoli. 46 anni, è stato ucciso in un agguato con quattro colpi di pistola, sotto la sua abitazione poco dopo la mezzanotte. Ricopriva l'incarico di liquidatore della Banca Privata Italiana di Sindona.(Ib. ore 07,38).

1979 - 3 AGOSTO - (Un falso rapimento?) - "New York - Michele Sindona sarebbe stato rapito. La notizia è stata data questa sera a Roma dai legali del banchiere.(Ib. ore 18,46)

1979 - 16 OTTOBRE - (Un falso ferimento?) - "New York - Il finanziere Michele Sindona, scomparso ai primi di agosto in un presunto rapimento, si trova ricoverato al Doctors Hospital per una ferita alla coscia sinistra da colpa di arma da fuoco. Lo ha riferito la Fbi, che non ha voluto aggiungere altri particolari" (Ib. ore 31,03).

1979 - 7-15 DICEMBRE - Scoppia lo "Scandalo Petroli". Coinvolti, petrolieri, finanzieri, politici e monsignori. 156 gli imputati ma verranno solo 69 poi condannati nel processo del 30 aprile 1987; per gli imputati eccellenti, proseguirà fino al maggio 1992, e si concluse (assolti tutti i politici) con queste parole del giudice Vaudano che ha condotto fin dall'inizio (e per 13 anni) le indagini : "Torino - 30 maggio 1992 "E' stato confermato l'impianto accusatorio, anche se non è stato possibile andare a fondo sul filone delle coperture politiche". Fu la prima esperienza di un'indagine su vasta scala contro la corruzione dei pubblici poteri e quindi qualcosa può esserci sfuggito; ma anche per difficoltà incontrate, perchè si dovettero fare ricerche su conti correnti in Svizzera" (Com. Ansa, ore 13,48)

1980 - 13 GIUGNO - "New York - Michele Sindona è stato condannato oggi a 25 anni di reclusione e 207 mila dollari di multa per il crac della Franklyn Bank. Il finanziere è stato riconosciuto colpevole dalla giuria di 65 su 66 capi d'accusa, che prevedevano i seguenti reati: associazione per delinquere, frode, falsa testimonianza, uso fraudolento dei mezzi di comunicazione federali" (Ib. ore 17,48)

1981 - 12 FEBBRAIO - Scoppia lo scandalo in Italia. La situazione critica di Sindona provoca
un terremoto anche dentro la Banca D'Italia. Incriminato il Governatore BAFFI, arrestato
il direttore SARCINELLI.
"Roma- L'ex governatore della Banca D'Italia GUIDO CARLI avrebbe ammesso la sua partecipazione ad una riunione del 24 luglio 1974 con i dirigenti del Banco di Roma, Ventriglia e Puddu, per discutere l'opportunità di autorizzare la Banca Privata di Sindona, all'epoca stretta da un "cordone sanitario" che le vietava qualsiasi operazione, di versare cinque milioni di dollari all'Istituto Opere di Religione (IOR) banca del Vaticano. L'ammissione sarebbe stata fatta davanti alla commissione parlamentare d'inchiesta sulla vicenda Sindona in corso di un confronto con Puddu e Ventriglia" (Comun. Ansa, 12 febbraio 1981, ore 18,03)

Guido Carli contraddice Puddu che in quella riunione alla Banca d'Italia si sia parlato dei nomi del famoso "tabulato dei 500" che, tramite le banche di Sindona, hanno esportato denaro all'estero" (Storia d'Italia, Cronologia, De Agostini, 1991, pag 714)


1981 - 24 FEBBRAIO - "Roma - Il segretario della DC FLAMINIO PICCOLI, interrogato a "Tribuna Politica", in onda stasera, ha definito una "menzogna totale" la voce secondo la quale la DC avrebbe avuto da Sindona undici miliardi.
Ha detto che il suo partito ha avuto due miliardi nel periodo del referendum sul divorzio e poi, per otto nove mesi, 10-15 milioni al mese" (Ib. ore 17,19)
Insomma non è una "totale menzogna", i soldi li ha proprio presi!

Veniamo a Licio Gelli che entrerà (come abbiamo visto nelle precedenti pagine ) sulla scena il 17 marzo 1981. "Amico intimo di Lopez Rega, oscuro personaggio che guidò l'Argentina alla fine degli anni Settanta, Licio Gelli nominato consigliere diplomatico, con tanto di passaporto speciale, divenne, per "fratellanza massonica" amico e depositario dei segreti di MICHELE SINDONA, da tempo latitante. L'Aver messo la mano in segreti è stato uno dei motivi che gli hanno aperto le porte della Roma politica, ancora sotto il terrore del crac provocato dal finanziere di Patti, Sindona gli presentò CALVI, il presidente del Banco Ambrosiano e uomo di tutte le transazioni targate P2. Ma è stata proprio l'inchiesta su Sindona a provocare la fine dell'impero di Gelli. I magistrati milanesi che indagavano sull'omicidio AMBROSOLI vollero vedere le carte del maestro venerabile e mandarono in tutta segretezza a marzo una pattuglia di finanzieri nella villa e nell'ufficio di Gelli a Cariglion Fibocchi. Ne uscirono molte ore dopo con quattro valigie di documenti: vi erano tutti i segreti della P2". (Comun. Ansa, 13 settembre 1982, ore 21,20).

1984 - 25 SETTEMBRE - "Roma - Il finanziere italiano Michel Sindona è stato estradato dagli Stati uniti ed è in viaggio per l'Italia. Giungerà in giornata a Milano" ( Ib. ore 10.36).

1986 - 18 MARZO - "Milano - Per l'uccisione dell'avvocato Giorgio Ambrosoli. Michele Sindona e Roberto Venetucci sono stati condannati all'ergastolo" (Ib. ore 11.56).

1986 - 20 MARZO - "Voghera - Michele Sindona è stato ricoverato stamattina al reparto rianimazione dell'ospedale, in stato di coma. Secondo le prime informazioni. si è sentito male" (Ib. ore 11,14)
"Michela Sindona è morto alle ore 14,12, prima di cadere in coma pochi istanti prima aveva bevuto un per un caffè con sali di cianuro"

1986 - 3 NOVEMBRE - "Voghera - Sulla morte di Sindona dopo sette mesi di indagini "Il giudice istruttore Di Donno ha dichiarato "non doversi procedere l'azione penale in relazione al decesso di Michele Sindona essendosi trattato di suicidio"
La conclusione cui si è giunti è quella di "Un suicidio attraverso la simulazione di un omicidio" .
Quando Sindona bevve il caffè e soltanto dopo gridò "Mi hanno avvelenato -anche questo afferma sempre il giudice Di Donno- faceva parte di un piano preordinato" (Ib. ore 18,48)

Morì così, Michele Sindona. E i "500" riuscirono a dormire meglio



da http://www.cronologia.it/storia/a1981a15.htm

Su 962 iscritti alla loggia P2 di Licio Gelli ben 177 sono militari, tutti ufficiali. Ad essi vanno aggiunti 6 ufficiali del corpo delle guardie di PS, 5 prefetti e vice prefetti, 11 questori e 5 funzionari di polizia. Per un totale di 204 persone che, prima del giuramento massonico, avevano giurato fedeltà allo Stato. Come dire che più del 20% della Loggia massonica segreta era composta da servitori dello stato.

Elenco per categorie lavorative degli aderenti alla massoneria del venerabile maestro Licio Gelli:

MILITARI E FORZE DELL'ORDINE: 208
MAGISTRATI: 18
UOMINI POLITICI: 67
SEGRETARI PARTICOLARI (politici) 11
FUNZIONARI REGIONALI: 7
DIRIGENTI COMUNALI: 8
INDUSTRIALI: 47
DIRIGENTI INDUSTRIALI: 23
IMPRENDITORI: 18
SOCIETA' PRIVATE (Presidenti): 12
SOCIETA' PUBBLICHE (Presidenti): 8
SOCIETA' PUBBLICHE (Dirigenti): 12
DIRIGENTI MINISTERIALI: 52
SINDACALISTI: 2
DIPLOMATICI: 9
DOCENTI UNIVERSITARI: 36
PROVVEDITORI AGLI STUDI: 2
BANCHE: 49
COMMERCIANTI: 1
COMMERCIALISTI: 28
CONSULENTI FINANZIARI: 4
COMPAGNIE AEREE: 8
EDITORI: 4
DIRIGENTI EDITORIALI: 6
GIORNALISTI: 27
SCRITTORI 3
DIRIGENTI RAI-TV: 10
COMPAGNIE DI ASSICURAZIONE: 6
MEDICI: 38
ENTI ASSISTENZIALI E OSPEDALIERI: 10
ARCHITETTI: 7
AVVOCATI: 27
NOTAI: 4
LIBERI PROFESSIONISTI: 17
ANTIQUARI: 6
ALBERGHI (Direttori): 4
ASSOCIAZIONI VARIE: 10
ATTIVITA' VARIE: 12
LIONS CLUB: 4
ROTARY CLUB 7

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MICHELE SINDONA DAL SUCCESSO...AL CAFFÉ DEL... "DECESSO"
by berluska Monday, Aug. 16, 2004 at 8:58 PM mail:

Michele Sindona nasce a Patti (Messina) in Sicilia, nel 1920. Dopo aver fatto l'autotrasportatore, cominciò la sua carriera finanziaria aprendo a Milano uno studio di consulenza legale e fiscale esercitando la professione di avvocato dopo aver preso la laurea in giurisprudenza. Diventa a Milano nei primi anni Cinquanta, il commercialista più ricercato da industrie e società finanziarie, e lui stesso dopo una serie di favorevoli operazioni in borsa, cominciò a crearsi le basi della sua carriera. Nel decennio successivo crea a poco a poco un impero; ha amicizie influenti nella politica italiana e nella finanza vaticana. Ma anche appoggi negli Stati Uniti. Infatti gli viene consegnato di persona il premio dell' "uomo dell'anno 1973" dall'ambasciatore degli Usa a Roma, John Volpe, in considerazione della notevole rilevanza economica acquisita negli Stati Uniti dalle numerose società collegate al suo gruppo.

Nel 1970 la Banca Rasini di Milano (procuratore Luigi Berlusconi) assume una quota di capitale di una finanziaria di Nassau, nelle Bahama, la Brittener Anstalt. Che ha rapporti nell'isola con la Cisalpina Overseas Nassau Bank. Qui troviamo nel consiglio di amministrazione alcuni nomi che diventeranno presto famosi: Calvi, Sindona, Gelli, e il cardinale Marcinkus della banca vaticana Ior. Famosi per il crack dell'Ambrosiano, della Italcasse, famosi per la lista dei 500 esportatori di valuta, e famosi per la successiva lista dei 962 della loggia P2, e tutto quello che accadrà.

Nel marzo 1974 è sulla copertina di "Successo", ma proprio quell'anno segna l'inizio della crisi: prima, il 10 maggio, con le difficoltà dlla Franklyn Bank di New York, da lui controllata, poi, il 28 settembre, con la chiusura degli sportelli della Banca Privata Italiana; il ministro del tesoro Ugo La Malfa rifiuta di concedere l'aumento del capitale della Finambro, società finanziaria del Gruppo Sindona e in ottobre Michele Sindona è colpito da un mandato di cattura per falso contabile; fugge negli Stati Uniti.
1976 - 8 SETTEBRE - Michele Sindona viene arrestato a New York, ma subito scarcerato dopo il pagamento di una cauzione di mezzo miliardo di lire.
Nel 1977 - Indiscrezioni su un "tabulato dei 500": cinquecento nomi (che non si conosceranno mai) di persone che, attraverso una Banca di Sindona, hanno esportato all'estero 37 milioni di dollari.

1970-1978 - In tutti questi anni Settanta i rapporti tra la Banca Rasini di Milano (o quello che rimase della Banca poi assorbita da un'altra) e Gelli dovevano essere molto buoni. Un suo reclutatore è molto amico di un personaggio che diventerà drammaticamente molto noto: MINO PECORELLI noto per le rivelazioni su Andreotti-Lima, e anche ben altro (dossier Moro, Petroli, Esportazione valuta, ecc). Questo stesso reclutatore che gli ha dato la tessera, farà entrare alla loggia P2, il 26 Gennaio 1978, il figlio del procuratore della famosa Banca Rasini (Non dimentichiamo che proprietario fondatore della Rasini, non era uno qualunque, ma era nativo di Misilmeri, e marito della nipote prediletta di TOMMASO BUSCETTA).
Questo nuovo affiliato entra nella con la tessera n. 1816, codice E.19.78, gruppo 17, fascicolo 0625 e col versamento di lire 100.000. E' un "palazzinaro", un uomo che sta decollando verso le alte vette "in tutto" e che ha grandi disponibilità di denaro che proviene (e chissà da chi) dalla Svizzera. L'iniziato entra nella Loggia P2 -proprio nel '78) mentre si sta parlando già da molto tempo di "reti televisive" con le "potenti famiglie" della Sicilia; che in effetti ne hanno già due di Tv sull'isola e un'altra proprio a Milano, creata da un altro nativo di Misilmeri. Che però dovrà darsi alla latitanza e il suo impero passa al suo segretario che diventa segretario del palazzinaro.
Nel progetto di Gelli-Sindona.Calvi, si parla di concentrazione giornalistiche, televisive, editoriali per condizionare con tutta l'informazione il Paese; ma si parla anche di secessione della Sicilia, per poi "colonizzare" il continente (il partito indipendentista ombra "L'altra Sicilia", lo ritroveremo alle elezioni del 1994, con un nome curioso "Forza Sicilia".

1978 -16 MARZO - ALDO MORO è rapito dalla Brigate Rosse.
1978 - 9 MAGGIO - ALDO MORO viene restituito cadavere.

1979 - 26 GENNAIO - L'Italia chiede l'estradizione agli Usa di Michele Sindona per processarlo.
Un giornale intitola "molti cominceranno a non dormire"
Il presidente di sezione della Corte di cassazione CARMELO SPAGNUOLO, è rimosso dal CSM per aver firmato con LICIO GELLI, EDGARDO SOGNO e FLAVIO ORLANDI, una dichiarazione giurata in favore di MICHELE SINDONA per impedirne l'estradizione dagli USA in Italia. (Storia d'Italia, Cronologia, De Agostini, 1991, pag 704)

1979 - 29 GENNAIO - Assassinato da un commando di Prima Linea (di cui fa parte MARCO, il figlio dell'esponente DC DONAT CATTIN) il sostituto procuratore della repubblica di Milano EMILIO ALESSANDRINI. Si stava occupando dell'inchiesta sulla pista nera per la strage di piazza Fontana e stava indagando sul Banco Ambrosiano di ROBERTO CALVI.

1979 - 11 LUGLIO - L'avvocato Giorgio Ambrosoli, nominato nel 1974 liquidatore della Banca Privata, viene ucciso a Milano da William Arico, un killer, che, arrestato, confesserà di essere stato assoldato dal finanziere.
Nel settembre 1984, nonostante i tentativi di Ligio Gelli e di Carmelo Spagnuolo (già visti sopra), Michele Sindona è estradato dagli Stati Uniti; nel marzo 1986 è condannato all'ergastolo come mandante dell'assassinio di Giorgio Ambrosoli; due giorni più tardi muore avvelenato nel supercarcere di Voghera. Suicidio o omicidio? Il caso viene archiviato come suicidio.

Queste le tappe dei fatti dagli organi di informazioni (Giornali, Radio, Televisione, i comunicati di Agenzia)

1974 - 9 OTTOBRE - "Milano - Mandato di cattura per l'"Uomo dell'anno" il finanziera Michele Sindona. Il tentativo di arrestarlo si sono rivelati inutili. Sindona è ora a Ginevra e - si osserva- non sarà facile ottenerne l'estradizione. I reati a lui finora contestati (falso in scritture contabili e illegali ripartizioni degli utili) non prevedono l'emissione obbligatoria del mandato di cattura" (Comun. Ansa, 9 ottobre 1974 ore12,10).
"Milano - Il procuratore generale Paulesau ha restituito al sostituto procuratore Viola il fascicolo riguardante la Banca Privata Italiana di Sindona e che riguarda l'esposto presentato alla magistratura milanese il 5 settembre scorso dalla Banca D'Italia per segnalare un ammanco di circa 200 miliardi. Il giudice istruttore Urbisci e il pubblico ministero Caizzi mantengono il risrbo sulle indagini. Apparirebbe prematura la notizia dell'accusa contro Sindona di bancarotta fraudolenta per il "crac" della Banca privata" ( Ib. ore 18,28).

1974 - 16 OTTOBRE -" Milano - Inchiesta della procura della repubblica su presunti finanziamenti a partiti politici da parte di Michele Sindona. Indagini dopo un accertamento preliminare durante il quale è stato raccolto del materiale" (Ib. ore 00,45)

1979 - 19 MARZO - "New York Il finanziare Michele Sindona è stato incriminato oggi da un giurì federale per il fallimento della Banka Frankyn" (Ob. ore 21,05)
Il Gran Giurì ha accusato Sindona di aver acquistato nel 1972 la Franklyn con fondi illegittimi tolti da istituti bancari da lui controllati in Italia. Sia lui, sia Carlo Bordoni suo ex collaboratore, (poi passato a Gelli di cui diventa il genero Ndr.) sono stati accusati di aver distratto 45 milioni di dollari appartenenti alla Franklyn per speculazioni sui cambi che costarono alla banca una perdita di 30 milioni di dollari. Il "crac" della Franklyn, avvenuto nell'ottobre 1974, è stato il più grande fallimento nella storia del sistema bancario americano.
Sindona che deve rispondere anche del fallimento della Banca Privata Italiana, la magistratura italiana ha chiesto agli Usa la sua estradizione. (Ib. ore 21,22)

1979 - 20 MARZO - "Roma - MINO PECORELLI direttore del settimanale "OP", è stato trovato morto poco dopo le 21 nella sua "Citroen". Sulla schiena tracce di colpi di arma da fuoco". (Comun. Ansa, ore 21,32) . Quattro colpi di pistola con il silenziatore. Il primo proiettile al volto, all'altezza della bocca.
"Delitto Pecorelli. Tutte le ipotesi sono buone, non esclusa quella del delitto politico". (Ib. ore 23.06)
"Proprio stamane era uscito il n. 12 di OP, sulla copertina cinque titoli, fra cui il "Peculato in aeroplano" (Lo scandalo Lockheed, che poche settimane prima aveva mandato assolto Tanassi, e non luogo a procedere verso Rumor. Ndr.); "Il falò dei fascicoli Sid" , "Tutti i parlamentari in attesa di giudizio" ; Omsa: Pci calzelunghe; ecc. (Ib. ore17,53
E preannunciava nel prossimo numero le rivelazione sul dossier di Moro e lo scandalo petroli (Eni-Petronim, che scoppierà il 15 dicembre); aveva fra l'altro pubblicato di Moro (durante la sua prigionia) tre lettere sequestrate dalla magistratura e fino allora tenute segrete

"Roma - Delitto Pecorelli - L'inchiesta coinvolge i servizi segreti. Lo ha dichiarato il procuratore Achille Gallucci, precisando che le indagini riguardano un dossier attribuito al Sid, che venne trovato nell'ufficio di Pecorelli dopo la sua morte. Il magistrato ha aggiunto che parte del fascicolo riguarda la sicurezza nazionale e potrebbe essere coperto dal segreto. Sul contenuto ha fatto poche ammissioni, ma a precise domande, ha detto che si parla di una loggia massonica (della P2 non si sapeva ancora nulla- Ndr.), di importazione di petroli (che scoppierà nell'ottobre '80), di esportazione di valuta. "Un giorno vi verrà spiegato il perchè di questo silenzio". (Ib. 12 novembre 1980 ore 17,53).

1979 24 MARZO - Roma - Scoppia lo scandalo della Banca d'Italia - PAOLO BAFFI governatore indagato, il vicedirettore Sarcinelli arrestato su mandato di cattura" (In seguito saranno prosciolti - Il primo però si dimetterà, il 20 settembre del 1980 si apre così la carriera a CARLO AZEGLIO CIAMPI governatore, e a LAMBERTO DINI la direzione generale).

1979 - 11 LUGLIO - "Milano - L'avvocato Giorgio Ambrosoli. 46 anni, è stato ucciso in un agguato con quattro colpi di pistola, sotto la sua abitazione poco dopo la mezzanotte. Ricopriva l'incarico di liquidatore della Banca Privata Italiana di Sindona.(Ib. ore 07,38).

1979 - 3 AGOSTO - (Un falso rapimento?) - "New York - Michele Sindona sarebbe stato rapito. La notizia è stata data questa sera a Roma dai legali del banchiere.(Ib. ore 18,46)

1979 - 16 OTTOBRE - (Un falso ferimento?) - "New York - Il finanziere Michele Sindona, scomparso ai primi di agosto in un presunto rapimento, si trova ricoverato al Doctors Hospital per una ferita alla coscia sinistra da colpa di arma da fuoco. Lo ha riferito la Fbi, che non ha voluto aggiungere altri particolari" (Ib. ore 31,03).

1979 - 7-15 DICEMBRE - Scoppia lo "Scandalo Petroli". Coinvolti, petrolieri, finanzieri, politici e monsignori. 156 gli imputati ma verranno solo 69 poi condannati nel processo del 30 aprile 1987; per gli imputati eccellenti, proseguirà fino al maggio 1992, e si concluse (assolti tutti i politici) con queste parole del giudice Vaudano che ha condotto fin dall'inizio (e per 13 anni) le indagini : "Torino - 30 maggio 1992 "E' stato confermato l'impianto accusatorio, anche se non è stato possibile andare a fondo sul filone delle coperture politiche". Fu la prima esperienza di un'indagine su vasta scala contro la corruzione dei pubblici poteri e quindi qualcosa può esserci sfuggito; ma anche per difficoltà incontrate, perchè si dovettero fare ricerche su conti correnti in Svizzera" (Com. Ansa, ore 13,48)

1980 - 13 GIUGNO - "New York - Michele Sindona è stato condannato oggi a 25 anni di reclusione e 207 mila dollari di multa per il crac della Franklyn Bank. Il finanziere è stato riconosciuto colpevole dalla giuria di 65 su 66 capi d'accusa, che prevedevano i seguenti reati: associazione per delinquere, frode, falsa testimonianza, uso fraudolento dei mezzi di comunicazione federali" (Ib. ore 17,48)

1981 - 12 FEBBRAIO - Scoppia lo scandalo in Italia. La situazione critica di Sindona provoca
un terremoto anche dentro la Banca D'Italia. Incriminato il Governatore BAFFI, arrestato
il direttore SARCINELLI.
"Roma- L'ex governatore della Banca D'Italia GUIDO CARLI avrebbe ammesso la sua partecipazione ad una riunione del 24 luglio 1974 con i dirigenti del Banco di Roma, Ventriglia e Puddu, per discutere l'opportunità di autorizzare la Banca Privata di Sindona, all'epoca stretta da un "cordone sanitario" che le vietava qualsiasi operazione, di versare cinque milioni di dollari all'Istituto Opere di Religione (IOR) banca del Vaticano. L'ammissione sarebbe stata fatta davanti alla commissione parlamentare d'inchiesta sulla vicenda Sindona in corso di un confronto con Puddu e Ventriglia" (Comun. Ansa, 12 febbraio 1981, ore 18,03)

Guido Carli contraddice Puddu che in quella riunione alla Banca d'Italia si sia parlato dei nomi del famoso "tabulato dei 500" che, tramite le banche di Sindona, hanno esportato denaro all'estero" (Storia d'Italia, Cronologia, De Agostini, 1991, pag 714)


1981 - 24 FEBBRAIO - "Roma - Il segretario della DC FLAMINIO PICCOLI, interrogato a "Tribuna Politica", in onda stasera, ha definito una "menzogna totale" la voce secondo la quale la DC avrebbe avuto da Sindona undici miliardi.
Ha detto che il suo partito ha avuto due miliardi nel periodo del referendum sul divorzio e poi, per otto nove mesi, 10-15 milioni al mese" (Ib. ore 17,19)
Insomma non è una "totale menzogna", i soldi li ha proprio presi!

Veniamo a Licio Gelli che entrerà (come abbiamo visto nelle precedenti pagine ) sulla scena il 17 marzo 1981. "Amico intimo di Lopez Rega, oscuro personaggio che guidò l'Argentina alla fine degli anni Settanta, Licio Gelli nominato consigliere diplomatico, con tanto di passaporto speciale, divenne, per "fratellanza massonica" amico e depositario dei segreti di MICHELE SINDONA, da tempo latitante. L'Aver messo la mano in segreti è stato uno dei motivi che gli hanno aperto le porte della Roma politica, ancora sotto il terrore del crac provocato dal finanziere di Patti, Sindona gli presentò CALVI, il presidente del Banco Ambrosiano e uomo di tutte le transazioni targate P2. Ma è stata proprio l'inchiesta su Sindona a provocare la fine dell'impero di Gelli. I magistrati milanesi che indagavano sull'omicidio AMBROSOLI vollero vedere le carte del maestro venerabile e mandarono in tutta segretezza a marzo una pattuglia di finanzieri nella villa e nell'ufficio di Gelli a Cariglion Fibocchi. Ne uscirono molte ore dopo con quattro valigie di documenti: vi erano tutti i segreti della P2". (Comun. Ansa, 13 settembre 1982, ore 21,20).

1984 - 25 SETTEMBRE - "Roma - Il finanziere italiano Michel Sindona è stato estradato dagli Stati uniti ed è in viaggio per l'Italia. Giungerà in giornata a Milano" ( Ib. ore 10.36).

1986 - 18 MARZO - "Milano - Per l'uccisione dell'avvocato Giorgio Ambrosoli. Michele Sindona e Roberto Venetucci sono stati condannati all'ergastolo" (Ib. ore 11.56).

1986 - 20 MARZO - "Voghera - Michele Sindona è stato ricoverato stamattina al reparto rianimazione dell'ospedale, in stato di coma. Secondo le prime informazioni. si è sentito male" (Ib. ore 11,14)
"Michela Sindona è morto alle ore 14,12, prima di cadere in coma pochi istanti prima aveva bevuto un per un caffè con sali di cianuro"

1986 - 3 NOVEMBRE - "Voghera - Sulla morte di Sindona dopo sette mesi di indagini "Il giudice istruttore Di Donno ha dichiarato "non doversi procedere l'azione penale in relazione al decesso di Michele Sindona essendosi trattato di suicidio"
La conclusione cui si è giunti è quella di "Un suicidio attraverso la simulazione di un omicidio" .
Quando Sindona bevve il caffè e soltanto dopo gridò "Mi hanno avvelenato -anche questo afferma sempre il giudice Di Donno- faceva parte di un piano preordinato" (Ib. ore 18,48)

Morì così, Michele Sindona. E i "500" riuscirono a dormire meglio.

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Personaggi come Licio Gelli e Lopez Rega
by matteotti Monday, Aug. 16, 2004 at 9:04 PM mail: Silverio Corvisieri

IL MAGO DEI GENERALI

Poteri occulti nella crisi del fascismo e della monarchia


Personaggio minore, Giuseppe Cambareri, marginale forse, ma non trascurabile se la ricostruzione delle sue gesta è l'occasione per illuminare relazioni sconosciute, per collegare inopinatamente personaggi altrimenti distanti ed estranei. L’ambiente in cui si muove Cambareri è quello dei militari di Roma città aperta e degli uomini dei servizi segreti, dei rosacrociani e dei massoni, ma anche degli agenti provocatori, dei potenti faccendieri, degli inesausti procacciatori e mediatori di affari, dei frequentatori di salotti e anticamere importanti; snodi e interpreti di quel nesso politica-affari che, mentre interessa quotidianamente la cronaca, sembra avere scarso interesse per lo storico. A torto, perché il personaggio restituito dalla ricerca di Corvisieri non è un cammeo, una figura unica e irripetibile; al contrario è una figura esemplare e paradigmatica: il medesimo mix di politica, affari ed esoterismo, infatti, lo ritroveremo in personaggi come Licio Gelli e Lopez Rega, negli stessi ambienti, con le stesse modalità di azione.
Sembra un gioco: chinarsi su di un nome impigliato in una nota e inseguirne le tracce. Un filo che sporge, Giuseppe Cambareri, a tirare il quale vien dietro tutto quanto la storiografia ufficiale aveva trascurato, quando non occultato. Basta spostarsi di poco, e la nuova prospettiva scopre nuovi e sorprendenti elementi: una sorta di parallasse storiografica, quella che permette di cogliere relazioni ignorate, percorsi e frequentazioni scansate; come quando negli archivi càpita di trovare fortuitamente tracce importanti e illuminanti nei fascicoli di personaggi minori. In Il mago dei generali, si precisa il retìcolo di generali adusi a non rispondere alla politica, al popolo sovrano e qualche volta nemmeno al Sovrano, chiusi nel loro sabba autoreferenziale, talvolta in intelligenza col nemico, e nel frattempo immersi in un circuito esoterico-affaristico che in un periodo critico e tragico, come quello che va dal 1940 al 1945, ha largamente surrogato la politica.
Orbene, questa ricerca, se molto ha da dire sulla vocazione eversiva delle classi dominanti di questo paese, molto di più svela quanto alla sua infamante sottocultura; o comunque, una cultura del tutto estranea alla tradizione laica e scientifica moderna, alla cultura di qualsiasi borghesia, anche di quella che tanto poco ha inciso nella storia di questo paese. Populismo, interclassismo, sincretismo, variamente conditi con l’esoterismo, sono filoni che ora hanno un rilancio; ma sono anche alla base di quel revisionismo permanente che mina, insieme, la tenuta della società civile e gli strumenti scientifici per l’analisi della società.

Silverio Corvisieri (Ponza, 1938), ha pubblicato Bandiera rossa nella Resistenza romana, Trotskij e il comunismo italiano, Resistenza e democrazia, I senzamao, Il mio viaggio nelle sinistra, All'isola di Ponza. E' stato redattore dell'Unità dal 1960 al 1967, direttore del settimanale la sinistra nel 1968, fondatore e direttore del quotidiano dei lavoratori nel 1974, collaboratore di numerose riviste. Ha militato nel PCI, nella IV Internazionale e in Avanguardia Operaia. E' stato eletto deputato in tre legislature. Per Odradek ha pubblicato: Badernao, La ballerina dei due mondi (1998) e Il re, Togliatti e il Gobbo. 1944: la prima trama eversiva.(1998)

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In nome di Dio - La morte di papa Luciani -
by David Yallop Monday, Aug. 16, 2004 at 9:12 PM mail:

David Yallop ricostruisce i fatti che hanno preceduto l'improvvisa morte di Giovanni Paolo I. Con stile scorrevole ci presenta una dettagliata documentazione e indica i nomi di chi dalla morte del papa (ora in via di beatificazione) poteva trarne giovamento.

David Yallop, a British author with four previous crime investigations to his credit, came to the attention of "highly-placed, secret sources within the Vatican" who convinced him to look into the September 1978 death of John Paul I. During his 33 days as pope, Albino Luciani's leadership and incorruptibility threatened certain interests in the Vatican. These interests were connected with Licio Gelli's P2 network, Michele Sindona, Roberto Calvi and the emerging Banco Ambrosiano scandal, the Mafia, Italian intelligence, and Freemasonry. It was becoming clear to Luciani that a major housecleaning was in order. Yallop believes there was a plot, but after three years of investigation his evidence is still circumstantial. Security was minimal, access to the pope or to his food or medicine would not have been difficult, and it was a good bet that there would be no autopsy. The cause of death was reported as acute myocardial infarction, but Luciani's medical history makes this difficult to accept. Death was so sudden that the pope didn't even have time to press the alarm button a few inches from his hand, which seems unlikely. When Karol Wojtyla was elected pope the Vatican returned to business as usual. With John Paul II in control, even the Italian government was unable to get the Vatican to come clean on its role in the Banco Ambrosiano scandal.



Alcuni nomi che compaiono nel libro:

ABBRUCIATI DANILO

ABS HERMANN JOSEF

ALESSANDRINI EMILIO

ALVAREZ GREGORIO

AMBROSOLI GIORGIO

ANDREOTTI GIULIO

ARCE GOMEZ LUIS (LUCHO)

ARICO CHARLES

ARICO WILLIAM JOSEPH

ARONWALD WILLIAM I

BAFFI PAOLO

BAGGIO FRANCESCO

BAGGIO SEBASTINO

BANCO AMBROSIANO

BARBIE KLAUS

BARONE MARIO

BAUMHART RAYMOND C

BENELLI GIOVANNI

BERTOLI PAOLO

BIASE NICOLA

BLUHDORN CHARLES G

BONOMI ANNA BOLCHINI

BORDONI CARLO

CALVI ROBERTO

CAPRIO GIUSEPPE CARDINAL

CARBONI FLAVIO

CARUSO ANTHONY

CASAROLI AGOSTINO CARDINAL

CAVALLO LUIGI

CICCHITTO FABRIZIO

CIOLINI ELIO

CODY JOHN PATRICK

CONTINENTAL ILLINOIS NATIONAL BANK

CORROCHER GRAZIELLA TERESA

CRAXI BETTINO

DAILY AMERICAN

DE BONIS DONATO

DE STROBEL PELLEGRINO

DE WECK PHILIPPE

DELLACHA GIUSEPPE

DELLE CHIAIE STEFANO

DI DONNA LEONARDO

DIOTALLEVI ERNESTO

DRAGANOVIC KRUNOSLAV

FIEBELKORN JOACHIM

FOLIGNI MARIO

FORD JOHN (JESUIT)

FRANKLIN NATIONAL BANK

FREEMASONRY

FURNO LAMBERTO

GAMBERINI GIORDANO

GELLI LICIO

GIANNINI ORAZIO

GIUDICE RAFFAELE

GODELUPPI LIVIO

GRASSINI GIULIO

GREECE CIA IN

GREELEY ANDREW

GUARINO PHILIP A

GUERRI SERGIO CARDINAL

GULF-WESTERN

GUZZI RODOLFO

HAMBROS BANK

HEBBLETHWAITE PETER

IMPALLOMENI GIUSEPPE

ITALY CIA IN

JOHN PAUL I (POPE)

JOHN PAUL II (POPE)

KELLER ERNST

KENNEDY DAVID MATTHEW

LANDRA LUIGI

LEDL LEOPOLD

LEFEBVRE MARCEL

LIO ERMENEGILDO

LOPEZ REGA JOSE (MINISTER OF SOCIAL WELFARE)

LYNCH WILLIAM S

MACALUSO JOSEPH

MACCHI PASQUALE

MAGEE JOHN

MAGNONI PIER SANDRO

MARCINKUS PAUL CASIMIR

MARTIN GRAHAM ANDERSON

MASSERA EMILIO EDUARDO

MATEOS JOSE

MAZZANTI GIORGIO

MCDOWALL BRUCE

MENNINI LUIGI

MESSINA ROCKY

MONTINI GIOVANNI (POPE PAUL VI)

MUSSELLI BRUNO

NOGARA BERNARDINO

OCCORSIO VITTORIO

OLGIATI CARLO

OPUS DEI

ORTOLANI UMBERTO

OTTAVIANI ALFREDO

PACELLI JULIO (PRINCE)

PAGLIAI PIERLUIGI

PASARGIKLIAN VAHAN

PECORELLI MINO

PERON JUAN DOMINGO

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P2 le notizie del 2004: gennaio
by (di Maurizio Salvi) Monday, Aug. 16, 2004 at 9:16 PM mail:

2 gennaio 2003 - ARGENTINA: LIBRO SU LOPEZ REGA
ANSA:
ARGENTINA: LOPEZ REGA UOMO CHIAVE DELLA P2, LIBRO-INCHIESTA
L'AUTORE PARLA DEI RAPPORTI CON GELLI E INTERVISTA VALORI
(di Maurizio Salvi)
Jose' Lopez Rega, l'argentino venuto dal nulla e la cui massima ambizione pareva essere quella di cantare alla Scala di Milano, si trasformo' invece negli anni '70 nella 'eminenza grigia' di Juan Domingo Peron e della moglie Isabel, permettendo inoltre al 'venerabile' Licio Gelli di estendere l'influenza della P2 sulle rive del Rio de la Plata.
Personalita' temutissima ed enigmatica, Lopez Rega e' oggetto per la prima volta di un'analitica biografia firmata dal giornalista argentino Marcelo Larraquy, che ne illustra gli esordi politici, rivela la storia segreta della costruzione di un apparato terroristico statale che utilizzava la temibile 'Triple A' di estrema destra, e analizza i suoi legami con i servizi segreti, la polizia, la massoneria argentina, e la P2.
In 'Lopez Rega - La biografia' si sottolinea che l'amicizia con Gelli miro' ad impedire che "l'Argentina andasse fuori strada ed imitasse il cammino rivoluzionario del Cile, dove il socialista Allende era giunto al potere per via elettorale".
L'idea di utilizzare Peron come parte di uno schema istituzionale per contenere il pericolo del comunismo in America latina, sostiene Larraquy, "fu spiegata da Gelli al Vaticano e al Segretario di stato americano Henry Kissinger, che la riferi' al presidente Richard Nixon".
Il piano disegnato per il ritorno del 'Caudillo' argentino, si dice ancora, "univa quindi la massoneria della P2, il rabbinato di New York - il cui uomo al potere era lo stesso Kissinger - il Vaticano e il governo degli Usa".
Oltre alla lotta al comunismo, obiettivo di Gelli era quella di accrescere la sua influenza nel mondo degli affari argentini, ed e' per questo fine che nel 1973 era stato riconsegnato al generale in esilio a Madrid il cadavere di Evita, per anni sepolto a Milano.
Come e' noto, sull'aereo che riporto' Peron a Buenos Aires il 20 giugno 1973 si trovavano lo stesso Gelli e Giancarlo Elia Valori. Quest'ultimo si era installato a Buenos Aires da tempo e sperava di poter realizzare, con l'aiuto di una serie di imprese italiane (Fiat, Pirelli e Techint) e della Comunita' economica europea, un 'Piano Europa' che avrebbe permesso all'Argentina di insediarsi commercialmente nel Vecchio continente.
In una intervista concessa a Roma all'autore della biografia di Lopez Rega, che ne pubblica stralci nel suo libro, Valori ha ricordato che l'idea del 'Piano' nacque dalla sua amicizia con Peron, ma anche con l'ex presidente Arturo Frondizi, acquisite attraverso il fratello Leo, rappresentante dell'Eni a Buenos Aires.
Durante il colloquio, dice ancora Larraqui, Valori ha sostenuto che l'azione congiunta di Gelli e Lopez Rega lo escluse poco a poco dal circolo ristretto del capo di stato argentino. In particolare, egli cerco' di raggiungere Peron nel luglio 1973 a Gaspar Campos, dove era convalescente dopo un attacco cardiaco, ma trovo' il 'venerabile' di Arezzo che gli disse senza mezzi termini: "Che fai qui? E' meglio che tu te ne vada. E che dimentichi l'Argentina!".
Gelli, che fu nominato addetto commerciale dell'Ambasciata argentina a Roma, ottenne l'adesione alla P2, oltre che di Lopez Rega, di militari di altissimo rango, come l'ammiraglio Emilio Massera e il generale Carlos Suarez Mason.
L'ultimo tentativo che fece Valori per avvicinarsi a Peron fu il 14 dicembre 1973 nella residenza di Olivos. Ma un membro dei servizi segreti, assicura Larraqui, gli diede un consiglio: doveva andarsene subito perche' esisteva un piano per ucciderlo davanti alla tomba del fratello Leo nel cimitero di Castelar.
Quella stessa notte, lascio' l'Argentina in aereo per Parigi. "Non potevo piu' fare nulla - conclude Valori - visto che a quell'epoca si era insediato un comitato d'affari in Argentina formato dall' (imprenditore Jose' Ber) Gelbard, da Lopez Rega, Massera e Licio Gelli".

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7 gennaio 2004 - RAI: 50 ANNI DI CENSURA
"Il Manifesto"
TELEVISIONE
Rai, storia di una censura di mezza età
Ugo Gregoretti Alla fine degli anni Cinquanta fu la prima vittima dichiarata della censura in casa Rai. Colpa di "Controfagotto", come si racconta in un lungo servizio trasmesso ieri (alle 7 del mattino su Raitre) da Rainews Enzo Biagi E' la prima vittima eccellente del diktat berlusconiano da quel di Bulgaria: via dalla Rai lui e Michele Santoro. Un vero "fattaccio", cui Biagi risponde senza peli sulla lingua in una intervista: "E' un regime"
Norma Rangeri
Da un Ugo Gregoretti del 1955 a un Enzo Biagi del 2003, due grandi firme dell'informazione televisiva e un lungo arco temporale per capire cosa è stata l'altra Rai, quella più ruvida e scomoda, quella più censurata. Titolo del reportage Io e la telecamera, 50 anni di inchiesta, firmato da Sigfrido Ranucci e coadiuvato nelle ricerche da Maria Collettini. Ranucci, ricordiamolo, è quel giornalista che recuperò dai francesi la drammatica intervista al giudice Paolo Borsellino, ucciso dopo breve tempo. Si parlava delle responsabilità politiche dei grandi attentati, si parlava di Giovanni Falcone. Una sorta di testamento trasmesso in una puntata del Raggio Verde di Michele Santoro, così indigesto da scatenare l'intervento in trasmissione di Silvio Berlusconi ("Santoro si contenga, lei è un dipendente Rai!", urlò il Cavaliere. "Ma non sono un suo dipendente" replicò il giornalista). In questi giorni di celebrazioni un po' bolse, avvolte dall'ipocrisia della grande famiglia Rai, una passeggiata tra i protagonisti più autorevoli del piccolo schermo che raccontano tutti gli ostacoli incontrati nel corso del loro lavoro (facendo anche i nomi dei solerti dirigenti che volevano sbianchettare), è un buon esercizio di memoria.
Si comincia con un Gregoretti doc, mentre su un calesse va a trovare il contadino di Narni che ha vinto la lotteria di Capodanno (siamo in clima). Con Controfagotto (1960), quindicinale di "sguardi sul costume", Gregoretti conosce la prima censura. Lo incuriosisce l'italietta della raccomandazione e fa un "pezzo" su un onorevole che ne aveva il record. L'iniziativa del giornalista non piacque agli inquilini dei piani alti di viale Mazzini. "Con quel servizio credo di aver contribuito alla cacciata di Enzo Biagi che allora dirigeva il Tg1", commenta seduto nel salotto romano. Così come venne censurato un suo reportage sugli immigrati italiani in Argentina. Altro che integrazione: erano partiti come operai specializzati e lui li ritrovò che facevano i mestieri più improbabili (prestigiatore, per esempio), o più innominabili (il malavitoso). Inutile dire che quel reportage non fu mai trasmesso, "così dispose il dirigente Massimo Rendina". Non solo: "Di quella pellicola se ne è persa traccia".
Altro grande nome Rai, Brando Giordani. E' lui a raccontare della stagione d'oro di Tv7 (1964), con le sue luci e gli asfissianti controlli. "Ogni settimana un alto dirigente veniva a controllare personalmente il contenuto del programma, fino allo stesso Ettore Bernabei. Fu proprio per un servizio sui bombardamenti americani su Hanoi, firmato da Furio Colombo, che il direttore del telegiornale Fabiano Fabiani fu costretto ad andarsene".
Poi tocca a Sergio Zavoli, allontanato per un'inchiesta sul Codice Rocco, segue Tg2-Dossier (1979) con Giuseppe Jo Marrazzo, per due volte censurato dal consiglio di amministrazione della Rai. La catena si allunga con Ennio Remondino, protagonista del famoso Speciale Tg1 in cui denunciò i legami tra la Cia e la P2, toccando i fili di Stay-Behind, la struttura parallela anticomunista. Francesco Cossiga si infuriò chiedendone la testa. Allora il Tg1 era diretto dal demitiano Nuccio Fava, e come capocronista c'era Roberto Morrione. Furono entrambi immediatamente allontanati e come direttore del Tg1 fu nominata la persona giusta: Bruno Vespa.
Il mestiere di giornalista in Rai non è costato solo umiliazioni ed emarginazioni. C'è chi, come Ilaria Alpi, ha perso la vita per aver messo il naso e la telecamera nel posto sbagliato. Ancora oggi i genitori non hanno avuto giustizia e accusano gli apparati dello stato di aver nascosto la verità. Naturalmente in una carrellata sull'altra tv un posto in prima fila spetta a Michele Santoro, testa scomoda per la destra e per la sinistra. Quando l'Ulivo era a palazzo Chigi, "Michele chi?" scelse Mediaset e fu l'unico a trasferire il programma sul ponte di Belgrado, sotto le bombe controfirmate dal governo di Massimo D'Alema. Che, insieme a Prodi, disertava il suo talk-show preferendogli gli appetitosi risotti di Porta a Porta. E' storia anche questa.
Si chiude con Biagi. Per lui parla il suo alter-ego, il regista de Il Fatto, Loris Mazzetti. Riascoltare quella sigla, rivedere la silohuette del vecchio giornalista fa un certo effetto. Viene rimandata in onda la puntata del 18 aprile del 2002, Biagi risponde all'editto bulgaro del Cavaliere. Dice che non se ne andrà, che dovranno cacciarlo. Non ci hanno pensato due volte. Mazzetti ha davanti a sé, nei locali dove si registrava Il fatto ora adibiti alle telepromozioni, un registratore. Nel nastro è incisa un'intervista a Biagi. Gli chiede che aria tira. La sua risposta è secca, come nello stile di chi ha saputo inventare un programma di cinque minuti: "E' un regime".
PS. Il bel programma di Rainews è andato in onda ieri alle sette del mattino su Raitre. Non è censura anche questa?

9 gennaio 2004 - SELVA E ANNA LA ROSA
"Il Tempo"
LA PROTESTA DI SELVA "Anna la Rosa è una privilegiata" "MI congratulo con la RAI che non sospende (come fece con me) e non caccia dal giornalismo (come fece con me) la collega Anna La Rosa, Direttore dei Servizi parlamentari, chiamata in causa dalle intercettazioni disposte dal PM John Woodcock di Potenza, arrivato a chiedere gli arresti domiciliari non accolti dal GIP". Lo sostiene il presidente della Commissione esteri della camera Gustavo Selva sottolineando: "Questo è il rispetto dovuto all'art. 27 della Costituzione: "l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva"".
"Nel 1981 - ha continuato Selva - la Rai mi riservò il trattamento opposto: fui sospeso, poi cacciato dalla direzione del GR2 soltanto perché‚ sospettato di far parte della P2, nonostante fosse stato dimostrato, durante i nove mesi della sospensione, che non avevo violato alcuna legge civile o penale e nella P2 non ero minimamente coinvolto. Mi congratulo con Anna la Rosa e le auguro di dimostrare la sua estraneità alla vicenda in meno dei nove mesi occorsi alla RAI per maturare la decisione di sollevarmi dalla direzione del GR2; noto anche - ha concluso - il silenzio della rappresentanza sindacale dei giornalisti Rai (USIGRAI) e della Federazione Nazionale della Stampa (FNSI)".

9 gennaio 2004 - ANCORA IL LIBRO DI BISCIONE
ANSA:
BISCIONE, ISTITUZIONI PIU' IMPORTANTI VITTORIA CENTROSINISTRA
(NOTIZIARIO LIBRI)
(ANSA) - ROMA, 9 GEN - FRANCESCO M.BISCIONE:'IL SOMMERSO DELLA REPUBBLICA' (BOLLATI BORINGHIERI; PP. 171; EURO 13) - "Il quadro istituzionale e' piu' importante di una vittoria del centro-sinistra". Francesco M.Biscione lancia una miccia accesa nella parte sinistra del campo politico.
In realta' e' un invito a tutto lo schieramento a lavorare all' individuazione di regole che costruiscano una cornice in cui agisca il bipolarismo e si svolga l' alternanza.
"Nel centrodestra - spiega Biscione - anche Berlusconi e' un'anomalia perche' e' portatore di una carica anti-istituzionale che non appartiene ne' alla tradizione cattolica ne' a quella di An, specie dopo quanto e' avvenuto a Gerusalemme". In altre parole "l'anomalia di Berlusconi andrebbe risolta nel piu' breve tempo possibile e con il contributo degli elettori del centrodestra".
Il saggio affonda le radici nel lavoro di un altro storico, Franco De Felice, 'Doppia lealta' e doppio Stato', e in 'Segreto di Stato' dell'ex presidente della Commissione Stragi Vittorio Pellegrino. 'Il sommerso della Repubblica' vuole essere un ulteriore contributo alla comprensione dei tanti misteri italiani. Non per gusto investigativo quanto per la necessita' di spiegare storiograficamente gli avvenimenti nell' ambizione-speranza di un loro superamento. Il sommerso e' proprio quel coacervo di forze che hanno agito per decenni nell'oscurita' e che si riconoscono nell'opposizione all' antifascismo sui cui valori poggia invece la Repubblica Italiana, nell' anticomunismo piu' miope, nell'intolleranza diffusa alla democrazia, alle regole, alla legalita'. Biscione scopre insomma un paese culturalmente molto piu' di destra di quanto esso pensi di essere, prescindendo dagli esiti elettorali. Un paese in cui spicca la figura coraggiosa e di statista di Aldo Moro.
Con queste finalita' hanno operato (in tempi diversi, non fianco a fianco) da Tambroni in poi, l' estremismo neofascista figlio del livore dei repubblichini sconfitti ed esponenti della Resistenza. Servizi segreti, forze militari e carabinieri deviati completano il cast di coloro che diedero vita con la strage di piazza Fontana nel 1969 alla strategia della tensione e poi allo stragismo. Tutti elementi questi che, associati anche a sfrenate ambizioni personali, troveranno qualche anno dopo nella Loggia P2 il luogo di sublimazione, coinvolgendo anche Cosa Nostra e Banda della Magliana. Eppure, proprio la P2 produsse quello che per Biscione e' "uno dei documenti politici italiani piu' suggestivi del Novecento", meritevole di una "disamina analitica", "non privo di finezza giuridica" che "disegna il progetto di superamento della democrazia dei partiti nel momento di piu' ampio confronto tra Dc e Pci". Si riferisce al 'Piano di rinascita democratica' che Licio Gelli e il Gran Maestro Lino Salvini sottoposero all'allora Capo dello Stato Giovanni Leone nella versione piu' rozza e dittatoriale di 'Schema di massima per un risanamento generale del Paese'. Il Piano almeno per quanto riguarda il controllo dell'intelligence trovo' una diffusa applicazione.
Dall'interminabile elenco di assassini, bombe, attentati, e dal catalogo dei Giuseppe Aloia, Giuseppe Santovito, Vito Miceli, Guido Giannettini, Stefano Delle Chiaie, Umberto Federico D'Amato, Biscione estrapola il rapimento Moro, oggetto di un precedente libro con attenzione al ruolo di Israele e Unione Sovietica, e due episodi fondamentali del 1980, la strage alla stazione di Bologna e il disastro di Ustica, forse "collegati da una vicenda internazionale mai chiarita".
E il ruolo degli Stati Uniti? "C'e' una letteratura dietrologica che attribuisce agli Stati Uniti tutta la responsabilita', ma non e' cosi', le carogne sono italiane, gli strateghi la manovalanza della strategia della tensione sono italiani, la P2 e' tutta italiana; tuttavia gli Usa ci abbiano messo lo zampino in modo piu' o meno palese".
Biscione, lei fa anche riferimento a Craxi, "probabilmente il maggior esponente politico degli anni Ottanta" ed a Berlusconi, "combattente tenace, fantasione e capace di imparare dagli errori", personaggi non proprio amati dalla sinistra. "Beh, e' stato Berlusconi che ha creato il bipolarismo unificando uno dei due poli e costringendo le altre forze politiche a fare altrettanto; e poi e' riuscito a riportare la vittoria elettorale nel 2001. Berlusconi e' comunque la gemma di un lungo processo di cui non e' stato ancora trovato l' antidoto".
Il fatto di auspicare "piu' che la vittoria elettorale del centrosinistra" una ridefinizione "interna del centrodestra che ne valorizzi le correnti piu' coerenti con la tradizione istituzionale del paese", non rappresenta certo il passo indietro di uno storico di sinistra. "Ritengo piu' importante - spiega l'autore - la definizione di un quadro istituzionale corretto e rigoroso rispetto ad una vittoria del centrosinisra. Poi... vinca il migliore".

10 gennaio 2004 - CHI E' IL GIUDICE CORDOVA
"La Padania"
Chi è il giudice "punito"
In prima linea contro mafia e massoneria
Cordova arrivò a Napoli sull'onda di Tangentopoli accompagnato dalla reputazione di "duro", di essere uno che va avanti per la sua strada senza guardare in faccia a nessuno. E i suoi colleghi partenopei gli resero la vita tutt'altro che facile, quando si resero conto che quella fama non era usurpata. Agostino Cordova è nato in provincia di Reggio Calabria. Nel capoluogo, negli anni ´70, da giudice istruttore condusse una delle indagini più importanti sulla ´Ndrangheta, poi divenne procuratore di Palmi, nella piana di Gioia Tauro, e a partire dalla metà degli anni ´80 in poi, fu protagonista di inchieste clamorose. Arrivò a far sequestrare i terreni dove l´Enel voleva costruire la centrale a carbone, sospettando interessi mafiosi, mandò in galera politici e mafiosi e, soprattutto, dichiarò guerra ai "poteri occulti", alla Massoneria. Quell´inchiesta partì dall'indagine sulle attività di una piccola banca di Palmi: spuntò fuori la massoneria e da quel momento l´inchiesta si allargò coinvolgendo non solo Licio Gelli, capo della P2, ma la massoneria cosiddetta ufficiale. Cordova fece sequestrare gli elenchi di iscritti di tutte le logge e anche palazzo Giustiniani finì nella bufera. L´inchiesta, che gettò trepidazione nei palazzi della politica e dell'economia, alla fine venne stoppata. Nel ´92, prima di approdare a Napoli, Agostino Cordova si ritrovò candidato a dirigere la nascente Superprocura nazionale antimafia, in corsa con Giovanni Falcone, appoggiato anche da una parte della sinistra e di Magistratura democratica. Nel capoluogo campano venne accolto con molta ostilità perchè Cordova non aveva nascosto di considerare Napoli come la città principe della legalità. Clamorose le sue inchieste anche contro la giunta di Antonio Bassolino, col sindaco diessino, oggi governatore della Campania, indagato anche per svariate "disinvolture". Contro il procuratore scomodo si concentrò il fuoco di sbarramento: vennero persino organizzati scioperi contro di lui in tribunale e, alla fine, è arrivato l'allontanamento deciso dal Csm.

10 gennaio 2004 - ARGENTINA: MORTO STORICO PAVON PEREYRA, ACCUSO' P2
ANSA:
ARGENTINA: MORTO STORICO PAVON PEREYRA, ACCUSO' P2
Un infarto ha stroncato la vita di Enrique Pavon Pereyra, biografo dell'ex presidente argentino Juan Domingo Peron che conobbe quando aveva 22 anni. Lo scrive oggi il quotidiano 'Clarin'.
La figlia dello storico, che aveva 82 anni, Valeria, ha indicato che il padre aveva appena terminato di riordinare numerosi inediti e lettere di Peron che saranno pubblicati prossimamente.
Autore di 'Il diaro segreto di Peron' (1985), Pavon Pereyra getto' nel 1991 sospetti sulla P2 di Licio Gelli quale possibile responsabile per il taglio delle mani del cadavere del caudillo argentino, l'1 luglio 1987.
In occasione della chiusura dell'inchiesta ufficiale della magistratura argentina sulla misteriosa profanazione, nel 1991, Pavon Pereyra rilascio' una intervista al settimanale 'Gente' in cui sostenne che secondo lui la P2 si vendico' in questo modo per il rifiuto di Peron di pagare un forte debito contratto con essa per numerosi viaggi realizzati, anche in Italia, prima del suo ritorno al potere nel 1973.
Il debito, secondo lo storico, era di due milioni di dollari, ma la P2 ne chiese otto, e Peron disse di no.

13 gennaio 2004 - ANNO GIUDIZIARIO: MOVIMENTO GIUSTIZIA,NON SCORDARE DUCE E P2
ANSA:
ANNO GIUDIZIARIO: MOVIMENTO GIUSTIZIA,NON SCORDARE DUCE E P2
APPELLO A CITTADINI, NON PERDERE MEMORIA A DIFESA DEMOCRAZIA
"Non perdere la memoria, in difesa della democrazia". Non dimenticare quel che accadde alla magistratura sotto il fascismo e le riforme a cui la loggia massonica P2 voleva sottoporre l'ordine giudiziario. E' l'appello che il Movimento per la Giustizia, rivolge ai magistrati e a tutti i cittadini, chiamandoli alla "mobilitazione permanente in difesa dei principi costituzionali di legalita', di separazione dei poteri, dell'autonomia della magistratura e dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge".
L'invito e' contenuto in un volantino che la corrente di sinistra dei magistrati sta facendo distribuire in tutti gli uffici giudiziari italiani per l'inaugurazione dell'anno giudiziario e intitolato il "il dovere della memoria".
Il volantino riporta un passo della Cronaca della cerimonia dell'inaugurazione dell'anno giudiziario del 1940 (tratta dagli "Annali di diritto e procedura penale" della Storia d'Italia di Einaudi): davanti ai magistrati che acclamano il duce, l'allora ministro della giustizia afferma che "il magistrato attua il comando del legislatore". E Mussolini dice che nella sua concezione "non esiste una divisione dei poteri nell'ambito dello Stato... Il potere e' unitario : non c'e' piu' divisione, c'e' divisione di funzioni". Frasi evidenziate nel volantino in neretto e precedute da una significativa premessa: allora, ricorda il Movimento,"gia' da due anni, erano stati aboliti i discorsi inaugurali dei Procuratori Generali e l'apertura dell'anno giudiziario non avveniva piu' nelle aule di udienza ma a Palazzo Venezia, nelle sale attigue allo studio del Duce. L'abbandono dei luoghi istituzionali, la confusione tra sedi pubbliche, private e sedi di partito, la distruzione dei poteri indipendenti e di controllo, da tempo ormai non turbava piu' se non poche, tenaci, persone".
Dal fascismo si passa poi alla P2. Il volantino riporta i passaggi qualificanti sulla magistratura del piano di Rinascita di Licio Gelli, contenuti nella relazione della Commissione parlamentare di inchiesta : "þrapidi aggiustamenti legislativi che riconducano la giustizia alla sua tradizionale funzione di elemento di equilibrio della societa' e non gia' di eversione"; l' "urgente modifica dell'accesso in carriera della magistratura con esami psico-attitudinali preliminari"; "la responsabilita' del Guardasigilli verso il Parlamento sull'operato del P.M"; la "riforma costituzionale del CSM"; la "separazione delle carriere requirente e giudicante e un esperimento di elezione di magistrati", "criteri di selezione per merito delle promozione dei magistrati".
Il volantino si chiude con le parole pronunciate dall'ex capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro alla "giornata della giustizia" dell'Anm :"Ciascuno di noi, anche semplice cittadino, e' garante della Costituzioneþsi deve lottare per il vero ed il giusto anche se si ha la certezza di perdere". Affermazioni che, sottolinea il Movimento, "costituiscono per la magistratura italiana un monito ed una precisa indicazione etica".

14 gennaio 2004 - MISTERI PARMALAT E MISTERI CALVI
"Il Sole 24 Ore"
Le Coincidenze con i misteri di Calvi
Fabio Tamburini
Lussemburgo e ipotesi di riciclaggio, stretti legami con la politica, P2 e Vaticano, Sud America e Nicaragua, back to back e capitali misteriosi, società off-shore di ieri e di oggi: le inchieste sul crollo clamoroso della Parmalat stanno rivelando analogie con il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Semplici coincidenze? Oppure il re del latte, ben conosciuto per la profonda fede cattolica, e il banchiere alla guida di quella che era definita "la banca dei preti" hanno percorso pezzi degli stessi percorsi, sia pure a distanza di una ventina d'anni.
Certo la sensazione che il fallimento di Parmalat non sia soltanto un caso di Caporetto industriale e finanziaria è forte e acquista peso ogni giorno che passa perché si stanno delineando circostanze inquietanti. A partire dalla difficoltà di rispondere ad una domanda molto semplice: come è possibile che il gruppo abbia accumulato perdite così gigantesche? Ecco perché, ormai da un paio di settimane, l'attenzione è rivolta a verificare se c'è dell'altro.
E ogni segnale viene vagliato con estrema attenzione sia da chi sta seguendo le vicende Parmalat al massimo livello investigativo sia dalla task force dell'americana Sec, arrivata in Italia il 1 gennaio scorso. In più contribuiscono ad alimentare i sospetti la ricostruzione delle ultime mosse di Calisto Tanzi prima dell'arresto e capitali misteriosi che risultano dalle dichiarazioni rese ai magistrati dallo stesso imprenditore.
Vicende che ricordano alla memoria proprio il crack dell'Ambrosiano. Perchè Tanzi è volato in Svizzera e in Ecuador facendo tappa in Portogallo? E perché ha accreditato con il Sanpaolo Imi e negli interrogatori la possibilità che un imprenditore, Luigi Manieri, rilevasse asset del gruppo per 3,7 miliardi di euro all'inizio del dicembre scorso? Manieri smentisce seccamente i verbali di Tanzi ma, almeno per il momento, il giallo rimane.
Così come, vent'anni dopo, rimangono oscuri i veri motivi che spiegano il viaggio a Londra di Calvi. Il banchiere, dopo l'ultima cena a cui parteciparono Florio Fiorini, ex direttore finanziario dell'Eni nonché fondatore della Sasea, rilevata dal Credito svizzero e dal Vaticano, e Karl Kahane, l'uomo d'affari austriaco con interessi in mille faccende, passò gli ultimi giorni della sua vita nella capitale inglese. Con ogni probabilità, anche se non risultano conferme, cercava capitali di soccorso, stava tentando di organizzare investimenti significativi che sarebbero serviti a scongiurare, sia pure all'ultimo minuto, il crollo del gruppo. Il faccendiere Francesco Pazienza, tramite tra Calvi e l'allora capo del Sismi, Giuseppe Santovito, è arrivato ad evocare interventi dell'Opus Dei ma, in proposito, non esiste alcun riscontro.
Suscita curiosità la partecipazione di Calisto Tanzi al capitale di una finanziaria lanciata da Fiorini all'inizio degli anni Ottanta, la Sidit, Società italo-danubiana d'investimenti e trading, di cui era azionista anche l'austriaco Kahane. Proprio Sidit, come hanno scritto le cronache finanziare dell'anno 1983, doveva essere il veicolo del tentativo di salvataggio dell'Ambrosiano, di cui Fiorini è stato l'artefice. E sempre Tanzi ha rilevato dal patron di Sasea una società decotta, Odeon tv, con il carico di deficit per 90 miliardi di lire che ha rappresentato uno dei primi buchi, coperto ricorrendo a falsificazioni di bilancio.
Erano tempi in cui la triangolazione imprese, affari e politica generava rapporti perversi. Calvi, banchiere cattolico per definizione, finanziava massicciamente Pci e Psi. Tanzi, anche se non risultano prove di tangenti, ha sempre seguito passo dopo passo le campagne elettorali della Democrazia Cristiana e della opposizione. Ben conosciuti sono gli stretti legami con l'allora segretario della Dc, Ciriaco De Mita, che festeggiò nomine al vertice del potere brindando a casa di Tanzi, la cui Parmalat ha costruito una presenza industriale importante proprio nel feudo demitiano di Nusco, in provincia di Avellino.
L'elicottero dell'imprenditore era sempre disponibile per trasportare esponenti di spicco del mondo vaticano, tra cui monsignor Agostino Casaroli, in passato segretario di Stato. E Calvi aveva come partner privilegiato lo Ior, guidato da un altro monsignore influente: Paul Marcinkus, crocevia dei sospetti su una lunga serie di attività dell'Ambrosiano. Lo strumento, fin da allora, erano operazioni back to back, sospettate di coprire finanziamenti allo lor. Back to back che risultano ricorrenti, su altri versanti, tra società Parmalat. Il network di Tanzi spaziava dal Lussemburgo, sede della finanziaria capofila delle partecipazioni estere dell'Ambrosiano, utilizzata da Calvi per controllare il gruppo, al Centro e Sud America.
Nel primo caso il regno di Calvi era il Nicaragua, dove il gruppo controllava una delle maggiori banche del Paese e dove Parmalat stava considerando l'acquisto di due istituti. Per quanto riguarda il Sud America, invece, il ricordo del Banco Andino, in Perù, formidabile generatore di transazioni irregolari per conto di Calvi, è ancora ben presente, mentre Tanzi ha roccaforti in Brasile, Venezuela, Argentina, Ecuador, laboratori di operazioni sospette.
Ultime analogie: i rapporti con Giuseppe Ciarrapico e i revisori della Touche Ross, poi Deloitte Touche. Ciarrapico è stato processato per concorso in bancarotta fraudolenta nel crack dell'Ambrosiano. Tanzi ha accusato il presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, di avergli fatto acquistare la società di acque minerali Ciappazzi, controllata da Ciarrapico, ad un prezzo di gran lunga superiore al valore reale. Touche Ross, secondo Pazienza, è la società di revisione che nella sede londinese ha custodito un rapporto rimasto segreto sulle società estere dell'Ambrosiano. Deloitte Toúche è una delle due società di revisione della Parmalat.

15 gennaio 2004 - FRANCO FOSCHI RICOVERATO IN OSPEDALE
ANSA:
UDEUR: FRANCO FOSCHI RICOVERATO IN OSPEDALE, STA MEGLIO
EX MINISTRO DC COLPITO DA CRISI CARDIACA
Sono migliorate le condizioni dell' ex ministro democristiano del lavoro, ora passato all' Udeur, Franco Foschi, 72 anni, colpito ieri da una crisi cardiaca e ricoverato nell' ospedale cardiologico 'Lancisi' di Ancona. Stamane Foschi, che in passato aveva subito un intervento per l' impianto di by-pass, ha potuto ricevere la visita dei familiari.
Presidente del Centro nazionale di studi leopardiani ed assessore nella sua citta', Recanati, Foschi, ex parlamentare, ha aderito alla formazione di Mastella Udeur-Alleanza popolare che nei giorni scorsi lo aveva indicato come possibile candidato alle elezioni europee di giugno.

L' ex ministro del lavoro Franco Foschi, ricoverato ieri per un infarto nell' ospedale cardiologico 'Lancisi' di Ancona, e' fuori pericolo. Lo ha reso noto il consigliere regionale di Alleanza popolare-Udeur David Favia, dopo aver parlato con i sanitari.
La crisi, non grave, che ha colpito l' ex parlamentare e' stata complicata da un edema polmonare, ma le condizioni del paziente sono migliorate al punto da rendere possibile il suo trasferimento dall' Unita' di terapia intensiva coronarica al reparto.

20 gennaio 2004 - LA PADANIA SU CORDOVA
"La Padania"
PARLA IL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI NAPOLI
INTERESSI POLITICI E CORPORATIVI CONTRO L'ONESTÀ DI CORDOVA
SIMONE GIRARDIN
Il 9 gennaio scrisse una lettera aperta al nostro quotidiano per congratularsi con il ministro della Giustizia Roberto Castelli per il suo intervento a Napoli in occasione della cerimonia delle "Toghe d'oro" dell'avvocatura partenopea. Uno scritto quello di Angelica Di Giovanni, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, il più grande d'Italia, nel quale faceva un accorato appello al Guardasigilli perchè "difenda fino in fondo la seria e onesta operosità del procuratore generale Agostino Cordova che interessi trasversali vogliono "spazzar via"".
Di Giovanni torna a parlare con "la Padania" di quella lettera e della coraggiosa volontà di Castelli nella tutela di chi "come me e tanti altri magistrati - ricorda il presidente del Tribunale di Sorveglianza - è oggetto di pesanti forme di strumentalizzazioni corporative".
E' riuscito a parlare con il Guardasigilli?
"Non ancora, purtroppo. Durante la sua visita a Napoli non sono riuscita ad avvicinarmi per parlargli. Spero di incontrarlo presto così da potergli portare la mia solidarietà e il mio appoggio. Durante la cerimonia il ministro Castelli ha fatto un intervento coraggioso, forte, onesto. Sta facendo un lavoro eccellente, questo la gente deve saperlo".
Dottoressa Di Giovanni, perchè questa presa di posizione a favore del ministro della Giustizia Roberto Castelli sul caso Cordova?
"Semplicemente perchè il Guardasigilli ha ragione. Castelli è stato chiaro: il Csm non gli ha mai fatto pervenire il nome del possibile successore del pg Cordova. Quando l'ha detto, la sala è ammutolita. Non se lo aspettavano. Il Consiglio Superiore della magistratura non aveva indicato nessuno. Come non si aspettavano una così forte presa di posizione di rivendicazione sull'autonomia decisionale. Il ministro si assume la responsabilità di quella firma. Spetta a lui l'ultima parola. Va poi ricordato che la stampa locale e nazionale è stata molto dura nei confronti del ministro, arrivando ad accusarlo di fatti inesatti. Una campagna diffamatoria in piena regola. In più, durante la cerimonia molti magistrati si sono avvicinati al Guardasigilli per convincerlo a smuovere la situazione alla Procura di Napoli. Roba d'altri tempi".
Presidente, ma perchè questo accanimento nei confronti del procuratore Cordova?
"Ci sono una miriade di interessi trasversali che oggi si sono congiunti. Vogliono la testa di Cordova. Guardi, le dico una cosa sola. Sulla questione sono intervenuti due accademici di grande fama: il professore Antonio Guarino e il professor Franco Casavola (presidente emerito della Corte Costituzionale, ndr). Quest'ultimo ha detto chiaramente a Cordova: "Mettiti da parte". Guarino invece disse che le azioni disciplinari nei confronti del procuratore potevano anche essere ingiuste ma Cordova le "doveva accettare". Non è possibile che due professori, che per tutta la vita ci hanno insegnato a promuovere la tutela del diritto di difesa, si mettano ora a criticare tale diritto. Mi spieghino perchè il procuratore Cordova non possa esercitarlo?".
Poco fa ha parlato di interessi trasversali. Quali sarebbero?
"Il presidente della giunta regionale rilasciò un'intervista in cui disse che la situazione alla Procura di Napoli aveva raggiunto livelli insostenibili per colpa del ministro Castelli e del pg Cordova, affermando che la Procura non lavorava e non contrastava la camorra. Sapete chi è quel presidente?".
Certo, il diessino Antonio Bassolino.
"Ecco. Qualcuno mi spieghi allora a che titolo parla Bassolino? Chi è per intervenire in questa storia? Perchè non ha parlato prima? Fino al 2001 Cordova era considerato il migliore del mondo e oggi invece... Allora basta mischiare politica e giustizia".
Accuse pesanti quelle dell'esponente dei Ds?
"Sì ma totalmente prive di ogni fondamento. I pm di Napoli, proprio l'altro giorno, l'hanno clamorosamente sbugiardato ricordando come gli arresti siano aumentati del 23 per cento, e i procedimenti pendenti, 450mila nel 2002, oggi sono 370mila. La Procura non ha mai abbassato la guardia, lavorando sempre con estrema professionalità. Ecco perchè le accuse a Cordova e allo stesso Castelli sono infondate e fuori luogo. Anzi questi pochi dati ci dicono che con il procuratore Cordova si è lavorato molto e con grande serietà e responsabilità".
Ma c'è o no questa incompatibilità per Cordova?
"Ma non scherziamo. Cordova andò all'Antimafia e non disse mai nessuno nome di magistrato. Parlò solo dei casi, fu poi il Csm a fare l'elenco dei nomi".
Come crede che andrà a finire il "caso Cordova"?
"Non posso saperlo. Spero nel migliore dei modi".
E cioè?
Non l'ha capito? Mi sembra di essere stata chiara. La mia speranza si chiama Roberto Castelli".
Facciamo un passo indietro. Nella sua lettera aperta pubblicata dal nostro quotidiano il 9 gennaio disse che ci sono numerosi magistrati che sono oggetto di pesanti forme di strumentalizzazioni corporative. Che cosa voleva dire?
"Tra questi ci sono io stessa. Quando fui oggetto di attacchi e strumentalizzazioni per alcune mie dichiarazioni o iniziative, nessuna delle associazioni dei magistrati mosse un dito in mia difesa".
Si dice che la Procura di Napoli sia allo sbando, è vero?
"Sono alcuni giornali che lo dicono. E' la prova che si sono superati tutti i limiti. Ma chi lo dice vorrei che lo argomentasse con dati e prove concrete. Forse è allo sfascio perchè il ministro Castelli non ha firmato?".
Come presidente del Tribunale di sorveglianza più grande del Paese, quali sono i problemi principali che deve quotidianamente affrontare?
"La mancanza di personale qualificato e di mezzi adeguati rende il nostro lavoro certamente più difficile. Sono gli stessi problemi che si riscontrano in altri tribunali anche se credo che i veri problemi siano soprattutto culturali".
In che senso, mi scusi?
"Nel senso che dobbiamo renderci conto che bisogna investire risorse e capacità affinchè le pene siano certe e fondate. I tempi processuali devono essere dimezzati, ma naturalmente con tutte le garanzie del caso. Questa è la vera sfida per la giustizia italiana".
Secondo lei, quale deve essere la strada da seguire per sconfiggere una volta per tutte la piaga della "giustizia politicizzata"?
"Il discorso è molto complesso. Credo che ci vorrà molto tempo per migliorare l'attuale situazione ma la strada della separazione delle funzioni e delle carriere è l'unica percorribile".
Cambiamo argomento. Condivide la posizione del ministro Castelli sul caso Sofri?
"E' una storia su cui si fa molta confusione con politici che continuano a spostare la questione dal giuridico al sociale. Questo è sbagliato, e il Guardasigilli l'ha ricordato. Siamo davanti ad una sentenza definitiva e solo la grazia può restituirgli la libertà. Ma ricordo che il ministro della Giustizia non può firmare nulla se prima non ha il parere proprio del magistrato di sorveglianza. E l'ha?".

20 gennaio 2004 - BOSSI SU NUOVA P2
"La Repubblica"
Intervista a Bossi: i poteri forti dell'economia
e della politica romana non ci fermeranno
Il Senatur accusa la "nuova P2":
giovedì devolution, o tutti a casa
Ruini? No comment, non parlo del Vaticano
Certo ci sono mondi contrari al governo Berlusconi
di GUIDO PASSALACQUA
MILANO - Dopo due giorni a letto con l'influenza Umberto Bossi ritorna in pista e accusa quella che lui definisce "una nuova P2", un misto di poteri forti politico-economici che puntano a fare saltare gli equilibri governativi, a sabotare la riforma federalista. Bossi ne ha per tutti, ma contemporaneamente sta bene attento a non chiudersi le porte alle spalle. Si vedrà giovedì in Senato e domenica mattina in piazza a Milano, durante il corteo e comizio per il federalismo.
Ministro Bossi, il cardinale Ruini ha detto che le riforme vanno perseguite "senza nemmeno mettere apparentemente in discussione l'unità nazionale". Che ne dice?
"Io non parlo del Vaticano. Io le dico che il governo Berlusconi è favorevole a fare le riforme. Certo ci sono mondi che non sono favorevoli alle riforme, anzi che non sono favorevoli al governo Berlusconi".
Ma vuole dividere l'Italia in tre macroregioni, come diceva Miglio? Sta rifacendo il Parlamento del Nord?
"Ma quale Parlamento del Nord. Quelli che ipotizzo sono solo dei coordinamenti politici, cose di tipo consultivo".
Che si tratti di una sorta del Parlamento del Nord lo dicono i suoi alleati.
"Se così fosse sarebbero molto poco alleati. Stiamo parlando di assemblee consultive".
Venerdì sera lei a Brescia era moderatamente soddisfatto, passate poche ore c'è stato un fuoco di sbarramento da parte di An e Udc.
"Vedo che ci sono segnali che qualcuno non vuole fare le riforme. Ma questa cosa non esiste, non esisterà. Altrimenti li dovrò considerare alleati riluttanti. Cioè alleati molto poco".
Non è che lei abbia molto tempo, giovedì si vota la devoluzione nell'aula del Senato, sarà la prima prova del nove.
"Se non passa si va a casa subito".
La sinistra l'accusa di sfasciare il paese.
"Sono scemi. Se loro stanno a sentire Violante..."
La sua strategia politica?
"Ma che strategia, penso al Nord che mantiene il Paese".
An ha dei dubbi, idem l'Udc, ma su cosa vi siete trovati d'accordo in commissione Affari costituzionali?
"Le dico che se non passa in aula, se non mantengono la parola...".
Si parla di uno scambio tra devoluzione e verifica di governo.
"Ma che. Se non passa questa volta... Del resto, se non si arriva al risultato attraverso le riforme, allora vuole dire che non c'è più da sperare. Se a metà settimana non passa in aula la devoluzione, vuole dire che ognuno è libero di andare per la sua strada".
Cioè?
"Sarà chiaro a tutti chi è Berlusconi, chi è Fini, chi è Follini, chi è Casini".
Ma lei è disponibile a eventuali emendamenti in aula?
"Ma insomma, non c'è niente da emendare. Alla sinistra abbiamo già dato tutto".
Sulla devoluzione c'è stato un fuoco di sbarramento da parte dei principali quotidiani italiani.
"Sappiamo chi sono. E non mi illudo che siano favorevoli al Nord. Magari ci sono uomini collegati a quelle parti che sono interni al Nord. Ma io le dico che c'è un nuovo gruppo, la potrei definire la nuova P2, che è organizzata trasversalmente, che mira a fare pasticci e imbrogli".
C'è chi sta sabotando le riforme all'interno della coalizione?
"No, non mi pare che all'interno della maggioranza ci siano cose di questo tipo. Certo, le riforme si devono fare. Ma insisto: c'è un coacervo forte di tipo economico e politico che vuole i soldi e che è trasversale alla politica".
La riforma federalista passerà al Senato?
"Io mi aspetto che passi. Se non passerà, saranno i fatti a parlare. Non posso pensare che vinca la nuova P2 che sta cercando di metterci in difficoltà. Non c'è il minimo dubbio che la riforma passerà, altrimenti il Nord batterà un'altra strada. Certo che è fatale che non ci si trovi sulla stessa lunghezza d'onda del mondo romano".

"Il Corriere della sera"
Bossi: la nuova P2 non vincerà. Tutti a casa se non passa la riforma
MILANO - "Nessun emendamento. Alla sinistra abbiamo già dato tanto in Commissione. Ora non resta che approvare la riforma federalista anche in Aula. Altrimenti avrà vinto la nuova P2". Umberto Bossi sente aria di "complotto". Min istro, non c'è solo il centrosinistra sulle barricate: i suoi alleati, An e Udc, non sono affatto contenti. Anzi: minacciano di non dare il via libera al federalismo.
"Se è così li dovrò considerare alleati riluttanti... cioè alleati... ma molto poco o per nulla".
C'è un bel fuoco di sbarramento: il federalismo alla padana non piace.
"In effetti osservo segnali non belli: qualcuno non vuole il federalismo; ma questa cosa proprio non esiste".
Che cosa intende dire? Che cosa non esiste?
"La riforma si fa, punto e basta. L'hanno votata in Commissione e adesso cambiano improvvisamente rotta? Non ha senso: ma se davvero anche i miei alleati dovessero comportarsi così, ebbene allora sarà chiaro a tutti chi è Berlusconi, chi è Casini, chi è Fini, chi è Follini".
Da giovedì l'Aula: se il federalismo fosse bocciato?
"Le conseguenze sarebbero immediate. Tutti a casa e ognuno per la propria strada".
Alleanza nazionale e Udc mettono sotto accusa il cosiddetto Parlamento del Nord: spacca l'unità nazionale.
"Ma quale Parlamento del Nord... quale spaccatura dell'unità nazionale... nel disegno di legge si parla di organo consultivo a livello macroregionale. Non di organo legislativo o deliberativo. Se davvero la riforma prevedesse un Parlamento del Nord le cose sarebbero, sì, diverse. Ma non è questo il contenuto del disegno di legge che, ripeto, è già stato votato in Commissione e che traduce il contenuto degli accordi fra i partiti della Casa delle Libertà. Se non mantengono la parola, se tradiscono i patti, se si rimangiano il voto già dato in Commissione significherà che non ci sarà più nulla da sperare e ci sentiremo liberi. E poi non posso pensare che vinca la nuova P2".
A chi e a che cosa si riferisce? Che cosa sarebbe questa nuova P2?
"E' sotto gli occhi di tutti".
Ovvero?
"Una organizzazione trasversale agli schieramenti che mira a combinare pasticci e imbrogli".
Sia più chiaro?
"Un coacervo politico, economico, editoriale contrario alle riforme. Uno schieramento politico che punta ad arraffare i soldi. Un nuovo gruppo, io la chiamo una nuova P2".
Molti l'accusano di volere sfasciare il Paese.
"Sono scemi. E del resto stanno a sentire Violante e soci... La verità è che la riforma comincia a realizzare il vecchio sogno risorgimentale della unità nella diversità. Non vi è proprio nessuna spaccatura o rottura del Paese".
Il Senato, secondo lei, approverà il federalismo?
"Continuo a sperare di sì e a respingere l'idea che rivinca la prepotenza di una nuova P2. Chi si assume la responsabilità di non rispettare i patti? Chi va a spiegare che, prima, in Commissione si è approvato e poi ci si è rimangiato tutto? Sono curioso di vedere le facce dei miei alleati e sono curioso di vedere se per davvero si mostreranno molto ma molto poco alleati".
Il cardinale Ruini...
"Ah no, del Vaticano non parlo".
Il cardinale Ruini ha espresso la convinzione che le riforme non possono dividere il Paese.
"No, no, no. Del Vaticano non parlo. Io so che ci sono certi mondi non favorevoli alle riforme e non favorevoli al governo Berlusconi. Ma del Vaticano non so proprio niente".
Fabio Cavalera

21 gennaio 2004 - PARMALAT: FLORIO FIORINI
ANSA:
FLORIO FIORINI: IO IL LAVANDAIO, TANZI E I BANCHIERI
INTERVISTA AL SOLE 24 ORE
"Com'e' pensabile che una societa' di revisione abbia creduto che Parmalat avesse un deposito presso una sola banca, quando lavorava con moltissime banche? Una banca la prima cosa che ti chiede di versargli e' la liquidita'. Che e' cio' su cui guadagna ". Chi parla e' Florio Fiorini che, in un'intervista al SOLE 24 ORE, rievoca i rapporti con Calisto Tanzi fin dai tempi in cui ricopriva la carica di direttore finanziario dell'Eni. "Il banchiere interviene al momento della decisione del finanziamento - continua Fiorini -. Ma se il bilancio della societa' beneficiaria e' falso, non e'certo colpa della banca. E' impossibile che tutte le banche siano state complici di Tanzi. Probabilmente questi di Bank of America non sono del tutto puliti. Se falsifico il documento di qualcuno debbo avere un'arma di ricatto. Altrimenti sarei un matto".
Alla domanda del quotidiano della Confindustria: "In Sasea lei s'e' imbattuto in qualcuna di queste banche? (Banca di Roma, Comit, Bnl e Monte dei Paschi) " Fiorini risponde: "Lavoravamo con tutte. Ma il nostro rapporto era fondamentalmente diverso. Io facevo il lavandaio e lo dichiaravo apertamente. Era un mestiere pericoloso: prendevo le aziende vecchie e malate e cercavo di rimetterle in sesto per guadagnarci. Rendevamo servizi alle banche, alle societa' assicurative e anche a qualche azienda industriale. Ma le banche prima di darci i soldi ci pensavano su quattro volte".
Alla domanda, infine, "Vede analogie tra il crack Parmalat e quello dell'Ambrosiano?" Fiorini afferma: "L'Ambrosiano falli' perche' Calvi aveva comperato il controllo della banca attraverso fiduciarie panamensi che erano state finanziate dallo stesso Ambrosiano. Questo determino' un buco che Calvi credeva di poter rimborsare, ma che invece ando' ingigantendosi per la svalutazione del dollaro e l'esplosione dei tassi d'interesse. (...) Per me, Tanzi non era Calvi. E il ragionier Tonna non era ne' Licio Gelli ne' Umberto Ortolani".

23 gennaio 2004 – STAJANO SULL’ UNITA’
"L' Unita'"
Se società fa rima con civiltà
di Corrado Stajano
Dunque, il presidente del Senato Pera è andato a far visita alla tomba di Craxi di Hammamet e sul libro d'onore ha scritto: "Per una memoria unita degli italiani". Chissà che cosa avrebbe scritto dieci anni fa quando era un "giustizialista" furibondo e affidava alla Stampa i suoi pensieri in difesa dei giudici di Milano bollando con parole scarlatte la corruzione, i partiti mangiastato, il malandrinaggio che infestava la Repubblica. Si è revisionato da sé. Adesso dice e scrive tutto il contrario, sempre con toni accesi. Non è vietato. Anche Picasso ha avuto il periodo blu, il periodo rosa. Di recente il presidente del Senato ha fatto sfoggio delle sue ricordanze sul tema dell'antifascismo e della Resistenza: è arrivato il momento, ha detto, di mettere in discussione quel mito, di abbandonarlo, di pensare soltanto a scrivere la storia. Mentre Fini, l'alleato, parlava del fascismo come del male assoluto.
La memoria è un punto forte di Pera. Dev'essere un estimatore di Proust, di Joyce, di Rilke, di Alain Fournier. Chissà se ricorda ancora quel che alla Camera dei deputati disse Craxi il 10 luglio 1981, pochi mesi dopo la scoperta delle carte della P2, nei giorni successivi al tentato suicidio nel carcere di Lodi del banchiere Calvi: "Straordinaria è la crisi che investe la Borsa di Milano, in preda al panico e all'avventura. I giornali di ieri hanno titolato le vicende della Borsa milanese ricordando Caporetto, non in senso figurativo, ma riandando al reale precedente storico, che pare appunto risalire alla giornata che nel 1917 seguì la sconfitta militare". (...) "Quando si mettono le manette, senza alcun obbligo di legge, o senza ricorrere ad istituti di cautela, che pure la legge prevede, a finanzieri che rappresentano in modo diretto o indiretto gruppi che contano per quasi metà del listino di Borsa, è difficile non prevedere incontrollabili reazioni psicologiche e varchi aperti per le correnti speculative che si sono messe al galoppo. La verità è che, contemporaneamente, assistiamo all'intrecciarsi di torbide manovre di potere attorno a grandi giornali, a grandi banche, a grandi gruppi finanziari".
Sappiamo quel che è accaduto dopo. Il banchiere Calvi appeso - assassinato - a un pilone del Blackfriars bridge di Londra nel giugno 1982, la stagione del terrorismo sanguinario, Craxi presidente del Consiglio nel 1983, la grande corruzione nella famosa "Milano da bere", con l'ufficio di Craxi diventato la più importante centrale delle mazzette, un va e vieni da stazione ferroviaria, in piazza del Duomo 19 dove adesso Forza Italia, gli eredi, vorrebbero murare una lapide celebrativa dedicata allo statista. Vicino a un'altra lapide, quella che ricorda Turati e la Kuliscioff, inquilini nella stessa casa sopra i portici settentrionali della Galleria.
Nella Milano di allora le tariffe delle tangenti erano di pubblico dominio, Silvano Larini, l'eminenza grigia di Craxi, ha rivelato ai giudici i particolari più minuti. E anche tanti altri l'hanno fatto e le carte parlano. Le sentenze di condanna di Craxi sono passate in giudicato.
Il ladrocinio era palpabile e quel che allora accadde non può non far venire in mente la cupa vicenda della Parmalat, con il suo groviglio di bond e di finzione, le compravendite di titoli inesistenti, i contratti fiduciari, le falsificazioni, l'uso delle società off-shore, le complicità e le coperture politiche e amministrative che non possono non sussistere in un meccanismo così complicato come quello di Collecchio. Vittime i risparmiatori imbrogliati o malconsigliati dalle banche come ai tempi del crac delle banche di Sindona e del Banco Ambrosiano di Calvi, ma in una dimensione assai più ampia, e con loro i contadini sudamericani, i produttori di latte, i lavoratori delle aziende sparse in tutto il mondo, la miriade di società dell'indotto.
Vent'anni fa le reazioni dei cittadini che comprendevano di vivere in una società profondamente corrotta furono lente, difficili da esprimere. Come oggi: cominciano adesso le prese di coscienza, le proteste. A Milano, dopo l'83-'84 la ribellione, mentre stava cambiando l'assetto sociale, fu sotterranea e timida, poi più aperta, coraggiosa e diffusa. Uno dei segni, forse il più rilevante, fu nel 1985 la nascita del Circolo Società civile, 101 soci fondatori, 400 venuti dopo, grandi nomi e piccoli nomi, in buona parte la borghesia responsabile della città che rifiutava le pratiche corrotte di quella politica della spettacolarizzazione, manifestava disagio profondo nei confronti dei partiti che su tutto quanto volevano imporre le loro decisioni e la loro prepotenza. Il Circolo non nasceva contro i politici-irritati, furiosi - ma in nome di una nuova politica. Lo statuto non mitizzava il concetto di società civile che non spuntava certo allora (August Ludwig von Schlozer, 1794) rifiutava l'idea che tutto quanto è fuori dai partiti fosse per se stesso civile, escludeva i politici di professione perché hanno altri spazi per esprimersi, denunziava il malaffare, sosteneva l'importenza sociale e politica della questione morale. Nando Dalla Chiesa ne fu l'anima. Un mensile, Società civile, pubblicato per quasi dieci anni con difficoltà di ogni genere fu una libera voce odiata dai profittatori e dagli speculatori. Manifestazioni, dibattiti, convengi su temi scottanti ravvivarono una città malandata, mezza morta, proprio come adesso.
Mani Pulite, nel 1992, rappresentò una liberazione. Da anni, ormai, si tenta di immiserire l'inchiesta, dimenticando in modo impudico la ruberia generalizzata che infettò le fondamenta di una città, la capitale morale: 4520 indagati per corruzione, concussione, altri reati; 3200 soltanto a Milano; 1400 condannati spesso confessi. La coda, davanti agli uffici della Procura della Repubblica, di imprenditori soprattutto, che volevano confessare, liberarsi da un peso e smettere di pagar mazzette, era interminabile. Con loro, amministratori pubblici, guardie di finanza di grado alto e basso e politici, soliti incontrarsi periodicamente tutti quanti intorno a un tavolo per dividersi le percentuali sugli appalti. Per il partito o per se stessi. Come si può dieci anni dopo negare ancora l'evidenza, mentire in modo spudorato, dare a un'inchiesta giudiziaria, con luci e ombre, significati falsi tentando di trasformarla nello strumento di un complotto contro il sistema politico? Seguitando a perseguitare i magistrati - avviene dal 1994 -, senza aver approvato una sola legge contro la corruzione, senza aver posto mai al primo posto delle cose da fare la legalità, il rispetto della legge che in uno stato di diritto è uguale per tutti.

23 gennaio 2003 – BARBATO DI 10 ANNI FA
"L' Unita'"
Il fascino pericoloso dell'uomo di Arcore
di Andrea Barbato
Questo articolo è stato pubblicato dieci anni fa sull'Unità, il giorno della discesa in campo di Berlusconi.
Arriva, volando sull'onda elettronica come una Mary Poppins della politica, l'uomo di Arcore. Arriva già preconfezionato, precotto, in kit di montaggio, istruzioni incluse. Uguali come clonazioni, parlano le cassette registrate, non l'uomo in carne e ossa: non siamo nell'era dei messaggi? E del resto, in un'occasione ufficiale come una dichiarazione di guerra, perché sottoporsi a domande, tanto più se si possiedono personalmente microfoni e telecamere? Così, l'Italia pre-elettorale ascolta il sermone del replicante, magari cerca di articolarlo e spezzettarlo, ma il risultato è lo stesso. Forse si può partire da qui, da questa singolare scelta dell'autointervista, per cercare di capire chi è l'uomo del destino, e di indovinare se quello splendido villone brianzolo dai viali innevati sarà una Versailles o una Sant'Elena. Forse Berlusconi (insieme al diversissimo Di Pietro) è il personaggio più popolare d'Italia: e anzi ci sembra di ricordare un'indagine d'opinione nella quale precedeva - nella classifica di celebrità di tutti i tempi - addirittura Gesù Cristo. È diventato quasi un sinonimo: di abilità imprenditoriale, di successo rapido. Agnelli si nasce, Berlusconi si diventa. Ecco l'esempio pratico di come chiunque, con laboriosità spregiudicata, potrebbe diventare miliardario, tirare le fila di quel grande teatro dei burattini che è l'universo dell'informazione e dello spettacolo, mettere in riga i potenti magari esaudendo i loro desideri, e in fine presentarsi come il salvatore della patria, il raddrizzatore dei torti, la fata del libero mercato, il mago che può salvarci dal fisco incontentabile, ma soprattutto dal totalitarismo statalista e collettivista.
Piano-bar e finanza
Che si vuole di più? Di Berlusconi, gli italiani sanno tutto: la sua carriera, il suo passato di intrattenitore da crociera, l'edilizia, i quartieri residenziali milanesi, il gran salto nell'affare televisivo, l'infortunio della iscrizione alla P2, la conquista della Mondadori e della Standa, l'estensione di un immenso impero economico-finanziario sia pure lesionato da debiti immani, i successi sportivi con il Milan... C'è poco da raccontare, in una biografia così pubblica, che si svolge tutta all'aperto, sotto gli occhi di una folla che è anche utente e spettatrice. Cosa rivelare che già non si sappia sulle riunioni di Arcore, sulle amicizie politiche, sugli aneddoti personali? Berlusconi è stato senza dubbio, nel bene e nel male, il protagonista degli anni Ottanta, decennio di ascese e cadute, di spregiudicatezze e di rampantismo, di grinta e di complotti. Oggi che Berlusconi si ricicla, si propone come uomo nuovo, bisognerebbe ricordargli (ma si può dialogare con una cassetta magnetica?) che mai nessuno è stato fortunato come lui nei rapporti con la vecchia classe politica, quella che gli italiani dovrebbero essere chiamati a seppellire. Nessuno ha goduto dell'appoggio più diretto del lungo governo del suo strettissimo amico Craxi e dei suoi alleati dc, durante la IX legislatura. Prima con l'assenza di leggi, poi con leggi e decreti favorevoli, il tutto in una materia - la comunicazione - che è strettamente legata al consenso, alla manipolazione delle idee, e quindi in ultima analisi alle scelte politiche. Berlusconi ha avuto l'intuito e l'abilità di non indossare un'uniforme, di non percorrere la strada maestra del fiancheggiamento. Ha usato la benzina politica per crearsi una sua macchina particolare, colorata, sfavillante. Ha ricercato con meticolosità i gusti, le attese, le debolezze, i desideri della platea, e ha fatto di tutto per soddisfarli.
L'ingrediente soft
Il meccanismo è semplice e geniale: io somiglio a voi tutti, e vi do quello che chiedete e vi aspettate, e noi tutti cresciamo insieme e ci somigliamo sempre di più. Se questo ingranaggio fosse applicato (come accade nella storia) a pulsioni nazionalistiche, o militaresche, o etniche, o religiose, si avrebbe un regime di tipo mediorientale o sudamericano. Ma Berlusconi, nel trasferirlo in politica, si è portato via il suo materiale soffice: il consumo, l'applauso, il sorriso a tutta bocca, l'ammiccamento, la risata. Non è difficile, nell'Italia melensa e immemore, trasformare tutto questo in progetto, club di buongoverno, tricolore di Forza Italia. Dunque, sul fondo, c'è un'ideologia berlusconiana. Parte dal denaro, si occupa del denaro, arriva al denaro. Ma Paperone non c'entra: ora sappiamo che l'oro è anche uno strumento di potere. Prima di tutto, per difendere l'oro stesso, minacciato da statalismi, concorrenze, sinistrismi. Poi, per stimolare quel mondo di marionette litigiose che, visto da Arcore o dall'elicottero della Fininvest, sembra essere il mondo politico. Un mondo di ietti, ambiziosi, straccioni, incapaci di comunicare. Lui, Berlusconi, ha i soldi, che da sempre muovono la politica. Ma ha anche gli strumenti della comunicazione, che sono i mattoni del consenso. Le idee diverse, il pluralismo? Sono utili alle aziende, muovono la scena: non ci sarebbe Otello senza Iago, ma Iago è pur sempre il tortuoso traditore. Meglio rinchiudere tutto nella confezione di una cassetta.Su Berlusconi sono state scritte biografie, alcune perfide, altre agiografiche.
Disprezzo per la politica
Il suo stile sbrigativo piace a molti, che forse confondono quel carattere, così utile a un imprenditore, per una promettente qualità politica. Sarebbe anche lungo elencare le ragioni degli altri, di quelli che hanno riflettuto sui pericoli dell'ingresso di Berlusconi in un'area che in marzo potrebbe arrivare addirittura al governo. Si possono diluire i propri interessi personali negli interessi generali? Ci sarà una grave confusione fra chi sarà chiamato a decidere e chi beneficerà di quelle decisioni? Ci può essere lealtà competitiva se uno dei concorrenti dispone - malgrado rinunce formali - di un grandioso apparato di imbonimento, una fabbrica di cassette e di opinioni in cassetta? E su quale idea delle libertà, della società, dell'etica, della solidarietà, delle passioni civili, è fondato un progetto politico che sembra scritto su un fissato bollato? Si può fondare un movimento utile e duraturo basandolo sulla paura di qualcosa che non c'è (il comunismo), sulla caricatura degli avversari, su fantasiose promesse fiscali, su vaghezze nominali come la liberal-democrazia, su regole di mercato che lo stesso gruppo ha allegramente eluso e violato negli anni, sull'unico ideale del consumo...? Consumo di speranze, colori, musiche... La vita non è un quiz, l'amministrazione pubblica non è le ruota della fortuna, le idee della gente non sono un karaoke. Se il successo di Berlusconi invita a riflettere (anche sulla sua indubbia bravura) e rispecchia un'Italia che vorrebbe essere spensierata e spregiudicata anche a costo di chiudere gli occhi, è l'ambizione di Berlusconi il nuovo dato da esaminare, perché un uomo che ha già tutto gioca una partita così grossa e rischiosa? Le risposte possibili sono molte. Perché solo così può sperare di salvare ciò che ha. Perché è sempre stato un giocatore. Perché disprezza la politica. Perché il potere che ha non gli basta più. O, infine, perché crede in quel che dice. Fra tutte, questa, sarebbe la risposta più allarmante. Sbaglia chi contesta a Berlusconi il diritto di impegnarsi in politica. Sbagliano quei politici che vogliono scoraggiarlo per gelosia o per spirito corporativo. Sbaglia chi lo attacca sui lati privati o personali. Ma sbaglia anche, chi pensa di votare per lui.

25 gennaio 2004 - PECORARO A BOSSI,SE PARLI MASSONERIA RICORDA ANCHE P2
ANSA:
VERDI: PECORARO A BOSSI,SE PARLI MASSONERIA RICORDA ANCHE P2
IGNOBILE IL SUO ATTACCO A CIAMPI. COMIZIO ISTERICO
«L'isterico comizio di Milano e gli ignobili attacchi della Lega al Presidente della Repubblica Ciampi rappresentano la reazione di un partito che, dietro gli insulti e le parate in strada, cerca di nascondere il suo totale fallimento al governo». E' la replica del presidente dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio alle affermazioni degli esponenti leghisti nel corso della manifestazione di Milano.
«Suona peraltro paradossale che Bossi parli di massoneria - aggiunge - dimenticando i noti rapporti tra Berlusconi e la loggia deviata P2...».

31 gennaio 2004 - BANCA D'ITALIA E TESORO IN CASI CALVI E SINDONA
"Il Riformista"
CORSI&RICORSI. QUANDO BANCA D'ITALIA E TESORO COLLABORAVANO
Prima Carli-La Malfa, poi Ciampi-Andreatta Due coppie di ferro contro Sindona e Calvi
Via Nazionale bloccò la manovra del finanziere siciliano e via XX Settembre non riunì per il mesi il Cicr
Forse il "metodo Aspen" non piace al Cavaliere. Magari più realisticamente a non gradire è l'ala democristiana di Forza Italia: teme un asse Tremonti-Ciampi "per servirci Giuliano Amato alla Banca d'Italia senza che neppure ce ne accorgiamo", stando alle parole sussurrate a margine del consiglio dei ministri di giovedì 29 gennaio. O più probabilmente sulla riforma delle autorità per il risparmio Silvio Berlusconi sfrutta il classico stop and go tipico delle fasi di verifica: l'affaire Parmalat-Cirio va infatti disgraziatamente a intrecciarsi con i problemi ministeriali di Gianfranco Fini e con le aspirazioni di Marco Follini. Resta il fatto che le modifiche al progetto iniziale rischiano di creare un rimedio peggiore del male.
Le competenze sulla concorrenza bancaria verrebbero sì trasferite all'Antitrust, ma poi ci sarebbe l'obbligo di chiedere a Bankitalia un parere preventivo (secondo An, vincolante) su tutte le operazioni. Mentre restano in dubbio i poteri della SuperConsob: potrà per esempio muovere la Guardia di Finanza? In altri termini, c'è il fondato timore che i veleni corsi a fiumi negli ultimi mesi tra Via Venti Settembre e Via Nazionale inquinino abbondantemente la riforma. Esempio: perché la vigilanza non vigilava? Ahi sì? E perché la Finanza non ispezionava?
Eppure non è affatto vero che la separazione, o peggio la incomunicabilità, tra ruoli e palazzi sia congenita a queste istituzioni, e debba perpetuarsi un meccanismo di sospettosi veti reciproci e controlli incrociati. Il problema è di sostanza. E la storia ci racconta che sulla sostanza quando un governatore e un ministro collaborano (e si armano di responsabilità senza rifugiarsi nello steccato delle competenze), si esce dalle vicende più scabrose, da scandali realmente sanguinosi, salvando sia l'onore sia la pubblica pecunia.
Può essere utile una rilettura di Cinqua

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Roberto Calvi, non fu suicidio.
by Gianni Barbacetto Monday, Aug. 16, 2004 at 9:28 PM mail:

ROMA. Roberto Calvi, non fu suicidio. La relazione giunge a 20 anni di distanza da quel 18 giugno 1982 in cui il corpo del banchiere Roberto Calvi, presidente del Banco ambrosiano, fu trovato impiccato sotto il ponte Black Friars a Londra. E' stata condotta, attraverso l'autopsia del cadavere, da un'équipe di esperti guidati dal tedesco Bernd Brimkmann. La conclusione non stupisce più di tanto: quando Roberto Calvi è stato impiccato, era già morto. Si tratta quindi di omicidio. Sulla fine del bancarottiere legato a Michele Sindona c'erano state sentenze contrastanti: la prima, in Inghilterra nel 1982, stabilì il suicidio; un successivo processo, nell'83, si pronunciò con un verdetto aperto; nel 1988, in una causa civile a Milano per questioni di assicurazione, si optò per l'omicidio. Con l'ultima perizia, si apre la strada dell'incidente probatorio che riaprirà il processo sulla base dell'ipotesi di accusa su cui la Procura di Roma lavora da più di 10 anni: Calvi sarebbe stato ucciso dalla mafia perché ritenuto inaffidabile, dopo aver fatto sparire soldi affidatigli da Pippo Calò, il cassiere della mafia siciliana attualmente detenuto. L'altro grande accusato è Flavio carboni, il "faccendiere" che accompagnò Calvi nel suo ultimo viaggio londinese.

Il club P2, vent'anni dopo

Che cos'era il gruppo di Gelli? Che cosa fanno oggi i suoi membri? Ecco le "pagine gialle" della loggia Propaganda 2, mentre il suo affiliato più noto punta alla presidenza del Consiglio

di Gianni Barbacetto
tratto da Diario

Questo testo. Vent'anni fa, nel maggio 1981, furono resi pubblici gli elenchi sequestrati a Licio Gelli con i nomi degli affiliati alla loggia massonica Propaganda 2. Che cos'era quell'organizzazione segreta? Che peso ha avuto nella storia d'Italia? Che cosa fanno oggi gli iscritti alla loggia? Ecco qualche risposta, mentre il più noto di loro aspira alla presidenza del Consiglio.

Milano La notizia la dà il telegiornale della notte: la presidenza del Consiglio dei ministri ha deciso di rendere pubblici gli elenchi della loggia massonica P2, l'associazione segreta che il Maestro venerabile Licio Gelli chiama "l'Istituzione". È il 20 maggio 1981, vent'anni fa. L'Italia è scossa: di quella loggia misteriosa si parla ormai da molto tempo, ma ora i suoi componenti prendono un nome e un volto. E gli italiani scoprono che esiste un potere sotterraneo, un governo parallelo, uno Stato nello Stato. Negli elenchi della loggia sono iscritti i nomi di quattro ministri o ex ministri, 44 parlamentari, tutti i vertici dei servizi segreti, il comandante della Guardia di finanza, alti ufficiali dei Carabinieri, militari, prefetti, funzionari, magistrati, banchieri, imprenditori, direttori di giornali, giornalisti...

Una settimana dopo, il governo presieduto da Arnaldo Forlani dà le dimissioni. Nasce il primo governo laico della storia d'Italia, guidato da Giovanni Spadolini. È varata una commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia di Gelli, sotto la presidenza di Tina Anselmi. È approvata una legge dello Stato che vieta le associazioni segrete e scioglie la P2. I capi dei servizi di sicurezza sono tutti licenziati. Qualche piduista ha la carriera bloccata, qualcuno subisce procedimenti disciplinari, una ventina di affiliati finisce sotto processo. I magistrati aprono indagini sulla loggia, con l'ipotesi che abbia realizzato una cospirazione politica contro le istituzioni della Repubblica.
Ma oggi, vent'anni dopo, che cosa è restato di quel terremoto? Dove sono, che cosa fanno i membri del club P2? Il più noto di essi, che vent'anni fa era soltanto un giovane, brillante palazzinaro, ora spera di diventare nientemeno che presidente del Consiglio. Ecco dunque la storia dimenticata dell'"Istituzione" che ha segnato alcuni decenni della storia italiana.

DA SINDONA ALLA P2. Nella seconda metà degli anni Settanta qualche articolo di giornale aveva accennato all'esistenza di una loggia massonica potentissima e misteriosissima. Ombre, sospetti, dicerie? Nel 1980 il consigliere istruttore di Milano Antonio Amati deve aprire due inchieste giudiziarie: una sull'assassinio dell'avvocato milanese commissario liquidatore delle banche di Michele Sindona, Giorgio Ambrosoli, ucciso a Milano l'11 luglio 1979; l'altra sullo strano rapimento di Sindona, scomparso da New York il 2 agosto 1979 e poi ricomparso il 16 ottobre. Nessuno allora avrebbe pensato che quelle inchieste avrebbero portato alla P2.
Amati assegna i due fascicoli, insieme, a due giovani magistrati. Il primo, più esperto, si chiama Giuliano Turone, baffi curati e dita sottili, irrequieto e rigorosissimo. Dopo il liceo Manzoni di Milano, dopo un anno negli Stati Uniti, dopo la laurea in legge, era stato tentato dalla carriera diplomatica. Ma aveva scelto la magistratura: perché il diplomatico deve limitarsi a eseguire la politica estera del suo governo, mentre il magistrato decide e giudica, con il solo aiuto della legge e della sua coscienza. Affascinato dalla geometria dell'indagine, aveva voluto diventare giudice istruttore, figura mista (oggi cancellata dal nuovo codice) di giudice e investigatore. Poco più che trentenne, era entrato di persona nel covo-prigione di uno dei primi sequestrati italiani, l'imprenditore Luigi Rossi di Montelera; e nel 1974 aveva fatto arrestare il responsabile, un ometto siciliano che abitava in via Ripamonti 84, a Milano, e che sulla carta d'identità aveva scritto Luciano Leggio, anche se era già noto come boss di Cosa nostra con il nome di Luciano Liggio.
Gherardo Colombo, il secondo magistrato, era invece un giovanotto che arrivava a palazzo di giustizia con i jeans e la camicia senza cravatta, e sopra gli occhiali aveva una gran corona di capelli refrattari al pettine. Era cresciuto in una grande casa sui colli della Brianza, padre medico e un po' poeta, nonno e bisnonno avvocati. Amava i giochi di logica e il bridge. Parlava con aria apparentemente svagata, accompagnando le parole con brevi gesti secchi della mano, che poi spesso lasciava così, sospesa a mezz'aria. Per nove mesi, Turone e Colombo lavorano sodo. Macinano insieme decine e decine di interrogatori, perquisizioni, indagini bancarie. Sono letteralmente risucchiati da un'inchiesta che è un giallo appassionante, pieno di misteri e di colpi di scena. "Era un tessuto dai cento fili intrecciati", secondo Turone, "così abbiamo cominciato col tirare i fili che sporgevano dalla trama".
Il sequestro di Sindona: strano, con quella improbabile rivendicazione del "Gruppo proletario di eversione per una giustizia migliore". Strani anche gli affidavit (dichiarazioni giurate) che una decina di persone invia negli Stati Uniti, ai magistrati americani, per testimoniare che il povero Sindona, che ha fatto bancarotta e ha lasciato sul lastrico centinaia di clienti, è perseguitato dai magistrati italiani soltanto per la sua fede anticomunista. Uno degli affidavit è firmato da un certo Licio Gelli. Dice: "Nella mia qualità di uomo d'affari sono conosciuto come anticomunista e sono al corrente degli attacchi dei comunisti contro Michele Sindona. È un bersaglio per loro e viene costantemente attaccato dalla stampa comunista. L'odio dei comunisti per Michele Sindona trova la sua origine nel fatto che egli è anticomunista e perché ha sempre appoggiato la libera impresa in un'Italia democratica". La prosa non è un granché, ma l'ossessione anticomunista è ben presente (e allora, almeno, i comunisti c'erano davvero...).

LICIO GELLI, FASCISTA E MASSONE. Chi è questo Gelli? - si chiedono Turone e Colombo. Quasi sconosciuto, allora, dal grande pubblico, era il Maestro Venerabile della loggia massonica Propaganda 2, che riuniva la crema del potere italiano. C'era la fila, per ottenere udienza da Gelli nella sua suite all'hotel Excelsior, in via Veneto, a Roma. La loggia era segreta, per non mettere in imbarazzo i suoi potenti iscritti, dispensati anche dalle ritualità massoniche. Bastava la sostanza.
Gelli era arrivato al vertice della P2 dopo una onorata carriera come fascista, simpatizzante della Repubblica di Salò, doppiogiochista con la Resistenza, collaboratore dei servizi segreti inglesi e americani, infine agente segreto della Repubblica italiana. Volonteroso funzionario del Doppio Stato: soldato, come tanti altri fascisti e nazisti, arruolato nell'esercito invisibile che gli Alleati avevano approntato, dopo la vittoria contro Hitler e Missolini, per combattere la "guerra non ortodossa" contro il comunismo. Entrato nella massoneria, aveva contribuito a selezionare, dentro l'esercito, gli ufficiali anticomunisti disposti ad avventure golpiste. Nel colpo di Stato (tentato) del 1970 aveva avuto un ruolo di tutto rispetto: suo era l'incarico di entrare al Quirinale e trarre in arresto il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, quello che mandava telegrammi a raffica che finivano sempre con un bel "viva la Resistenza, viva l'Italia". Poi il golpe non ci fu, sospeso forse dagli americani, ma la "guerra non ortodossa" continuò, con una serie di stragi che insanguinarono l'Italia. Fino al 1974, anno di svolta. Allora la strategia della guerra segreta contro il comunismo cambiò: basta con la contrapposizione diretta, con i progetti apertamente golpisti, sostituiti da una più flessibile occupazione, attraverso uomini fidati, di tutti gli ambiti della società, di tutti i centri di potere. La massoneria (o almeno una parte di essa) fornisce le strutture e le coperture necessarie a organizzare questo club del Doppio Stato, questo circolo dell'oltranzismo atlantico. Nasce la P2 di Licio Gelli. In cui poi, all'italiana, entrano anche (e per alcuni soprattutto) le protezioni, le carriere, gli affari e gli affarucci. Ma tutto ciò, tra il 1980 e il 1981, Turone e Colombo ancora non lo sapevano, non lo immaginavano neanche. I due andavano avanti per la loro strada, a districare i misteri del caso Sindona.

LA PERQUISIZIONE FATALE. Scoprono che Sindona non è stato rapito, ma ha organizzato una messa in scena per sparire dagli Stati Uniti e arrivare in Italia, in Sicilia. Scoprono che è lui a trattare il salvataggio delle sue banche con Giulio Andreotti, a minacciare il presidente della Mediobanca Enrico Cuccia (che si oppone al piano di risanamento), è lui a far uccidere Giorgio Ambrosoli, nella notte dell'11 luglio 1979, con tre colpi di 357 magnum sparati al petto da un sicario che viene dagli Stati Uniti. A ospitare Sindona a Palermo, in quell'estate di scirocco e di sangue, è un medico italoamericano: Joseph Miceli Crimi, massone, esperto di riti esoterici e di chirurgie plastiche. È lui che spara alla gamba del banchiere, con sapienza clinica, per cercare di rendere credibile il rapimento. I due giudici istruttori gli sequestrano alcune carte e, tra queste, uno stupido biglietto ferroviario Palermo-Arezzo, usato da Miceli Crimi nell'estate del 1979. Domanda: perché un viaggio dalla Sicilia ad Arezzo? Risposta: "Per andare dal dentista presso cui ero in cura". Fantasiosa, ma i due milanesi non abboccano. Miceli Crimi, messo alle strette, ammette: ma sì, sono andato da un certo Licio Gelli, per discutere con lui la situazione di Sindona. Questo Gelli comincia proprio a incuriosire i due giudici istruttori. I personaggi che si muovono attorno a Sindona e si danno da fare per salvarlo, scoprono Turone e Colombo, finiscono tutti per arrivare a Gelli: Rodolfo Guzzi, l'avvocato del bancarottiere; Pier Sandro Magnoni, suo genero; Philip Guarino e Paul Rao, due massoni che incontrano il Venerabile poche ore dopo essere stati ricevuti da Giulio Andreotti. Ecco perché, nel marzo 1981, i giudici milanesi ordinano una perquisizione di tutti gli indirizzi del Venerabile. "Cautela assoluta", ricorda Colombo, "avevamo intuito che per ottenere risultati dovevamo procedere con la massima segretezza". La sera di lunedì 16 marzo 1981 una sessantina di agenti della Guardia di finanza si muove da Milano verso i quattro indirizzi di Gelli annotati su una agenda di Sindona sequestrata al banchiere dalla polizia di New York: villa Wanda di Arezzo, l'abitazione privata; la suite all'Excelsior dove riceveva autorità, politici, postulanti; un'azienda di Frosinone; e gli uffici di una fabbrica d'abbigliamento, la Giole di Castiglion Fibocchi.
L'incarico delle perquisizioni è affidato a un uomo di cui Turone e Colombo conoscono la lealtà istituzionale, il colonnello della Guardia di finanza Vincenzo Bianchi. Ha l'ordine di agire senza informare nessuno e senza avere alcun contatto con le autorità locali, i carabinieri, la polizia, la magistratura del posto, neppure i comandi della Guardia di finanza. I suoi finanzieri, arrivati in Toscana, non passano la notte nella caserma di Arezzo, ma si disperdono in diverse località lì attorno. Per tutti, l'appuntamento è all'alba del 17 marzo.
Scatta la perquisizione. Nessun risultato a Roma. Niente a villa Wanda. L'azienda di Frosinone è un vecchio indirizzo. Alla Giole, invece, c'è una montagna di carte. Gelli non si trova, è a Montevideo. Ma la sua segretaria, Carla, protegge con vigore i documenti stipati nella scrivania, nei cassetti, nella cassaforte, in una valigia... Nella cassaforte ci sono gli elenchi della loggia segreta. "Sequestrate tutto", ordinano, per telefono, i giudici istruttori. La perquisizione è ancora in corso quando a Bianchi arriva via radio una chiamata del generale Orazio Giannini, comandante della Guardia di finanza: c'è anche il suo nome, in quegli elenchi, come quello del suo predecessore, il generale Raffaele Giudice, come quello del capo di stato maggiore della Finanza, il generale Donato Lo Prete. E il comandante delle Fiamme gialle di Arezzo, e una folla di generali, colonnelli, maggiori...

VERSO IL PORTO DELLE NEBBIE. Tutte le carte sono portate a Milano. Turone e Colombo le catalogano, personalmente, pagina per pagina. Ne fanno due copie. L'originale entra nel fascicolo dell'inchiesta; la prima copia è affidata ai finanzieri, con l'incarico di conservarla in un luogo sconosciuto agli stessi giudici; la seconda è nascosta, sotto una falsa intestazione ("Formazioni comuniste combattenti") tra i fascicoli di un collega di cui i due si fidano, il giudice Pietro Forno. Non si sa mai.
Fuori dal palazzo di giustizia di Milano, intanto, nessuno sa delle carte sequestrate a Gelli. Eppure qualcuno sta lavorando febbrilmente per parare il colpo. La notizia comincia a trapelare.La dà, per primo, il telegiornale Rai la sera del 20 marzo. Ma non è chiaro quali documenti siano stati trovati dai giudici.Il giorno dopo, sabato 21 marzo, il Giornale (allora diretto da Indro Montanelli) scrive: "Nell'ambito delle indagini per l'affare Sindona, stasera si è appresa una doppia operazione compiuta dalla magistratura di Milano e da quella di Roma, nella villa aretina di Licio Gelli, Venerabile Maestro della loggia massonica P2. Per conto dei giudici milanesi l'intervento sarebbe stato operato dalla Guardia di finanza, mentre Roma avrebbe partecipato agli accertamenti attraverso il sostituto procuratore della Repubblica Sica".Strana notizia: il ritrovamento non è avvenuto a villa Wanda ma alla Giole di Castiglion Fibocchi; e soprattutto Domenico Sica, detto "Rubamazzo", per ora non c'entra nulla. Ma basteranno poche settimane e Roma arriverà ad avverare la profezia del Giornale e a strappare l'indagine ai magistrati milanesi.
Turone e Colombo, consci del peso istituzionale della loro scoperta, decidono che è loro dovere informare il capo dello Stato: ma il presidente Sandro Pertini è all'estero, così ripiegano sul capo del governo, Arnaldo Forlani. Si recano a Roma il 25 marzo, l'appuntamento è fissato alle ore 16 a Palazzo Madama.Aspettano per due ore.Poi la segreteria di Forlani comunica che c'è stato un equivoco, che il presidente li aspetta a Palazzo Chigi. I due giudici si spostano lì.Ad accoglierli è il capo di gabinetto di Forlani."Ci siamo guardati negli occhi in silenzio", ricorda Colombo, "il funzionario davanti a noi era il prefetto Mario Semprini, tessera P2 1637". Forlani è cortese, chiede se le carte trovate possono essere non autentiche. I due giudici gli mostrano una firma autografa del ministro della Giustizia Adolfo Sarti sulla domanda d'iscrizione alla loggia.Chiedono: "Signor presidente, avrà certamente un documento controfirmato dal suo ministro Guardasigilli...".Forlani ne prende uno, confronta i due fogli, si convince."Datemi tempo di riflettere", conclude Forlani. "Di solito offro agli ospiti di riguardo un aereo dei servizi per tornare a casa.Mi pare che questa volta non sia il caso".
Forlani tira in lungo.Non vuole prendersi la responsabilità di rendere pubblici gli elenchi. Cerca di scaricarla sui giudici milanesi. Sui giornali del 20 maggio i titoli confermano quella sensazione: "Forlani: spetta ai giudici togliere il segreto sulla P2". Turone, Colombo e il capo dell'ufficio Amati inviano immediatamente una lettera al presidente del Consiglio, in cui sostengono che sono coperti dal segreto istruttorio i verbali delle deposizioni dei testimoni che stanno sfilando davanti a loro, ma non "il restante materiale trasmesso". Forlani capisce che non può più aspettare.Le liste di Gelli sono rese pubbliche.
Oltre agli elenchi degli affiliati e alla documentazione sulla loggia, tra le carte sequestrate vi sono 33 buste sigillate con intestazioni diverse: "Accordo Eni-Petromin", "Calvi Roberto vertenza con Banca d'Italia", "Documentazione per la definizione del gruppo Rizzoli", "On. Claudio Martelli"...
C'erano già, in quelle carte, i segreti di Tangentopoli, del Conto Protezione e di tanto altro ancora. Ma i tempi non erano maturi. Da Roma si muovono il giudice istruttore Domenico Sica (detto "Rubamazzo") e il procuratore della Repubblica Achille Gallucci. Sollevano il conflitto di competenza e la Cassazione, il 2 settembre 1981, strappa l'inchiesta a Milano per affidarla a Roma. Non sviluppata, l'indagine si spegne. "Mi è arrivata sulla scrivania già morta", dice Elisabetta Cesqui, il pubblico ministero che eredita l'indagine. L'accusa di cospirazione politica contro le istituzioni della Repubblica mediante associazione cade: tutti i rinviati a giudizio (pochi: qualche capo dei 17 gruppi in cui la P2 era divisa, più Gelli e i responsabili dei servizi segreti) sono prosciolti, e comunque il processo arriva in Cassazione quando ormai è troppo tardi e per tutti scatta la prescrizione.
Più utile il lavoro della Commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi, che dichiara le liste della P2, con 972 nomi, "autentiche" e "attendibili", ma incomplete. E con anni di lavoro produce un materiale immenso e prezioso, la documentazione di come funzionava una potentissima macchina di eversione e di potere. Ma nel 1981 le speranze - o le paure - erano altre: una parte del Paese sperava che lo scandalo P2 avviasse il rinnovamento della vita politica e istituzionale; un'altra temeva che il proprio potere si incrinasse per sempre.Sbagliavano gli uni e gli altri.

TESSERA NUMERO 1816. Oggi il più noto degli iscritti alla P2 è Silvio Berlusconi, tessera numero 1816. Per la P2 Berlusconi ha subito la sua prima condanna, ormai definitiva: per falsa testimonianza. Nel 1990, a Venezia, viene infatti giudicato colpevole di aver giurato il falso davanti ai giudici, a proposito della sua iscrizione alla loggia. L'anno prima, però, c'era stata una provvidenziale amnistia.
Quando parla della P2, Berlusconi se la cava, di solito, con qualche battuta. Eppure l'iscrizione alla loggia è stata determinante per i suoi primi affari immobiliari. Per esempio per ottenere credito dalla Banca nazionale del lavoro (controllata dalla P2, con ben otto alti dirigenti affiliati) e dal Monte dei Paschi di Siena (era piduista il direttore generale Giovanni Cresti). Conclude la Commissione Anselmi: gli imprenditori Silvio Berlusconi e Giovanni Fabbri (il re della carta) "trovarono appoggi e finanziamenti al di là di ogni merito creditizio". Ma poi, fatte le case, bisogna venderle. E non fu facile, per Berlusconi. Lo soccorse, agli inizi della sua carriera di immobiliarista, un "fratello" della loggia segreta, il napoletano Ferruccio De Lorenzo, già sottosegretario liberale in un governo Andreotti e futuro ministro della Sanità e imputato di Mani pulite: De Lorenzo acquistò, come presidente dell'Enpam (l'Ente nazionale previdenza e assistenza dei medici italiani) prima due hotel a Segrate, poi decine di appartamenti di Milano 2. L'Enpam decise poi di affidare a Berlusconi anche la gestione del teatro Manzoni di Milano, controllato dall'ente.
Quando Gelli parla di Berlusconi, è lapidario: "Ha preso il nostro Piano di rinascita e lo ha copiato quasi tutto", dichiara all'Indipendente nel febbraio 1996. Il Piano di rinascita democratica era il programma politico della P2. Fu sequestrato il 4 luglio 1981 all'aeroporto di Fiumicino, nel doppiofondo di una valigia di Maria Grazia Gelli, figlia del Venerabile. Riletto oggi, risulta profetico. Prevede, infatti, di "usare gli strumenti finanziari per l'immediata nascita di due movimenti l'uno sulla sinistra e l'altro sulla destra". Tali movimenti "dovrebbero essere fondati da altrettanti club promotori". Nell'attesa, il Piano suggerisce che con circa 10 miliardi è possibile "inserirsi nell'attuale sistema di tesseramento della Dc per acquistare il partito". Con "un costo aggiuntivo dai 5 ai 10 miliardi" si potrebbe poi "provocare la scissione e la nascita di una libera confederazione sindacale". Per quanto riguarda la stampa, "occorrerà redigere un elenco di almeno due o tre elementi per ciascun quotidiano e periodico in modo tale che nessuno sappia dell'altro"; "ai giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito di simpatizzare per gli esponenti politici come sopra". Poi bisognerà: "acquisire alcuni settimanali di battaglia", "coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso un'agenzia centralizzata", "coordinare molte tv via cavo con l'agenzia per la stampa locale", "dissolvere la Rai in nome della libertà d'antenna"; "punto chiave è l'immediata costituzione della tv via cavo da impiantare a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese". Tecnologia a parte: preveggente, no?
La giustizia va ricondotta "alla sua tradizionale funzione di equilibrio della società e non già di eversione". Per questo, è necessaria la separazione delle carriere del pubblico ministero e dei giudici, "l'istruzione pubblica dei processi nella dialettica fra pubblica accusa e difesa di fronte ai giudici giudicanti", la "riforma del Consiglio superiore della magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamento". Molto è già stato realizzato. Per il resto si vedrà.
Che fine hanno fatto gli altri "fratelli" di loggia? Alcuni hanno fatto proprio una brutta fine. Sindona, dopo essere stato condannato per l'omicidio di Giorgio Ambrosoli, è morto in carcere, per una tazzina di caffè al veleno. Il suo successore nella finanza d'avventura, Roberto Calvi, tessera numero 1624, ha gettato la più grande banca italiana, il Banco Ambrosiano, nelle braccia della P2 che gli ha sottratto un fiume di miliardi e l'ha fatto finire in bancarotta; alla fine, il 18 giugno 1982, è stato trovato penzolante sutto il ponte dei Frati neri, a Londra. Mino Pecorelli, tessera 1750, giornalista in contatto con i servizi segreti, direttore di Op e piduista anomalo che voleva giocare in proprio, è stato crivellato di colpi nella sua automobile, il 20 marzo 1979.

LA LOGGIA MULTINAZIONALE. Gelli è agli arresti domiciliari a villa Wanda, condannato per il crac del Banco Ambrosiano. Molti degli affiliati, il nocciolo duro del club dell'oltranzismo atlantico, sono stati coinvolti in vicende di eversione, stragi, tentati colpi di Stato, depistaggi. Così Vito Miceli, Gian Adelio Maletti, Antonio Labruna, Giuseppe Santovito, Giovanni Fanelli, Antonio Viezzer, Umberto Federico D'Amato, Giovanbattista Palumbo, Pietro Musumeci, Elio Cioppa, Manlio Del Gaudio, Giovanni Allavena, Giovanni Alliata di Montereale, Giulio Caradonna, Edgardo Sogno... Ci vorrebbe almeno un libro per ciascuno, per raccontare la multiforme attività di questi fedeli servitori del Doppio Stato.
Organizzazione multinazionale, la P2 aveva affiliati che operavano in Sudamerica: Uruguay, Brasile e soprattutto Argentina. In Argentina, dove Gelli aveva rapporti molto stretti con i servizi segreti, aveva arruolato nella loggia l'ammiraglio Emilio Massera, capo di Stato maggiore della Marina, José Lopez Rega, ministro del Benessere sociale di Juan Domingo Peron, Alberto Vignes, ministro degli Esteri, l'ammiraglio Carlos Alberto Corti e altri militari.
Pochi del club P2 sono stati messi davvero fuori gioco dallo scandalo che seguì la pubblicazione degli elenchi. I magistrati (unica categoria che reagì con decisione) furono giudicati e sanzionati dal Consiglio superiore della magistratura. Ma ciò non toglie che uno dei magistrati iscritti alla P2, Giuseppe Renato Croce, tessera numero 2071, oggi giudice per le indagini preliminari a Roma, con arzigogoli procedurali stia dando ragione a Marcello Dell'Utri in una delle tante contese giudiziarie che il braccio destro di Berlusconi ha aperte.
Molti dei piduisti sono stati messi da parte dagli anni e dall'età. Ma chi resiste all'azione del ciclo biologico non se la cava poi tanto male. Tra i giornalisti (di allora), Gustavo Selva è parlamentare di An; Maurizio Costanzo è direttore di Canale 5 e uomo politicamente trasversale, anche se sempre dalla parte di Berlusconi nei momenti cruciali; Massimo Donelli è direttore della nuova tv del Sole 24 ore. Roberto Gervaso continua a scrivere un fiume di articoli e di libri e nessuno si ricorda più di una simpatica lettera che inviò, tanto tempo fa, a Gelli: "Caro Licio, ho chiesto a Di Bella (direttore del Corriere della sera quando era nelle mani della P2, ndr) di farmi collaborare. È bene che tutti capiscano che bisogna premiare gli amici. Oggi Di Bella parlerà della mia collaborazione con Tassan Din (direttore generale del Corriere, piduista come l'editore del Corriere, Angelo Rizzoli, ndr). Vedi di fare, se puoi, una telefonata a Tassan Din, affinché non mi metta i bastoni tra le ruote". Più defilato Paolo Mosca, ex direttore della Domenica del Corriere. Gino Nebiolo, all'epoca direttore del Tg1, è stato mandato da Letizia Moratti a dirigere la sede Rai di Montevideo (una capitale della P2) e oggi scrive sul Foglio di Giuliano Ferrara. Franco Colombo, ex corrispondente della Rai a Parigi e aspirante piduista, oggi ha cambiato mestiere: è vicepresidente della società del Traforo del Monte Bianco e si sta dando molto da fare per gli appalti che devono riaprire il tunnel. Alberto Sensini (aspirante piduista, come Colombo) scrive di politica sui giornali. Tra i politici, Pietro Longo, segretario del Partito socialdemocratico, divenne il simbolo negativo del piduista con cappuccio. Ma a tanti altri è andata meglio. Publio Fiori (tessera 1878), ex deputato democristiano, è trasmigrato in An e nel 1994 è diventato ministro di Berlusconi. Una poltrona di ministro è già capitata, durante il governo Berlusconi, anche ad Antonio Martino (anch'egli a Gelli aveva solo presentato la domanda d'iscrizione). Invece Duilio Poggiolini (tessera 2247), ex ministro democristiano della Sanità, ha avuto la carriera stroncata non dalla P2, ma dai lingotti d'oro di Tangentopoli trovati nel pouf del salotto. Massimo De Carolis (tessera P2 1815, solo un numero in meno di quella di Berlusconi), negli anni Settanta era democristiano e leader della "Maggioranza silenziosa", oggi è tornato alla politica sotto le bandiere di Forza Italia e grazie al rapporto diretto con Berlusconi ha ottenuto la presidenza del Consiglio comunale di Milano e la promessa di una candidatura in Parlamento. Le ha dovuto abbandonare entrambe, dietro la ferma insistenza del sindaco Gabriele Albertini, dopo essere stato coinvolto in alcuni scandali. È accusato, tra l'altro, di aver chiesto 200 milioni per rivelare notizie riservate a una azienda partecipante a una gara per un appalto a Milano. Ma il fatto curioso è che, insieme a De Carolis, nel processo in corso a Milano sia coinvolta un'altra vecchia conoscenza della P2: Luigi Franconi (tessera P2 numero 1778). I rapporti solidi resistono nel tempo.

POLITICA & AFFARI. Un banchiere iscritto alla P2, certo meno noto di Sindona e Calvi, era Antonio D'Alì, proprietario della Banca Sicula e datore di lavoro di boss di mafia come i Messina Denaro. Oggi ha passato la mano al figlio, Antonio D'Alì jr, eletto senatore a Trapani nelle liste di Forza Italia. Angelo Rizzoli, che si fece sfilare di mano il Corriere dalla compagnia della P2, oggi fa il produttore cinematografico. Roberto Memmo (tessera 1651), finanziere che tanto si diede da fare per salvare Sindona, oggi è buon amico di Marcello Dell'Utri, di Cesare Previti e del giudice Renato Squillante, che incontrava insieme, e dirige la Fondazione Memmo per l'arte e la cultura, con sede a Roma nel Palazzo Ruspoli.
Rolando Picchioni (tessera 2095), torinese, ex deputato dc, coinvolto (ma assolto) nello scandalo petroli, oggi è in area Udeur ed è segretario generale del Salone del libro di Torino. Giancarlo Elia Valori, unico caso di piduista espulso dalla loggia perché faceva troppa concorrenza al Venerabile Maestro, oggi è presidente dell'Associazione industriali di Roma, infaticabile scrittore di libri e instancabile tessitore di rapporti e di alleanze. Vittorio Emanuele di Savoia (tessera 1621) è un curioso caso di uomo off-shore: non può rientrare in Italia, ma in Italia fa business, seppure attraverso società estere. Ora vorrebbe poter rientrare definitivamente, anche se nei fatti non ne è mai stato fuori, a giudicare dai suoi affari e traffici (d'armi): nei decenni scorsi è stato, anche grazie alla sua integrazione nel club P2, mediatore d'affari all'estero per conto di aziende italiane (Agusta) e addirittura di Stato (Italimpianti, Condotte...), quello stesso Stato sul cui territorio non poteva mettere piede. Di Berlusconi ha detto (era il 1994): "È un buon manager, può rimettere ordine nell'economia italiana". Come? Per esempio "cancellando quel disastro" che è "lo Statuto dei lavoratori, con il divieto di licenziamento". Apprezzamenti naturali, tra compagni di loggia. Ma con un finale obbligato per il principe: "Io? Non faccio politica". Vittorio Emanuele non vota, ma c'è da scommetterci che tifa per Berlusconi, che potrà farlo finalmente rientrare in Italia, questa volta anche fisicamente.
Vent'anni dopo, in Italia è tempo di revisioni. Anche sulla P2. È stato un legittimo club di amiconi, magari con qualcuno che ne approfittava un po' per fare affari. Gelli? Un abile traffichino che millantava poteri che in realtà non aveva. Ma era proprio questo, la P2? Vista con distacco, appare invece il luogo più attivo per l'elaborazione di strategie di potere del grande partito atlantico in Italia, almeno tra il 1974 e il 1981. Centro d'incontro tra politica, affari, ambienti militari. Nella loggia segreta è confluito il partito del golpe, reduce della stagione delle stragi 1969-74, ma con una nuova strategia, più flessibile, più attenta alla politica. E ai soldi, che possono comprarla: come suggerisce, appunto, il Piano di rinascita.
E oggi? La fase, naturalmente, è nuova. La società è cambiata. Anche gli uomini alla ribalta sono, in buona parte, diversi. Ma nella storia italiana non si butta via niente, c'è una continuità di fondo con il peggio delle nostre vicende, fatte di un anticomunismo eversivo, bancarotte e spoliazioni di denaro pubblico, politica corrotta, stragi, morti ammazzati, rapporti inconfessabili con le organizzazioni criminali. Il passato, il tremendo passato italiano, deve sempre restare non del tutto chiarito, perché i dossier, gli uomini, i segreti, i ricatti che da quel passato provengono possano essere riciclati nel futuro. Da questo punto di vista, la parabola di Silvio Berlusconi, uomo "nuovissimo" che viene dal passato vecchissimo di Gelli e affiliati, è la parabola dell'Italia.

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P2, IOR, CALVI
by dei Discepoli di Verità Monday, Aug. 16, 2004 at 10:19 PM mail:

Sette giorni dopo l'attentato di piazza San Pietro, il 20 maggio 1981, la magistratura milanese dispose l'arresto cautelare del banchiere catto-massone Roberto Calvi, accusato di frode e reati valutari. Il precedente 5 febbraio, in relazione al crac di Michele Sindona, era stato arrestato anche l'amministratore delegato dello Ior, il laico Luigi Mennini.

La detenzione di Calvi suscitò grande allarme tra le Sacre mura: si temeva quanto il banchiere massone avrebbe potuto raccontare ai magistrati milanesi. Il 6 giugno, nel corso di un colloquio in carcere, il presidente dell'Ambrosiano affidò a sua moglie e a sua figlia un biglietto da recapitare in Vaticano con scritto: «Questo processo si chiama Ior»; appena le due donne uscirono dal carcere, Alessandro Mennini (figlio di Luigi Mennini, e dirigente del Banco Ambrosiano) tentò di impossessarsi del biglietto intimando Ioro di non nominare mai la banca vaticana, «nemmeno in confessione». Calvi sosteneva infatti che le operazioni valutarie illecite che lo avevano portato in carcere le aveva effettuate per conto della banca papale, dunque voleva essere soccorso dalla Santa Sede.

Mentre Calvi era detenuto e il Pontefice era infermo, la dirigenza del Banco Ambrosiano e i vertici dello Ior si incontrarono in Vaticano. Secondo il direttore generale dell'Ambrosiano, Roberto Rosone, "in quel colloquio monsignor Marcinkus disse che non c'erano problemi, ma che bisognava attendere la scarcerazione di Calvi per parlare con lui... In quell'incontro non vennero pronunciati nomi di società, né si parlò di cifre. Monsignor Marcinkus fece solo gli auguri per un pronto rientro del presidente [Calvi, ndr], e parlò di collaborazione che andava proseguita con la dovuta chiarezza e riservatezza".

L'agente massone Francesco Pazienza(1) racconterà che durante la detenzione di Calvi venne mandato da monsignor Marcinkus a Nassau per convincere il figlio del banchiere, Carlo, a desistere dal creare problemi al Vaticano: «Carlo Calvi, dalle Bahamas, dava i numeri: inviava telex e telefonava continuamente in Vaticano dicendo cose di tutti i tipi... "Passatemi il Papa, passatemi monsignor Silvestrini"... Venni alIora mandato a Nassau per tenerlo sotto controllo, e da lì ricordo che richiamammo monsignor Marcinkus per fargli capire che Carlo Calvi era tranquillo e che non c'erano problemi». L'agente massone sosterrà inoltre che - sempre durante il periodo della detenzione di Calvi - ebbe alcuni incontri con monsignor Marcinkus «per definire le modalità dell'aiuto che lo Ior doveva prestare a Calvi».

A fine giugno Roberto Calvi venne processato a Milano per direttissima, e durante il processo le manovre vaticane per zittire il banchiere massone si moltiplicarono. Testimonierà suo figlio Carlo:

«Durante il processo di Milano a mio padre, Pazienza mi disse che monsignor Giovanni Cheli, rappresentante del Vaticano all'Onu, mi voleva vedere subito e assolutamente. Io alIora presi l'aereo e andai a New York insieme a Pazienza. Appena arrivai, Pazienza mi portò in un appartamento di Manhattan dove ad aspettarmi c'era un noto mafioso, già amico di Sindona e di Gelli, e un prete poi arrestato per contrabbando di opere d'arte. Ebbene, questi due signori mi raccomandarono di essere gentile con monsignor Cheli, e soprattutto di dar retta ai suoi consigli. Quindi tutti insieme - cioè Pazienza, il mafioso, il prete e io - andammo all'Onu, dove Cheli ci ricevette nel suo ufficio. Monsignor Cheli, in termini diplomatici, mi disse in sostanza quello che già monsignor Marcinkus mi aveva detto al telefono; dire a mio padre di stare zitto, di non svelare nessun segreto e di continuare a credere nella Provvidenza».

I "segreti vaticani" che Calvi doveva tacere ai magistrati italiani erano legati, in particolare, a varie società-fantasma (Astolfine Sa, Bellatrix Sa, Belrosa Sa, Erin Sa, Laramie Inc, Starfield Sa), tutte domiciliate nel paradiso fiscale di Panama, e possedute da tre holding: la UTC (United Trading Corporation, proprietà dello Ior e domiciliata a Panama), la Manie e la Zitropo (con sede in Lussemburgo, entrambe partecipate dallo Ior). Le otto società-paravento erano i terminali "dei traffici di Calvi e Marcinkus, ultima spiaggia della banca vaticana che sfruttava il Banco Ambrosiano Overseas di Nassau, alle Bahamas, quale 'ponte' per ingarbugliare le tracce dei capitali succhiati dalle cassaforti del Banco Ambrosiano di Milano e dispersi nel mar dei Caraibi". Erano in pratica gli strumenti di operazioni finanziarie occulte. Come appureranno i liquidatori dell'Ambrosiano dopo il crac, le varie società-paravento del duo Marcinkus-Calvi al 17 giugno 1982 avevano drenato dal gruppo bancario milanese "un miliardo e 188 milioni dì dollari, più 202 milioni di franchi svizzeri", senza che se ne potesse appurare la destinazione finale: una parte certo utilizzata da Calvi e dalla P2, ma un'altra parte - con altrettanta certezza - utilizzata dal banchiere di papa Wojtyla.

Anni di simili scorribande ai danni dal Banco Ambrosiano erano nodi che stavano arrivando al pettine, e i due principali protagonisti erano impegnati da mesi nella partita finale. Monsignor Marcinkus voleva svincolare al più presto le finanze vaticane dal pericolante partner catto-massone, e recidere ogni legame fra la banca papale e l'Ambrosiano mantenendo segreti i rapporti pregressi. Calvi, da parte sua, contava sul soccorso della banca papale per evitare la bancarotta. La contesa era comprensiva di un "grande ricatto", raccontato così dallo stesso Calvi: «Io gli ho detto sul muso a Marcinkus: "Guardi che se per caso risulta da qualche contabile che gira per New York che lei manda dei soldi per conto di Wojtyla a Solidarnosc, qui in Vaticano fra poco non c'è più pietra su pietra". E quando ho visto che lui non diceva niente sono andato avanti... AlIora Marcinkus ha cambiato discorso, si è messo a parlare del Casaroli che interferisce...».

Il dirigente del settore estero del Banco Ambrosiano, Giacomo Botta, dichiarerà ai magistrati milanesi che «il dominio dello Ior sul Gruppo del Banco Ambrosiano era reso palese da una lunga serie di circostanze: la fulminea carriera di Alessandro Mennini [figlio dell'amministratore delegato dello Ior, Luigi, ndr], entrato inopinatamente in banca con il grado di vicedirettore; il trasferimento dallo Ior al Gruppo Ambrosiano della Banca Cattolica del Veneto, cui non era seguito cambiamento alcuno nella direzione e nell'organo di amministrazione; il finanziamento cospicuo dello Ior (150 milioni di dollari) che aveva aiutato la neonata società Cisalpine [poi Baol-Banco Ambrosiano Overseas Limited, ndr] ad affermarsi come banca; la presenza di monsignor Marcinkus nel consiglio di amministrazione della stessa banca di Nassau; la gelosia con la quale Calvi custodiva e gestiva il proprio esclusivo rapporto con lo Ior; l'appartenenza allo Ior di Ulricor e Rekofinanz, azioniste del Banco Ambrosiano, nonché di quattro società titolari dei pacchetti di azioni del Banco Ambrosiano che la Rizzoli aveva costituito in pegno per un finanziamento ottenuto da Baol». Botta dirà ancora: «Già nel 1977-78, quando divenni consigliere [del Banco di Managua], Calvi mi disse che il gruppo che controllava il pacchetto di controllo dell'Ambrosiano era lo Ior, che deteneva all'estero una consistente partecipazione del Banco. Seppi anche che le società che a quell'epoca l'Ambrosiano di Managua finanziava erano del Vaticano. Calvi probabilmente intendeva mettermi al corrente di questi segreti che lui tutelava gelosamente e intendeva altresì giustificare i finanziamenti dicendo che erano imposti dal Vaticano, che era in sostanza il padrone del Banco Ambrosiano».

Il 20 luglio il Tribunale di Milano dichiarò Calvi colpevole di frode valutaria, e lo condannò a 4 anni di prigione e a 15 miliardi di multa. Il banchiere catto-massone ottenne la libertà provvisoria in attesa del processo d'appello.

Poche settimane dopo Calvi si recò in Vaticano, da monsignor Marcinkus, nella sede dello Ior. Era la resa dei conti, e ne sortì un accordo truffaldino. Calvi firmò un documento che liberava la banca del Papa e Marcinkus da ogni responsabilità per l'indebitamento delle società panamensi verso il Gruppo Ambrosiano; in cambio, ottenne dallo Ior lettere a garanzia della situazione debitoria di quelle stesse società, con scadenza 30 giugno 1982. Attraverso le lettere di patronage della banca del Papa, e entro quella data, Calvi avrebbe dovuto trovare gli ingenti capitali necessari al salvataggio del suo impero finanziario.

In realtà Calvi non voleva perdere la preziosissima partnership della banca vaticana, anzi intendeva renderla organica e ufficiale. Ed essendo ormai bruciati i rapporti con la fazione massonico-curiale, decise di rivolgersi a quella avversa, con l'obiettivo di arrivare a coinvolgere l'Opus Dei. L'interlocutore del banchiere massone fu il cardinale Pietro Palazzini, prefetto della Congregazione per le cause dei santi e caposaldo curiale della fazione opusiana.

Cardinale di Curia dal 1973, da sempre vicinissimo all'Opus Dei, Pietro Palazzini era «un personaggio molto chiacchierato [anche] per l'amicizia che lo aveva legato a Camillo Cruciani, alto dirigente della Finmeccanica, fuggito in Messico in seguito allo scandalo Lockheed nel 1976».

Per 143 giorni, cioè fino al 7 ottobre 1981, quando papa Wojtyla interruppe la convalescenza e tornò brevemente in Vaticano per la prima udienza generale dopo l'attentato del 13 maggio, la Chiesa di Roma restò di fatto senza Pontefice. Cinque mesi nel corso dei quali la forzosa cogestione del potere vaticano da parte delle due fazioni in guerra si rivelò difficile ma possibile, e tutto sommato conveniente per entrambe. Ne fu un esempio concreto il commissariamento della celebre Compagnia di Gesù, deciso in Vaticano dalle due fazioni per una volta concordi nel colpire un'organizzazione - quella dei gesuiti - verso la quale nutrivano entrambe una forte ostilità.

Pochi giorni prima che il Santo Padre tornasse in Vaticano, il 29 settembre, la Santa Sede diramò una notizia stupefacente: il presidente della banca vaticana, monsignor Paul Marcinkus, era stato nominato dal Papa convalescente anche pro­presidente della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano ; il capo dello Ior e neo-governatore dello Stato vaticano, inoltre, era stato promosso al rango di arcivescovo, in attesa di ricevere la porpora.

La notizia della nuova carica cumulata da monsignor Marcinkus (il quale in pratica era divenuto il capo assoluto di tutte le finanze vaticane) suscitò sorpresa e sconcerto nella stessa Curia. Un monsignore della Segreteria di Stato riferì che il cardinale Casaroli era "furibondo": da tempo infatti il segretario di Stato e il capo dello Ior erano ai ferri corti. La stessa pre­investitura cardinalizia dell'arcivescovo americano alimentò molte congetture in Vaticano, e reazioni polemiche all'esterno - il giornalista laico Eugenio Scalfari scriverà: «Dio illumini papa Wojtyla e gli trattenga la mano! Se poi Dio volesse compiere il miracolo, suggerirebbe forse al suo Vicario di accertare gli equivoci traffici del suo vescovo-finanziere e di licenziarlo sui due piedi. Una figura così alta e ispirata come quella di Giovanni Paolo II non può essere socia in affari con Licio Gelli, con Michele Sindona e con le società panamensi di Roberto Calvi».

I nuovi poteri - soprattutto finanziari - attribuiti dal Papa a monsignor Marcinkus erano strettamente collegati alla sempre più esplosiva situazione interna della Polonia.

Da alcune settimane, a Varsavia, erano in corso frenetiche trattative fra il governo e Solidarnosc mediate dall'episcopato polacco in costante contatto con l'entourage del Papa convalescente. Il congresso di settembre del sindacato aveva confermato la leadership moderata di Walesa, ma solo di misura (poco più del 50 per cento dei delegati) rispetto alle istanze radicali: il sostegno politico-finanziario del Vaticano era risultato decisivo per la prevalenza della linea moderata, ma il pericolo che Solidarnosc assumesse posizioni più intransigenti e "rivoluzionarie" era concreto e incombente. Così le pressioni sovietiche sul regime polacco si erano fatte più minacciose e ultimative, e il governo di Varsavia aveva attribuito a Solidarnosc la responsabilità di condurre la Polonia verso un bagno di sangue, anche perché la situazione economica del Paese era ai limiti del collasso.

Fu proprio in quei giorni d'inizio autunno che a monsignor Marcinkus, gestore di tutte le finanze vaticane, pervenne l'esplicita richiesta - avanzata dall'ala radicale di Solidarnosc e sostenuta da ambienti atlantici - di finanziare la militarizzazione del sindacato cattolico polacco in vista di un'insurrezione. Erano già disponibili partite di armi, mentre in Germania e Austria erano state allestite alcune basi di addestramento alla guerriglia. L'assoluta contrarietà del clero polacco, del Pontefice, e dello stesso Marcinkus, vanificarono il progetto. Secondo un monsignore di Curia, verso la fine del 1981 il capitano della Guardia svizzera Alois Estermann si recò alcune volte, in incognito, a Danzica e a Varsavia, per coordinarvi l'arrivo di imprecisato "materiale" proveniente dalla Scandinavia e destinato al sindacato cattolico polacco.

La fazione opusiana appoggiava con veemenza il sostegno papale a Solidarnosc: per questo accettava che le finanze vaticane restassero nelle mani di monsignor Marcinkus, e che l'arcivescovo americano si facesse carico dei rischiosi finanziamenti segreti a Walesa. Anche la Loggia P2 - in dissenso dalla fazione massonico-curiale, a maggioranza fautrice dell'Ostpolitik - approvava i finanziamenti "anticomunisti" a Solidarnosc, che infatti avevano nel Banco Ambrosiano del piduista Calvi l'alveo di erogazione privilegiato.

Dichiarerà il massone Pier Carpi: «Gelli sosteneva che aveva versato nelle casse del Vaticano [tramite il Banco Ambrosiano, ndr] quasi 50 milioni di dollari per la causa polacca. Diceva: "In Polonia, come in tutti i Paesi a dittatura comunista, la Chiesa e la massoneria debbono essere unite come non mai, perché entrambe sono perseguitate". Non gli piaceva, però, Lech Walesa: lo considerava un capopopolo... Ma in Vaticano lo avevano rassicurato: "Walesa è un degno figlio della cattolica Polonia, un simbolo attorno al quale è stato possibile indirizzare la protesta. Ma, al momento di trattare, Walesa si farà da parte, tornerà nell'ombra, perché avrà esaurito il suo compito: quello di mettere di fronte, per arrivare a un accordo, una Chiesa forte con uno Stato forte"» Lo stesso capo della P2 Licio Gelli ricorderà: «Nel settembre 1980 Calvi mi confidò di essere preoccupato perché doveva pagare una somma di 80 milioni di dollari al movimento sindacale polacco Solidarnosc, e aveva solo una settimana di tempo per versare il denaro». Anni dopo emergerà che anche una parte dei 7 milioni di dollari fatti affluire nel biennio 1980-81 dalla P2 - tramite l'Ambrosiano - sul conto svizzero "Protezione" a beneficio del politico italiano "anticomunista" Bettino Craxi, venne utilizzata «per aiuti ai polacchi di Solidarnosc».

Giovanni Paolo II concluse la convalescenza e tornò in Vaticano alla metà di ottobre 1981: duramente segnato, era l'ombra di se stesso.

Secondo una voce proveniente dal suo entourage, il Santo Padre era consapevole che la regia dell'attentato poteva essere in Vaticano, o che tra le Sacre mura poteva esservi stata qualche decisiva connivenza con gli attentatori, e che il fatto poteva essere collegato alla sua decisione di elevare l'Opus Dei a Prelatura personale. Ed è forse per questo che accettò una "speciale protezione" opusiana, di lì a poco visibile nella persona del capitano della Guardia svizzera Alois Estermann, nuova guardia del corpo del Pontefice. Nei dicasteri curiali si mormorava che il Santo Padre - ancora scioccato dall'attentato subito - fosse tormentato da una umanissima paura.

Il 14 novembre la Congregazione per i vescovi, retta dal cardinale Sebastiano Baggio, inviò alle Conferenze episcopali una "Nota informativa riservata" che annunciava: «Il Santo Padre ha decretato l'erezione dell'Opus Dei in Prelatura personale, approvandone i relativi Statuti. Per disposizione espressa del Santo Padre, i Vescovi vengono informati circa le caratteristiche concrete della Prelatura e la reale portata del provvedimento preso». Lo scopo della nota, lunga tre cartelle dattiloscritte, era di tranquillizzare l'episcopato, ma in realtà confermava tutti i timori dei vescovi, con l'aggravante del fatto compiuto: malgrado le forti opposizioni, il decreto papale che avrebbe accordato all'Opus Dei la Prelatura personale sembrava cosa già fatta.

Benché fosse "riservata" e coperta dal "segreto pontificio", la nota del cardinale Baggio finì sulle pagine del quotidiano tedesco "Frankfurter Allgemeine Zeitung". L'Opus Dei, a quel punto, si affrettò ad annunciare che molti vescovi, da ogni parte del mondo, esprimevano all'Obra le loro più vive felicitazioni per il prestigioso riconoscimento ottenuto. Ma la manovra venne smascherata nel volgere di pochi giorni.

Comincia a non vederci chiaro il cardinale Eduardo Pironio, capo della Congregazione per i religiosi e gli istituti secolari. Si accorge che nella "Nota informativa", su carta intestata della Congregazione per i vescovi, mancano il numero di protocollo e la firma di un responsabile, contrassegni di rigore per ogni carta curiale, specie se destinata ai vescovi. Pironio rifiuta perciò di autorizzare l'archiviazione del documento in attesa di chiarimenti circa la paternità del medesimo.

Arrivano poi, sempre più incalzanti, le richieste di spiegazioni di alcuni vescovi italiani. La "Nota" è stata mandata anche alla Conferenza episcopale italiana, tramite il nunzio Romolo Carboni [della cordata opusiana, ndr]. E nella sua lettera di accompagnamento, i vescovi notano una contraddizione: prima si fa sapere che "la Nota non ha il carattere di una consultazione", poi che la Nunziatura "avrà cura di segnalare con ogni sollecitudine alla Sacra Congregazione per i vescovi gli eventuali suggerimenti e osservazioni che le perverranno". Il tutto con la "viva raccomandazione di tenere la notizia del provvedimento pontificio sotto speciale segreto fino al giorno della sua pubblicazione ufficiale, che verrà a suo tempo notificata". La questione posta a Roma dai vescovi è la seguente: se il Papa ha già deciso, come assicura la "Nota" del cardinale Baggio, perché mandare suggerimenti e osservazioni? O la decisione è ancora "in fieri"? La risposta arriva dalla Congregazione dei religiosi ed è clamorosa: "Non c'è alcun decreto". Come dire che la "Nota informativa" aveva bluffato. E con un obiettivo preciso: quello di suscitare una massa tale di consensi tra i vescovi, per una decisione ritenuta già firmata dal Papa, da seppellire ogni dissenso e assecondare il varo del decreto nelle forme volute dall'Opus Dei e riferite nella "Nota".

La manovra della "Nota informativa" del 14 novembre 1981, orchestrata dall'Opus Dei per accelerare l'ottenimento dello status di Prelatura personale, confermava che il convalescente Giovanni Paolo II era in stato d'assedio: incalzato dalla fazione opusiana (che era arrivata al punto di attribuirgli un decreto inesistente), frenato da quella massonico-curiale.

Il 2 dicembre, a Londra, l'arcivescovo di Westminster cardinale Basil Hume, conclusa l'inchiesta sull'Opus Dei avviata il precedente gennaio dopo la pubblica denuncia del docente universitario John Roche, ribadì ai responsabili dell'Obra britannico la propria autorità vescovile su tutta la Chiesa locale. Quindi li invitò a «rispettare la libertà dell'individuo di aderire all'organizzazione o di lasciarla senza che vengano esercitate ingiuste pressioni», e a garantire «la libertà per l'individuo di scegliere il proprio direttore spirituale, che sia o no membro dell'Opus Dei». Il cardinale Hume stabilì infine che «nessuna persona al di sotto dei 18 anni deve essere autorizzata a pronunciare voti o ad assumere impegni a lungo termine in riferimento con l'Opus Dei».

Intanto, il precedente 25 novembre era approdato al vertice della Curia romana - nominato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede - il cardinale Joseph Ratzinger. Arcivescovo di Monaco dal marzo 1977, teologo che durante i lavori conciliari si era segnalato per le sue posizioni progressiste e innovatrici, Ratzinger era il primo porporato tedesco cui veniva assegnata una poltrona al vertice della Curia vaticana. Con quella nomina, la potente "ala tedesca" della Chiesa incassava il sostegno fornito all'elezione di Giovanni Paolo II. Un avvento voluto e benedetto dalla fazione opusiana, poiché il nuovo custode dell'ortodossia dottrinaria di Santa Romana Chiesa, ex progressista "pentito", era da tempo schierato su posizioni integraliste, e si rivelerà subito un falco restauratore. Al punto da guadagnarsi l'appellativo curiale di Adolf Ratzinger (nonché quello, appena più benevolo, di Panzerkardinal), e una laurea honoris causa dall'università dell'Opus Dei di Pamplona.

In Polonia la situazione precipitò ai primi di dicembre 1981. Nuovi scioperi e rivendicazioni di Solidarnosc, un ulteriore aggravamento della crisi economica, e le minacce di invasione da parte dell'Urss (con voci di movimenti di truppe sovietiche ai confini), indussero il generate Jaruzelski - ministro della Difesa, capo del governo, e dal precedente 18 ottobre anche segretario del Partito comunista polacco - a dichiarare lo "stato d'assedio" revocando le garanzie costituzionali.

La dirigenza di Solidarnosc - a partire dal leader Walesa - venne arrestata e incarcerata, radio e tv di Stato informarono i polacchi che tutti i poteri erano stati assunti da un consiglio militare "di salvezza nazionale". Scoppiarono alcuni tumulti, nel corso dei quali persero la vita 9 lavoratori e 4 militari: un dramma molto contenuto, rispetto a quanto avrebbe potuto accadere. Il colpo di Stato sostanzialmente incruento del generale Jaruzelski salvò in pratica la Polonia dall'invasione sovietica e da un immane bagno di sangue.

In Vaticano, nelle stanze della Segreteria di Stato, le notizie provenienti da Varsavia resero il clima plumbeo. Il cardinale Casaroli, benché all'apparenza imperturbabile, era fuori dalla grazia di Dio. Non erano pochi i curiali che ritenevano il Sommo Pontefice corresponsabile della tragedia polacca, gravida di incognite ben più sanguinose. Si temeva, sopra ogni altra cosa, che emergessero i finanziamenti vaticani a Solidarnosc, e che il sindacato-partito cattolico voluto e sostenuto da Giovanni Paolo II a quel punto sfuggisse al controllo politico papale imboccando la strada dell'insurrezione.

Il Pontefice rivolse un appello «pressante e sincero» al generale Jaruzelski, «una preghiera affinché abbia fine lo spargimento di sangue polacco». Nel corso dei suoi notiziari, la Radio vaticana annunciò in 36 lingue: «È in atto un dramma che ha ancora le possibilità di risolversi in positivo, nonostante l'alto costo di sofferenza pagato dai polacchi. Ma nessuno si nasconde che tra le possibilità esiste anche quella del peggioramento», ed esortò i fedeli a raccogliere gli appelli del Papa alla «preghiera di tutti i cristiani».

Il 18 dicembre Giovanni Paolo II inviò a Varsavia monsignor Luigi Poggi, il quale venne ricevuto dal generale Jaruzelski alla vigilia di Natale. L'episcopato polacco era ormai completamente scavalcato, il Sommo Pontefice era coinvolto in prima persona nella crisi polacca. Dall'entourage papale trapelò la voce che il Santo Padre, ancora segnato dai postumi psicofisici dell'attentato subito, versasse in uno stato di ulteriore prostrazione psicologica per l'aggravarsi della crisi polacca, e che avesse minacciato di lasciare il Vaticano per trasferirsi a Varsavia qualora la situazione fosse degenerata.

Nel dicembre 1981 il finanziere Carlo De Benedetti, da pochi giorni vicepresidente e azionista dell'Ambrosiano (il 18 novembre aveva acquistato per 50 miliardi il 2 per cento del Banco), tentò di appurare con precisione quali rapporti legassero la banca di Calvi e la P2 alla banca del Papa:

«All'atto del mio ingresso nel Banco era fatto ampiamente notorio che lo Ior detenesse anche ufficialmente una partecipazione nel Banco Ambrosiano. Inoltre era fatto notorio che monsignor Marcinkus sedeva nel consiglio di amministrazione del Banco Ambrosiano Nassau. Devo precisare che ho specificamente chiesto a Calvi quale fosse l'effettiva partecipazione di Ior e se il suddetto avesse una esposizione debitoria, e quale, nei confronti del Banco. Calvi mi rispose in maniera estremamente elusiva dicendo trattarsi di cose particolarmente riservate. Devo dire che le mie preoccupazioni al riguardo, in ordine all'esigenza di veder chiaro su questo aspetto dell'attività del Banco, nascevano dalle tante notizie, di stampa e non; dallo stesso contenuto, per quanto pubblico, della relazione sull'ispezione effettuata dalla Banca d'Italia all'Ambrosiano nel 1978; dal fatto che monsignor Marcinkus sedesse nel consiglio di amministrazione dell'Ambrosiano Overseas di Nassau [...].

Devo dire che il fatto che Calvi eludesse ogni domanda di spiegazioni al riguardo contribuiva ad alimentare i miei sospetti in ordine alla natura e all'entità dei rapporti Ambrosiano-Ior. Fu per questo che tentai di vederci più chiaro per altra via, attraverso un incontro privato con monsignor Achille Silvestrini della Segreteria di Stato vaticana.

L'incontro avvenne a Roma, nella mia abitazione, presente - in veste di amico e per un fatto di pura cortesia - l'onorevole Rognoni [il ministro dell'Interno e deputato Dc Virginio Rognoni, ndr]. Nella occasione, partendo io dalla esplicita affermazione essere il presidente dello Ior Marcinkus "un ladro" e apparirmi inconcepibile che uno Stato come il Vaticano avesse le proprie finanze affidate a un tipo così, rappresentai la necessità, nell'interesse del Vaticano, che si guardasse bene nell'attività dello Ior e nei rapporti Ior-Ambrosiano. Monsignor Silvestrini, con aria addolorata, prese atto del mio parlare esplicito e fermo, e mi disse che neppure loro - riferendosi anche al cardinale Casaroli - sapevano granché dell'attività dello Ior, e mi invitò a fornirgli un appunto affinché egli stesso potesse parlarne al Pontefice. Rammento che a proposito della mia definizione di monsignor Marcinkus, il predetto monsignor Silvestrini si strinse nelle spalle e disse trattarsi di una "pecorella smarrita"».

Il successivo 22 gennaio 1982 De Benedetti, sottoposto a pressioni e minacce, lasciò il Banco Ambrosiano cedendo la propria quota del 2 per cento allo stesso Calvi, per una somma che procurerà al finanziere l'accusa di concorso in bancarotta fraudolenta e una vicenda giudiziaria lunga e tortuosa conclusasi con l'assoluzione. Dirà ancora De Benedetti: «Ho riflettuto a lungo su quanto mi disse monsignor Silvestrini nel dicembre '81, per cercare di interpretare il comportamento di Marcinkus. Avevo capito fin da allora che con Silvestrini non si poteva parlare di Marcinkus. Così come mi fu altrettanto chiaro che questo vescovo americano doveva avere un rapporto assolutamente particolare con il Papa. Del resto, già allora si diceva che Marcinkus raccogliesse soldi per la Polonia».

L'avvocato Giuseppe Prisco, dal 1980 membro del consiglio di amministrazione dell'Ambrosiano, dichiarerà: «Calvi era considerato il padrone del Banco... Una volta gli chiesi quante azioni del Banco avesse, e egli mi rispose che non ne aveva nemmeno una. Volli sapere allora a chi appartenevano le varie società estere che risultavano tra i maggiori azionisti del Banco, [e lui] fece un segno verso il cielo. Alludeva al Padre eterno, e più in particolare ai suoi rappresentanti in terra. Mi disse invero che quelle società erano dello Ior, e quindi che in sostanza l'Ambrosiano era controllato dallo Ior. Il problema di chi fosse [la proprietà del] Banco Ambrosiano io me l'ero sempre posto; mi incuriosiva il fatto che le relazioni degli amministratori si concludessero con un ringraziamento alla Divina provvidenza per gli utili conseguiti. Mi ero convinto pertanto di essere effettivamente entrato in quella che era chiamata la banca dei preti».

In Vaticano la fazione massonico-curiale era molto più radicata e potente di quella opusiana, ma anche molto meno compatta. Alla storica divisione fra concezioni innovative e conservatrici che la percorrevano, l’intrigo Ior-Ambrosiano, e l'intesa di monsignor Marcinkus con il Pontefice, avevano accentuato le divisioni intestine. Il conflitto più lacerante vedeva contrapposti il capo dello Ior e il cardinale Casaroli.

Il segretario di Stato, in perenne dissenso dal Pontefice rispetto alla pericolosa politica wojtyliana verso la Polonia comunista e il blocco sovietico, considerava gravissimo il fatto che lo Ior, attraverso il Banco Ambrosiano, finanziasse Solidarnosc: il cardinale Casaroli riteneva concreto e incombente il rischio che la morsa del regime comunista di Varsavia sulla Chiesa polacca si stringesse, o che la situazione del Paese degenerasse in una guerra civile; temeva sopra tutto un intervento militare diretto dell'Urss, che avrebbe vanificato anni e anni di Ostpolitik ed esposto l'Europa al rischio di un terzo conflitto bellico mondiale.

Con il divenire dello scandalo Ior-Calvi-Ambrosiano, la figura di Marcinkus si faceva sempre più ingombrante per la fazione massonico-curiale, proprio mentre il potere del presidente della banca papale, nominato anche governatore dello Stato vaticano, era aumentato a dismisura. Il cardinale Casaroli intendeva recidere i legami Ior-Ambrosiano mediante una trattativa diplomatica e una transazione finanziaria; monsignor Marcinkus era assolutamente contrario a una simile eventualità, ritenendo che la Santa Sede dovesse limitarsi a negare qualunque responsabilità dello Ior nell'imminente bancarotta dell'Ambrosiano. Il presidente della banca papale costituiva ormai nei fatti un elemento di debolezza per la fazione curiale, e un oggettivo complice della fazione avversa.

Gli echi del contrasto Casaroli-Marcinkus finiranno nelle memorie del massone Francesco Pazienza. L'agente-collaboratore del servizio segreto militare italiano racconterà di essere stato mandato in Vaticano dal capo del Sismi, il generale massone della P2 Giuseppe Santovito, su richiesta della Segreteria di Stato vaticana, per incontrare il braccio destro del cardinale Casaroli, monsignor Pier Luigi Celata:

«Monsignor Celata prese la questione alla larga. Ma poi, a poco a poco, arrivò al nocciolo... Il nocciolo della questione aveva un nome e cognome: monsignor Paul Marcinkus, il potentissimo capo della banca vaticana, lo Ior... La richiesta di monsignor Celata era questa: bisognava fare in modo che il vescovo di Chicago mollasse la presa sullo Ior. Sarebbe toccato a me scoprire come. Ma, in realtà, c'era un unico sistema: trovare un'adeguata documentazione che dimostrasse come le attività della banca [del Papa] e del suo capo non erano proprio consone a quelle della Chiesa cattolica. In poche parole, bisognava creare uno scandalo... Mi accomiatai dal prelato, dicendogli che gli avrei fornito una risposta quanto prima sull’accettazione di quell'incarico. "Per comunicazioni fuori dai consueti orari, lei potrà contattarmi presso l'Istituto San Giuseppe, dove c'e la mia abitazione", mi disse prima di salutarmi [...].

Era chiaro che era in corso un durissimo scontro di potere ad altissimo livello all'interno della Curia romana. Ed era anche chiaro che le motivazioni di ordine morale, o moralistico, che monsignor Celata mi aveva fornito ("Bisogna far si che lo Ior smetta di svolgere attività poco consone a quelle di Santa Madre Chiesa") non era certamente quella vera. Ci doveva essere qualcosa di ben più grande e preoccupante. E la vicenda non poteva certo considerarsi frutto di antipatie personali o di problemi tra questo e quel prelato [...].

Nel vagliare le informazioni che le mie fonti mi facevano arrivare, accadde quello che spesso succede quando entra in campo quella variabile indipendente legata al caso e alla fortuna. Ovvero che una di queste mie fonti fosse, nello stesso tempo, anche depositaria di documenti e d'informazioni che erano proprio del tipo richiesto e cercato da monsignor Luigi Celata.

In Svizzera, presso l'avvocato Peter Duft di Zurigo - il quale era stato consulente del cardinale Egidio Vagnozzi e depositario di molti documenti dello stesso - ebbi la ventura di rintracciare carte pericolosamente compromettenti per monsignor Marcinkus, probabilmente le stesse che il cardinale Casaroli, tramite monsignor Celata, stava cercando. In effetti erano documenti depositati in Svizzera dal cardinale Vagnozzi, ormai defunto. Il porporato era. stato un acerrimo nemico di monsignor Marcinkus, al tempo in cui quest'ultimo lo aveva scalzato nella gestione delle finanze vaticane. Quindi, si trattava di documenti che avevano la loro origine proprio all'interno del Vaticano».

L'agente-collaboratore del Sismi, attivato dalla Segreteria di Stato vaticana per colpire monsignor Marcinkus, nel corso della sua "missione" appurò che «il Papa era inviso alla cerchia di coloro che avrebbero dovuto essere i suoi più stretti e fidati collaboratori» in quanto papa Wojtyla era «un vero e proprio "alieno" giunto dalla Polonia e completamente estraneo e avulso dal nocciolo duro dei prelati italiani che costituivano il nucleo storico della Curia, abituati a gestire a modo loro, e in maniera assoluta, la complicata ma quasi perfetta macchina vaticana», al punto che di Giovanni Paolo II «non ci si poteva fidare»:

«C'era il rischio che quel Papa mettesse a repentaglio il potere consolidato costruito in tanti anni di lavoro, dentro e fuori le mura della Santa Sede... Occorreva, dunque, nel disegno di chi deteneva il potere, "neutralizzare" il nuovo Papa, soprattutto isolandolo e impedendo che creasse uno staff di persone di assoluta sua fiducia. Il fatto che si fosse creato, invece, un asse privilegiato tra papa Giovanni Paolo II e Paul Marcinkus, il quale teneva i cordoni della borsa e quindi aveva un potere grandissimo, infastidiva non poco i "congiurati" e li aveva indotti a passare all’azione in modo brusco e con quelle modalità cosi inconsuete.

Ovviamente, c'erano anche ragioni politiche, e non solo di puro potere, alla base di questa sorta di "congiura" contro il Papa: le idee di Karol Wojtyla riguardo ai Paesi del blocco comunista non collimavano affatto con quelle del suo segretario di Stato, il quale, negli ultimi anni del lungo pontificato di papa Montini, aveva intessuto una serie d'iniziative diplomatiche molto raffinate e complesse col Cremlino e le altre capitali dell'Est europeo. Ma tale raffinatezza e tali intrecci non sembravano aver favorevolmente colpito il Pontefice e le sue idee in proposito. Anzi, Wojtyla, fin dalle sue prime mosse, dal punto di vista "politico" aveva lasciato intuire che il Vaticano sarebbe andato nella direzione di una linea dura, di scontro frontale con Mosca e i Paesi satelliti».

Francesco Pazienza era effettivamente di casa in Vaticano, e tra le Sacre mura «aveva importanti relazioni: una volta, a casa sua, ho incontrato monsignor Giovanni Cheli, che credo fosse l'ambasciatore del Vaticano presso l'Onu» . Soprattutto, l'agente massone era una specie di fiduciario di monsignor Achille Silvestrini, presso il quale aveva introdotto lo stesso capo del Sismi, il generale massone Giuseppe Santovito. Racconterà Pazienza: «Conoscevo monsignor Silvestrini da più di due anni [dal 1978, ndr]. Mi era stato presentato, nel corso di una delle mie frequenti visite romane, nel periodo in cui abitavo a Parigi, da monsignor Carlo Ferrero. Quest'ultimo era un altro personaggio straordinario, l'ideatore di quella università cattolica di grande prestigio che è stata la Pro Deo. [...] Venni introdotto nello studio di monsignor Silvestrini. M'inginocchiai davanti a lui e gli baciai l'anello. La sua accoglienza fu molto calorosa, amichevole e cordiale. Gli spiegai le ragioni per cui avevo chiesto di essere ricevuto in udienza. Al termine del lungo scambio di vedute, chiesi anche il permesso dell'alto prelato per potergli presentare il direttore dei servizi segreti militari della Repubblica italiana [il generale Santovito, ndr]. Fu lieto della richiesta, acconsentì e non nascose la sua meraviglia che questa conoscenza non fosse avvenuta prima. Oltretutto, ci sarebbero state anche "ragioni di ufficio" molto importanti che avrebbero dovuto spingere il generale Santovito a chiedere udienza: il Sismi, infatti, aveva un ruolo non secondario per quanto riguardava la sicurezza del Santo Padre, quando Giovanni Paolo II era impegnato nei suoi frequenti viaggi all'estero» .

Appurata l'esistenza a Zurigo del dossier contro monsignor Marcinkus, Pazienza ne aveva riferito a monsignor Celata. «Coloro che mi avrebbero potuto fornire tali documenti, tuttavia, volevano denaro, e per quanto mi constava né il generale Santovito né monsignor Celata avevano intenzione alcuna di sborsare denaro... Quando ebbi il primo incontro con Calvi, nei marzo 1981, a Roma, egli era gia perfettamente a conoscenza di questa embrionale attività da me svolta per conto del cardinale Casaroli e nell'ambito di quello scontro di fazioni contrapposte in atto in Vaticano. Ebbi pertanto la sensazione che Calvi avesse voluto vedermi soltanto per carpirmi informazioni su questa vicenda... Gli dissi che mi ero stancato di lavorare per il Sismi [e allora Calvi] mi chiese se volessi diventare il suo consulente personale... Lasciai il Sismi per diventare consulente di Calvi».

Il tentativo operato da Calvi di coinvolgere l'Opus Dei nell'azionariato del Banco Ambrosiano si protrasse per alcuni mesi, nei corso dei quali il banchiere massone fece pervenire al cardinale Palazzini proposte, documenti, e "confidenze" sulle connessioni segrete fra lo Ior e l'Ambrosiano. In pratica, Calvi proponeva alla fazione opusiana di estromettere monsignor Marcinkus dalla presidenza dello Ior, di affidare la banca papale a un fiduciario dell'Opus Dei, e di far rilevare dallo Ior una quota societaria del 10 per cento del Banco Ambrosiano per 1.200 milioni di dollari.

A febbraio del 1982 il cardinale Palazzini diede risposta negativa. Probabilmente quelli dell'Obra «avevano fiutato l'affare, ma dovevano vedersela con il cardinale Casaroli, interessato a impedire che l'Opus Dei, così ostile ai sovietici e tanto amica dei polacchi di Solidarnosc, mettesse le mani su un impero finanziario [Ior-Banco Ambrosiano, ndr]. Il Papa la pensava come il cardinale Palazzini, però non voleva problemi con il suo segretario di Stato», e men che meno con la fazione massonico-curiale.

Secondo la testimonianza resa da Pazienza in sede giudiziaria, in quello stesso periodo «Calvi venne a Roma e mi disse che stava recandosi in Vaticano, approfittando che era assente Luigi Mennini... Calvi, dal momento in cui non aveva potuto più disporre del suo passaporto e per di più era incorso nelle note disavventure giudiziarie, aveva preso a servirsi del sistema di comunicazione e dei telex in Vaticano, ogni qualvolta aveva bisogno di muovere capitali di sua pertinenza all'estero... Nell'occasione Calvi mi disse appunto che intendeva approfittare dell'assenza di Luigi Mennini, da lui definito un ficcanaso, per disporre movimentazioni di denaro approfittando dei telex del Vaticano. In particolare mi disse che in quel momento [nella sede dello Ior] c'era solo monsignor De Bonis, e aggiunse che, per poter ordinare l’operazione, aveva bisogno immediatamente del nome di una società panamense sulla quale operare».

La serata de la Santa Pasqua del 1982, l'11 aprile, il Pontefice la trascorse nel cortile vaticano di San Damaso, tra canti e suoni di chitarre: vi erano riuniti, a migliaia, studenti universitari di 36 Paesi, organizzati e convogliati dall’Opus Dei al cospetto del Santo Padre.
La regia dell'Obra fu come sempre impeccabile. Il Pontefice - che teneva sulle spalle uno scialle nero per ripararsi dalla frescura serale - si intrattenne a lungo con gli studenti, e l'incontro culminò quando Giovanni Paolo II li invito a recitare con lui il Pater noster in latino e a cantare in coro una invocazione alla Vergine Maria.

L'articolazione mondiale, l'efficienza organizzativa, l'assoluta discrezione e riservatezza, la capacita aggregativa dell'Opus Dei erano per il Santo Padre un'oasi rassicurante, nell'ambito di una Chiesa percorsa ancora e sempre da disordini e tensioni, con una Curia romana paludosa, ostile e infida. La forza silenziosa e ordinata dell'Obra era il solo conforto e la sola fonte di sicurezza per il Sommo Pontefice, ancora convalescente e scosso dall’attentato subito, e gravemente angustiato per la situazione polacca.

Il 13 maggio 1982, anniversario dell'attentato di piazza San Pietro, Giovanni Paolo II si recò al santuario mariano di Fatima: intendeva rendere omaggio alla Vergine Maria, la cui intercessione - sosteneva la fazione opusiana - aveva impedito che le pallottole sparate da Alì Agca lo colpissero a morte.

Nella basilica di Fatima, al termine della "processione delle candele", mentre il Papa risaliva l’altare, tra i fedeli assembrati un uomo in abito talare gridò «Abbasso il Concilio Vaticano II! Abbasso il Papa! Abbasso il comunismo!» e tentò di colpire il Santo Padre: era armato di una baionetta di fucile. Il pronto intervento del servizio di sicurezza vaticano impedì il peggio. «L'arcivescovo Marcinkus e il capo delle cerimonie del Vaticano, il reverendo John Magee, sono stati visti parlare nervosamente con il Pontefice nel tentativo - sembra - di convincerlo a lasciare immediatamente la Basilica. Il Papa con voce affaticata ha impartito la benedizione finale all'immensa folla e si e allontanato da un'uscita laterale» .

Subito fermato e tratto in arresto, il mancato attentatore gridò ancora: «La crisi della Chiesa e colpa del Concilio, del Papa e del cardinale Casaroli!». Era don Juan Antonio Fernandez Krohn, un sacerdote trentaduenne ex seguace di Marcel Lefebvre e vicino alla setta Tfp ("Tradizione, famiglia, proprieta").

Il 30 maggio Roberto Calvi rivolse un estremo appello al cardinale Palazzini, inviandogli una lettera dai toni accorati: «Eminenza reverendissima, sento il dovere di rivolgermi ancora una volta alla sua illuminata e degnissima persona per informarla degli ultimi spaventosi sviluppi delle mie vicissitudini con lo Ior che stanno pericolosamente conducendo i miei interessi e quelli più importanti della Chiesa verso un sicuro disastro».

Dopo aver imputato a monsignor Marcinkus «una inconcepibile insensibilità ai reali interessi della Chiesa», nella sua lettera al porporato filo-Opus Dei il banchiere della P2 attaccava la fazione massonico-curiale, accusando il cardinale Casaroli e monsignor Silvestrini di essere gli artefici di «un complotto che, in connivenza con le forze laiche e anticlericali nazionali e internazionali [massoneria, ndr], mira a modificare l'attuale assetto del poteri all'interno della Chiesa». Un complotto mosso fra l'altro da «invidia verso il Santo Padre per la popolarità e la stima di cui gode nel mondo», dalla «mancanza della più elementare convinzione religiosa e di ogni sensibilità umana», e da un «arrembaggio del potere».

«In siffatte condizioni», scriveva ancora Calvi, «cosa posso sperare io, responsabile come sono di aver svolto un'intensa opera di banchiere nell'interesse della politica vaticana in tutta l’America Latina, in Polonia e in altri Paesi dell'Est?». E infine la richiesta: «Eminenza reverendissima, perché non mi procura l’opportunità di poter parlare di un fatto così importante, cosi storicamente importante, col Santo Padre? E’ questo un fatto, una storia anzi, una storia tanto grande che va trattata nella sua dimensione integrale soprattutto al fine di impedire che si realizzino i progetti dei nemici della Chiesa e dell'intera cristianità. Soltanto attraverso un tempestivo ed energico intervento la Santa Sede potrà difendere i suoi legittimi interessi ed evitare quindi di favorire il gioco dei nemici» .

Domenica 6 giugno, festa della Santissima Trinità, nel corso di una messa in San Pietro Giovanni Paolo II ordinò sacerdoti 32 appartenenti all'Opus Dei di 17 nazionalità. L'indomani arrivò in Vaticano il presidente Usa Ronald Reagan.

Appartati a quattr'occhi in una saletta della Biblioteca privata, il Papa e il presidente americano concordarono un piano segreto per soccorrere Solidarnosc, messo fuorilegge dal giro di vite autoritario del generale Jaruzelski e in grave difficoltà dopo l'incarcerazione del vertice. Anche gli Stati Uniti reaganiani erano interessati a destabilizzare il regime di Varsavia per tentare di scardinare l'assetto geopolitico-militare di Yalta, e come il Vaticano anche gli Usa erano però costretti a operare con la massima segretezza per evitare la reazione militare dell'Urss e il pericolo di un conflitto bellico mondiale.

Il Pontefice polacco e il presidente americano concordarono di intensificare gli aiuti a Solidarnosc: non solo nuovi, massicci finanziamenti, ma anche materiale (ricetrasmittenti, macchine tipografiche, fotocopiatrici, fax, videocamere, computer, ecc.) e informazioni di intelligence. La base di coordinamento del piano venne stabilita a Bruxelles, dove periodicamente si sarebbero incontrati sacerdoti polacchi di Solidarnosc, emissari vaticani e agenti della Cia. Monsignor Marcinkus si occupo di convogliare al sindacato clandestino anche i finanziamenti Usa, che si appaiavano ai fondi Ior-Ambrosiano.
Dell'accordo Wojtyla-Reagan vennero tenuti all'oscuro sia la Segreteria di Stato vaticana, sia il Dipartimento di Stato americano. Ma in alcuni dicasteri curiali, l'indomani, c'era chi ne era perfettamente al corrente.

Il 12 giugno 1982 Roberto Calvi lascio l' Italia. Quarantottto ore dopo monsignor Marcinkus firmò una lettera di dimissioni dal Consiglio di amministrazione del Banco Ambrosiano Overseas di Nassau - dimissioni molto, troppo tempestive, come dimostrava la motivazione speciosa: «E’ per me diventato impossibile trovare il tempo per essere presente alle riunioni dei consigli di amministrazione, a causa dei molti impegni collegati alle mie attuali responsabilità».

Il 16 giugno il direttore generale dell'Ambrosiano, Roberto Rosone, si recò in Vaticano, presso la sede dello Ior: "Dai responsabili del Settore estero del Banco avevo saputo che il Banco Ambrosiano Andino aveva fatto, in sostanza, del grossi finanziamenti allo Ior, ovvero a società a esso facenti capo e che erano stati garantiti con una serie di pacchetti azionari di ottima immagine, tra cui il 10 per cento circa di azioni del Banco Ambrosiano (circa 5 milioni e 300 mila azioni). Seppi in particolare che il credito complessivo del Banco Andino si aggirava su un miliardo e 300 milioni circa di dollari Usa. Alle mie perplessità, Calvi mi aveva chiesto se per caso non mi fidavo - facendo dell'ironia - della banca centrale del Vaticano, e che c'era comunque una lettera di impegno dello Ior in possesso dell'Andino. Fu per questo che, essendo in scadenza un debito dell’Andino, mi recai - assente gia ormai Calvi - personalmente presso lo Ior perché cominciasse a far fronte all'impegno in modo da costituire una liquidità presso l'Andino con la quale questo potesse pagare il suo debito.
Mi recai allo Ior con l’amministratore delegato della Centrale spa dottor Leemans. Avemmo un colloquio, presso la sede dello Ior in Roma, Città del Vaticano, con il dottor Mennini [amministratore delegate dello Ior, ndr] e il dottor De Strobel. Ci fu detto che il presidente dello Ior monsignor Marcinkus era indisponibile giacché appena rientrato con il Papa da Ginevra. Fu per questo che parlammo con gli altri due responsabili della banca vaticana.
I predetti alla mia richiesta di cominciare a far scendere l'esposizione dello Ior nei confronti del Banco Ambrosiano Andino si mostrarono estremamente preoccupati e non diedero delle risposte esaurienti. Ricordo che costellarono i loro discorsi di frasi del tipo: "L'abbiamo fatto per Calvi", quasi a voler disconoscere o mettere comunque in dubbio la lettera dello Ior di patronage con la quale lo Ior si era formalmente impegnato nei confronti dell'Andino dichiarando la proprietà effettiva delle società debitrici dell'Andino stesso. Ricordo che ci lasciammo in maniera alquanto interlocutoria, anche perché io dovevo rientrare rapidamente a Milano; rimase a Roma il dottor Leemans, il quale mi telefonò il giorno successivo dicendomi che i responsabili dello Ior avevano manifestato un orientamento a fare una sorta di transazione, ossia a restituire il puro capitale, senza interesse alcuno.
Devo dire che questa e stata poi la ragione determinante che mi ha spinto a chiedere il commissariamento [del Banco Ambrosiano, ndr}. In banca era risaputo che il gruppo di controllo dell'Ambrosiano era costituito dallo Ior. Ritengo che Calvi rappresentasse gli interessi dello Ior nel Banco".

Il 17 giugno le autorità monetarie italiane deliberarono la liquidazione coatta del Banco Ambrosiano.

L'indomani, a Londra, sotto le arcate del Blackfriars Bridge (il ponte dei Frati neri, sul Tamigi), venne trovato il cadavere di Roberto Calvi impiccato. Il banchiere massone si era reso irreperibile, fuggendo dall'Italia, sei giorni prima - aveva detto ai suoi familiari: «Se mi succede qualcosa, papa Wojtyla dovrà dare le dimissioni». Un collaboratore di Calvi, il faccendiere Flavio Carboni, dichiarò che il banchiere della P2 pochi giorni prima di morire aveva allacciato contatti con l'Opus Dei; l'Obra smentì.
Né il loquacissimo Pontefice, né la Santa Sede, spesero una sola parola di pubblico cordoglio e di umana pietà per la tragica e enigmatica morte violenta di colui che per molti anni aveva operato sui mercati finanziari internazionali con il soprannome di "banchiere di Dio" e in società con le finanze papali. Primario interesse delle due fazioni vaticane in guerra, e dello stesso Papa polacco, era che sullo scandalo Ior-Ambrosiano, e sul cadavere di Roberto Calvi, venisse posta al più presto la pietra tombale.
Il 26 giugno, nella basilica di Sant'Eugenio, a Valle Giulia, il presidente generale dell'Opus Dei Alvaro del Portillo celebrò una solenne messa di suffragio in occasione del settimo anniversario della morte del fondatore dell'Obra, Josemaria Escriva de Balaguer. Assistettero al solenne rito i cardinali Pietro Palazzini e Umberto Mozzoni, e il nunzio apostolico in Italia monsignor Romolo Carboni (presente anche l'onorevole Giulio Andreotti).

A meta luglio la stampa riportò alcune indiscrezioni di fonte giudiziaria, secondo le quali i magistrati italiani alle prese con l'inchiesta sulla bancarotta dell’Ambrosiano avevano trovato traccia documentale di alcuni finanziamenti del Banco al sindacato polacco di Solidarnosc, fra i quali un versamento «di 14 miliardi di lire» attraverso un giro di «consociate estere collegate allo Ior».

Il 19 agosto Carlo Calvi, figlio del defunto banchiere, confermò al "Wall Street Journal" che suo padre aveva chiesto l'intervento dell'Opus Dei per salvare l’Ambrosiano dalla bancarotta. L'Obra smentì di nuovo. Secondo il giornalista spagnolo Rossend Domenech Matillo, poche settimane prima di essere ammazzato Roberto Calvi aveva ricevuto una lettera da Licio Gelli: il capo della P2 gli confermava che tali Finetti e Seigenthaler, indicati come cassieri romani dell'Opus Dei, si stavano «occupando di tutto» per salvare l'Ambrosiano dalla bancarotta.

Il 23 agosto il portavoce vaticano, padre Romeo Panciroli, dichiarò ufficialmente che «il Papa ha deciso l'erezione a Prelatura personale dell'Opus Dei», ma precisò: «La pubblicazione del relativo documento viene rimandata per motivi tecnici». Il portavoce vaticano non spiegò quali fossero i «motivi tecnici», che erano in realtà le ultime, strenue resistenze della fazione massonico-curiale.

Il 13 settembre monsignor Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea e presidente di "Pax Christi", parlò in un'intervista dello scandalo Ior-Ambrosiano: «Quello che più direttamente può turbare sono i contatti cosi frequenti e profondi di monsignor Marcinkus con finanzieri compromessi come Sindona e Calvi, esponenti fra l'altro della massoneria. Forse e vero che la massoneria americana ha una storia meno anticlericale, ma qui turba molto vedere uomini di Chiesa che vanno a braccetto con la parte peggiore della massoneria» .

Il 23 settembre il deputato socialista Mauro Seppia (membro della Commissione d'inchiesta sulla Loggia massonica P2 istituita dal Parlamento italiano) dichiarò: «Occorre sapere quanti elementi della P2 sono iscritti anche all'Opus Dei e all'Ordine dei Cavalieri di Malta». Con un perentorio comunicato, l'Obra replicò: «Nella maniera più categorica non e mai esistito, né può esistere, alcun tipo di rapporto fra l’Opus Dei e qualsivoglia organizzazione massonica... Nessun appartenente alla P2 è, o è stato, membro dell'Opus Dei».

Dal carcere di Ascoli Piceno, nel quale scontava la condanna all'ergastolo per l'attentato al Papa, il 24 settembre Alì Agca invio una singolare missiva al cardinale Silvio Oddi. Il killer turco scrisse fra l'altro al porporato vicino all'Opus Dei: «Devo confessare che io ho paura di voi di Vaticano: un giorno potete uccidermi, direttamente o indirettamente».

Il 7 ottobre Clara Calvi, moglie del defunto banchiere dell'Ambrosiano, in un'intervista rilasciata a Washington si disse convinta che suo marito fosse stato assassinato per ragioni legate «all'ultima operazione preparata da Roberto, e per cui si era recato a Londra: l'assunzione dei debiti dello Ior da parte dell'Opus Dei. Era un'operazione rischiosa, politica oltre che economica. In cambio dell'aiuto, l'Opus Dei chiedeva precisi poteri in Vaticano, ad esempio nella determinazione della strategia verso i Paesi comunisti e del Terzo mondo. In Vaticano c'e una profonda spaccatura tra fautori e avversari dell’Ostpolitik, tra sinistra e destra... Marcinkus e Casaroli erano contrari [all’intervento finanziario dell'Opus Dei] perché per loro significava la perdita almeno parziale del potere e l'inizio della fine dell'Ostpolitik. Ma il Papa era d'accordo».
Il 27 ottobre la Sala stampa della Santa Sede informò che il capitano della Guardia svizzera Alois Estermann avrebbe scortato il Pontefice durante la visita pastorale in Spagna (31 ottobre-9 novembre), con il compito di garantirne la sicurezza. Una "promozione" sorprendente e senza precedenti nella storia del Corpo: Estermann era entrato nella Guardia svizzera pontificia solo due anni prima. Quello nella patria originaria dell'Opus Dei fu il primo di una lunga serie di viaggi apostolici che l'ufficiale legato all'Obra affrontò al seguito del Santo Padre, come "speciale" garante della sicurezza personale di papa Wojtyla.

Il 27 novembre, cioè ben tre mesi dopo l’annuncio della decisione papale, la Congregazione per i vescovi ufficializzò la erezione dell'Opus Dei a Prelatura personale - la prima, nella storia plurisecolare della Chiesa di Roma; il Pontefice ne nominò primo prelato monsignor Alvaro del Portillo.

"L'Osservatore Romano" pubblicò la notizia con un celebrativo commento del prefetto della Congregazione per i vescovi, cardinale Sebastiano Baggio il quale si era dato un gran daffare perché l'organizzazione di Escriva de Balaguer ottenesse l'ambitissimo status. Un impegno assai strano, dal momento che il cardinale Baggio era ritenuto uno dei maggiorenti della fazione massonico-curiale: già indicato come presunto affiliate alla "Gran Loggia vaticana", aveva un fratello - Francesco Baggio - affiliate alla Loggia segreta P2.

Nell'autunno del 1982, presso l'ambasciata italiana a Washington, i magistrati milanesi Bruno Siclari e Pierluigi Dell'Osso interrogarono Clara e Anna Calvi (rispettivamente moglie e figlia del banchiere massone trovato cadavere a Londra). La vedova Calvi, tra l'altro, dichiarò:

«Credo che mio marito entrò a far parte della massoneria in quel periodo [1971, ndr] Cosa che mi disse successivamente, precisando di essere state "iniziato" a Ginevra. In quegli stessi anni mio marito aveva degli stretti rapporti di affari e degli intensi contatti con lo Ior, la banca vaticana, e in particolare con Luigi Mennini, che ne era l’esponente più tecnico [amministratore delegato, ndr]. In tale contesto di rapporti vi era una frequentazione anche delle rispettive famiglie. I contatti erano frequenti anche con il presidente dello Ior, monsignor Marcinkus, che entrò, su designazione di mio marito e proprio per gli stretti e intensi rapporti intercorrenti fra lo Ior e il Banco Arnbrosiano, a far parte del consiglio di amministrazione della consociata estera dell'Ambrosiano alle Bahamas, l'Overseas di Nassau. Per tale motivo vedevamo abbastanza spesso il Marcinkus a Nassau, dove era nostro ospite in occasione di tutti i consigli di amministrazione.

Ad avvicinare ulteriormente mio marito agli ambienti clericali fu lo stesso Umberto Ortolani [avvocato-finanziere massone, ndr], che era molto vicino a tali ambienti ed era, in particolare, molto amico del defunto cardinale Lercaro. Tengo a evidenziare che in quel periodo mio marito frequentava, come del resto successivamente, il Vaticano con assiduità, e aveva diretti contatti con il defunto pontefice Paolo VI, con cui era in rapporti confidenziali e da cui si recava in visita senza bisogno di alcuna formalità [...].

All'inizio della primavera [del 1982, ndr] mio marito mi disse che voleva andare in Spagna. Gli chiesi, molto meravigliata, come mai dovesse andare in Spagna, e mio marito mi disse che in Spagna l’Opus Dei ha una grandissima potenza, giacché molto ricca. Era la prima volta che mio marito mi parlava dell’Opus Dei, e mi spiegò che la stessa poteva risolvere i problemi del Vaticano in campo finanziario e porsi come l’elemento vincente nella lotta di potere in seno al Vaticano fra le due opposte fazioni che si fronteggiavano da anni, quella della Ostpolitik e quella che la osteggiava, ossia l’ala conservatrice. Mio marito mi precisò che lui doveva favorire l'intervento dell’Opus Dei perché solo cosi potevano essere risolti i suoi problemi con lo Ior e le stesse difficoltà economiche del Vaticano, specificandomi che ciò, peraltro, avrebbe mutato radicalmente gli equilibri politici in Vaticano, giacché avrebbe dato una posizione di forza all’Opus Dei e di preminenza all'ala conservatrice [...].

In quel periodo tutto a un tratto Flavio Carboni non si sentì più al telefono, e non si fece vivo per circa una settimana. Quando ricomparve, venendo a trovarci a Drezzo, mi disse di essere tornato con i vescovi massoni. Carboni in quel periodo aveva contatti continui sia con la massoneria, sia con esponenti del Vaticano [...].

Mio marito mi disse testualmente: "L'Ostpolitik l'ho distrutta io. Se in questi quindici giorni Andreotti non mi mette il bastone fra le ruote, siamo a posto"... Successivamente mi parlò esplicitamente di minacce di morte ricevute direttamente dall'onorevole Andreotti... Mio marito alternava momenti di assoluta disperazione a momenti di euforia, a seconda dell'evolversi di questo problema con il Vaticano, in cui - a quanto lui diceva - si svolgeva una lotta furiosa tra le due fazioni in contrasto, che coinvolgeva direttamente la questione dei rapporti fra lo Ior e il Banco Ambrosiano.

Mio marito sosteneva con convinzione: "Se mi succede qualcosa, il Papa dovrà dare le dimissioni", e aggiungeva che in Vaticano sarebbero stati talmente nei guai da essere costretti a spostare la sede del Vaticano stesso... Mio marito mi accennò di avere incaricato il Carboni di prendere degli ulteriori contatti in Svizzera con importanti esponenti dell'Opus Dei per accelerare i tempi dell'operazione di intervento dell'Opus Dei e di soddisfacimento dei debiti contratti dallo Ior...».
La figlia del defunto banchiere, Anna Calvi, interrogata il 22 ottobre, testimoniò a sua volta:

«In occasione di un fine settimana che io e mio padre passammo a Drezzo, credo negli ultimi giorni di maggio [1982, ndr], gli chiesi di spiegarmi che cosa effettivamente stesse succedendo. Mio padre mi disse che per risolvere il problema dei rapporti con lo Ior avevano messo su e portato avanti un progetto che prevedeva l'intervento dell'Opus Dei, organizzazione che avrebbe dovuto erogare una cifra enorme, di entità superiore ai mille miliardi di lire, per coprire l'esposizione debitoria dello Ior nei confronti del Banco Ambrosiano.

Mio padre mi disse che ne aveva parlato direttamente con il Papa, [il quale] gli aveva assicurato il suo appoggio e il suo consenso; aggiunse che, però, in Vaticano vi erano fazioni contrarie, che contrastavano vivamente la realizzazione del progetto che, ove condotto a termine, avrebbe creato degli equilibri completamente nuovi nel Vaticano stesso: ciò perché l'Opus Dei avrebbe acquisito il controllo dello Ior e quindi una posizione di diversa e grande rilevanza all'interno del Vaticano. Proprio per questi contrasti e queste lotte intestine, mio padre era molto preoccupato. Mi disse che contrario alla realizzazione del progetto era il cardinale Casaroli, e disse ancora che se l'affare non fosse andato in porto lo Ior sarebbe crollato e avrebbe coinvolto anche il Banco Ambrosiano nei suo crollo. Soggiunse che il Vaticano si sarebbe trovato nella necessità di vendere piazza San Pietro... Dopo avermi fatto presente queste cose, mio padre commentò che per cifre dell'ordine di quelle che mi aveva detto, la gente poteva benissimo ammazzare.

Il discorso con mio padre proseguì durante il pranzo, nel corso del quale mi disse che ultimamente aveva parlato con l’onorevole Andreotti, il quale aveva usato un tono strano e gli aveva mostrato di non sapere gli ultimi sviluppi con l'aria di chi, invece, la sapeva lunga... Mi disse di avere una grande paura dell'onorevole Andreotti, perché lo sapeva legato alla fazione che, all'interno del Vaticano, si batteva contro la realizzazione del progetto ruotante attorno all'Opus Dei... Mi spiegò che monsignor Marcinkus era in una posizione abbastanza precaria in Vaticano e che era stato sottoposto a una specie di inchiesta interna per via di operazioni finanziarie irregolari che aveva fatto e anche perché aveva una vita privata non degna di un sacerdote. Mio padre disse che sembrava volessero trasferire monsignor Marcinkus, per rimuoverlo dallo Ior, a un'altra grossa carica negli Stati Uniti [...]».

Mentre la moglie e la figlia di Roberto Calvi rilasciavano a Washington le loro dichiarazioni ai magistrati milanesi, in Vaticano il Santo Padre si apprestava ad affrontare il viaggio pastorale di dieci giorni in Spagna. Un viaggio intorno alla cui preparazione si era consumato un nuovo scontro di potere tra la fazione massonico-curiale e quella opusiana.

Contrariamente al solito, il viaggio del Pontefice nella patria dell'Obra non era stato preparato da monsignor Marcinkus, ma dal sostituto della Segreteria di Stato, il filo-Opus Dei monsignor Martinez Somalo. Una decisione - assunta dal Papa su pressione opusiana - che aveva suscitato le ire della fazione massonico-curiale, già scossa dalla promozione del capitano della Guardia svizzera Alois Estermann a nuova guardia del corpo del Santo Padre itinerante. La mediazione era stata trovata incaricando padre Roberto Tucci - direttore generale della Radio vaticana, schierato con la fazione curiale - di recarsi a Madrid, presso la Conferenza episcopale spagnola, per concordare alcuni risvolti del viaggio papale.

La voragine debitoria che aveva provocato il crollo del Banco Ambrosiano apparve alla magistratura italiana come un rebus di difficilissima soluzione. I flussi di denaro erano stati convogliati in un reticolo di società estere protette da un ferreo segreto bancario e ulteriormente schermati da sofisticate alchimie contabili.

Pubblicato da giuseppe genna at Ottobre 30, 2003 12:45 AM ( http://www.carmillaonline.com/archives/2003/10/000479.html#000479)


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(1) A tutt'oggi (dicembre 2004) l'appartenenza di F. Pazienza alla massoneria è tuttavia ancora controversa (nota di Nereo Villa).

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TASSELLI DI "VITA" BANCARIA
by Monsignor Paul Casimir Marcinkus Monday, Aug. 16, 2004 at 10:23 PM mail:

Gli affari sporchi della banca vaticana
Dagli anni Sessanta ad oggi all'ombra della "cupola"

Un elemento fondamentale manca a completare, anche se sommariamente, il quadro della faccenda del banchiere Roberto Calvi: il ruolo del Vaticano.

Per quanto inattaccabile, grazie al diritto di extraterritorialità di cui gode, lo IOR, la banca vaticana, guidata al tempo da Monsignor Paul Casimir Marcinkus è risultata, a seguito di molte inchieste andatesi a schiantare sul più maestoso muro di gomma della storia, coinvolta in più crimini.

E non è solo storia passata. Il caso riportato alla ribalta dai quotidiani di tutto il mondo, in Italia dal settimanale l’Espresso, conferma che la finanza vaticana è a tutt’oggi gestita da personaggi senza scrupoli disposti a tutto pur di mantenere e accrescere il proprio potere.

Ripartiamo dalle origini.

Uno per tutti...

Ormai sono innumerevoli le investigazioni condotte da più parti che confermano al di là di ogni ragionevole dubbio che Sindona, Marcinkus e Calvi operarono in concerto al fine di raggiungere un obiettivo ben preciso: creare un polo finanziario cattolico capace di competere con la finanza laica internazionale.

E a ragione si può dire che ci riuscirono.

Il Banco Ambrosiano divenne, grazie anche all'insostituibile apporto della massoneria guidata da Licio Gelli e da Ortolani, una gigantesca macchina fabbrica soldi finalizzata al finanziamento dei più disparati progetti di potere in tutto il mondo.

L'obiettivo non è solo il mero accumulo di denaro, ma di disporne in quantità inimmaginabili e del tutto virtuali, per consentire ai controllori del sistema costituito, di orientare pensieri, guerre, alleanze, e traffici di ogni genere...

Forse per questa ragione, più di ogni altra, meritano l'appellativo de "i banchieri di Dio", perché i milioni di miliardi che gestiscono, sottraendoli illecitamente al popolo del mondo, li inebriano a tal punto da far sì che si arroghino il diritto di disporre della vita e della morte. E' un malcostume radicato, sostiene Carlo Calvi. Purtroppo è molto peggio, è una strategia perfettamente ordita.

Torniamo ai fatti.

Fu Mussolini a dare il via al moderno impero vaticano. All’indomani dei patti lateranensi l'Italia, oltre a riconoscere al nuovo Stato "Città del vaticano" l'esenzione dalla tasse e dai dazi sulle merci importate, predispose un "risarcimento" per i danni finanziari subiti dallo Stato pontificio in seguito all’unità d’Italia.

L'Art. 1 lo quantifica nella "somma di 750 milioni di lire (e di ulteriori) azioni di Stato consolidate al 5 per cento al portatore per un valore nominale di un miliardo di lire". (Alcune fonti riferiscono di un valore di azioni pari a 81 milioni di dollari al cambio del 1929). Una cifra complessiva, insomma che si aggirerebbe oggi attorno ai 2.000 miliardi delle vecchie lire.

Il giorno stesso papa Pio XI istituisce l'"Amministrazione speciale delle Opere di religione" per amministrare l'ingente patrimonio ereditato, e lo affida a Bernardino Nogara, che grazie alla sua abilità, la trasforma in un impero edilizio, industriale e soprattutto economico.

Tale istituzione diverrà IOR, Istituto per le opere religiose, nel 1942 per volontà di Pio XII che sancisce il varo di una vera e propria Banca vaticana, dotata di "un’autonoma personalità giuridica" allo scopo non più solo di raccogliere i beni della Santa Sede, bensì quello di amministrare il denaro e le proprietà cedute o affidate all’Istituto stesso da persone fisiche o giuridiche per fini di opere religiose e opere di pietà cristiana". Benché la presidenza venga affidata al cardinale Alberto di Jorio, l’effettiva gestione rimane nelle mani di Nogara affiancato da un altro abilissimo finanziere: il principe Massimo Spada, noto avvocato e agente di cambio. Entrambi non si pongono alcuno scrupolo nel tipo di affari da concludere...

Nel 1967 lo IOR vantava già un ruolo determinante in Borsa, ma è anche l’anno in cui finisce per la banca vaticana l’esenzione totale dal pagamento delle tasse.

Infatti la nuova legislazione fiscale italiana dal dicembre del 1962 impone una tassazione fino al 30% sui profitti derivanti dai dividendi azionari, la Democrazia Cristiana fa scudo crociato al Vaticano, ma il Partito socialista (che sostiene il primo governo di centro-sinistra guidato da Aldo Moro) si oppone. Il Vaticano è tenuto a pagare.

Un bel danno per la Santa Sede che decide di esportare il suo patrimonio all'estero. Qui entra in scena Michele Sindona, già amico di Paolo VI per avergli curato gli affari quando Giovanni Battista Montini era arcivescovo di Milano. Sindona gli aveva trovato terreni e fondi per l'edificazione della Casa della Madonnina, divenendo così il "consulente finanziario" della curia milanese che si sposta poi in blocco a Palazzo con l'elezione di Montini a papa. Tanto che negli ambienti vaticani era stata ribattezzata "la mafia milanese" a causa delle amicizie poco raccomandabili del consulente esterno. Sindona, del resto, che ha già esteso il suo raggio d'affari negli Stati Uniti dove ottiene uno strepitoso successo sui rotocalchi che contano, ha fatto le amicizie "giuste": il banchiere David M. Kennedy (presidente della Continental Illinois Bank, al quale Sindona cederà il 22% della sua Banca Privata Finanziaria), l'avvocato Richard Nixon e il boss mafioso italo-americano Joe Doto, noto all’FBI come "Joe Adonis", che affida al finanziere di Patti le sue più riservate e spericolate operazioni finanziarie.

Su incarico di Adonis, Sindona si reca a New York dove viene accolto dalla famiglia mafiosa di Don Vito Genovese, per il conto della quale, Sindona si occupa di creare i canali per il riciclaggio dei proventi illeciti di varia natura.

Era infatti già esperto di banche off-shore dove far transitare eurodollari esentasse: la soluzione giusta anche per le esigenze di Papa Montini.

Ad affiancare Sindona nelle varie operazioni dall’interno dello IOR Paolo VI sceglie il vescovo Paul Marcinkus, americano di origine lituana, amico personale del papa, nonché sua guardia del corpo. Il duo si diletta immediatamente in acrobazie finanziarie con la doppia finalità di fare miliardi e di evadere il fisco italiano.

E se come si dice, non c’è due senza tre, si unisce allo spericolata coppia un terzo personaggio: Roberto Calvi.

Il primo affare grande affare del trio ha inizio con la spartizione della società anonima Compendium, punto di partenza di una ragnatela societaria costituita dal scatole cinesi attraverso cui avvengono vorticosi passaggi di pacchetti azionari tra le varie off-shore. Subito dopo viene fondata a Nassau, Bahamas, dalla Compendium stessa controllata dall’Ambrosiano, la Cisalpine Overseas Bank, un istituto di credito la cui presidenza viene affidata a Marcinkus.
Sindona ha un altro compito molto importante da portare avanti: riciclare i soldi della mafia. Tra i vari casi un esempio è l’affare Finambro in cui il finanziere na a disposizione da "investire" 200 milioni di dollari di quegli anni, la cui provenienza è sconosciuta. Per "lavarli" vengono costituite società intestate a prestanome e a piccoli istituti di credito i cui capitali minimi aumentano improvvisamente e soprattutto vertiginosamente. Coinvolti nell’affare ovviamente anche Calvi e Marcinkus, ma devono restare anonimi. Solo più avanti l’UIC (Ufficio Italiano Cambi) accerterà che la grossa capitalizzazione della Finambro era avvenuta grazie ai versamenti di una finanziaria lussemburghese: la Capisec Holding Sa, controllata dalla triade.

La particolare situazione dello IOR, dovuta proprio alla extraterritorialità dello Stato vaticano rispetto all’Italia, consentiva l’esportazione "legale" dei capitali italiani all’estero.

Le modalità sono spiegate da Sindona stesso nel libro Il mistero Sindona (Nick Tosches, Sugarco, Milano, 1986): "Tra il 1971 e il 1973 Sindona e Marcinkus arrivano a maneggiare obbligazioni falsificate di provenienza mafiosa per un miliardo di dollari.

Sarebbero state utili per realizzare una delle imprese più ardite di Sindona: il tentativo di impadronirsi della Bastogi, ossia della "Società Italiana per le strade ferrate meridionali", sempre in concerto con il prelato. L’operazione fallì per motivi tuttora non chiariti, ma verosimilmente ricostruiti attraverso le investigazioni di due agenti dell’FBI e della testimonianza di Leopold Ledl, portaborse invischiato in un grosso affare di obbligazioni falsificate dalla mafia americana e commissionate dal Vaticano.

I giochi però, non possono durare per sempre; le rocambolesche speculazioni di Sindona cominciano ad insospettire le autorità tanto in Italia quanto negli Usa. Come in un tragico domino con la crisi della DC in patria, lo scandalo Watergate in America ed una sfavorevole congiuntura generale che creano gravi problemi di liquidità per Sindona, crollano una per una le banche del finanziere: la Banca Privata, la cui liquidazione sarà affidata all’avvocato Giorgio Ambrosoli ucciso da un sicario mafioso su mandato di Sindona, la Franklin Bank negli Usa e la Finabank a Ginevra...

Marcinkus e Calvi corrono ai ripari per proteggere i loro capitali del dissesto del socio. Sindona vuole vendicarsi e, con una lettera firmata da un certo Cavallo alla Banca D’Italia, dà il via, forse anche al di là delle sue reali intenzioni, alla capitolazione del Banco Ambrosiano. Ma ci vorrà ancora un po’ di tempo, perché mentre Sindona precipita l’unico referente rimasto per Marcinkus, Gelli e la mafia è proprio Roberto Calvi.

Il vento però è cambiato e a complicare la faccenda subentra la morte di Paolo VI, da molti considerato il vero e proprio ispiratore della triade Sindona-Marcinkus-Calvi.

Gli succede l’ex patriarca di Venezia, Albino Luciani, Giovanni Paolo II, inviso a Marcinkus e soprattutto per niente incline alle relazioni pericolose. Tra i suoi primi intenti quello di ripulire l’economia vaticana e l’immagine della Chiesa imbrattata dal fango dei vari scandali, compresa la pubblicazione sul settimanale "Op" diretto dal piduista Pecorelli della lista di quei prelati presuntamente affiliati alla massoneria. Tra i vari nomi quello di Marcinkus. Tra le priorità di papa Luciani, quindi c’è sicuramente l’allontanamento del tanto discusso vescovo e degli altri "compagni d’avventura".

"Ci sono altri cambiamenti all’interno dello IOR che devono esser operati immediatamente - disse Luciani al segretario di Stato Jean Villot - Marcinkus, Mennini, De Strobel e Monsignor De Bonis devono essere sostituti. Subito... Voglio che siano interrotti tutti i nostri rapporti con il Banco Ambrosiano, e ciò deve avvenire nell’immediato futuro".

La mattina del 29 settembre 1978, poche ore dopo il succitato colloquio, Giovanni Paolo I viene ritrovato morto. Il mistero attorno alla sua scomparsa non è mai stato svelato poiché il cadavere, frettolosamente imbalsamato, non venne mai sottoposto ad autopsia.

Con l’elezione di Giovanni Paolo II tutto torna alla "normalità", infatti Marcinkus godeva di un certo favore presso papa Wojtyla.

Continuano quindi gli investimenti pericolosi tra l’Ambrosiano e lo IOR. Tra le tante attività, un miliardo e trecento milioni di dollari vengono investiti nel finanziamento dei regimi militari di Argentina, Uruguay e Paraguay; a sostegno degli scioperanti di Solidarnosc a Danzica; nell’acquisto di missili Exocet per la guerra nelle isole Falkland, per pagare tangenti ai politici e nei fondi neri pronti ad ogni evenienza.

Questi dati sono il frutto della ricerca condotta dal giudice Antonio Pizzi che fu il primo a formulare un atto d’accusa allo IOR per il concorso di Bancarotta fraudolenta verso il vertice della banca vaticana.

Fabrizio Rizzi nel suo libro Ambrosiano e Vaticano sintetizza così il documento del giudice Pizzi "lo IOR, collaboratore occulto, canale chiave dei passaggi di denaro con operazioni fraudolente e distrattive che hanno distrutto il patrimonio della banca di Calvi".

In sostanza la struttura dell’Ambrosiano era così concepita: Milano era la capogruppo, all’estero, nei paradisi fiscali, la Holding del Lussemburgo, l’Overseas di Nassau (nel cui consiglio di amministrazione sedeva Marcinkus), il Banco Commercial di Managua e il Banco Andino operavano attraverso una ventina di società (le principali erano la Manic di Panama e Utc di Lussemburgo) dove venivano depositati o fatti transitare conti miliardari e titoli azionari. I fondi giungevano in deposito diretti o "back to back", vale a dire attraverso un prestito delle banche internazionali.

In questo gioco acrobatico lo IOR "svolgeva la funzione di importante strumento operativo nella esecuzione della strategia gestionale dell’intero gruppo adottata dal vertice del Banco Ambrosiano" poiché come già accennato, sfruttava la sua posizione di "legalità", per consentire tali passaggi.

A conclusione si legge "L’esistenza di un legame tra IOR e Ambrosiano andava ben oltre i rapporti normalmente intercorrenti tra istituti di credito, essendo tale da giustificare le intestazione fiduciarie e i depositi fiduciari" il supporto di Marcinkus consenti alla banca di Calvi di "gestire delle risorse in modo diverso rispetto a quello apparente, con tutte le possibilità di abusi che queste situazioni comportano".

Ne consegue che la versione della Santa Sede di disconoscere le operazioni effettuate dalle consociate del Banco non può essere verosimile, le famose lettere di patronage sono una prova in tal senso.

Non appena uscito dal carcere Calvi deve far fronte, alla richiesta dei vertici delle consociate estere del Perù e del Nicaragua di poter coprire una parte dei debiti, solo per l’Andino si parla di 900 milioni di dollari. E’ per questo che il banchiere riesce a farsi firmare alcune lettere in cui la banca vaticana ammette di controllare determinate società, ma Marcinkus, in cambio chiede a sua volta un impegno di Manleva, vale a dire lettere firmate da Calvi in cui questi "garantiva contestualmente che il Banco Ambrosiano Overseas Ltd sollevava lo IOR da ogni possibile conseguenza verso terzi originata dal rilascio delle lettere di patronage e che queste avrebbero avuto effetto solamente all’interno delle banche a cui erano state indirizzate. Calvi si impegnava inoltre a operare in modo che l’indebitamento di tali società nei confronti del Banco Ambrosiano Andino e dell’Ambrosiano Group Banco Comercial venisse diminuito e che entro il 30 giugno 1982 venisse eliminato anche qualsiasi collegamento formale con lo IOR" (La storia del Banco Ambrosiano).

Con la firma di Marcinkus Calvi riesce a tamponare momentaneamente l’emorragia, ma la situazione andrà precipitando inesorabilmente.

Infatti le lettere di patronage si rivelano essere l’arma che affonda definitivamente il Banco nel giro di sei mesi.

Secondo gli inquirenti "le lettere sono la prova che lo IOR voleva supportare Calvi ad ogni costo, pur nella concreta prospettiva di un aggravamento traumatico della già pesantissima situazione patrimoniale"

Secondariamente, scrive ancora il giudice, "ai dirigenti dello IOR non poteva sfuggire il fine fraudolento della emissione delle lettere di patronage", quindi non è credibile la difesa dell’istituto vaticano che si professa "vittima di Calvi".

Non è concepibile, rincara Rizzi, visto che Marcinkus sedeva nel consiglio di amministrazione dell’Overseas di Nassau "che costituiva uno dei nodi nevralgici del sistema operativo" così come è assurdo pensare che lo IOR potesse ignorare il modus operandi di Calvi e le finalità da lui perseguite, in particolare, essendo intestatario della UTC, che muoveva miliardi di lire.

I commissari liquidatori del Banco hanno lasciato in proposito una nota "Appare improponibile l’ipotesi che lo IOR sia stato imbrogliato da Calvi mentre appare difficilmente contestabile che lo IOR fosse consapevole - se non a livello di singole operazioni, quanto meno a livello di insieme - che Calvi stava realizzando un costruzione di operazioni poco limpide".

Non ha dubbi dunque il giudice Prizzi quando chiede il rinvio a giudizio e spicca il mandato di cattura. "Al di là di ogni ragionevole perplessità vi sono sufficienti elementi di consapevolezza, precisi e inequivocabili pur nella contestabile complessità della vicenda" per dichiarare monsignore e i due dirigenti IOR "bancarottieri".

Al processo però Marcinkus, De Strobel e Mennini non arriveranno mai.

Infatti appellandosi all'Art. 11 del trattato del Laterano che esplicita la "non ingerenza negli affari degli enti centrali della chiesa", la quinta sezione della Corte di Cassazione decreta il diritto all’immunità di Marcinkus.

Dopo un lunghissimo braccio di ferro il 25 maggio 1984, a Ginevra, viene firmato l’accordo in base al quale il Vaticano versa ai creditori del Banco 240 miliardi di lire, ma nel documento si legge di un "contributo volontario" da parte della banca vaticana, motivandolo "unicamente in ragione della sua speciale posizione". Un atto di misericordia... chiosa il giornalista Mario Guarino.

Marcinkus rimarrà alla guida dello IOR fino al 19 giugno 1989 per poi ritornarsene nella natia Chigago.

Solo il 16 aprile 1992 il Tribunale di Milano comminerà pesanti pene detentive per la bancarotta fraudolenta dell'Ambrosiano.

...tutti per uno!

Merita veramente un capitolo a parte il legame tra mafia e vaticano. Un rapporto che come abbiamo visto avveniva attraverso diversi intermediari.

Sono moltissimi i collaboratori di giustizia, ex uomini d’onore per lo più appartenenti a Cosa Nostra, che hanno riferito nel corso di innumerevoli processi, del ruolo svolto da Sindona e Calvi nel riciclaggio degli immensi proventi illeciti frutto di vari traffici.

Il più confacente alla nostra inchiesta è senza dubbio il pentito Vincenzo Calcara, boss di Castel Vetrano, che, interrogato dai magistrati Luca Tescaroli e Anna Maria Monteleone per oltre sette ore, ha rivelato che il Presidente del Banco Ambrosiano era stato ucciso dalla mafia perché non aveva saputo gestire i miliardi che Cosa Nostra gli aveva affidato. Ha poi aggiunto che un giorno, mentre si trovava in Sardegna, era stato avvicinato da uno sconosciuto, "mi sono sentito chiamare per nome e cognome da uno sconosciuto che mi ha mostrato una pistola che teneva dentro la cintola. Mi disse di non preoccuparmi perché se avesse voluto mi avrebbe già ucciso. Poi mi offrì i soldi". Duecento milioni di lire se avesse ritrattato le dichiarazioni con le quali aveva affermato di aver portato due valigie con dieci miliardi di lire del boss della Cupola Francesco Messina Denaro, padre di Matteo, oggi uno dei più ricercati e pericolosi latitanti di Cosa Nostra, a Roma a casa del notaio Salvatore Albano (che vantava tra i suoi clienti Frank Coppola e Luciano Liggio) da destinare a Calvi affinché li "investisse". Infatti Calcara ricorda che proprio in quell’occasione vide salire nell’abitazione del professionista, in via Cassia a Roma, il Presidente dell’Ambrosiano e Monsignor Marcinkus. "Ho già scontato le mie condanne, non sono più sotto protezione e non ne voglio e se parlo - ha voluto sottolineare ai due pm - è una questione di coscienza e lealtà verso la giustizia e per chi è morto per essa". Il riferimento è al giudice Paolo Borsellino a cui Calcara fece per primo il nome del notaio Albano, ma non verbalizzò e non scese nei particolari poiché il tenente Canale, stretto collaboratore del giudice lo dissuase "mi disse di non rendere dichiarazioni sul trasferimento del denaro ad Albano, sulla presenza di Calvi, sul trasporto in Calabria di kalashnikov e sul fatto che ero un uomo d’onore riservato", in sostanza, spiega " di non parlare di argomenti di cui non potevo dare i riscontri perché, altrimenti, sarei finito ai pesci e quelle dichiarazioni si sarebbero rivoltate contro di me". (Il tenente Canale è sotto processo a Palermo per associazione mafiosa).

A conferma di quanto da lui sostenuto il pentito cita anche le dichiarazioni di un altro mafioso di spicco, Giuseppe (?) Lucchese, reggente del mandamento di Ciaculli, il quale gli disse "che c’erano anche altre persone, oltre ad Albano, che intrattenevano rapporti finanziari per conto di Cosa Nostra con Calvi. Non mi fece i nomi".

Il 31 dicembre 1989 il giornale inglese "Sunday Correspondent" titola "Noriega ricatta il Vaticano?"

E' lo scrittore Mario Guarino a riproporre il caso.

Nell’articolo si prospetta che il Vaticano possa offrire al dittatore panamense (ricercato per traffico internazionale di cocaina) la possibilità di sfuggire alle autorità Usa. La motivazione sarebbe da ricercarsi nel fatto che Noriega riciclava i capitali del narcotraffico anche tramite la Bellatrix, società appartenente al trio Sindona, Marcinkus e Calvi. La secca reazione della Santa sede affidata al portavoce Joaquin Navarro Valls, è apparsa piuttosto debole, scrive l’Espresso che ha riportato la notizia.

Le indagini successive accerteranno che la Connection nasce dalla partecipazione dell’Ambrosiano nel Banco Mercantile Agricolo (istituto di credito colombiano poi controllato dalla Bcci di Swalah Naqvi). Noriega è stato uno dei maggiori clienti-azionisti del Banco, come del resto Pablo Escobar, capo del Cartello di Medellìn, centrale mondiale della produzione e del traffico di stupefacenti, sempre in stretta relazioni sia con la ‘Ndrangheta che con Cosa Nostra.

La vicenda però più emblematica è senz'altro quella delle obbligazioni false che il Vaticano avrebbe ordinato ad un faccendiere viennese, Leopold Ledl, per un valore di un miliardo di dollari circa. La sua storia concorda in moltissimi punti con quella riportata nel noto best-seller "The Vatican Connection", sintesi della lunghissima e approfondita indagine condotta dal sergente Joseph J. Coffey, assistente speciale del capo degli investigatori del Dipartimento di polizia di New York, che vide la sua inchiesta su mafia e vaticano svanire nel nulla perché coinvolgeva l'allora segretario del ministro del Tesoro degli Stati Uniti, John Connally vicino ad ambienti mafiosi.

Se si tratti esattamente della stessa trattativa nessuno è in grado di dirlo, è plausibile pensare che siano l’una il proseguo dell’altra o il frutto di due affari paralleli che dovevano convogliare nello stesso risultato. Comunque non cambia la sostanza dei fatti.

Lopold Ledl (autore del libro autobiografico Per conto del Vaticano) deve la sua fortuna o forse sfortuna alla sua incredibile intraprendenza. Il passaggio da semplice venditore di spazzole da lui stesso brevettate a console generale del Burundi e a mediatore tra il Vaticano e la mafia americana è breve, ma piuttosto complesso. Perciò non ci soffermeremo.

E’ importante invece ripartire dall’incontro di Ledl con Heinrich Sauter, altro personaggio lugubre dalle mille entrature che risiedeva in un castello sulla via Cassia a Roma edificato su un terreno della Sgi, la ditta più grande e solida del Vaticano. E’ qui che Ledl conosce le persone "giuste". Il più importante fu certamente il cardinale Eugène Tisserant che, insieme a Monsignor Benelli e di nuovo Paul Marcinkus erano i personaggi chiave della scena finanziaria del Vaticano.

Alla fine del '68, inizio '69 Ledl riceve la nomina come "uomo di paglia" del Vaticano. Il suo primo incarico è una delicatissima consegna di pillole anticoncezionali che da Marsiglia dovevano passare per la Spagna per poi arrivare in India e in Ghana. Inutile dire che se il carico fosse stato scoperto, si sarebbe verificato uno scandalo di enormi proporzioni vista la serrata opposizione della Chiesa ai mezzi "preventivi".

Tra gli altri affari: compravendita di armi, traffico di opere d’arte (un settore particolarmente caro a Monsignor Benelli), conio di monete false, speculazioni sui conti degli eredi degli ebrei morti in campo di concentramento, lingotti falsi.... ecc.

Il business della sua vita però si presenta quando il cardinale Tisserant lo convoca in Vaticano e dopo averlo accolto con il solito confidenziale saluto "Ah, è arrivato da Vienna il mio buon amico Johann Strauss", gli prospetta le difficoltà in cui versano tanto l’economia italiana che quella vaticana e gli propone, senza mezzi termini, di creargli l’opportunità di acquistare titoli falsi per la somma minima di alcune centinaia di milioni di dollari. Oltre a Tisserant nell'affare erano coinvolti il solito Marcinkus (da qui il collegamento con il fallito tentativo di scalata alla Bastogi di Sindona, riuscito poi a Marcinkus anni dopo) e Monsignor Benelli, l'amico intimo del papa e il capo effettivo della Segreteria di Stato che "aveva a sua disposizione un potere praticamente illimitato e, per di più, aveva sempre voce in capitolo in ogni decisione".

"I titoli falsificati - spiega Ledl - avrebbero dovuto essere naturalmente investimenti azionari sicuri, le cosiddette blue chips, e quindi risultare titoli affidabili dal valore stabile e con una tendenza in borsa all’aumento costante. Sottoposti alla falsificazione sarebbero dovuti essere soprattutto i titoli IBM, Coca Cola, Chrysler, Boeing".

Ledl sapeva a chi doveva rivolgersi per avere un lavoro con i fiocchi.

"Pensai subito a Ricky Jacobs a Los Angeles", boss mafioso vicino alla famiglia di De Lorenzo specializzata nel crimine economico.

La cifra da raggiungere con i titoli falsi era di un miliardo di dollari.

Jacobs accetta l’affare e si mette al lavoro per produrre i più perfetti falsi d’autore possibili, ma prima di investire nel business vuole avere garanzie su quegli acquirenti così facoltosi.

Il 29 giugno 1971 Ledl incontra Tisserant, Benelli e non ricorda se ci fosse Marcinkus. Benché i tre prelati fossero al corrente che il loro acquirente era la mafia, Ledl non fece nomi, e come documento di convalida dell'affare prepararono una specie di lettera di commissione, utilizzando un foglio di carta intestata della Sacra Congregazione dei Religiosi, non più attiva da qualche tempo. Un piccolo stratagemma per poter scaricare ogni eventuale responsabilità all’insaputa dei malavitosi americani.

L’affare poteva decollare. Si accordano per un primo invio della merce da verificare per il "solo" valore di quattordici milioni e quattrocentocinquantamila dollari che i mafiosi presentarono puntuali il giorno stabilito. Tutti, compresi i prelati, stabiliscono che si tratta di un ottimo lavoro.

Al momento del pagamento di questa prima tranche, però, i "religiosi" dicono di poter pagare solo in lire italiane. Un bel problema. "Avevo rifiutato le lire - precisa il faccendiere - non solo perché ritenevo rischioso il passaggio attraverso le frontiere ma soprattutto perché sospettavo che Tisserant, Benelli e Marcinkus volessero liberarsi, con il nostro aiuto, dei soldi che avevano comprato dalla mafia, soldi provenienti dai riscatti pagati per liberare le vittime dei rapimenti".

"Ora, dopo un primo lauto guadagno, probabilmente dovuto alle mediazioni di Sindona, pensavano di raddoppiare pagando con quei soldi l’acquisto dei titoli. Non era un segreto, tra gli "addetti ai lavori", che dallo IOR passavano i soldi sporchi della mafia".

Da quel mancato pagamento che lo IOR rimanda in continuazione con scuse risibili, l'affare comincia ad andare alla deriva. Per una serie di errori le autorità competenti scoprono che si tratta di falsi e il tutto va a monte anche dopo un secondo tentativo.

Ledl racconta tutta la storia dopo aver scontato in carcere una condanna ridicola per il commercio di lauree false, in realtà lui sospetta che lo volessero fuori dalla circolazione.

E poi fermamente convinto che l’affare andò comunque in porto più tardi, e conclude amaramente: "I miei amici risparmiarono così la provvigione di cinquanta milioni di dollari autentici che avrei dovuto ricevere per i miei servizi come intermediario tra il Vaticano e la mafia". Inutile dire che Ledl fu l’unico a pagare in questa storia. Fortuna sua ci ha rimesso solo una bella cifra.

Il lupo perde il pelo...

Ma non il vizio. Il tre ottobre scorso il settimanale italiano l’Espresso ha pubblicato un dossier di attualità su un recente scandalo che vede ancora una volta coinvolto il Vaticano. Le modalità della truffa, perché di questo si tratta, sono veramente di calviniana memoria.

Martin Frenkel, finanziere statunitense di 48 anni, aveva bisogno di un alleato influente per raggiungere il suo scopo: ottenere 150 miliardi di dollari.

L’alleato è sì, la Santa Sede.

Lo sostiene l’accusa rappresentata dalla corte distrettuale di Jackson, Mississipi, che oltre a Frenkel, ha incriminato i suoi principali soci: Edward David Collins, Thomas Corbally e Monsignor Emilio Colagiovanni, presidente della fondazione Monitor Ecclesiasticus, giudice emerito della Sacra Rota, consulente giuridico del papa, consigliere della Congregazione per il culto divino e della Congregazione per il clero.

Dopo aver negato per un anno le sue responsabilità, venerdì 6 settembre scorso, Monsignor Colagiovanni si è dichiarato colpevole di associazione a delinquere e di false dichiarazioni a fini di frode. Rischia al massimo dieci anni di carcere. La sua confessione trascina nei guai una fetta della gerarchia pontificia che per motivi inerenti la "conduzione di attività commerciali private, non sovrane, e secolari, non religiose, a fini di frode", può essere processata. Coinvolti nello scandalo i cardinali Giovanbattista Re, Pio Laghi e Agostino Cacciavillan, tra i prelati più potenti, con loro, l’arcivescovo Francesco Salerno, Monsignor Giovanni d’Ercole, presidente della fondazione Don Orione, e i dirigenti dello IOR Lelio Scaletti e Anthony Chiminello.

Per ora la Santa Sede non è riuscita a fornire una spiegazione valida e sarà chiamata a corrispondere una bella cifra di risarcimento, non ancora quantificata, ma in tutta probabilità superiore ai 240 milioni di dollari versati per riparare una parte del buco lasciato da Marcinkus e compagni anni addietro Martin Frenkel, tramite il suo paravento Thunor Trust, è specializzato nella compravendita di compagnie assicurative in difficoltà. Tra il 1991 e il 1998 ne acquisisce sei i cui patrimoni figurano gestiti dalla Lns, una società che fa capo a Frenkel e che smista il grosso dei capitali in Svizzera. Gli affari vanno bene, ma per tentare il colpo di una vita ci vuole un appoggio più sostanzioso.

Tramite la sua ex amante, Kaethe Schuster conosce Thomas Corbally, eminenza grigia della Kroll Associates, l’agenzia investigativa che si è occupata del caso Calvi, ed entrano in società. Fondano la Asc al fine di acquisire la Capitol Life, una grossa compagnia del Colorado, ma le autorità di Denver sono molto severe.

La Asc appare come un’organizzazione caritatevole che vuole ridistribuire i dividendi ai poveri. I fondi neri di Frenkel appaiono versati da una charity vaticana e nessuno oppone alcuna obiezione.

Per raggiungere il proprio scopo Corbally coinvolge Tom Bolan, avvocato cattolico ultraconservatore ex consulente di Ronald Reagan e Padre Peter Jacobs, prete liberal con "ristorante a New York e parrocchia a Trastevere" che a sua volta chiama a raccolta anche Colagiovanni.

Frenkel riceve gli illustri ospiti nella sua splendida villa del Connecticut e propone il suo affare: dare vita ad una Fondazione con il nome di San Francesco per "aiutare il povero e lenire le sofferenze" Marty ci metterà 55 milioni di dollari, la Santa Sede si prenderà il 10%, ma i restanti 50 li gestirà lui per acquisire compagnie assicuratrici.

L’affare sembra andar a gonfie vele, il segretario di Stato Sodano però ha espresso dubbi, con un incontro chiarificatore il Vaticano accetterà i 5 milioni, ma non così in questo modo.

Sarà Colagiovanni a mettere a disposizione la sua fondazione che costituirà la San Francesco.

"Piovano, Salerno e il cardinale Giovambattista Re, sostituto di Sodano, vengono informati, Padre Jacobs, a sua volta, mette al corrente del progetto il cardinale Pio Laghi, presidente della Congregazione per l’educazione cattolica ed ex Nunzio Apostolico negli Usa. Il cardinale interviene a favore e incassa una donazione di 100 mila dollari per un ospedale, e scrive una lettera a Marty per ringraziare, ma Jacobs gli chiede di riscrivere la lettere per rendere merito alla associazione". Laghi esegue e come lui molti altri ricevono regali.

Nel frattempo, a causa della pressione delle autorità del Colorado, Frenkel decide di abbandonare l’idea della Capitol Life e punta la Western United, il presidente Paul Sandifur, si accerta della veridicità dell’operato della San Francesco, con risposte vaghe, ma convincenti, come sanno fare in Vaticano. Sandifur si predispone a siglare l’accordo; viene persino invitato ad un esclusivo tour della Santa Sede.

Quando tutto sembra andare per il meglio gli investigatori americani scoprono che la Lns, la società numero uno di Marty non è altro che una casella postale a New York. Marty, tramite passaporto falso, fuggirà a Roma, in tasca 15 milioni di dollari in diamanti e 16 milioni di dollari in monete d’oro.

La fine che farà Marty Frenkel è immaginabile, resta sempre il dubbio di come il Vaticano riuscirà a uscirne più o meno pulito anche questa volta.

Perché è certo che ci riuscirà.

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Vedi anche:
by Vaticano Monday, Aug. 16, 2004 at 10:25 PM mail:

http://digilander.libero.it/nonsiamosoli/terzomillennio/tm089844.html: [...] una fetta dell'economia mondiale si basa principalmente sul traffico d'armi e di droga. Esiste una compravendita d'armamenti definita, per assurdo, legale, con il pretesto di una qualche legittima difesa, ma ce n'è un'altra ben più proficua, adottata e controllata da tutti gli stati più potenti, in primis U.S. ed U.K. [...] che sorregge la ricchezza del primo mondo. Ricchezza che, fino a prima della caduta del muro di Berlino, era gestita, oltre dalle due potenze già citate, anche dall'ex URSS (oggi sostituito dalla Cina. Quest'ultima [...] sta creando un suo programmatore autonomo) [...]. Dopo il 30 agosto 1991, la quota di potere, detenuta dall'Unione delle Repubbliche Bolsceviche, è stata assorbita dalle due nazioni di lingua anglofona. Logicamente, il tutto avveniva ed avviene, adesso dopo la glasnost, con un nuovo assetto, in modo occulto. Sfruttando la caratteristica peculiare del Regno Unito, cioè "l'imperialità", che si estende su tutto il globo terrestre; ed affiancandole, parallelamente, all'organizzazione ufficiale burocratica, attendente alla gestione dello stesso, un'altra, completamente sotterranea, come quella massone, gestita in modo informatico attraverso un super computer, avviluppandolo in una ragnatela di malaffare con base a New York. Questa, collegata a periferiche disseminate nei chakra economici del pianeta, è il computer del fondo monetario mondiale. La scheda del programma centrale è in Lussemburgo, ma fattivamente detto piano è monitorato costantemente dagli USA e dall'Inghilterra, fin dagli anni '70, pianificato per sovrintendere e decidere le sorti di tutte le situazioni politiche del mondo. Centri nevralgici di detta organizzazione si trovano, oltre che in Lussemburgo, New York e Londra anche nelle banche centrali del Liechtenstein, di Hong Kong, nel Banco di Sicilia di Palermo ed in Vaticano presso lo IOR. Questo macro elaboratore è capace di prevedere, in tempo reale, tutte le situazioni: economiche, politiche, sociali, religiose, finanziarie, monetarie, rivoluzionarie, demografiche e chi più ne ha, più ne metta; arrivando negli angoli più sperduti della Terra e dando la possibilità, a chi lo gestisce, d'intervenire a proprio piacimento e nella maniera più proficua e conveniente. Attraverso quest'elaborazione, detti personaggi, sono in grado di porre in essere le strategie che più ritengono idonee ad eliminare, neutralizzare o a far volgere a proprio favore, i più disparati e possibili accadimenti, al punto di innescare conflitti nucleari, qualora ne ritenessero l'indispensabilità, per salvaguardare i propri interessi.

http://www.lavocedellacampania.it/inchiesta_settembre_2002.htm: ...nelle austere e vellutate stanze del Vaticano si nascondeva la possibilità di un investimento finanziario a tassi astronomici. Interessi fino al tredici per cento senza alcun rischio per il capitale. Percentuali del diciotto per cento in occasione del Giubileo. Insomma, un vero affare. Del resto, chi non affiderebbe i propri risparmi nientemeno che a San Pietro, allo Ior, il celebre e talvolta famigerato istituto per le opere religiose che agisce sui mercati internazionali come vera e propria struttura di credito? L'investimento, però, aveva bisogno di qualcuno interno al Vaticano: nello Ior, infatti, possono movimentare capitali solo appartenenti al clero o laici interni al piccolo stato cattolico [...].

http://www.uaar.it/: La Chiesa [...] ricerca, oggi più di ieri, l’appropriarsi di ricchezze e denaro come vero e unico modo per la conservazione del potere. La mistificazione dei cosiddetti valori, che ipocritamente cerca di riproporre, non riescono a nascondere l’impegno sfrenato con il quale si adopera per allargare il suo potere temporale. L’impegno finanziario delle sue banche e dei suoi traffici più o meno leciti (più che meno) tendenti all’accumulo del denaro, ben guidato prima dal Marcinkus di turno ed ora dai suoi discepoli e complici, e teso ad attribuirsi il «denaro finanziario» autoalimentato dai meccanismi delle speculazioni in borsa e con investimenti eufemisticamente definibili spregiudicati, ha rivelato a tutt’oggi i clamorosi coinvolgimenti nelle inchieste sulle tangenti - vedi Card. Angelini Ministro della sanità del Vaticano, nel riciclaggio del denaro sporco - vedi IOR Banca Vaticana per le opere di religione, nel coinvolgimento nelle indagini di mafia - vedi Cassisa vescovo di Monreale e il frate Frittitta, nelle indagini sull’usura a Napoli (vedi coinvolgimento del Card. Giordano) e dell’indagato vescovo di Barcellona per presunti investimenti illegali (traffico d’armi?). [...] Ricordiamo: il papa pronuncia parole contro «le mani insanguinate dei responsabili di genocidi e crimini di guerra», mentre di nascosto attiva la diplomazia vaticana perché intervenga presso il Governo Inglese e liberi Pinochet per considerazioni di ordine «umanitario»: le stesse addotte per far fuggire dall’Europa nel ’45 i criminali nazisti. Ora come allora assistiamo sempre ad uno spettacolo indecente.

http://www.espressonline.it/ESW_articolo/0,2393,19572,00.html: ... cardinali, con la benedizione di Sua Santità, veleggiano felici tra le isole della finanza off shore. Le Isole Cayman, ad esempio. Oppure le Turks and Caicos. Tutte nei mari delle Antille. Aprite l'Annuario pontificio, nuovissima edizione del 2001, e scoprite che nel luglio dell'anno scorso, zitto zitto, mentre il Giubileo occupava la ribalta, il Vaticano ha scorporato le Cayman dalla diocesi di Kingston in Giamaica, le ha trasformate in territorio di missione e le ha date in cura all'arcivescovo di Detroit negli Stati Uniti, cardinale Adam Joseph Maida. Identica la sorte delle isole Turks and Caicos. Facevano parte della diocesi di Nassau nelle Bahamas. Ma sono state anch'esse ritagliate, trasformate in avamposto missionario e date in feudo all'allora arcivescovo di Newark, Theodore Edgar McCarrick, oggi promosso a Washington e anche lui fatto cardinale. Territori di missione le Cayman e le Turks and Caicos? Proprio così, stando all'Annuario.

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Fra incapucciati e bave papali
by "I banchieri di Dio. Il caso Calvi" Monday, Aug. 16, 2004 at 10:27 PM mail:

Alle 7,25 del 18 giugno 1982, un impiegato delle poste di Londra, Anthony Huntley, cammina frettoloso lungo la riva del Tamigi per andare a lavorare. Nota un corpo che pende da una corda legata a un traliccio sotto il ponte di Blackfriars, cioè dei frati neri. E avverte la polizia fluviale. Il cadavere - lo si accerterà nel tardo pomeriggio - è quello di Roberto Calvi, 62 anni, già presidente del Banco Ambrosiano, arrestato e condannato un anno prima per esportazione illegale di capitali legata all'acquisto della Toro Assicurazioni e altri reati valutari. Due indagini condotte a Londra danno esiti contrastanti: la prima opta decisamente per il suicidio, la seconda invece lascia il verdetto "aperto". A Milano, nell'inchiesta parallela, la perizia commissionata dal giudice istruttore predilige il suicidio, ma non esclude l'omicidio. Poi nel 1992, la Cassazione trasferisce l'indagine a Roma. Intanto però, nel 1988, decidendo su una causa civile intentata contro le Assicurazioni Generali dalla vedova Clara Calvi, il Tribunale di Milano si è pronunciato per l'omicidio. La stessa pista imboccano gli accertamenti dei magistrati romani. E l'8 aprile 1997, il gip capitolino Mario Almerighi emette un'ordinanza di custodia cautelare su richiesta del pubblico ministero Giovanni Salvi, a carico dei presunti mandanti del delitto Calvi: il boss mafioso Giuseppe Calò, palermitano, classe 1931, già condannato a numerosi ergastoli (compreso quello per la strage del treno Firenze-Bologna) e il faccendiere pluriinquisito e pluriarrestato Flavio Carboni, nato a Sassari nel 1932, uomo dalle mille relazioni politiche, finanziarie e malavitose. I due - secondo l'accusa - avrebbero architettato "in concorso tra loro e con altri" (ancora da identificare) l'assassinio del banchiere, "avvalendosi dell'organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra, al fine di conseguire l'impunità e conservare il profitto del delitto di concorso in bancarotta fraudolenta": Calò "dando disposizioni ad altri associati per delinquere, i quali agivano materialmente, strangolando il Calvi e simulandone il suicidio"; Carboni "consegnando il Calvi nelle stesse mani degli esecutori materiali, dopo averlo ridotto in suo potere". Il movente: Calvi si sarebbe impossessato, come aveva fatto prima di lui Sindona, di una parte del tesoro di Cosa Nostra, promettendo di investirlo e farlo fruttare, ma alla fine, travolto dai debiti, non sarebbe più stato in grado di restituirlo.

Nel 1998, il cadavere del banchiere viene riesumato sedici anni dopo la sua morte e sottoposto a una nuova autopsia, che consente di scoprire nuove escoriazioni ed ecchimosi alle mani, ai piedi e alla nuca. Uno dei possibili esecutori materiali, secondo il pentito Francesco Marino Mannoia, sarebbe Francesco Di Carlo, già boss di Altofonte, poi emigrato in Inghilterra, oggi anche lui collaboratore di giustizia. Ma Di Carlo, pur non avendo un alibi per il giorno del presunto delitto, nega tutto. E sostiene che, in effetti, Calò l'aveva inizialmente cercato per quella missione omicida. Poi, però, non trovandolo per diversi giorni, si era rivolto al clan camorristico dei Nuvoletta, organico a Cosa Nostra, una sorta di tentacolo della Piovra sotto il Vesuvio. E avevano "fatto tutto i napoletani". Di Carlo è ritenuto credibile da diverse sentenze emesse in Sicilia. E', fra l'altro, il collaboratore di giustizia che sostiene di aver partecipato, nei primi anni '70, a una cena con il boss dei boss Stefano Bontate e Marcello Dell'Utri, e poi, nel 1974, a un incontro a Milano con lo stesso Bontate, il boss suo alleato Mimmo Teresi, un altro soggetto in odor di mafia come Gaetano Cinà (amico intimo di Dell'Utri) da una parte, e Silvio Berlusconi e Dell'Utri dall'altra.

L'ordinanza, come tutti i provvedimenti giudiziari provvisori, non è un'affermazione di responsabilità a carico dei due indagati: lo stabiliranno le Corti d'assise e d'assise d'appello di Roma ed, eventualmente, la Cassazione, se Calò e Carboni siano colpevoli o innocenti. Intanto l'indagine, ancora aperta, è in attesa, dopo quattro anni, del deposito della superperizia richiesta dal pm Salvi e disposta dal gip Otello Lupacchini sulle cause della morte di Calvi. Non è dato sapere, al momento, che tipo di indagini siano state sviluppate.

Se dunque abbiamo deciso di pubblicare l'ordinanza Almerighi in questo libro-documento è in nome del diritto-dovere di cronaca. Per far conoscere all'opinione pubblica tutti gli elementi che, a vent'anni esatti dalla morte violenta di Roberto Calvi, hanno portato i giudici romani a scartare l'ipotesi del suicidio e a imboccare decisamente la strada dell'omicidio.là delle decisioni dei giudici di merito, consentono comunque di ricostruire gli ultimi Elementi che, al di giorni, le ultime ore, gli ultimi istanti di vita di quel piccolo banchiere che le circostanze della vita posero al centro di vicende sicuramente più grandi di lui, al crocevia di uno dei più inestricabili e agghiaccianti misteri della storia italiana.

I giudici romani arrivano alla morte di Calvi nella maniera più casuale e rocambolesca che si possa immaginare. Mario Almerighi sta seguendo il caso di una multinazionale del crimine, dedita al traffico d'armi e di droga. Non è nuovo, il magistrato, a occuparsi di misteri italiani. Nato a Cagliari nel 1939, è uno dei primi pretori "d'assalto" (come allora vengono chiamati quelli che indagano a 360 gradi) a Genova. Si occupa soprattutto degli spaventosi casi di avvelenamento delle acque, e riesce a mandare alla sbarra qualcosa come 140 industrie inquinanti e i cosiddetti "controllori" del comune di Genova, che naturalmente non controllavano un bel nulla. Nel 1973 Almerighi s'imbatte in uno scandalo che, per le sue dimensioni, occuperà per mesi le cronache nazionali: lo scandalo dei petroli, cioè la prima grande Tangentopoli d'Italia. Leggi fiscali approvate dal Parlamento su commissione dell'Unione petrolifera italiana in cambio di laute tangenti. Ministri e politici di tutti i partiti di governo coinvolti, a cominciare da Giulio Andreotti. Poi i soliti maneggi per insabbiare l'inchiesta. Le minacce al pretore dagli stessi vertici del suo ufficio. I boicottaggi agli uomini della sua polizia giudiziaria. Il trasferimento dell'inchiesta, pezzo per pezzo, a Roma. E infine la coltre della Commissione parlamentare inquirente prima e del Parlamento poi, che copre tutti i ministri indagati. Per darsi un'aura di rigore e gettare un po' di fumo negli occhi all'opinione pubblica, il Parlamento approva nel 1974 la legge sul finanziamento pubblico dei partiti. Quella che verrà largamente violata fin dal giorno seguente, come dimostreranno le innumerevoli indagini sulla corruzione politica negli anni '80 e '90, fino a quella milanese di Mani Pulite, nel 1992. Membro del Csm dal 1976 all'80, fondatore sullo scorcio degli anni '80 della corrente dei Movimenti riuniti (i cosiddetti "verdi") insieme a Giovanni Falcone, dal 1984 Alinerighi viene trasferito a Roma, dove lavora come giudice istruttore specializzato in criminalità organizzata internazionale.

E in quella veste segue, negli anni '80, un'indagine su una sorta di multinazionale del crimine, formata da libanesi, siriani, marsigliesi, spagnoli e italiani appartenenti o collegati alla banda della Magliana. L'organizzazione ha basi in Turchia, Afghanistan e Marocco, raffina oppio ed esporta eroina pura e hashish in America. Ma ha pure una filiale in Spagna, a Barcellona, dove fabbrica gran quantità di banconote false di vari stati dell'Africa francofona. Arresti e perquisizioni si susseguono, finché molti dei capi e dei "soldati" della multinazionale del crimine vengono assicurati alla giustizia e condannati a pene che variano dal 4 ai 17 anni di reclusione. Uno degli arrestati è Giulio Lena, considerato il cervello italiano della supergang, legato anche lui alla banda della Magliana. Condannato a 17 anni con sentenza definitiva e tuttora latitante. Anche il fratello Fernando, noto falsario, viene arrestato. Dalla perquisizione nella villa dei due a Monterotondo (a 30 chilometri da Roma) salta fuori un'abbondante attrezzatura per falsificare soldi, timbri, patenti e passaporti. Ma soprattutto vengono rinvenute due lettere di Giulio Lena al cardinale Agostino Casaroli, segretario di Stato Vaticano. Lena chiede all'illustre porporato di restituirgli un miliardo e 200 milioni di lire, da lui a suo tempo anticipati al Vaticano per l'acquisto dei documenti contenuti nella borsa di Roberto Calvi. Si tratta della borsa che il banchiere portava sempre con sé, ma che non fu più ritrovata quando fu scoperto il suo cadavere, né al residence di Londra né sotto il ponte dei frati neri. Salvo ricomparire il 1° aprile 1986 fra le mani di un informatissimo giornalista missino, Giorgio Pisanò, direttore del Candido, che la consegnò - ormai pressoché vuota - in diretta televisiva a Enzo Biagi durante il programma "Linea diretta": quello della borsa del banchiere, che il 1° aprile 1986 fu aperta in diretta televisiva dinanzi a milioni di telespettatori. Nessuno sa ancora, quella sera, che il coup de théâtre dei due giornalisti segue di poche ore un fatto che ha dell'incredibile. Il giorno prima, 31 marzo, Flavio Carboni si è incontrato con un alto prelato vaticano di origine cecoslovacca, monsignor Pavei Hnilica, presidente della "Pro fratribus", per ritirare l'ultima rata di pagamento dei documenti contenuti nella borsa di Calvi: assegni dello IOR per diverse centinaia di milioni, che in aggiunta a quelli già incassati in precedenza, sempre dal Vaticano, assommano a circa 14 miliardi di lire (dell'epoca). Al prelato il faccendiere ha poi mostrato la borsa ormai semivuota (salvo alcune carte e pochi oggetti di nessuna importanza) del banchiere defunto. E, di fronte all'incredulità di monsignor Hnilica, l'ha congedato con queste parole: "Padre, lei non crede che questa sia la borsa di Calvi? La vedrà domani alla televisione". Il che puntualmente avviene, nel programma di Biagi. Con due colpi di scena: prima l'arrivo di Pisanò in studio, con la borsa, poi l'ingresso di Carboni per certificare l'autenticità del reperto: "Si, la riconosco, è proprio la borsa di Calvi".

Che fine han fatto le carte sparie dalla borsa? E chi l'ha trafugata, quattro anni prima, la sera della morte del banchiere a Londra? La Procura di Milano apre un'inchiesta per ricettazione, imitata da quella romana. Ma, una volta tanto, gli accertamenti nella capitale si riveleranno molto più penetranti ed efficaci di quelli di Milano. Dove, incredibilmente, vengono indagati Biagi e Pisanò. A Roma il giudice istruttore Almerighi incrimina e rinvia a giudizio, sempre per ricettazione, Carboni, Giulio Lena e monsignor Hnilica. E, per ricostruire il tortuoso itinerario della borsa in giro per l'Europa, ripercorre gli ultimi giorni di vita di Calvi e i suoi spostamenti dall'Italia alla Svizzera, dall'Austria all'Inghilterra. Cosi, seguendo Calvi e la sua borsa, Almerighi non può non imbattersi nella domanda delle domande: come morì Calvi? E si convince che l'ipotesi di gran lunga più probabile è quella dell'omicidio. Perché? Lo spiega con il provvedimento di cattura di Pippo Calò e Flavio Carboni, che pubblichiamo in questo libro.

Roberto Calvi nasce a Milano nel 1920, figlio di un funzionario della Banca Commerciale Italiana. Dopo il diploma di ragioneria, si iscrive alla facoltà di Economia e commercio dell'Università Bocconi. E qui dirige l'ufficio stampa e propaganda dei Gruppi universitari fascisti (i Guf) fino all'entrata in guerra dell'Italia. Arruolato nella cavalleria (e più precisamente nei lancieri di Novara), partecipa alla campagna di Russia. Poi, caduto il regime, grazie al padre e agli ottimi studi trova un posto alla Comit. Dove rimane soltanto due anni. E' il tipico ragiunatt milanese, sgobbone e anonimo, grigio e taciturno, tutto il contrario dell'altro "banchiere di Dio" che diverrà famoso e poi famigerato nell'olimpo della finanza ambrosiana, Michele Sindona. Ma è anche un giovane pieno di ambizioni. Nel 1947, a ventisette anni, entra, sempre come impiegato semplice, al Banco Ambrosiano: il salto non è da poco, essendo la Comit il simbolo della finanza laica e massonica, e l'Ambrosiano una minuscola banca senza pretese, per giunta nota come "la banca dei preti" (fondata nel 1896 da monsignor Giuseppe Tovini per incarico del cardinale arcivescovo Andrea Ferrari, e da allora controllata per decenni dalla curia milanese). Non che Calvi sia un fervente cattolico, anzi. Ma per entrare all'Ambrosiano occorre una lettera di presentazione del parroco, con allegato il certificato di battesimo. E lui si procura senza problemi l'una e l'altro.

Ai pochi eletti cui riserva le sue confidenze, spiega di voler trasformare l'istituto da banca regionale di beneficenza in colosso della finanza internazionale. E giura, fra l'incredulità generale, che un giorno l'Ambrosiano sarà suo. Progetti più grandi di lui: infatti non sono suoi, come non saranno suoi i mezzi impiegati per realizzarli. Calvi - come emergerà più tardi, e non solo nelle inchieste dei giudici - è un "uomo di paglia", una "testa di legno", la pedina di un gioco enorme inventato da altri: Sindona, Gelli, Ortolani, i prelati vaticani, e altri uomini a mezzadria fra la finanza e la malavita organizzata. Intanto però nessuno lo sa, e questo omino schivo e sepolcrale comincia a scalare i gradini che portano ai piani alti dell'Ambrosiano fino a raggiungere, negli anni '60, i galloni di segretario generale, cioè di assistente e braccio destro del direttore centrale Alessandro Canesi. Subentrandogli nel 1969, quando ascende alla direzione centrale. Intanto intreccia amicizie e rapporti altolocati, e acquista in Svizzera la Banca del Gottardo. Nel 1968 stringe i rapporti con il finanziere siciliano Michele Sindona, diventandone anche socio. Alcuni sostengono che la sera di Natale del '69 si tenga, a Roma, un vertice segretissimo fra Calvi, Sindona e Umberto Ortolani (il numero due della P2 di Licio Gelli, molto vicino al Vaticano) per siglare un patto di collaborazione e di azione, mettendo in comune gli appoggi di cui ciascuno gode per la carriera di tutti. Sta di fatto che poco più di un anno dopo, nel febbraio 1971, Calvi diventa direttore generale dell'Ambrosiano. Dopodiché Sindona lo mette in contatto prima con monsignor Paul Marcinkus e poi con il Cenerabile Licio Gelli. Marcinkus è un corpulento vescovo americano di origini baltiche, che papa Paolo VI ha chiamato a presiedere l'Istituto delle opere di religione (br, la banca vaticana), e che non va troppo per il sottile: "La Chiesa - ripete spesso - non si amministra con le avemarie". Sindona, Calvi e Marcinkus entrano subito in società, fondando alle Bahamas la Cisalpine Overseas Bank e inaugurando una turbinosa attività nei paradisi fiscali di mezzo mondo, spesso in tandem con Ortolani (titolare di una banca a Montevideo, la Bafisud, di cui ben presto la Cisalpine diventerà socia). Nel 1975, Calvi è pronto per conoscere Licio Gelli. Li presenta Michele Sindona, ormai latitante negli Stati Uniti, con una telefonata al venerabile maestro da New York, dove il banchiere milanese è andato a trovarlo. L'affiliazione ufficiale secondo l'antico rituale massonico avviene a Ginevra il 23 agosto di quell'anno. Poi Gelli lo raccomanda presso i fratelli inglesi della Loggia 901, che riunisce il fior fiore della City londinese.

Nel 1976 il costruttore andreottiano Mario Genghini, anche lui nella P2, presenta Calvi ad Anastasio Somoza, il sanguinano dittatore del Nicaragua. E' l'inizio di una proficua collaborazione fra l'Ambrosiano e i regimi militari latinoamericani. Frattanto Sindona è ormai in piena disgrazia, e Calvi diventa l'unico banchiere di riferimento della P2 e dello Ior. Direttore generale dal 1971, entra nel consiglio di amministrazione e, progressivamente acquisisce il controllo della maggioranza azionaria del Banco. Fino a diventarne, nel 1975, presidente. Ora comanda lui, anche se deve rendere conto ai suoi burattinai. "Il Banco Ambrosiano non è mio", confesserà ai giudici di Milano nel 1981, rinchiuso nel carcere di Lodi, "io sono soltanto al servizio di altri. Di più non posso dirvi".

Ossessionato dal segreto ("Se una cosa la conoscono due persone - è uno dei suoi motti - non è più segreta"), Calvi si dedica a costruire pezzo dopo pezzo una rete inestricabile di società estere, banche, società fiduciarie e di intermediazione, conti cifrati da Panama a Hong Kong. Le azioni passano a ritmi vorticosi dall'una all'altra società come nel più classico sistema delle scatole cinesi: continui acquisti e cessioni di pacchetti azionar per farne lievitare il valore, disperdere gli enormi capitali sporchi che cominciano a entrare nel circuito per esservi "lavati" e coprire i buchi creati da continue distrazioni di denaro per foraggiare questo o quel potente padrino. Anche, ovviamente, politico. L'Ambrosiano finanzia occultamente pressoché tutti i partiti. E molti giornali, a cominciare dal Corriere della sera, che Licio Gelli e il suo braccio destro Umberto Ortolani controllano militarmente dal 1976 grazie ai quattrini dell'Ambrosiano, attraverso i "fratelli" di loggia Angelo Rizzoli, Bruno Tassan Din e Franco Di Bella.

Nel 1977, sui muri di Milano, compaiono migliaia di strani manifestini pieni di insinuazioni sulle difficoltà finanziarie dell'Ambrosiano:

In relazione alla vendita di società del gruppo Sindona all'Ambrosiano di pacchetti azionari Bastogi, Centrale, Credito Varesino, Finabank, Zitropo ecc., Roberto Calvi si è fatto versare 10 milioni di dollari su conti numerati svizzeri di sua personale proprietà con firma sua e della moglie. Con la sola operazione Bastogi, Calvi si è appropriato di 4.823.000 dollari... Magistrati e Guardia di Finanza debbono dare una risposta ai seguenti quesiti: 1) chi ha fornito a Calvi i 200 e più milioni di dollari per acquistare in proprio i pacchetti azionari di Bastogi, Centrale, Credito Varesino, Finabank, Zitropo ecc.; 2) con quale margine di profitto Calvi ha poi rivenduto tali azioni a Interbanca, centrale, e allo stesso Banco Ambrosiano; 3) perché i giornalisti del Corriere della sera, oggetto di mercato da parte del banchiere Calvi, colpevole di truffa, falso in bilancio, appropriazione indebita, esportazione di valuta e frode fiscale, passano sotto silenzio le malefatte del loro effettivo padrone?

Si scoprirà poi che l'iniziativa è un'idea di Michele Sindona, che ormai ha l'acqua alla gola con il suo impero in bancarotta e ha incaricato uno strano personaggio, Luigi Cavallo, esperto in "provocazioni", legato a Edgardo Sogno e ad ambienti dei servizi segreti, di realizzarla. Una manovra chiaramente ricattatoria, che mira a coinvolgere Calvi nel disperato tentativo di Sindona di salvare le sue banche, e di convincerlo, con le buone o con le cattive, a sborsare i miliardi che gli occorrono per tappare le falle. Cavallo, oltre ai volantini, invia un'analoga lettera al governatore della Banca d'Italia Paolo Baffi, con allegata una cospicua documentazione. Il ricatto cesserà qualche mese dopo, grazie all'intervento pacificatore di Licio Gelli, che porterà a un incontro fra Calvi e Sindona nel marzo 1978 a New York. Ma le accuse di Sindona si fondano su elementi di verità. Tant'è che la Banca d'Italia si mette subito in moto e invia undici ispettori a esaminare i conti dell'Ambrosiano. Gli ispettori, nel giro di pochi mesi, scopriranno una serie di gravi irregolarità nei libri contabili, poi raccolte in un rapporto-denuncia di 500 pagine al giudice Emilio Alessandrini.

Sono mesi terribili, per l'Italia, quelli della primavera 1978: il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro, segregato nella "prigione del popolo" delle Brigate rosse, rivela ai suoi carcerieri gli scandali politico-finanziari di quegli anni, compreso quello dell'Italcasse (che coinvolge i Caltagirone, la discussa famiglia di palazzinari romani vicinissimi al presidente del Consiglio Giulio Andreotti). E indica proprio nella Banca d'Italia l'ultima diga contro il malaffare dilagante nel mondo delle banche, lottizzate e spolpate dai partiti e dagli altri poteri più o meno occulti. Baffi e il suo direttore generale, Mario Sarcinelli, si oppongono in pochi mesi al salvataggio illegale dei Caltagirone, poi di Sindona e infine dell'Ambrosiano. Inimicandosi quel blocco di potere che va dall'entourage andreottiano alla P2 al Vaticano, e scatenando una reazione furibonda. E non solo di quegli ambienti. Ma anche di quelli che, almeno in teoria, vi si oppongono con le armi e con il terrore. "Quasi in coincidenza con il sequestro Moro - scrive Baffi nel suo diario il 23 marzo 1978 - "Oggi" [settimanale della Rizzoli, controllata dalla P2, n.d.a.] pubblica un articolo secondo cui sono compreso negli elenchi di eliminazione delle Brigate rosse. E' stato scritto che l'idea della propria morte concentra meravigliosamente la mente, ed è vero".

Nel novembre '78, il giudice Alessandrini riceve il rapporto degli ispettori di Bankitalia, in cui si legge che gli amministratori dell'Ambrosiano hanno adottato "accorgimenti volti a eludere i controlli dell'Organo di Vigilanza", dando vita ad "artificiosi giri di partite dai conti", il tutto per coprire - scrivono sempre gli ispettori di via Nazionale - una miriade di società legate a Sindona, Ortolani, Rizzoli, Genghini, Roberto Memmo e Giovanni Fabbri. Tutti, guarda caso, iscritti alla loggia P2 (stando, almeno, agli elenchi sequestrati dalla magistratura milanese a Castiglion Fibocchi, negli uffici di Gelli, nel marzo del 1981). Quanto a Calvi, la relazione è ancor più dura e impietosa: "L'amministrazione del Banco è imperniata sul presidente e consigliere delegato signor Roberto Calvi, che coadiuvato da fedelissimi membri del "direttorio" è divenuto praticamente arbitro in seno alla società di ogni iniziativa di rilievo, in ciò favorito [...] dalla supina acquiescenza degli altri componenti degli organi collegiali". Sindaci e revisori dei conti vigilano in maniera "superficiale e poco incisiva", mentre Calvi fa il bello e il brutto tempo anche sulla politica creditizia dell'istituto: "Dal sopralluogo è emerso che tutti indistintamente i fidi dai 10 ai 18 miliardi vengono fatti rientrare nei casi urgenti e come tali posti in essere su autorizzazione del presidente. Inoltre il prescritto provvedimento di ratifica consiste palesemente in una pura e semplice formalità, limitandosi il Consiglio [di amministrazione, n.d.a.], a intervalli di tempo di qualche mese, a far risultare nell'apposito libro di legge, con una formula stereotipata, di aver esaminato e di approvare tutti gli affidamenti accordati". Impossibile, a questo punto, valutare con una certa precisione il reale stato dell'Ambrosiano, vista la "rete finanziaria che gli consente di gestire notevoli flussi di fondi al riparo dei controlli delle autorità valutarie italiane". E' la rete delle società estere, "in particolare della holding Lussemburghese (Banco Ambrosiano Holding SA Lussemburgo) e della Cisalpine Overseas Bank di Nassau, le cui atttività di bilancio sono rimaste del tutto sconosciute, non avendo l'azienda fornito alcun riferimento utile al riguardo". La Cisalpine, da sola, ha concesso "finanziamenti e depositi all'estero per un controvalore di L. 417 miliardi circa, dei quali l'azienda non ha fornito alcuna indicazione", e perciò potrebbe incontrare serie "difficoltà nello smobilizzo", che potrebbero procurare al Banco Ambrosiano notevoli problemi di liquidità.

La previsione non potrebbe essere più azzeccata, visto che, pochi giorni dopo il deposito della relazione degli ispettori, l'Ambrosiano comincia a soffrire una crisi di liquidità, che viene tamponata grazie all'intervento congiunto dei dirigenti (pi-duisti) dell'Eni e della Banca Nazionale del Lavoro. Le filiali estere dell'Eni rovesciano nelle casse esangui della banca di Calvi 10 e poi 60 milioni di dollari fruscianti, mentre la Bnl di Londra concede un prestito triennale di 50 milioni di dollari e uno "a breve" di 20.

Il 23 dicembre '78 il giudice Alessandrini, che indaga anche sulla strage di piazza Fontana e su altri misteri italiani, riceve il rapporto di Bankitalia sull'Ambrosiano. Un mese dopo, il 29 gennaio 1979, viene trucidato a Milano da un commando di Prima linea guidato da Sergio Segio. Due mesi dopo, nel marzo 1979, vengono messi fuori gioco, con metodi lievemente più blandi delle P38, altri due "nemici" del Banco, il governatore di Bankitalia Paolo Baffi e il direttore generale Mario Sarcinelli, decisissimi a riportare ordine e legalità nel sistema bancario italiano, inquinato dai Sindona, dai Calvi e dalla famelica partitocrazia. Un pubblico ministero romano li fa arrestare, accusandoli a proposito di presunti finanziamenti irregolari dal Credito Industriale Sardo alla Sir del petroliere Nino Rovelli. Le accuse si riveleranno del tutto infondate, ma intanto la Banca d'Italia viene decapitata e paralizzata per mesi e mesi, proprio mentre dovrebbe trarre le conclusioni dell'ispezione all'Ambrosiano. Nel 1986 il faccendiere piduista(1) Francesco Pazienza rivelerà che l'incriminazione di Baffi e Sarcinelli era stata decisa dalla P2, in un vertice a Montevideo, alla presenza di Licio Gelli e Umberto Ortolani.

Calvi, intanto, può respirare un altro po'. E, oltre alle massicce aperture di credito che continuano a regalargli i "fratelli" che siedono ai vertici dell'Eni e della Bnl, capitalizza i suoi portentosi appoggi politici e finanziari. Giungendo persino ad accordarsi con il suo tradizionale rivale nella finanza cattolica, Carlo Pesenti, per un piano di "cooperazione in Italia e all'estero". Il patto è firmato, oltreché dai due finanzieri, da altrettanti "garanti": Licio Gelli e Umberto Ortolani. Sempre nel 1979, Calvi allarga il suo impero estero al Perù, uno dei paesi leader nella produzione e nell'esportazione della droga: l'Ambrosiano, grazie alle solite e solide entrature in Sudamerica, finanzia l'acquisto di una fregata da guerra da parte del governo di Lima e in cambio ottiene il permesso di aprire una filiale nella capitale peruviana, il Banco Ambrosiano Andino. Che assorbe quasi subito le attività del Banco Comercial de Managua, dopo la caduta dell'amico dittatore Somoza in seguito alla rivoluzione sandinista. Un'altra banca "consorella" viene aperta in Argentina, a Buenos Aires: il Banco Ambrosiano de America del Sur, con una filiale anche a San Paulo del Brasile.

Nulla, naturalmente, avviene gratis et amore Dei. Nemmeno nella cosiddetta "finanza cattolica". Per sdebitarsi, infatti, Calvi deve allargare i cordoni della borsa e scucire qualcosa come 80 miliardi (dell'epoca) per tenersi buoni quasi tutti i partiti. Dalla Dc al Psi al Partito comunista, attraverso Paese sera. Sul fronte politico, è il Psi di Craxi a ricevere un trattamento privilegiato: oltre a prestiti e a finanziamenti periodici, riesce a spuntare, con la speciale raccomandazione di Licio Gelli, una mega-stecca da 7 milioni di dollari (oltre 10 miliardi di lire dell'epoca) su un conto cifrato, numerato 633369 e battezzato "Protezione", aperto per la bisogna presso l'Unione delle banche svizzere a Lugano (lo si scoprirà solo nel 1993, grazie a Mani Pulite) dall'architetto Silvano Larini, prestanome di Bettino, con la collaborazione straordinaria di Claudio Martelli. E' il "pizzo" che Calvi deve pagare alla P2 e ai suoi amici del vertice del Psi per l'ultimo mega-prestito concesso dall'Eni, e in particolare dal suo direttore finanziario, il craxiano Fiorino Fiorini, e dal vicepresidente, il piduista e craxiano Leonardo Di Donna. L'esistenza del conto Protezione e della mega-tangente ai socialisti affiora dalla perquisizione di Castiglion Fibocchi, nel 1981. Ma l'inchiesta milanese di Gherardo Colombo viene strozzata sul nascere, grazie alla solita Cassazione, che trasferisce tutte le indagini sulla P2 a Roma, nel "porto delle nebbie". Che provvederà a mandarle tutte in fumo. Soltanto nel 1993, con il ritorno di Larini della latitanza e la sua confessione, emergeranno il ruolo diretto di Craxi e Martelli, che verranno processati insieme a Gelli, Di Donna, Fiorini e altri per concorso nella bancarotta dell'Ambrosiano (per Craxi, dopo due condanne e un annullamento in Cassazione, il reato viene estinto nel 2000 "per morte del reo", mentre Martelli è stato condannato anche nel secondo processo di appello, e nel 2002 si attende il verdetto definitivo della Cassazione).

Ma torniamo al 1979. Se Calvi riesce a tamponare le falle grazie ai suoi potenti padrini nell'alta politica e nell'alta finanza, nuovi guai per l'Ambrosiano arrivano dalla Consob, presieduta ora dal professor Guido Rossi (fortemente voluto dal ministro Nino Andreatta), che rimette il naso nei conti maleodoranti dell'istituto creditizio milanese. Intanto la Banca d'Italia, guidata dal nuovo governatore Carlo Azeglio Ciampi (subentrato a Baffi, dimissionario) contesta all'Ambrosiano la sua nebulosa attività all'estero. E la magistratura milanese, giunta al termine degli accertamenti sul rapporto degli ispettori di via Nazionale (quello inviato a suo tempo al povero Alessandrini sulle gravi infrazioni valutarie del Banco), decide di incriminare formalmente Calvi e di ritirargli il passaporto. La fratellanza piduista si mobilita presso magistrati e ufficiali amici, ma non c'è nulla da fare: i giudici milanesi tengono duro. E' il marzo 1981 quando, indagando sul finto sequestro Sindona, i giudici Giuliano Turone e Gherardo Colombo mandano la Guardia di Finanza a perquisire la villa e gli uffici di Gelli e scoprono l'elenco degli affiliati alla loggia P2. Fra i quali spicca, accanto a imprenditori, finanzieri, generali, uomini dei servizi segreti, ministri e segretari di partito, giornalisti e professionisti assortiti, il nome di Roberto Calvi.

Gelli, colpito da un mandato di cattura, riesce a fuggire all'estero. Calvi viene arrestato prima che segua il suo esempio, il 20 maggio 1981, lo stesso giorno in cui viene finalmente resa nota la lista dei piduisti. Soltanto un mese prima, ha acquistato il 40 per cento della Rizzoli-Corriere della sera, per 115 miliardi. Prelevato nella sua casa milanese, il banchiere viene tradotto nel carcere di Lodi. Deve rispondere di una serie di reati valutari, e viene processato pochi giorni dopo. Anche lui, nella disgrazia, impugna l'arma estrema del ricatto. Lancia vari messaggi, finge addirittura di suicidarsi in cella con i barbiturici, e riesce a far pervenire, tramite la moglie Clara, un bigliettino al cardinale Marcinkus: c'è scritto "Questo processo si chiama Ior". Chiara allusione ai finanziamenti concessi a suo tempo dall'Ambrosiano alla banca vaticana, al sindacato del dissenso polacco Solidarnosc e ad altre forze di opposizione anticomunista nei paesi dell'Est. La fratellanza piduista e i suoi vari burattinai e burattini si mettono subito in moto (le manovre frenetiche di quei giorni sono ricostruite, minuto per minuto, da Sergio Flamigni nello splendido Trame atlantiche, Milano, Kaos Edizioni, 1996). Francesco Pazienza va a trovare Marcinkus, il quale gli raccomanda di far sapere a Calvi che deve stare "calmo e tranquillo", perché "noi stiamo facendo quello che dobbiamo fare". Cioè far pervenire all'Ambrosiano un altro po' di ossigeno, sotto forma di versamenti dalla Svizzera. Pazienza telegrafa a Calvi in carcere: "Ho visto Paolo. Ti saluta tanto. Tutto bene. Abbracci". Ma, difeso dall'avvocato Gaetano Pecorella, il banchiere presta una certa collaborazione ai magistrati, rivelando - nell'interrogatorio della notte fra il 2 e il 3 luglio - i suoi rapporti con Ortolani e, soprattutto, ammettendo i finanziamenti occulti al Psi che, a differenza di quelli al Pci, non sono stati restituiti, anzi "l'esposizione debitoria del Psi è andata progressivamente aumentando".

La notizia che Calvi sta cominciando a parlare getta nel terrore e nella costernazione i partiti. I giudici si stanno avvicinando a santuari che nemmeno riescono a immaginare, mentre nei palazzi della Roma che conta la paura fa novanta. E da Roma partono vari emissari incaricati di far pervenire all'illustre detenuto l'"amichevole" consiglio di tenere la bocca chiusa. Il leader del Psi Bettino Craxi, principale beneficiano dei finanziamenti occulti dell'Ambrosiano, è scatenato. E, appena scattano le manette ai polsi di Calvi, sferra contro i giudici di Milano l'attacco più duro che si ricordi (almeno fino a quel momento). L'armamentario polemico, finora inedito, troverà ampia fortuna dopo il 1992, contro l'inchiesta Mani Pulite. I magistrati che hanno arrestato Calvi sarebbero - secondo Craxi - "irresponsabili e politicizzati", colpevoli di "abusi", di "violenza intimidatoria", di "manette senza alcun obbligo di legge", di "azioni giudiziarie scriteriate", addirittura della "crisi della Borsa di Milano". Quanto alla P2, Craxi strilla contro la "campagna maccartista", la "furia accusatoria", il "clima paranoico e la destabilizzazione", le "condanne sulla base di un semplice sospetto". Intanto il premier Arnaldo Forlani è costretto alle dimissioni per essersi tenuto per due mesi nel cassetto la lista dei piduisti (compresi tre suoi ministri e un bel po' di sottosegretari). E viene sostituito da Giovanni Spadolini. Ma tre dei cinque leader del pentapartito - Piccoli, Craxi e Longo - chiedono, in cambio del loro appoggio, che il nuovo governo si impegni a subordinare le procure all'esecutivo. O almeno al Parlamento, cioè ai partiti, perché - dice testualmente Craxi - "lo Stato e il cittadino siano adeguatamente rappresentati". ' né più né meno il programma della loggia P2, enunciato da Gelli e dai suoi occulti suggeritori nel famigerato "Piano di rinascita democratica", che viene sdoganato e "nobilitato" proprio mentre l'Italia è scossa dallo scandalo P2. Anche il Corriere della sera, pesantemente infiltrato dalla loggia di Gelli, è in prima fila negli attacchi ai giudici: anche per le pressioni fortissime esercitate dall'entourage di Craxi, e "in particolare dal deputato Claudio Martelli", come racconterà l'amministratore delegato della Rìzzoli, il piduista Bruno Tassan Din ("Ci veniva serratamente richiesto di appoggiare massicciamente Calvi, attaccando i giudici di Milano e censurandoli").

Il 30 giugno 1981 il governatore Ciampi proibisce a tutte le banche italiane di operare in paesi stranieri sprovvisti di istituti di vigilanza e di possedere banche all'estero attraverso società finanziarie. E il governo Spadolini, sciolta la loggia P2, dispone che le banche cedano qualsiasi tipo di partecipazione in società editoriali. Sono tutte norme fatte chiaramente su misura per il caso dell'Ambrosiano. Il 20 luglio Calvi viene condannato in primo grado a 4 anni di reclusione e a 15 miliardi di multa. Il 28 luglio esce dal carcere di Lodi in libertà provvisoria. E, in attesa del processo di appello, torna nel suo ufficio di presidente del Banco Ambrosiano, sempre più ossessionato dall'esigenza di rastrellare denaro fresco per scongiurare la bancarotta che segnerebbe la sua fine. Il 28 luglio presiede il consiglio di amministrazione che - nonostante emerga ormai chiaramente la drammatica situazione finanziaria dell'istituto - gli rinnova incredibilmente la fiducia.

Latitante Gelli, Calvi è talmente disperato da consegnarsi nelle mani di due faccendieri malfamati come Francesco Pazienza (legato alla P2 e ai servizi segreti) e Flavio Carboni (amico di molti politici, ma anche di Silvio Berlusconi e persino di personaggi vicini alla banda della Magliana e a Cosa Nostra). Pazienza gli organizza un tour in Sardegna, dove il banchiere fa conoscenza con alcuni personaggi molto influenti: il capo del Sismi, generale Giuseppe Santovito (P2),il finanziere andreottiano Giuseppe Ciarrapico, i faccendieri craxiani Ferdinando Mach di Palmstein e Sergio Cusani, ma soprattutto il futuro Gran Maestro della massoneria Armando Corona. In Sardegna opera anche Flavio Carboni, ben introdotto in ambienti politici (anche presso il segretario Dc Ciriaco De Mita), nonché amico e socio in affari di Silvio Berlusconi e di vari esponenti della banda della Magliana.

A questo punto entra in scena un personaggio di tutto riguardo: Giuseppe Pisanu detto Beppe, deputato sardo della Dc dal 1972, anche lui in ottimi rapporti con Carboni e Corona. Nato a Ittiri (Sassari) nel 1937, laureato in scienze agrarie, ex amico del cuore di Francesco Cossiga, Pisanu diventa ben presto dirigente della Sfirs (la finanziaria della Regione Sardegna). Capo della segreteria di Zaccagnini negli anni del compromesso storico Dc-Pci, milita nella sinistra democristiana, e diventa sottosegretario al Tesoro e alla Difesa nei governi Forlani, Fanfani, Spadolini, Goria e Craxi. Ma nel Fanfani V (1983), quando è viceministro del Tesoro, saltano fuori le sue liaisons dangereuses con alcuni imbarazzanti compari di vacanze in barca: Carboni, appunto, e Berlusconi. Tutto comincia nell'estate dell'80, quando Silvio e Flavio brigano per regalare a Porto Rotondo una degna colata di cemento (progetto "Olbia 2"). Carboni ospita Pisanu e Berlusconi sulla sua "Punto Rosso", una barca di 22 metri. L'estate seguente, Pisanu fa un'altra conquista: veleggia, sempre sulla barca di Carboni, al largo della Costa Smeralda, ma stavolta a bordo c'è pure il bancarottiere Roberto Calvi, fresco di condanna, in libertà provvisoria. Memorabile la testimonianza di Pisanu davanti al pm milanese Pierluigi Dell'Osso, che indaga sul crac dell'Ambrosiano e lo interroga per sei ore l'11 settembre 1982 (mentre Carboni si trova in carcere da qualche giorno a Lugano, perché coinvolto nelle indagini sulla fuga e la morte di Calvi sotto il ponte dei Frati neri a Londra). Carboni - spiega Pisanu - era "un interlocutore valido per le forze politiche richiamantisi alla ispirazione cattolica". Insomma, il pio terzetto non discuteva d'affari, ma di teologia e mariologia. "Carboni - prosegue l'ineffabile Pisanu davanti al giudice - mi disse che il Berlusconi aveva interesse a espandere Canale 5 in Sardegna, talché lo stesso Carboni si stava interessando per rilevare a tal fine la più importante rete televisiva sarda "Videolina" [quella del discusso finanziere Nicky Grauso, n.d.a.]". Non solo: "Il Carboni mi disse di essere in affari col signor Berlusconi anche con riguardo a un grosso progetto edilizio di tipo turistico denominato "Olbia 2". Fin dall'inizio ritenni di seguire gli sviluppi delle varie attività di Carboni, trattandosi di un sardo che intendeva operare in Sardegna".

Il pio sodalizio Carboni-Pisanu si estende poi miracolosamente all'affaire Ambrosiano. Il sottosegretario al Tesoro, scortato dall'amico Carboni, incontra Calvi per ben quattro volte. E subito dopo, l'8 giugno '82, risponde alla Camera alle allarmate interrogazioni delle opposizioni sul colossale buco dell'Ambrosiano, aggravato dai debiti miliardari del Banco Andino. Niente paura - rassicura Pisanu, che è pure un sagace economista - è tutto sotto controllo. Nessun allarme: "Le indagini esperite all'estero sull'Ambrosiano non hanno dato alcun esito". La sera dopo, 9 giugno, Pisanu è di nuovo a cena con Carboni: pare che il tema della serata sia la nomina di un giudice "amico" a nuovo procuratore generale di Milano. L'indomani, 10 giugno, Calvi fugge dall'Italia, per finire come sappiamo. Nove giorni dopo il governo dichiara insolvente l'Ambrosiano, mettendo sul lastrico migliaia di risparmiatori. Pochi mesi dopo sia l'Ambrosiano sia l'Andino fanno bancarotta. Racconterà Angelo Rizzoli alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2: "A proposito dell'Andino, Calvi disse a me e a Tassan Din che il discorso dell'on. Pisanu in Parlamento l'aveva fatto fare lui. Qualcuno mi ha detto che per quel discorso Pisanu aveva preso 800 milioni da Flavio Carboni". Accusa peraltro mai dimostrata, anche se il portaborse di Calvi, Emilio Pellicani, dirà all'Espresso che Calvi aveva stanziato - per "comprare" il proprio salvataggio - 100 miliardi, dei quali "poche decine di milioni" sarebbero finite anche nelle tasche di Pisanu, "tramite Carboni". E aggiunge che Pisanu si interessò attivamente del progetto di cessione del Corriere della sera da parte di Calvi, tentando di pilotare l'operazione "in favore dell'on. Piccoli". Cioè di garantire una sorta di controllo democristiano sul primo quotidiano d'Italia. Pisanu smentì e querelò Pellicani.

Memorabili gli attacchi che gli sferrano in quel periodo i due membri più battaglieri della Commissione P2: il missino Mirko Tremaglia e il radicale Massimo Teodori. Tremaglia denuncia "l'assalto partitocratico al Corriere della sera, tramite manovre che di volta in volta sono passate attraverso Andreotti, Bagnasco o Pisanu, Carboni o Rizzoli". E, quanto all'Ambrosiano appena dichiarato insolvente dal governo, punta il dito sulle "gravissime responsabilità degli organi di governo", compreso "il sottosegretario Pisanu, amico non per caso di Carboni, che aveva dichiarato alla Camera che nulla era emerso di irregolare nell'Ambrosiano. Senonché, esattamente nove giorni dopo, il Tesoro ha disposto lo scioglimento degli organi amministrativi dell'Ambrosiano". E Teodori: "Alcuni fatti sono incontrovertibili: i rapporti strettissimi e continuativi tra Pisanu e Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi tramite Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni per la sistemazione del Corriere della sera; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni quando, sottosegretario al Tesoro, il ministero prendeva importanti decisioni sull'Ambrosiano; il sottosegretario rispose per due volte alla Camera sulla questione Ambrosiano". Poi aggiunge, il 19 gennaio '83: "Il sottosegretario Pisanu si deve dimettere: se c'è ancora un minimo di moralità, è inconcepibile che l'on. Pisanu resti al governo". "Non mi dimetterò su richiesta di Teodori", schiuma Pisanu. Poi però cambia idea, o gliela fanno cambiare: due giorni dopo, il 21 gennaio, si dimette da sottosegretario "per consentire il chiarimento della mia posizione senza condizionamenti legati all'incarico di governo ricoperto". Ma il suo caso continua ad arroventare la Commissione P2 per i mesi a venire. In febbraio Teodori torna a denunciare "l'arroganza socialista e democristiana che vuole affossare la Commissione d'inchiesta e pretende una condizione di speciale intoccabilità per tutti i politici, da Pisanu a Piccoli ad Andreotti". Pisanu viene ascoltato una seconda volta dalla Commissione Anselmi, e lì - pur rivendicando l'assoluta correttezza e "trasparenza" dei suoi rapporti con Carboni e Calvi - ammette di avere un po "sottovalutato" (testuale) la delicatezza di certe frequentazioni. Ce n'è abbastanza per metterlo in quarantena per un po'.

Ma nel 1987, dopo qualche anno di purgatorio, riecco Pisanu tornare in auge: sottosegretario alla Difesa nel nuovo governo Fanfani. Poi un altro po' di oblio, fino al 1994, quando Silvio Berlusconi lo resuscita. Prima lo promuove "vicecapogruppo vicario" alla Camera, poi nel '96 presidente dei deputati forzisti in sostiuzione di Vittorio Dotti (cacciato per via delle rivelazioni della sua compagna Stefania Ariosto su Previti, Berlusconi e le presunte tangenti ai giudici romani). Infine, nel 2001 l'ultimo balzo: ministro nel Berlusconi II, non all'Interno (com'era parso in un primo momento), ma alla "Verifica del programma" (sic). Un'occasione, comunque, per ritrovare tanti vecchi amici. Come il ministro per gli Italiani all'estero, Mirko Tremaglia. E il neodeputato di Forza Italia Massimo Teodori. Come passa il tempo.

Ma torniamo a quei mesi convulsi del 1982. Calvi, intrappolato dalla rete delle sue stesse trame, teme per la sua vita e per quella dei famigliari. E, per proteggerli, manda la moglie negli Stati Uniti e la figlia in Svizzera, al sicuro. La situazione è ormai incontrollabile. Il 27 aprile il direttore generale del Banco Ambrosiano, Roberto Rosone, fedelissimo di Calvi, è gravemente ferito a Milano da alcuni colpi di pistola esplosi da un killer che rimane ucciso, grazie al pronto intervento di una guardia giurata. E' Danilo Abbruciati, uno dei sicari della banda della Magliana. Due i possibili moventi: un avvertimento a Calvi, perché rispetti gli accordi stretti con la malavita romana, oppure una "punizione esemplare" per Rosone, che avrebbe osato eccepire su alcuni spericolati finanziamenti elargiti dall'Ambrosiano a varie società legate a Carboni, Genghini, Ortolani e alla stessa banda della Magliana. Tra l'altro, c'è in ballo un finanziamento di 6 miliardi alla società "Prato Verde" di Carboni, serviti in parte - dirà il segretario del faccendiere, Emilio Pellicani - per corrompere alcuni esponenti del clan andreottiano, affinché "normalizzassero" la magistratura milanese, appoggiando la ricusazione di Colombo e Turone (impegnati in un'inchiesta su Calvi) e nominando un procuratore capo "controllabile". Tutti gli sforzi sono concentrati sul processo di appello, previsto per il 21 giugno 1982. Il faccendiere Alvaro Giardili testimonierà che, pochi giorni prima, Calvi lo convocò nel suo ufficio all'Ambrosiano e gli disse di "contattare Berlusconi (quello delle televisioni private) che era "molto ammanigliato con i giudici di Milano, in vista di uno spostamento della data di celebrazione del suo processo"... La missione però rimane sospesa, perché 24 ore dopo Calvi fugge misteriosamente all'estero.

Ormai i vecchi amici si negano al telefono. Il banchiere è completamente solo. Perfino lo Ior, che ha succhiato per anni alla grande mammella dell'Ambrosiano, lo pugnala alle spalle chiedendo la restituzione di un credito di 300 milioni di dollari. L'ultimo viaggio, prima in Svizzera poi a Londra, è l'ultimo disperato tentativo di giocarsi il tutto per tutto. L'11 maggio 1982 l'autista va a prendere Calvi a casa, come ogni mattina, ma non trova nessuno. Il banchiere è già volato a Trieste insieme a Emilio Pellicani, il segretario-factotum di Carboni, portandosi appresso l'inseparabile borsa in pelle nera a soffietto, in cui conserva una serie di lettere e documenti scottanti che intende utilizzare per ricattare gli ex alleati che l'hanno tradito (Marcinkus, Gelli e Ortolani): e proprio a quello scopo, oltreché a reperire i fondi necessari a soddisfare le pretese dello br, dovrebbe servire il suo improvviso viaggio all'estero: a organizzare da un luogo più sicuro un'operazione ricattatoria in grande stile. Senonché, per un'operazione di quel genere, Calvi dovrebbe essere completamente libero di agire. Invece, durante tutta la sua fuga, è marcato a vista da Flavio Carboni, a sua volta "osservato" a distanza da Ernesto Diotallevi (boss della banda della Magliana e socio di Pippo Calò).

Calvi e Pellicani, una volta a Trieste, incontrano un contrabbandiere, Silvano Vittor, che per 8 milioni procura al banchiere (che non può espatriare per ordine del Tribunale di Milano) un passaporto falso (quello vero è stato sequestrato). Il passaporto, intestato a "Roberto Calvini", è stato fornito da Diotallevi. Inizia così un viaggio avventuroso, l'ultimo viaggio di Roberto Calvi alias Calvini verso la morte. In Jugoslavia per mare, a bordo di un motoscafo. Poi in Austria, in automobile: qui, dopo una notte trascorsa a Klagenfurt nella villa del suocero di Vittor, Calvi viene raggiunto da Carboni, accompagnato da una ragazza, Emanuela. Calvi e Carboni tentano di chiamare lo Ior, per strappare un ultimo finanziamento di 300 milioni di dollari, ma la risposta è no. Calvi è disperato: piange, smania, lancia anatemi, minaccia di trascinare il Vaticano nello scandalo, e tutti i segretari dei partiti che ha finanziato nel corso degli anni: cioè quasi tutti. E riprende il viaggio, scortato da Vàton. Fa tappa a Innsbruck, vorrebbe andare in Svizzera, ma "stranamente" prende l'aereo per Londra. Ed è costretto dagli uomini di Carboni, che hanno organizzato il viaggio, ad alloggiare in un appartamentino - due stanze, cucina e bagno - nel malfamato residence Chelsea Cloister, una sorta di dormitorio per immigrati di colore. "E un'infamia, qui non posso neppure ricevere le personalità che mi dovrebbero aiutare", si lamenta il banchiere con Vittor. Ma gli ordini di Carboni sono perentori: "Non muovetevi di li".

Il 17 giugno, a Milano, la situazione precipita. Crollano le azioni dell'Ambrosiano in borsa. Nell'ultimo drammatico consiglio di amministrazione, Ciarrapico tenta di scongiurare il commissariamento dell'Ambrosiano, propiziando la nomina del finanziere italo-svizzero Orazio Bagnasco al posto di Calvi. Ma il cda boccia la proposta. Rosone informa i consiglieri che lo Ior rifiuta di far fronte ai debiti in scadenza del Banco Andino (anche i responsabili della banca vaticana, Marcinkus, Pellegrino de Strobel e Luigi Mennini, verranno incriminati e raggiunti da mandati di cattura per truffa e concorso nel crac dell'Ambrosiano, anche se poi la Corte costituzionale annullerà i provvedimenti, richiamandosi al Concordato fra Stato italiano e Chiesa cattolica). Le esposizioni delle consociate estere, fino a quel momento rimaste occulte, ammontano a 379 milioni di dollari. Al consiglio di amministrazione non rimane che sciogliersi e deliberare il commissariamento, affidato alla Banca d'Italia (il Tribunale civile dichiarerà fallito il Banco Ambrosiano il 25 agosto 1982, mentre nel 1992, al termine della lunghissima istruttoria, il Tribunale penale condannerà per bancarotta fraudolenta i responsabili del crac dell'istituto, quantificandone il dissesto in un passivo di 2 mila miliardi di lire dell'epoca).

Nel pomeriggio dello stesso 17 giugno 1982, la segretaria di Calvi, Gabriella Corrocher, si toglie la vita gettandosi da una finestra. "Vergogna fuggire così, sia tu maledetto mille volte" è il suo ultimo messaggio per il banchiere che aveva fedelmente assistito con devozione per quindici anni. Probabilmente, quella sera, Calvi fa in tempo ad apprendere quella notizia, a Londra, nel suo squallido appartamentino numero 881 al residence Chelsea Cloister. Riceve una telefonata di Carboni che gli preannuncia il suo arrivo. Ma poi ritarda, dopo aver convocato lontano dal residence Vittor e aver lasciato Calvi da solo. Alle 22, Calvi esce. L'indomani, alle 7,25 del 18 giugno 1982, un impiegato delle poste di Londra, Anthony Huntley, che cammina frettoloso lungo la riva del Tamigi per andare a lavorare, nota un corpo che pende da una corda legata a un traliccio sotto il ponte di Blackfriars, cioè dei frati neri. E avverte la polizia fluviale.

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VATICANO: e sai cosa ti vendono
by ateo Monday, Aug. 16, 2004 at 10:45 PM mail:

VATICANO: e sai cosa...
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VATICANO

LA MULTINAZIONALE DELL'ANIMA

Un giorno, uno splendido esseno di nome Gesù disse: "...porgi l'altra guancia". Loro un pò duri d'orecchicapirono: " Porgili in banca". Da allora è nato tutto, la Banca Vaticana (IOR), la banca dei Ministri di Dio...di quale dio però, non lo si è ancora capito". Premetto che non desidero mancare di rispetto a nessuno, qualunque fede professi, in questo articolo ci sono solo datti di fatto ampiamente documentati e se qualcuno si sente offeso o ferito nel proprio credo è perché prima di essere un credente è un ipocrita, cito l'esoterica frase tanto verace quanto sepolta tra gli scheletri: "nessuna religione è più alta della verità".


Comunemente si pensa che il Cristianesimo ed il Vaticano siano un tutt'uno ma come vedremo ciò non corrisponde a verità, tanto che la maggior parte delle volte, il Vaticano per i propri interessi lavora in antitesi ai valori fondamentali del Cristianesimo. Sembra così assurdo che i custodi della Chiesa di Pietro siano proprio quelli che minano le sue basi?!? Ma non è assurdo nel momento in cui si posa gli occhi sul Vaticano, perché il Vaticano è semplicemente un luogo ricoperto di fine marmo, di inestimabili affreschi... e di scintillanti croci d'oro appese al petto. Il Vaticano non è altro che la gerarchia ecclesiastica, uomini in carne ed ossa con le loro estreme debolezze. Ma ora entriamo nella purpurea e drappeggiata stanza dei bottoni della Cristianità, il luogo che ha manomesso le fondamenta teologiche, etiche e storiche del Cristianesimo. Il Vaticano è una multinazionale, con sedi sparse in tutto il mondo, ha un fatturato annuo stimato in migliaia di miliardi di lire (basterebbero a sfamare milioni di indigenti nel mondo), e come ogni multinazionale che si rispetti ha un forte impatto politico. Molti suoi alti prelati hanno un legame diretto con l'Alta Finanza Mondiale che come si sa è manovrata dalla Massoneria deviata. Difatti molti vescovi e monsignori sono affiliati a queste logge massoniche come i Cavalieri di Malta e la Loggia d'Oriente. Ma diamo qualche esempio concreto di chi dimora tra le mura vaticane.

Criminalità religiosa organizzata



Il potente banchiere Michele Sindona (affiliato alla loggia massonica Propaganda 2 di solito abbreviata in P2) conobbe personalmente Paolo VI quando quest'ultimo era ancora Arcivescovo di Milano, una delle Diocesi più influenti in Italia. Sindona entrò nelle sue grazie costruendo un edificio per la Diocesi stessa. Paolo VI è stato il ponte di collegamento tra questo avido finanziere, l'Arcivescovo Marcinkus, Roberto Calvi (altro affiliato alla P2) presidente dell'Ambrosiano e di Licio Gelli (Gran Maestro della loggia P2).Questa associazione tra Massoneria-Vaticano-Mafia negli anni '60 ha fatto incassare miliardi di lire al Vaticano stesso ed ai loro "business-priests".


Paul Marcinkus non è solo il presidente dello IOR (Istituto Opere Religiose), la Banca Vaticana; è l'eminenza grigia del Pontificato. Per questo Papa Giovanni Paolo II, ha usato la sua carica isituzionale per proteggerlo. I Papi come i presidenti degli Stati Uniti, sono solo paraventi; è la politica dei maestri burattinai: "muovere i fili da dietro le quinte". Paul Marcinkus è stato condannato per la vicenda dei "fondi neri" dello IOR e per il crollo della banca milanese di Roberto Calvi.

La Cassazione nel '87 ha annullato i mandati di cattura per "Sua Eminenza" e gli altri responsabili della banca Vaticana. Ma lasciamo che le dichiarazioni di Francesco Pazienza, pubblicate nel libro "La vera storia d'Italia" ci diano una maggiore quantità di elementi cui farci riflettere ed indagare: "Sempre durante il mio impegno presso i Servizi, ebbi la ventura di rintracciare, presso l'avvocato zurighese Peter Duft - il quale era stato consulente del cardinale Vagnozzi e depositario di molti documenti dello stesso - delle carte pericolosamente compromettenti per Mons. Paul Marcinkus.Occorre dire, al riguardo che il Gen. Santovito aveva ricevuto la richiesta da Mons. Luigi Celata, segretario particolare del Cardinale Casaroli, di rinvenire documenti compromettenti per Marcinkus, documenti i quali si trovavano tutti all'estero e, dunque, erano di difficile reperibilità.


Tale richiesta si inquadrava nel contesto di uno scontro feroce, all'interno del Vaticano, tra due opposte fazioni: l'una denominata "Mafia di Faenza", nella quale si iscrivevano, oltre al cardinale Casaroli, i Cardinali Samorè, Silvestrini e Pio Laghi; l'altra, facente capo per l'appunto al Marcinkus, alla quale appartenevano Mons. Virgilio Levi, vice direttore dell' "Osservatorio Romano", e Mons. Luigi Cheli, Nunzio pontificio presso l'ONU. La fazione capeggiata da Paul Marcinkus aveva grossa influenza su Papa Giovanni Paolo II: questi aveva dovuto, proprio all'inizio del suo pontificato, fronteggiare uno scandalo, esploso negli Stati Uniti, di cui era stato protagonista un ordine di Preti polacchi di Filadelfia, implicati in grosse truffe ai danni di banche, con risvolti piuttosto piccanti. Mons. Marcinkus si era opportunamente adoperato per mettere a tacere tale scandalo, officiando lo studio legale newyorkese "Finley - Casey & Associati" e coprendo, in qualche modo, gli ammanchi.

L'ovvio beneficio che Marcinkus ne aveva tratto era di poter contare sull'appoggio incondizionato del Papa, il quale, a seguito dell'attentato patito, era però stato messo fuori gioco: non a caso gli attacchi allo IOR e al Banco Ambrosiano si fecero estremamente virulenti e fatalmente insidiosi proprio dopo l'attentato, basti pensare alla coincidenza temporale di questi e l'arresto di Calvi. Anziché consegnare i documenti reperiti presso l'avvocato Duft al Gen. Santovito, che li avrebbe, a sua volta, consegnati al segretario del Cardinale Casaroli, senza che io ne trassi alcun vantaggio, mi rivolsi all'On. Piccoli, affinché mi reintroducesse presso Calvi: avrei potuto ripresentarmi a costui da solo, tuttavia, con il viatico del Segretario della Democrazia Cristiana la cosa prendeva un aspetto affato diverso. Fu per l'appunto a Roberto Calvi che consegnai la documentazione in mio possesso, che tra l'altro era soltanto una parte del fascicolo contro Marcinkus, senza farne neppure una fotocopia. A.D.R.

Consegnai a Calvi la documentazione nei primissimi giorni del marzo 1981. Contestualmente erano usciti gli articoli dell' "Espresso" e di "Panorama" sull'organizzazione del viaggio statunitense dell'On.Piccoli. Fu forse per tale ragione che Calvi mi invitò a collaborare con lui...". Le dichiarazioni di Francesco Pazienza sono ulteriormente convalidate dai "Millenaristi", la terza forza che si muove all'interno delle sante mura dei "sette colli". I "Millenaristi" sono una cellula di prelati all'interno del Vaticano, hanno scritto un libro, per denunciare le due fazioni opposte di cui parlava anche Pazienza. Questa cellula si dichiara disgustata dalla corruzione che giornalmente vede dilatarsi nel Tempio della Cristianità, denunciando molti loro colleghi ecclesiali come affiliati ai vari ordini massonici, alla Mafia siciliana o alla Camorra campana.

I "Millenaristi", inoltre, denunciano la dilagante omosessualità come costume consolidato nel Vaticano stesso, ed usata anche come via ad una facile promozione; e gli sperperi in acquisti di ville romane o palermitane, dove diversi prelati passano spensierate serate allietate dalle attenzioni di splendide donne. Il motto, di questa multinazionale religiosa e spirituale quanto la Microsoft o la Nestlè (adorano lo stesso dio-banconota del resto), non è il classico "soddisfatti o rimborsati", ma è stato da sempre quello di "soddisfatti o messi al rogo". Naturalmente ai giorni nostri si parla del moderno rogo, cioè il discredito attraverso i mass-media, ed in questo il loro onnipotente dio-banconota li ha generosamente dotati di strumenti mass-medianici.

Il Vaticano, grazie alla congregazione dei Paolini, detiene il quarto gruppo mass-mediologico in Italia, dopo Mondadori, Rizzoli e Rusconi. Stampano giornali come Famiglia Cristiana, con il quale ogni settimana vendono milioni di copie. Ciò significa "plasmare" il pensiero di molte persone. Ma ci sono molti altri giornali e libri, tutti con delle vendite notevoli, giornali che usufruiscono di finanziamenti statali, cioè pagati da noi italiani. Ma nel momento in cui la nostra magistratura emette un mandato d'arresto a questi loschi prelati, prontamente il Vaticano si fa forte della sua Extraterritorialità in quanto Stato a se, proteggendo e lasciando completa libertà a questi preti senza scrupoli e senza Dio. E tutto il lavoro della nostra magistratura diventa inutile, con un ulteriore danno economico nei nostri riguardi (le indagine costano).

Però per i finanziamenti e per l'otto per mille, l'Extraterritorialità non viene tenuta conto; due pesi e due misure...e due Dei nella Casa del Signore. Se non bastasse il Vaticano ha usato la Rizzoli con i suoi settimanali per fare propaganda e screditare chiunque minasse il prestigio o la popolarità (si fa per dire) della Chiesa. Guardate tutti gli articoli che sono apparsi contro i nuovi movimenti religiosi, la cosiddetta New Age. Quest'ultima, ai loro occhi, si è resa colpevole del reato di aver portato via potenziali acquirenti di prodotti teologici dell'industria cattolica. Subdolamente hanno etichettato la New Age come l'Opera di Lucifero, il solito vecchio metodo dello spauracchio per manipolare meglio la gente. Del resto, ciò è comprensibile, visto che la "parte sana" della New Age (assieme ad una moltitudine di studiosi, storici e ricercatori) ha denunciato la loro blasfema teologia e l'uso improprio della figura del Cristo perpetuata dalla Santa Chiesa Romano Apostolica e dal Cattolicesimo.

L'escatologia dirottata in tirannici dogmi per sottomettere la sacralità dell'individuo ad una Chiesa che è di tutti tranne che di Dio. Ma quel povero diavolo di Lucifero cosa se ne fa della scomoda New Age, quando ha in mano lo stesso Vaticano che è di gran lunga più influente, profondamente corrotto e che gli dà già così tanta soddisfazione. Gli oscuri uomini dagli abiti porpora non si riposano mai. Attraverso i giornali boicottano perfino gli stigmatizzati in vita. Basti ricordare lo scomodo (per loro) Padre Pio, e la sua difficile vita a causa del Vaticano.

Una volta morto, miracolosamente non lo era più, anzi s'era tramutato in un sant'uomo (se la gente lo ama anche senza l'approvazione della Chiesa, la Chiesa si addegua per poter tenere i fedeli, questa flessibilità ha portato sopravvivenza e potere da 2000 anni). I contestatori Mons. Milingo e lo stigmatizzato Giorgio Bongiovanni (direttore di Antimafia 2000) una volta morti saranno i prossimi paladini della Chiesa? Secondo il " Corriere della Sera ", l'immagine della Chiesa dedita agli aiuti umanitari è strumentalizzata e dell'otto per mille che gli italiani devolvono attraverso le tasse, solo il 46% degli introiti viene usato per opere di beneficienza, mentre il restante 54% viene usato per mantenere la fatiscente struttura pontificia. Per fortuna che Gesù predicò una vita in povertà. Ma non fatevi strane idee, loro sono in assoluta buona fede, è che purtroppo le orecchie sono organi così delicati e si danneggiano subito.

NARCO-BUSINESS AL VATICANO
Ma l'incredibile in casa Vaticano è all'ordine del giorno, pensate che la "Santa Sede" ha fatto di tutto per proteggere Noriega (uomo usato dalla amministrazione Reagan/Bush nel traffico degli stupefacenti della CIA), il dittatore e narcotrafficante panamense ricercato dalla DEA (Drug Enforcement Administration) americana. A Panama c'erano parecchie finanziarie di Marcinkus, Calvi e Sindona e gentilmente Noriegale proteggeva dagli sguardi indiscreti. Lino Christ, l'abate della parrocchia di Rio de Janeiro e corriere della rete brasiliana del narcotraffico è stato arrestato in Svizzera, le sue valigie contenevano nove chili di cocaina pura per un valore superiore ad un miliardo di lire. E cosa dire dell'Opus Dei da molti criticata come una congrega finanziaria camuffata da opera religiosa. Purtroppo l'esecrabile esercito di corrotti e corruttori in seno alla Chiesa è un cancro dall'estensione mortale e unica del suo genere. Di certo il cristiano medio se non ha un buon prete nelle vicinanze (per fortuna ce ne sono ancora), farebbe meglio a pregare nel proprio tempio interiore e fare la carità di persona; evitando di interagire e colludere inconsapevolmente con una Chiesa (scusate l'eufemismo) che odora d'inganno e di morte. Ma le vie di questo dio-banconota, e di questi uomini senza religione e senza Dio, sono infinite ancora per quanto?



Bibliografia consigliata:

MARIO GUARINO, I Mercanti del Vaticano, Kaos Edizioni

FRANCESCO PAZIENZA, La vera storia d'Italia, Tullio Pironti editore

I MILLENARISTI, Via col vento in Vaticano, Kaos Edizioni

MARCO AURELIO RIVELLI, L'Arcivescovo del genocidio, Kaos Edizioni

N. BENAZZI - M. D'AMICO, Il libro nero dell'Inquisizione

DISCEPOLI DI VERITA', Bugie di sangue in Vaticano, Kaos Edizioni

LAURENCE GARDNER, La linea di sangue del Santo Graal, Newton & Compton Editori

LAURENCE GARDNER, Le misteriose origini dei Re del Graal, Newton & Compton Editori

LAURENCE GARDNER, Il regno dei Signori degli Anelli, Newton & Compton EditorI

M. BAIGENT - R. LEIGH, L'inquisizione,

DANIEL MEUROIS-GIVAUDAN, Il Vangelo di Maria Maddalena, Edizioni Amrita

;M. PINCHERLE, Il Gesù Proibito, Macroedizioni

M. PINCHERLE, Il Mosè Proibito, Macroedizioni

M. PINCHERLE, Paolo il Falso, Macroedizion

F. M. HASSNAIN, Sulle tracce di Gesù l'Esseno, Edizioni Amrita

C. MANUCCI, Puttana Eva,

E. E. GREEN, Lacrime Amare (Cristianesimo e violenza contro le donne)

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La massoneria e lo scandalo del calcio scommesse del 1980 nell’autobiografia di Petrini
by Giuseppe Ardagna Monday, Aug. 16, 2004 at 10:53 PM mail:

Lo scandalo delle scommesse legate alle partite di calcio scoppia agli inizi del 1980. Quella che, all’opinione pubblica, sembra un fulmine a ciel sereno, risulta però essere per gli addetti ai lavori la risultante di un percorso partito parecchi anni addietro e che ha trovato il suo periodo di maggior fulgore negli anni settanta. D’altronde non c’è da stupirsene. Soldi e pallone sono sempre andati a braccetto. Ma questa volta è diverso: questa volta indaga la magistratura che porta davanti ai giudici dirigenti, giocatori, scommettitori. In Italia ( paese in cui da sempre puoi toccare tutto tranne il sacro giocattolo) scoppia un putiferio senza pari. Si capisce sin da subito che non sarà possibile venirne fuori con una sentenza che permetta una frettolosa ripulita in superficie, ma che bisognerà dare una “punizione esemplare”.
Tutte le squadre coinvolte, chi più chi meno, tutti i giocatori implicati subiranno la loro brava condanna, ma di calcio scommesse si tornerà già a parlare pochissimo tempo dopo l’emissione della sentenza. Bisogna che tutto cambi perché nulla cambi.
Ma non è precisamente del calcio scommesse che vogliamo occuparci in queste pagine, il calcio scommesse è un’altra storia.
Vogliamo occuparci di alcuni lati connessi ad esso.

Vent’anni dopo i fatti testé menzionati, l’ex calciatore Carlo Petrini da alle stampe la sua autobiografia all’interno della quale spiega ( senza risparmiare dettagli) l’odissea del suo coinvolgimento nello scandalo delle partite truccate. In queste pagine si parla del suo grande accusatore ed ex amico, l’allibratore Massimo Cruciani.[1]
Ufficialmente Cruciani, stando alle parole di Petrini, gestisce un ingrosso di orto frutta, ma gode di agganci ed “entrature” notevoli. L’ex giocatore racconta dei rapporti del commerciante romano con il Vaticano arrivando ad aggiungere che un giorno avrebbe anche potuto fargli conoscere il Papa: “Cruciani veniva spesso a Grottaferrata, era in confidenza con tutti i giocatori. Anche perché, grazie a lui, riuscivamo a fare lo shopping nello spaccio del Vaticano . Nella cittadella del Papa c’era ogni ben di Dio e costava tutto la metà. Non so se Cruciani fosse parente di qualche prelato, o se avesse qualche lasciapassare speciale:so che ci faceva entrare in Vaticano con i nostri macchinoni perfino a fare il pieno di benzina ad un prezzo divino.Un giorno, mentre mi accompagnava nalla città santa a fare lo shopping scontato , Cruciani mi disse: -posso farti avere un udienza privata dal Papa[…]”[2].
Cruciani, che all’apparenza sembra essere un agiato commerciante di generi alimentari, pare in realtà una persona potente, uno che sa cosa chiedere e sa a chi chiederla.
Ma Cruciani gode di amicizie anche nel mondo del pallone. Più precisamente si mantiene in contatto con il presidente della Figc Artemio Franchi[3].
Cruciani gestisce dunque un giro di scommesse legate al mondo del calcio, è legato a filo doppio col Vaticano, di cui gode e fa godere i favori, ed è in contatto con l’esponente massone (P2) della Figc.

Ma fra le tante conoscenze di Petrini nel periodo romano, ce n’è una in particolare: quella di un certo Roberto (il cognome non lo si saprà mai): “[…]avrà avuto fra i trenta ed i quaranta anni […]non seppi mai che lavoro facesse Roberto, ma scoprirò poi che era un uomo molto potente e soprattutto informatissimo”[4].
Teniamolo a mente questo nome, Roberto, perché ci ritorneremo.
Calcio, personaggi ambigui, esponenti massoni, scommesse e soldi. Tanti soldi.
Di massoneria Petrini parlerà apertamente in merito alla possibilità di formare una squadra che coinvolga nel proprio organico i giocatori squalificati in seguito alla sentenza del processo per il calcio scommesse fra i quali figurano, è bene ricordarlo, giocatori che poi diverranno eroi nazionali come Dossena e Rossi campioni del mondo nel 1982: “[…] in autunno saltò fuori l’idea di mettere su una squadra di calcio formata da noi giocatori squalificati per il calcio scommesse, che facesse partite di beneficenza in giro per il mondo.[…] il primo contatto concreto fu per una partita amichevole in Svizzera, con il Basilea. Mi ricordo che mentre eravamo in un albergo milanese per definire gli ultimi accordi con i dirigenti della squadra elvetica arrivò il veto della Figc. La federazione aveva mandato a tutte le federazioni dell’Uefa un telegramma nel quale le invitava a non accogliere la nostra squadra nei loro stadi.Protestammo contro il colpo basso della Figc e provammo a non arrenderci, la nostra iniziativa stava trovando parecchi sostenitori. Mi telefonò un avvocato di Roma ( non ricordo il nome), mi parlò della possibilità di organizzare il tutto sotto il patrocinio della croce rossa internazionale e mi propose di incontrarci perché lui avrebbe potuto aiutarci. Andai a Roma nello studio dell’avvocato. Mi disse che c’era gente importante disposta a sostenerci, fece il nome della moglie dell’ambasciatore americano in Italia, dell’attore Rossano Brazzi e di altri, accennò alla possibilità di portare la nostra iniziativa alla televisione (cosa che puntualmente avvenne a -Domenica in- ndr) parlò della massoneria[…][5]”.

Dopo la comparsata in tv, Petrini torna nello studio dell’avvocato romano e ci trova nuovamente quello strano personaggio: Roberto: “Quando tornai nello studio dell’avvocato per ringraziarlo ci trovai Roberto, il mio strano informatore. Ad un certo punto arrivò un signore che mi venne presentato come il principe Borghese”[6].
Petrini dice di incontrare una persona che gli viene presentata come il principe Borghese. Pur non specificando di chi si tratti, sembra evidente che il nostro si riferisca al comandante della Decima Mas, altro massone (P2 ) oltretutto golpista.
La massoneria, più altri personaggi, che sembrano essersi presi a cuore le sorti dei giocatori usciti con le ossa rotte dallo scandalo scommesse. Perché? Nelle pagine seguenti Petrini racconta la sua lenta ma inesorabile discesa agli inferi ma facendo questo non dimentica di menzionare chi gli da una mano per tentare di risollevarsi su. Fra questi figura Alberto Teardo, altro massone iscritto alla P2[7].
Come se non bastasse la commedia data in pasto all’opinione pubblica per placarla sullo scandalo del calcio scommesse, diventa farsa nel 1982 con la vittoria dell’Italia ai campionati del mondo: “[…] dopo la vittoria della nazionale italiana ai mondiali di Spagna, ai primi di Luglio, la federcalcio decise di perdonarci tutti con un’amnistia[…]”[8].
Tutto finito insomma. Di calcio scommesse e di sentenza esemplari non si parla più dopo il 1982.
Col senno di poi, sembra quasi che sia stato un bene che non si sia giunti alla formazione di una squadra formata dai giocatori squalificati. Sembra quasi che la Figc, col veto imposto, abbia voluto dire: state calmi e non fate niente, che le cose le sistemiamo noi”.
E le hanno sistemate.


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[1] C.Petrini , <<Nel fango del dio pallone>> , Milano 2001 , pp.83 e seg.
[2] Ibidem
[3] Ivi , p.119
[4] Ivi.p.85
[5] Ivi , p.144
[6] Ibidem
[7] Ivi , p.146
[8] Ivi , p.147

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DICIOTTESIMO MEETING ANTICLERICALE
by hack(k)er Monday, Aug. 16, 2004 at 10:59 PM mail:

DIBATTITI



8 settembre 2002

LA VICENDA GIUDIZIARIA DEL FILM “I BANCHIERI DI DIO”



Il regista di questo film è Giuseppe Ferrara che potremmo definire come lo specialista della dietrologia italiana; altri suoi film hanno raccontato il caso Falcone, il caso Moro e Dalla Chiesa e hanno circolato non solo nelle sale d’essai, ma anche in una distribuzione più ampia portando sullo schermo alcune delle vicende più infamanti della storia della Repubblica italiana degli ultimi venti anni.

Questo film “I banchieri di dio” racconta il caso Calvi ed era in cantiere da qualche anno, ma evidentemente Ferrara ha trovato difficoltà a portare avanti il progetto soprattutto per quanto riguardava la copertura dei costi.

Il Ministero dei beni culturali ha stanziato 4 miliardi per coprire le spese del film, grazie anche all’interessamento del papà di Carlo Verdone, che quindi finalmente esce nelle sale cinematografiche.

Il film, oltre a denunciare tutte le malefatte dello IOR, del Vaticano, di Marcinkus, della P2 con gli intrecci che ne derivarono tra alta finanza, faccendieri, trafficanti di armi, massoneria, politica e gerarchie ecclesiastiche ecc., per la prima volta nella storia del cinema italiano fa vedere Giovanni Paolo II e lo fa vedere, anche se solo di spalle, perché direttamente coinvolto nelle trame nere che vengono via via raccontate (anni fa il “Papocchio” faceva vedere il papa, ma in un contesto ironico).

L’offensiva contro il film, però non è venuta dal Vaticano, per lo meno non direttamente, ma da Flavio Carboni, la cui interpretazione nel film è affidata al bravissimo Giancarlo Giannini, che era membro della P2, era legato ai settori distorti della massoneria, alla banda della Magliana di Roma e che nel film viene descritto non come l’esecutore materiale del delitto, ma come quello che ha accompagnato Calvi a morire.

Carboni si rivolge al tribunale per chiedere il sequestro del film, avvalendosi della procedura d’urgenza, denunciando di sentirsi seriamente danneggiato dai contenuti della pellicola; molti a questo punto pensarono che il film fosse sparito dalle sale perché era stato sequestrato, mentre la sentenza del sequestro poneva come condizione che Carboni versasse 3 miliardi di vecchie lire come cauzione,in attesa della fine della causa giudiziaria, in realtà Carboni non versò questi soldi.

Il film quindi non era sequestrabile, però a questo punto Carboni, spendendo molto meno, ha “avvisato” tutto il circuito della distribuzione cinematografica che poteva essere a rischio di denuncia e la pellicola ”spontaneamente” è stata ritirata dalla circolazione.

Quindi non si tratta di sequestro, ma di intimidazione mafiosa ed omertosa.

Ferrara rimase senza copie del film, ad eccezione di un VHS che si era tenuto precedentemente; va annotato il fatto che il regista si aspettava una ripercussione in qualche modo negativa, ma mai si sarebbe immaginato che la casa distributrice del film arrivasse a tanto.

Ferrara pensò che poteva essere il caso di far uscire un libro (“Il caso Calvi” ed. Massari) che includesse la sceneggiatura del film, e così fece; in questo libro sono pubblicate anche le lettere del figlio di Calvi che autonomamente continuò ad indagare sulla vicenda di questo delitto.

La presentazione del libro in varie località d’Italia ha permesso di far chiarezza non solo sulla vicenda giudiziaria del film, ma di raccogliere solidarietà da personaggi del cinema e della cultura e testimonianze di giudici che a loro volta indagano su fatti che hanno una stretta correlazione a tutto il caso Calvi e comunque di aggiungere ulteriori pezzi a questo puzzle di personaggi e situazioni di cui il film ed il libro parlano, compreso quel garbuglio incredibile che è la massoneria inglese.

Vi è poi un altro libro, che ha lo stesso titolo del film (“I banchieri di dio” ed. riuniti) che invece approfondisce e si attiene a tutte le carte processuali e quindi alla vicenda giudiziaria del caso Calvi.

La sentenza sul film arrivò molto presto con esito positivo mentre Carboni fu condannato a pagare le spese processuali.

Quello che tutti si aspettavano era che il film tornasse nelle sale, che per la casa distributrice poteva anche essere motivo per una campagna pubblicitaria; in realtà, a parte una veloce ricomparsa a Milano e a Roma, non ha più circolato.

La RAI si era precedentemente impegnata ad acquistare la pellicola e quindi ci aspettiamo, prima o poi, che vada in onda.

Prima si accennava alla massoneria inglese collegata al delitto Calvi per aspetti secondari, secondo alcuni, ma comunque curiosi anche se un po’ macabri da raccontare.

Sul cosiddetto suicidio di Calvi c’è stata tutta un’accurata messa in scena: la scelta del ponte, il fatto che Calvi avesse dei mattoni in tasca e indossasse un cappuccio fanno risalire a rituali massonici.

Il ponte ha i colori bianco azzurri della bandiera argentina che può essere collegata alla vendita di missili da parte di Calvi, in accordo con il Vaticano, al dittatore argentino per la guerra alle Malvine; inoltre vicino a questo ponte londinese c’è la sede dell’Opus Dei.

Sul Tamigi poi hanno competenza due polizie diverse, a seconda del lato, per cui nel caso di Calvi non intervenne Scotland Yard, ma la City Police, diretta da un duca di Edimburgo membro della massoneria, che all’epoca dei fatti aveva subito sentenziato che si trattava di un suicidio, tesi sostenuta per parecchio tempo, fino a che la stessa giustizia inglese dovette riconoscere il contrario.

Si fa fatica a credere che queste circostanze siano del tutto casuali… se si pensa che fino all’istruttoria di Almerighi,che ricostruisce l’intreccio di trame nere che costituiscono poi tutta la vicenda politica e finanziaria che si conclude con l’uccisione di Calvi, si continua a parlare di suicidio!

Come spesso avviene c’è chi fa in modo che tutto l’iter giudiziario non si concluda e, per fare degli esempi, la sola perizia sul cadavere di Calvi è rimasta aperta per anni; anzi possiamo dire che a più di venti anni dalla sua morte il processo vero e proprio non sia ancora cominciato!

Siamo di fronte ad una vicenda complicatissima, sulla quale molti hanno scritto ed indagato, ma se al più presto non si riesce a far luce su alcuni aspetti che sono di competenza dei magistrati e dei giudici, cioè dell’istituzione che dovrebbe amministrare la giustizia in Italia, si rischia che non venga mai fatta perché nel frattempo i protagonisti e i testimoni se ne vanno ecc.

Un’eventuale sentenza potrà magari dire che si sia trattato di un omicidio, ma che i responsabili sono ignoti... cioè rimarrà uno dei tanti misteri italiani!

I coinvolgimenti politici e finanziari sono tantissimi e a livelli diversificati, per es. la responsabilità vaticana c’è per quanto riguarda la vicenda soprattutto del Banco Ambrosiano, ma probabilmente non per il delitto, che sembra aver interessato altre sfere di potere.

In tutto questo poi si diversificano anche le responsabilità dirette di alcuni personaggi con le responsabilità delle istituzioni che essi stessi rappresentano, per es. se fosse vero che Marcinkus era membro della massoneria, questo rappresenterebbe un caso anomalo perché nella massoneria, generalmente, non entrano donne e prelati.

Il film poi descrive bene come, da un punto di vista finanziario, sia Calvi che Marcinkus siano usciti sconfitti, quest’ultimo sembra stia facendo il parroco in Arizona e si sia ritirato a vita tranquilla per sopravvivere, e che a trarne un vantaggio enorme sia stata l’Opus Dei.

L’impressione che rimane, dalla visione della pellicola, è di un medio evo proiettato nei meccanismi della finanza attuale irrealizzabile senza precise strategie di connivenza e di omertà.

Una considerazione più prettamente politica: tutte queste vicende legate agli scandali nazionali ed internazionali e che troppo spesso rimangono dei misteri non risolti proprio perché in Italia la classe politica agisce solo per interessi che vanno coperti o usati come merce di scambio per altri interessi ancora; quindi tutto il male che la destra produce non sarebbe tale se non ci fosse una sinistra, politica ed intellettuale, così brava a fare altrettanto, cioè ad avere altrettante ramificazioni nelle varie sfere di potere.

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e quindi?
by mi sembrano giudizi affrettati Monday, Aug. 16, 2004 at 11:06 PM mail:

mah... e non è mafioso mandare nelle sale un film che calunnia qualcuno, solo perché in attesa del giudizio questo non ha tre miliardi da versare come cauzione? se l'amico ha minacciato di denuncia tutti quelli che l'avrebbero distribuito, ha fatto benissimo. E' legale in Italia, sai?

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MEETING ANTICLERICALE
by MEETING ANTICLERICALE carol è maiale Monday, Aug. 16, 2004 at 11:06 PM mail:

MEETING ANTICLERICALE

(presentazione, programmi, resoconti, relazioni, mozioni, immagini, foto e curiosità)
DICIANNOVESIMO MEETING - Modena 12/14 Settembre 2003 <19.htm>
DICIOTTESIMO MEETING - Rio Torto (Piombino) 5/8 Settembre 2002 <18.htm>
DICIASETTESIMO MEETING - Manifestazione internazionale per il 400° anniversario rogo di Giordano Bruno - Roma 17/19 febbraio 2000 <giord.html>
SEDICESIMO MEETING - Bologna 1/4 luglio 1999 <16.htm>
QUINDICESIMO MEETING - Fano 20/21 Giugno 1998 <15.htm>
QUATTORDICESIMO MEETING - Fano 22/24 Agosto 1997 <14.htm>
TREDICESIMO MEETING - Fano 24/25 Agosto 1996 <13.htm>
DODICESIMO MEETING - Fano 24/27 Agosto 1995 <12.htm>
UNDICESIMO MEETING - Fano 19/23 Agosto 1994 <11.htm>
DECIMO MEETING - Fano 21/28 Agosto 1993 <10.htm>
NONO MEETING - Fano 21/23 Agosto 1992 <9.htm>
OTTAVO MEETING - Fano 23/25 Agosto 1991 <8.htm>
SETTIMO MEETING - Fano 24/26 Agosto 1990 <7.htm>
SESTO MEETING - Fano 18/20 Agosto 1989 <6.htm>
QUINTO MEETING - Fano 19/21 Agosto 1988 <5.htm>
QUARTO MEETING - Fano 14/16 Agosto 1987 <4.htm>
TERZO MEETING - Fano 14/17 Agosto 1986 <3.htm>
SECONDO MEETING - Fano 26/28 Luglio 1985 <2.htm>
PRIMO MEETING - 3/5 Agosto Fano 1984 <1.htm>
1993: dieci anni di meeting <../peccato/t10storia.html>

Per ulteriori informazioni

Tel. e Fax: 0721/827229

E-mail Circolo Culturale:

n.papini@abanet.it

E-mail Anticlericale: anticlericale@abanet.it

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GIALLOPARMA
by e allora ! Monday, Aug. 16, 2004 at 11:31 PM mail:

GIALLOPARMA – DALL’AMBROSIANO A PARMALAT, QUANTE STRANE COINCIDENZE CON I MISTERI DI CALVI: POLITICA, VATICANO, SUDAMERICA…

Fabio Tamburini per Il Sole 24 Ore

Lussemburgo e ipotesi di riciclaggio, stretti legami con la politica, P2 e Vaticano, Sud America e Nicaragua, back to back e capitali misteriosi, società off-shore di ieri e di oggi: le inchieste sul crollo clamoroso della Parmalat stanno rivelando analogie con il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Semplici coincidenze? Oppure il re del latte, ben conosciuto per la profonda fede cattolica, e il banchiere alla guida di quella che era definita «la banca dei preti» hanno percorso pezzi degli stessi percorsi, sia pure a distanza di una ventina d'anni.

Certo la sensazione che il fallimento di Parmalat non sia soltanto un caso di Caporetto industriale e finanziaria è forte e acquista peso ogni giorno che passa perché si stanno delineando circostanze inquietanti. A partire dalla difficoltà di rispondere ad una domanda molto semplice: come è possibile che il gruppo abbia accumulato perdite così gigantesche? Ecco perché, ormai da un paio di settimane, l'attenzione è rivolta a verificare se c'è dell'altro.

E ogni segnale viene vagliato con estrema attenzione sia da chi sta seguendo le vicende Parmalat al massimo livello investigativo sia dalla task force dell'americana Sec, arrivata in Italia il 1 gennaio scorso. In più contribuiscono ad alimentare i sospetti la ricostruzione delle ultime mosse di Calisto Tanzi prima dell'arresto e capitali misteriosi che risultano dalle dichiarazioni rese ai magistrati dallo stesso imprenditore.

Vicende che ricordano alla memoria proprio il crack dell'Ambrosiano. Perchè Tanzi è volato in Svizzera e in Ecuador facendo tappa in Portogallo? E perché ha accreditato con il Sanpaolo Imi e negli interrogatori la possibilità che un imprenditore, Luigi Manieri, rilevasse asset del gruppo per 3,7 miliardi di euro all'inizio del dicembre scorso? Manieri smentisce seccamente i verbali di Tanzi ma, almeno per il momento, il giallo rimane.

Così come, vent'anni dopo, rimangono oscuri i veri motivi che spiegano il viaggio a Londra di Calvi. Il banchiere, dopo l'ultima cena a cui parteciparono Florio Fiorini, ex direttore finanziario dell'Eni nonché fondatore della Sasea, rilevata dal Credito svizzero e dal Vaticano, e Karl Kahane, l'uomo d'affari austriaco con interessi in mille faccende, passò gli ultimi giorni della sua vita nella capitale inglese. Con ogni probabilità, anche se non risultano conferme, cercava capitali di soccorso, stava tentando di organizzare investimenti significativi che sarebbero serviti a scongiurare, sia pure all'ultimo minuto, il crollo del gruppo. Il faccendiere Francesco Pazienza, tramite tra Calvi e l'allora capo del Sismi, Giuseppe Santovito, è arrivato ad evocare interventi dell'Opus Dei ma, in proposito, non esiste alcun riscontro.

Suscita curiosità la partecipazione di Calisto Tanzi al capitale di una finanziaria lanciata da Fiorini all'inizio degli anni Ottanta, la Sidit, Società italo-danubiana d'investimenti e trading, di cui era azionista anche l'austriaco Kahane. Proprio Sidit, come hanno scritto le cronache finanziare dell'anno 1983, doveva essere il veicolo del tentativo di salvataggio dell'Ambrosiano, di cui Fiorini è stato l'artefice. E sempre Tanzi ha rilevato dal patron di Sasea una società decotta, Odeon tv, con il carico di deficit per 90 miliardi di lire che ha rappresentato uno dei primi buchi, coperto ricorrendo a falsificazioni di bilancio.

Erano tempi in cui la triangolazione imprese, affari e politica generava rapporti perversi. Calvi, banchiere cattolico per definizione, finanziava massicciamente Pci e Psi. Tanzi, anche se non risultano prove di tangenti, ha sempre seguito passo dopo passo le campagne elettorali della Democrazia Cristiana e della opposizione. Ben conosciuti sono gli stretti legami con l'allora segretario della Dc, Ciriaco De Mita, che festeggiò nomine al vertice del potere brindando a casa di Tanzi, la cui Parmalat ha costruito una presenza industriale importante proprio nel feudo demitiano di Nusco, in provincia di Avellino.

L’elicottero dell'imprenditore era sempre disponibile per trasportare esponenti di spicco del mondo vaticano, tra cui monsignor Agostino Casaroli, in passato segretario di Stato. E Calvi aveva come partner privilegiato lo Ior, guidato da un altro monsignore influente: Paul Marcinkus, crocevia dei sospetti su una lunga serie di attività dell'Ambrosiano. Lo strumento, fin da allora, erano operazioni back to back, sospettate di coprire finanziamenti allo lor. Back to back che risultano ricorrenti, su altri versanti, tra società Parmalat. Il network di Tanzi spaziava dal Lussemburgo, sede della finanziaria capofila delle partecipazioni estere dell'Ambrosiano, utilizzata da Calvi per controllare il gruppo, al Centro e Sud America.

Nel primo caso il regno di Calvi era il Nicaragua, dove il gruppo controllava una delle maggiori banche del Paese e dove Parmalat stava considerando l'acquisto di due istituti. Per quanto riguarda il Sud America, invece, il ricordo del Banco Andino, in Perù, formidabile generatore di transazioni irregolari per conto di Calvi, è ancora ben presente, mentre Tanzi ha roccaforti in Brasile, Venezuela, Argentina, Ecuador, laboratori di operazioni sospette.

Ultime analogie: i rapporti con Giuseppe Ciarrapico e i revisori della Touche Ross, poi Deloitte Touche. Ciarrapico è stato processato per concorso in bancarotta fraudolenta nel crack dell'Ambrosiano. Tanzi ha accusato il presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, di avergli fatto acquistare la società di acque minerali Ciappazzi, controllata da Ciarrapico, ad un prezzo di gran lunga superiore al valore reale. Touche Ross, secondo Pazienza, è la società di revisione che nella sede londinese ha custodito un rapporto rimasto segreto sulle società estere dell'Ambrosiano. Deloitte Toúche è una delle due società di revisione della Parmalat.


Dagospia 14 Gennaio 2004


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Calisto Tanzi

Roberto Calvi

Cesare Geronzi

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Giuseppe Ciarrapico

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CHE COS' E' IL BATTESIMO
by io mi sono sbattezzato fatelo anche voi Monday, Aug. 16, 2004 at 11:58 PM mail:

E' l'atto (definito sacramento) con il quale la chiesa trasforma un individuo in un suo adepto; si dice "imposizione" del battesimo, ed infatti viene quasi sempre imposto a bambine e bambini troppo piccoli per poter essere in grado di scegliere…in realtà la scelta è dei genitori e della comunità religiosa di cui fanno parte.
Quando una persona viene battezzata, viene iscritta in un speciale registro ecclesiastico e lo sarà per sempre.
Ogni chiesa utilizza il numero dei battezzati come strumento di pressione politica; una statistica di qualche anno fa assestava intorno al 96% dell'intera popolazione italiana la percentuale dei cattolici, ma sappiamo che questa potrebbe corrispondere alla cifra dei battezzati…quanti di questi non si considerano più tali perché da adulti hanno fatto scelte diverse, aderendo ad altre religioni, filosofie o dichiarandosi atei o agnostici?
La "missione pastorale, educativa e caritativa" della chiesa cattolica in Italia nei confronti dei propri fedeli è tutelata dalle leggi dallo stato italiano e se una persona è un fedele in quanto è stata battezzata, la chiesa ha tutto il diritto di esercitare il proprio magistero su questa persona.
In base alla percentuale dei battezzati (spacciata per percentuale dei cattolici) lo stato italiano versa più di 5 mila miliardi annui allo stato del Vaticano, a cui vanno aggiunte le elargizioni straordinarie come quelle dell'anno del Giubileo.
Per fare alcuni esempi, la chiesa cattolica possiede quasi 3000 periodici, 200 case editrici, 470 radio, 54 emittenti televisive, circa 400 librerie,più di 200 istituti di credito, innumerevoli proprietà immobiliari, 25000 parrocchie… questi beni sono finanziati quasi totalmente dallo stato italiano attraverso l'8 per mille e altre forme di sostegno economico.
Si sappia che la chiesa cattolica, per quanto riguarda l'8 per mille, non usufruisce solo della cifra a lei destinata, ma in parte anche di quella destinata allo stato!
Gli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche italiane sono 22mila e sono retribuiti dal Ministero della Pubblica Istruzione italiano, ma sono assunti o licenziati direttamente dai vescovi in base alla loro buona o cattiva condotta; una recentissima legge poi garantisce a questi insegnanti, dopo quattro anni di incarico, di passare di ruolo (a discapito di tutti gli altri insegnanti precari) e di poter accedere ad altre cattedre per le quali siano stati abilitati: in questo modo un docente assunto dal vescovo può insegnare letteratura italiana o filosofia o matematica.
Il diritto canonico quindi non viene esercitato solo su chi professa la religione cattolica, ma ogni battezzato può legalmente essere diffamato per scelte di vita estremamente personali, subire l'estrema unzione o un funerale religioso contro il suo volere.
Per esempio il canone 1339 par.2 recita:"L'Ordinario (Papa o Vescovo) può anche riprendere…chi con la propria condotta, provochi scandalo…"; "Ai fedeli defunti devono esser rese le esequie ecclesiastiche…"

PERCHE' SBATTEZZARSI

E' bene chiarire che l'Associazione per lo sbattezzo non amministra lo sbattezzo; se lo facesse si porrebbe, al pari di una chiesa, il compito di ungere i suoi membri detergendo il loro capo dall'acqua e dal sale che ne hanno fatto degli affiliati di questa o quella chiesa.
L' Associazione invece nasce dalla consapevolezza che ogni essere umano è padrone di se stesso ed è quindi in suo potere rigettare qualsiasi atto di corporazione ad una qualsivoglia fede o religione che cerchi di vincolarlo per l'eternità.
L'Associazione è formata da uomini e donne libere dalla religione che si sostengono a vicenda in una società che attenta in mille modi al loro bisogno di affermare la libertà dalla religione, il rifiuto di qualsiasi rito iniziatico, nella convinzione che la ragione, il sentimento, la gioia di vivere devono e possono accompagnare la loro vita.
La tutela collettiva fornita dall'associazione per lo sbattezzo si estende anche ad un delicato momento della vita: il transito verso la morte, perché nel prevalere della volontà dei sopravvissuti non si concretizzino pratiche che neghino le volontà dell'interessato.
Inoltre l'associazione promuove e sviluppa la coscienza della libertà dalla religione, assume iniziative, promuove dibattiti, stimola la conoscenza ed il confronto, si batte contro ogni intolleranza e chiede alle religioni, in nome della libertà di pensiero, di rinunciare ad ogni forma di prevaricazione totalizzante.
Tutti coloro che lo desiderano, possono dichiarare di ritenersi sbattezzati o esenti da affiliazioni religiose; l'associazione controfirmerà questa auto-dichiarazione, prendendo atto della volontà dell'associato.
La dichiarazione di sbattezzo, la sua notifica alle autorità ecclesiastiche ha effetti giuridici civili perché libera l'affiliato da qualsiasi dovere giuridico verso la setta alla quale è appartenuto (è il caso della dichiarazione di abiura per gli ebrei, della quale quella di sbattezzo è l'equivalente) ed inibisce gli organi ecclesiastici ad esercitare atti di giurisdizione.
La notifica della dichiarazione di sbattezzo costituisce attiva testimonianza del rifiuto dell'appartenenza confessionale in uno stato che ci vuole e ci presume credenti o affiliati, per effetto dell'incorporazione battesimale, ad una chiesa.
All'indifferenza in materia religiosa rispondiamo con il rifiuto attivo di ogni settarismo.
Tecnicamente lo sbattezzo si realizza con l'invio di una lettera alla Curia vescovile responsabile dell'imposizione del battesimo nella quale si aggiunge la richiesta di essere cancellati dal "registro dei battezzati".
Il contenuto della lettera può essere liberamente steso da ciascuno; chi volesse utilizzare il modulo consigliato dall'associazione per lo sbattezzo lo può scaricare dal sito stesso (http://www.anticlericale.it) o richiedere al circolo N. Papini, via Garibaldi 47, Fano (PU), alla e-mail: anticlericale@abanet.it o al n. tel. 3381594032; gli stessi indirizzi per chi vuole associarsi o ricevere la Dichiarazione di libertà dalle religioni diffusa dall'Associazione per lo sbattezzo o la Carta Libertà contro il TRO (trattamento religioso obbligatorio).


CHE COSA DICE LA CHIESA CATTOLICA

Da qualche anno la chiesa cattolica riconosce la possibilità di modificare i dati degli iscritti nei propri registri, ciò nonostante ancor oggi spesso non risponde a chi chiede di essere tolto dall'elenco degli affiliati tramite atto battesimale.
Riportiamo le parti più significative, a questo riguardo, del Decreto generale della CEI in materia.
Roma, 20 ottobre 1999
Testo del "Decreto generale"
La XLVI Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana approva il seguente Decreto generale:
Disposizioni per la tutela del diritto alla buona fama e alla riservatezza.
Ritenuto che è opportuno dare più articolata regolamentazione al diritto della persona alla buona fama e alla riservatezza riconosciuto dal can.220 del codice di diritto canonico;
Considerato che
- la chiesa cattolica, ordinamento giuridico indipendente e autonomo nel proprio ordine, ha il diritto nativo e proprio di acquisire, conservare e utilizzare per i suoi fini istituzionali i dati relativi alle persone dei fedeli, agli enti ecclesiastici e alle aggregazioni ecclesiali:
- tale attività si svolge nel rispetto della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali;
- l'esigenza di proteggere il diritto di riservatezza rispetto ad ogni forma di utilizzazione dei dati personali è oggi avvertita con una sensibilità nuova dalle persone e dalle istituzioni;
- è stata introdotta nell'ordinamento giuridico italiano una normativa concernente il trattamento dei dati personali;
Premesso che nulla è innovato circa la vigente disciplina canonica, in special modo per quanto concerne:
- la celebrazione del matrimonio canonico;
- lo svolgimento dei processi;
- la procedura per la dispensa pontificia circa il matrimonio rato e non consumato;
- le disposizioni circa il segreto naturale, d'ufficio e ministeriale con particolare riferimento al segreto sacramentale nella confessione;
- la tenuta degli archivi ecclesiastici;
mantengono pieno vigore le disposizioni di natura patrizia concernenti:
- la celebrazione del matrimonio canonico con effetti civili,
- la deliberazione delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale,
- le sentenze e i provvedimenti circa persone ecclesiastiche o religiose e concernenti materie spirituali o disciplinari emanati da autorità ecclesiastiche e ufficialmente comunicati alle autorità civili,
- l'attività istituzionale dell'Istituto Centrale e degli Istituti diocesani per il sostentamento del clero e l'azione svolta da questi e dalla CEI per la promozione delle erogazioni liberali,
hanno valore in Italia le disposizioni di diritto particolare date dalla CEI, con particolare riguardo al sacramento del matrimonio e all'annotazione del battesimo dei figli adottivi;
Visto il mandato speciale concesso dalla Santa Sede con lettera della Congregazione per i vescovi in data 23 febbraio 1999, prot. n. 960183;
Ai sensi del can. 455 del codice di diritto canonico e dell'art. 16 § 1, lett. a) e § 2 dello statuto della CEI,
si stabiliscono le seguenti disposizioni per l'acquisizione, conservazione e utilizzazione dei dati personali.

ART. 1

Finalità
La presente normativa è diretta a garantire che l'acquisizione, conservazione e utilizzazione dei dati relativi ai fedeli, agli enti ecclesiastici, alle aggregazioni ecclesiali, nonché alle persone che entrano in contatto con i medesimi soggetti, si svolgano nel pieno rispetto dei diritto della persona alla buona fama e alla riservatezza riconosciuto dal can. 220 del codice di diritto canonico.

ART. 2

Registri
§ 1. Con il termine "registro" si intende il volume nel quale sono annotati, in successione cronologica e con indici, l'avvenuta celebrazione dei sacramenti o altri fatti concernenti l'appartenenza o la partecipazione ecclesiale.


§ 5. Chiunque ha diritto di chiedere e ottenere, personalmente o mediante un procuratore legittimamente nominato, certificati, estratti, attestati, ovvero copie fotostatiche o autentiche dei documenti contenenti dati che lo riguardano, alle condizioni previste dal regolamento.

§ 6. Chiunque ha diritto di chiedere la correzione di dati che lo riguardano, se risultano errati o non aggiornati.

§ 7. Chiunque ha diritto di chiedere l'iscrizione nei registri di annotazioni o integrazioni congruenti.

In ogni caso non è consentita la consultazione dei registri finchè questi non siano trasferiti nell'archivio storico.

§ 4. La cancellazione dei dati personali da elenchi e schedari, richiesta per iscritto dal soggetto interessato al responsabile dei registri, deve essere eseguita in ogni caso; essa comporta il trasferimento degli stessi dati nell'archivio dell'ente perché vi siano custoditi unicamente a titolo di documentazione.
§ 5. L'uso dei dati personali contenuti negli elenchi e negli schedari è soggetto, nel rispetto della struttura e della finalità degli enti ecclesiastici, alle specifiche leggi dello stato italiano, ai sensi del comma 3 dell'art. 7 dell'Accordo che apporta modificazioni al Concordato Lateranense del 18 febbraio 1984.



che cos'è il battesimo
tra guerre,pacifismi e ricostruzione
crociate e missioni
meno male che c'è l' extrema ratio
ogni epoca ha le sue inquisizioni
scuola pubblica:respingere l' assalto clericale
la chiesa:<<dite no alle unioni gay>>
il regalo di Letizia alle private
approvata la legge sugli insegnanti di religione
guerre e assistenza umanitaria
ultime sulla l. 147
frutti della terra alla chiesa
voglio vivere contro l'aborto
nuovi finanziamenti agli oratori
l'anticlericale -resoconto-
ancora soldi alla opus-dei
sulla 194
famiglia e patriarcato
rimborsi per le rette
delle scuole private
finanziaria e opus dei
le croci e le spade
record dell otto per mille
Ratzinger e le unioni gay
legge contro le discriminazioni?
il crocifisso va tolto
coerente ipocrisia
chiesa e terrorismo
gerarchie...
come sarà il dopo biffi
fecondazione e laicità
volantino 29/11/03



TRA GUERRE, PACIFISMI E "RICOSTRUZIONI"

Se il nostro impegno politico e sociale si potesse svolgere solamente in quelle molteplici situazioni dove riusciamo ad individuare spiragli di progettualità verso la realizzazone di una societa più giusta ed uguale, a misura d'uomo direbbe qualcuno e a misura di donna aggiungerei io, ci troveremmo comunque a fare i conti con contesti di estrema complessità e disuguaglianza... in realtà la situazione è ben più grave; le strategie dei governi e della finanza basano sulla repressione, sulla guerra e sulla speculazione della sofferenza fisica e psichica i loro pilastri e così, puntualmente ogni tot mesi, ci troviamo a ragionare e a misurare le nostre capacità di lotta con quelle forze politiche e gruppi sociali che dicono il loro NO alla guerra, con le sofistiche differenze dei vari pacifismi e con posizioni di opportunismo.
I guerrafondai di ieri sono tra i pacifisti di oggi ed infatti se da un lato auspicano un esercito forte, moderno, efficace ed indispensabile per garantire la loro pace democratica, dall'altro si preoccupano di non lasciarsi sfuggire la loro fetta di business quando comincerà ad attuarsi il post conflitto.
Al termine guerra si aggiungono sempre aggettivi: santa, equa, giusta, umanitaria, preventiva, etica, lecita, intelligente ( o intelligenti sono solo le bombe?) come se potessimo realmente distinguere bombardamenti buoni o cattivi, come se la differenziazione delle motivazioni potesse attenuare la sofferenza delle popolazioni inermi.
In particolare la definizione di guerra preventiva accompagna la distinzione tra governi amici o nemici dell'assetto politico-economico predominante; quale paese avrà il privilegio delle prime pagine dei giornali di tutto il mondo perchè individuato come prossimo obiettivo: l'Iran, l'India, la Corea, la Cina...?
I padroni del mondo affermano tutti di volere la pace (una pace comunque condita di carceri, manicomi, ghetti ecc.) e prendono decisioni politiche a favore delle guerre che vanno a finanziare tagliando salari e servizi.
La supremazia territoriale per il controllo delle risorse si conquista non con lievi conflitti armati (come qualcuno li descrive, quasi si trattassero di screzi tribali), ma con l'utilizzo delle più sofisticate, costose e pericolose tecnologie belliche.
Condivido poco la tesi secondo la quale vi sarebbe un'unica grande potenza che può giocare tutte le mosse che vuole sulla scacchiera del pianeta, mi sembra invece più realistico che in futuro vi saranno sempre più guerre generate da lobby mafiose che lotteranno per la supremazia delle ricchezze.
Ciò che rimane in quei territori, che loro malgrado subiscono lo scenario di teatri terrificanti, dopo la morte e la distruzione è una situazione di estrema povertà, crisi economica generalizzata che va di pari passo con le speculazioni mafiose di chi lucra su ciò che viene descritto come "ricostruzione".
Tutto il mondo cattolico, sia quello più progressista sia quello più integralista, conosce bene dove e come poter trafficare sui danni provocati dalle guerre attraverso azioni umanitarie che "fanno solo del bene" -a loro ovviamente!- e ben si inserisce nella spartizione dei finanziamenti non solo perchè rappresenta uno dei gruppi di potere a cui vengono suddivisi gli stessi, ma anche perchè garantisce la ricostruzione di uno stato repressivo atto a garantire il controllo sociale.
Quella che viene definita come ricostruzione altro non è che una nuova struttura di potere, che ha poco da spartire anche con i concetti democratici tanto decantati.
Le diverse posizioni sfilano sulla stessa passerella benedetta dalle gerarchie ecclesiastiche e, anche quando rappresentano delle nette contrapposizioni teoriche, portano nell'ipocrisia dell'agire ad una funzionalità convergente: difendere, mantenere e aumentare interessi logistici ed economici.
Accanto al pacifismo di Pax Christi o ad una Baget Bozzo che paragona Berlusconi a dio (o dio a Berlusconi?), abbiamo visto un teologo molto gettonato come Novak chiedere al Vaticano di offrire una copertura etica a quest'ultima guerra in Irak, mentre ci ha un po' stupito un Franco Cardini che, dopo aver specificato la legittimità dell'azione bellica, ha affermato che in questo caso specifico si trattava di una scelta inutile (Bush avrebbe sbagliato l'obiettivo o il metodo?).
Ruini e Biffi che inizialmente appoggiavano la richiesta al papa di offrire una giustificazione etica alla guerra (del resto storicamente è quasi sempre avvenuto), si sono visti costretti a cambiare atteggiamento: il primo allineandosi agli anatemi contro la guerra e mai contro gli stati invasori, mentre il secondo dichiarando di essersi ritirato a vita ascetica e spirituale.
Le enunciazione dottrinali come sempre giustificano tutto ed il contrario di tutto e tra preghiere e fiaccolate tutto il mondo cattolico, quello pacifista e quello guerrafondaio, quello opusdeista e quello terzomondista, si attrezza per garantirsi le fette di quella torta che si chiama ricostruzione.
Il NO alla guerra ha poco senso, cioè è falso ed interessato, se non è accompagnato da un'analisi sulla causa principale di tutte le guerre, che è l'esistenza stessa degli stati, intesi come nazioni delimitate da confini e protette da eserciti, che producono inevitabilmente la più alta espressione della violenza organizzata sugli individui.

chiara gazzola





CROCIATE E MISSIONI


La definizione che delle missioni offre il Decreto Conciliare " Ad gentes " è semplicistica e tutta tesa, fin dall'inizio,ad evitare ogni problema:
Le iniziative particolari,con cui i divulgatori del Vangelo,andando nel mondo intero,svolgono il compito di predicare il Vangelo e di fondare la Chiesa in mezzo ai popoli e ai gruppi che ancora non credono in Cristo,sono chiamate comunemente "missioni";esse si realizzano appunto con l'attività missionaria,e si svolgono per lo più in determinati territori,riconosciuti dalla Santa Sede.
Se poi passiamo dai testi conciliari ai libri di teologia missionaria, adottati nelle Facoltà di Missiologia delle Università pontificie in Roma, ci troviamo davanti a stupefacenti affermazioni,che al di là delle vaghe enunciazioni e dell'apologetica corrente,servono a delineare più realisticamente la vera natura dell'azione missionaria.Fra le tante scegliamo due citazioni particolarmente indicative, che ci appaiono come eloquenti risposte a due domande cruciali che hanno percorso tutta la storia del monoteismo cristiano: 1) E' possibile esportare il Vangelo senza esportare con esso la cultura occidentale ? 2) E' possibile esportare il Vangelo senza la coercizione e le guerre?La prima risposta appartiene al gesuita Padre Nkeramihigo che, affrontando il tema di una corretta inculturazione del cristianesimo, afferma senza mezzi termini la necessità dell'occidentalizzazione di ogni altra cultura:
Se il destino del cristianesimo è stato storicamente legato al destino dell'Europa è normale ,tenendo conto della specificità dell'incarnazione,che l'accettazione del cristianesimo sia legata a quella dell'Occidente e viceversa.
Si afferma in pratica con molta semplicità e coerenza che, poiché la religione cristiana è nata e cresciuta dentro la storia e la filosofia dell'Occidente,in particolare nel triangolo culturale costituito da Gerusalemme ,Atene e Roma ,portare il cristianesimo equivale a portare la cultura occidentale.
E chiaro perciò che per accettare il cristianesimo ogni altra cultura dovrà perdere la propria identità entrando nell'area d'influenza dell'Occidente.
La seconda risposta appartiene sempre ad un gesuita,Padre Shih,docente di Catechesi missionaria presso l'Università Gregoriana, che affrontando il tema dei mezzi con i quali l'inculturazione evangelica si è storicamente prodotta afferma:
"Avendo presente l'impossibilità per gli individui di una società tradizionale ad abbandonare la propria religione ancestrale e convertirsi ad una religione straniera quale quella cristiana, riconosciamo un duplice contributo del colonialismo alla causa missionaria della Chiesa. Infatti, sottomettendo la società indigena all'autorità del governo coloniale, il colonialismo ne scioglieva ad un tempo il meccanismo di controllo sociale liberando, per così-dire, gli individui membri dalla pressione dei gruppi e dando loro un certo spazio libero per decisioni personali.
Inoltre il colonialismo introduceva un nuovo metodo di produzione e un nuovo sistema economico. Con ciò esso forniva agli indigeni dei paesi colonizzati un'alternativa alla loro vita tradizionale assicurando così ai convertiti al cristianesimo la sussistenza e la sopravvivenza al di fuori dei loro gruppi naturali."
In questo passo viene riconosciuto esplicitamente che è la coercizione , in particolare quella con le armi, e non certo la persuasione,che conduce alla conversione;si capisce cosi come il fatto che i missionari ,al contrario dei crociati, siano disarmati è solo una strategia di penetrazione dietro la quale vi sono sempre le armi dei militari e gli interessi dei mercanti.
Emergono così dalle due citazioni riportate due tratti veramente reali dell'ideologia missionaria tutta costruita su un supposto comando divino ad esportare una verità assoluta in tutte le culture:
1) Esportare la religione cristiana per esportare la cultura occidentale.
2) Esportare questa cultura e questa religione attraverso l'uso delle armi.
Aggiungiamo poi noi un terzo carattere, che pone in evidenza l'aspetto economico dell'istituzione missionaria e i suoi legami con gli interessi espansionistici dell'Occidente:
3)Esportare questa cultura e questa religione per ottenere il massimo utile dal capitale investito nell'opera di conquista.
Nell'apologetica corrente del mondo missionario questi tre elementi, che potremmo riassumere nella triade delle tre m, missionari , militari , mercanti, sono funzionalmente separati per fare in modo che sulla figura del missionario,presentato come portatore disinteressato di fratellanza e civiltà, converga l'appoggio economico e di opinione del popolo cristiano;in tal modo risultano cosi allontanati e rimossi gli aspetti spesso evidenti delle complicità e collusioni con il mondo degli interessi militari ed economici e si costruisce un ampia riserva di "buona coscienza".
Riflettendo perciò sulla vera natura dell'ideologia missionaria possiamo comprendere che la caratteristica che distingue l'imperialismo cristiano, , da ogni altro imperialismo precedente,è che l'espansionismo militare ed economico è sospinto e giustificato,nonostante tutte le prove storiche in contrario, da un vantato amore dell'altro, oggi presentato anche sotto l'aspetto della difesa dei diritti umani; questo amore del prossimo mentre si enuncia si nega poiché consiste nel cambiare radicalmente la natura culturale di colui che si dice di amare imponendogli una cultura e una religione non sua.
Il danno incalcolabile che l'ideologia missionaria ha provocato nel mondo è costituito dal fatto che sotto la copertura di portare la " vera" religione e la "vera" civiltà e con la costruzione di un fanatismo religioso spinto a volte fino al martirio, ha collaborato efficacemente nel rendere effettivo il dominio, esteso ormai su scala globale, della razionalità tecnico-scientifico-economica;questo tipo di razionalità non solo è capace di far passare come interessi dell'umanità quelli di ben determinati gruppi di potere,ma è capace anche di compromettere l'avvenire e la sopravvivenza delle generazioni future con una serie infinita di guerre.
Il paradosso fondamentale di tutto il monoteismo cristiano risulta così essere il seguente:
la religione dell'amore del prossimo, come afferma di essere quella cristiana,proprio attraverso l'istituzione missionaria è stata incontestabilmente la matrice culturale dei due più grandi genocidi che la storia dell'umanità ricordi,il genocidio degli indiani d'America e quello degli ebrei e tuttora ,evocata dalla lotta al monoteismo islamico,si dispone a coprire ed esaltare le guerre attuali e future.


Rodolfo Calpini






MENO MALE CHE C'E' L'EXTREMA RATIO

L'allineamento di Santa Romana Chiesa alla politica del governo statunitense di Bush Jr. ebbe modo di svilupparsi senza stonature né recite in maschera, dopo l'11 settembre, quando tuonarono i cannoni virtuali e politici, e predissero una guerra permanente e duratura di cui ne fece le spese il popolo afgano in primo luogo. Allora, pur trattandosi di vendetta furiosa (o di mess'in scena, a secondo delle chiavi di lettura), sempre una guerra si andava a fare. Allora, mentre il papa polacco in viaggio nell'area caspica rantolava la solite frasi di circostanza contro i conflitti, il suo portavoce, e gli altri alti dignitari, Ruini in testa, in quel di Roma si schieravano apertamente con la corazzata americana, benedicendone le "pistole fumanti", offrendo così anche l'ombrello vaticano e cattolico alla "giusta guerra" contro il terrorismo. L'unica raccomandazione era quella di evitare di fare vittime innocenti. L'auspicio era, in pratica, di mirare bene e colpire il bersaglio. Che poi, quando le bombe hanno raso a suolo villaggi e case povere, autobus stracarichi di gente e persino i convenuti ad un banchetto nuziale, la raccomandazione vaticana non è ritornata a redarguire i cattivelli a stelle e strisce, queste sono quiscquiglie.
La guerra giusta, parente decaduta e furba della guerra santa, è sempre viva nel vocabolario e nell'agenda degli inquilini d'oltretevere, i quali, però, sono anche maestri nell'annusare il vento che arriva e nel calcolare con molto anticipo le ripercussioni di un'azione. Ecco che la strategia cambia in occasione della lunga preparazione e poi dell'attuazione della guerra del Golfo contro l'Iraq. Qui, con una opinione pubblica mondiale apertamente schierata contro, con il mondo cattolico in maggioranza contrario, il vaticano ha intuito che, pur senza rinnegare i propri principi guerrasantisti, occorreva adottare un metodo diverso, rispolverare tutta l'esperienza plurisecolare della Chiesa in quanto a doppiezza, acquisire una centralità massmediatica per giocarsela poi nel momento delle mediazioni. La storia dell'Iraq, unico stato arabo con una laica apertura verso i cristiani, e l'assoluta e scoperta mancanza di pretesti seri da parte di Bush, Blair e dei loro servi, hanno fatto il resto.
Così abbiamo assistito ad un rosario di dichiarazioni, appelli, omelie, messe, marce organizzate dalla Chiesa, dal centro alla periferia, la cui impressione da cogliere all'esterno sarebbe dovuta essere quella di un fronte cattolico fortemente schierato contro la guerra, dal suo leader massimo fino all'ultima pecorella di periferia.
La cosa singolare è che, mentre a sinistra, e all'estrema sinistra in modo più accentuato, si è avvalorata acriticamente questa posizione, sottolineando il ruolo del papa nel contrastare l'invasione dell'Iraq e la politica di guerra (nel frattempo diventata) preventiva (e Bertinotti si è sbrodolato in elogi e genuflessioni a iosa), in alcuni settori del mondo cattolico si è percepita l'ambiguità di fondo che dalle stesse parole del papa trapelava, oltre che ad una mancanza assoluta di fatti seguenti alle belle parole. Da parte di questi settori si è chiesto e richiesto - inutilmente - al papa di sciogliere i nodi, di abbandonare la doppiezza.
E' a tutti noto come Bush abbia costantemente ammantato di religiosità la propria crociata antirakena; non possiamo dire che su questo campo si sia trovato contestato dai tenutari del verbo cristiano; Giovanni Paolo II ha sempre precisato, subito dopo avere sparato alto contro la guerra, l'apocalisse, il male più grande dell'umanità, che questa avrebbe dovuto essere solo l'ultima possibilità. Lasciava così una porta aperta ai guerrafondai che, in effetti, si ritenevano giunti al capolinea dei tentativi di evitare lo scoppio del conflitto: basti ricordare gli ultimatum a Saddam.
Questa dell'"extrema ratio" è la giustificazione delle guerre contemplata nel nuovo catechismo; essa mette al sicuro chi se ne fa portavoce, poiché permette una giustificatissima coerenza in caso di guerra. Naturalmente qui parliamo di sottigliezze di cui la massa non si è neanche accorta.
Noi rispettiamo quei pacifisti o semplici cittadini di matrice cattolica che hanno preso parte alle mobilitazioni contro la guerra, ma non possiamo non accusarli di ingenuità e cecità, se non hanno colto dietro il "predicar bene" il solito "razzolar male" del capo della Chiesa e dei suoi uomini.
Il Vaticano avrebbe avuto diverse armi per mettere in crisi la macchina bellica, ma non le ha volute usare, neanche sotto forma di minaccia. Pensiamo all'enorme valore ricattatorio e condizionante di un eventuale annuncio di ritiro dei depositi vaticani presso la Federal Reserve degli Stati Uniti: sarebbe stato come l'annuncio di un cataclisma, un nuovo 1929 per gli USA.
Ma pensiamo anche a cosa avrebbe potuto produrre un gesto singolare ma rilevante all'interno del mondo religioso, come la scomunica di tutti i guerrafondai, a partire dagli uomini di Stato e di Governo.
Il papa avrebbe potuto organizzare un viaggio in Iraq o anche una conferenza episcopale permanente a Baghdad, mettendo in serie difficoltà la macchina bellica. Ma avrebbe potuto fare veramente di più, facendo un appello all'obiezione di coscienza rivolto a tutti i cattolici coinvolti nella guerra. Invece gli unici appelli all'obiezione li ha continuati a fare verso i medici e gli operatori sanitari perché rifiutassero di praticare l'aborto. Una scelta di fondo che la dice lunga sulle parole e sui fatti che la Santa Romana Chiesa ha speso nei mesi scorsi contro la guerra.
Pippo Gurrieri






OGNI EPOCA HA LE SUE INQUISIZIONI

"Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". (Gv 8,32)
Sarebbe anacronistico usare la parola inquisizione se non vi fossero pensieri totalizzanti che siano espressione di poteri religiosi o di ideologie massificanti.
Proprio perché ritengo che la libertà di pensiero che scaturisce dall'esperienza degli individui vada comunque difesa, allo stesso modo penso vada ostacolata ogni imposizione autoritaria che giustifica il pensiero trasformandolo in una verità valida per tutti.
Si legge nella "Fides et ratio" di Giovanni Paolo II del 1998: "Nella fede la libertà non è semplicemente presente: è esigita. E' la fede che permette a ciascuno di esprimere al meglio la propria libertà. La libertà non si realizza nelle scelte contro Dio…la libertà raggiunge la certezza della verità e decide di vivere in essa."
La verità esiste perché ci si crede, non serve alcuna dimostrazione, non serve capire, bisogna solamente credere; la fede non ammette dubbi.
Questo approccio mentale non lo troviamo solo nella giustificazione dei dogmi religiosi, ma lo possiamo riscontrare anche in alcune discipline accademiche e in provvedimenti legislativi che così impongono i loro giudizi di valore creando discriminazioni.
Se nella società globalizzata e globalizzante con estrema facilità si parla di "normalità" senza che nessuno la sappia con precisione definire, con altrettanta facilità si bolla e si reprime la diversità individuandola soprattutto nei comportamenti e nei ragionamenti non largamente condivisi.
Se la normalità è legata alla produttività sono soggetti devianti tutti coloro che non condividono questo sistema di progresso-morte; se la normalità è legata alla sottomissione sono soggetti devianti tutti coloro che hanno un' indole ribelle; se la normalità è l'adattamento incondizionato sono soggetti devianti tutti coloro che esprimono un dissenso critico.
Il delirio del potere costituito sta nel puntare il dito contro i "deliri" e le sofferenze degli individui, sta nell'inventare sempre nuove categorie di criminali o malati e di fare in modo che in quanto tali vengano eliminati, per lo meno dalla vista dei benpensanti.
Così si costruiscono nuovi ghetti, così si cancella la memoria storica, così si eliminano le istanze di libertà; i ghetti rappresentano la cura per le anomalie sociali: carceri, c.p.t., nuovi manicomi, licenziamenti, censure e quando non basta va ancora di moda l'eliminazione fisica.
Prima di mettere in pratica la cura è necessario definire la patologia e la patologia diventa "verità" scientifica o metafisica anche quando si basa sul concetto che esiste solo perché la cura è efficace.
Il metodo inquisitorio che non si basa sui fatti, ma sui giudizi è in grado di reprimere i conflitti sociali ed è per questo, e solo per questo, che viene ritenuto efficace, valido, portatore di verità.
E' molto facile cadere vittime della trappola inquisitoria, ma ci si può salvare: basta tacere, uniformarsi, seguire la logica di branco, seguire la bandiera che sventola più alta.
Predefinire i ruoli sociali ha sempre creato molti vantaggi nella ricerca del consenso e ancor oggi si cerca di imporre alle donne logiche esistenziali che spesso contraddicono istinti e desideri.
L' insistenza sul ruolo sociale della famiglia - tipica di una politica dal sapore confessionale e patriarcale - e sulla dignità della donna che deve pacificare i conflitti continuerà a produrre sicuramente violenze; questa santificazione della donna consolatrice e pacificatrice che insegnerà a sua figlia la difficile arte della sottomissione è basilare se si vuole consolidare un potere che si basa sull'ingiustizia sociale.
Del resto nella "Fides et ratio" ci viene spiegato che "non ha motivo di esistere competitività tra ragione e fede".
Chiara Gazzola






SCUOLA PUBBLICA: RESPINGERE L'ASSALTO CLERICALE

Da alcuni anni a questa parte la situazione nella scuola pubblica è in continuo peggioramento, sotto tutti i punti di vista. L'attuale governo, sulla scia di quelli che lo hanno preceduto, ma con un impegno senza dubbio maggiore, ha preso una serie di provvedimenti devastanti che stanno producendo danni probabilmente irreversibili se non sapremo inventarci, sto parlando di docenti, studenti e famiglie, forme di intervento e di lotta in grado di arginare e poi respingere la marea montante della destra, della chiesa e del padronato.
All'interno di questo quadro particolarmente virulenti sono i provvedimenti a favore della chiesa cattolica che sta mostrando nella scuola grande tracotanza, una tracotanza mai persa del tutto, è vero, ma per qualche tempo smorzata a seguito delle lotte operaie e studentesche degli anni fra il 1960 e il 1980.

Fra i provvedimenti di rilievo c'è in primo luogo la legge sulla parità che mette la scuola privata, in larga parte in mano al clero, sullo stesso piano di quella pubblica, con conseguenti cospicui finanziamenti della prima che vengono ricavati decurtando i già magri bilanci della seconda. Ma non è solo di soldi che si tratta. Ad esempio, vengono messi sullo stesso piano docenti assunti in modo clientelare (scuola privata) con quelli (scuola pubblica) che hanno dovuto superare un concorso per entrare in ruolo o fare anni di precariato prima del posto di lavoro stabile. E qui si parla di un tipo di "clienti" che per essere assunti negli istituti privati dovevano e devono dar prova di sicura fede cattolica, poiché non credo sia possibile a un laico, un non credente, un musulmano, ancorché con le carte in regola dal punto di vista professionale, lavorare dove padrone è il prete.
Un altro punto importante riguarda l'immissione in ruolo di decine di migliaia di insegnanti di religione cattolica. Come si sa, questi vengono nominati dalle curie ma è lo stato che li paga. Dopo l'immissione in ruolo, se le curie decidessero di revocare loro l'incarico, lo stato se li deve anche tenere, passandoli su altra cattedra per la quale abbiano l'idoneità. Questo è un ottimo modo per far entrare a pieno titolo nei ranghi della scuola pubblica, senza concorso, una folta schiera di persone cresciute negli oratori e all'ombra protettiva dell'altare. In via teorica, nel giro di alcuni anni una buona parte dei insegnanti della scuola pubblica potrebbe avere questa provenienza. Se ci mettiamo poi le schiere di docenti integralisti cattolici, forse non folte, ma sicuramente presenti, si arriva alla conclusione che essa, oltre ad essere in via di trasformazione in azienda privata a tutti gli effetti, finirà con l'essere ridotta a una succursale del Vaticano, a una struttura che somiglierà per molti aspetti a ciò che in questo Paese erano le scuole prima dell'unità. E' possibile che io stia esagerando, invelenito come sono nei confronti di quel che sta accadendo e di chi lo vuole (e di chi non si oppone), ma se guardo alla Storia non mi pare che si stia andando verso un quadro troppo diverso da quel che ho rapidamente tracciato

Oltre a queste due macroscopiche questioni, vorrei accennarne un altro paio, meno evidenti forse, ma ugualmente significative. La prima riguarda gli spazi per corsi e approfondimenti su temi religiosi (è ovvio, aperti a tutte le confessioni) che all'interno di ogni scuola pubblica, se richiesti, devono essere individuati. Naturalmente nelle scuole private gestite dal clero questi spazi non servono perché ogni aula è già una cappella. Della cosa se n'è parlato poco più di un anno fa e poi più nulla, ma siccome non le sparano mai per il solo gusto di sprecare colpi, sono sicuro che ci ritroveremo bell'e serviti quando meno ce lo aspettiamo. Voglio vedere poi quando lo studente bigotto, l'integralista, il fascista (spesso riassunti nella stessa persona) andranno a pregare, meditare o fare il corso sulla cultura religiosa: al mattino alzandosi un'ora prima, durante l'intervallo, al pomeriggio o durante le lezioni di letteratura e storia del docente di sinistra e non credente? Staremo a vedere. Intanto credo si debbano tenere gli occhi ben aperti. Un'altra questione è quella del crocifisso appeso nelle aule e nei corridoi. In alcune scuole non c'è: sono quelle dove buona parte del corpo docente, preside e personale sono laici, orientati a sinistra, ecc. In altre c'è ma si vede poco, magari solo in qualche aula: idem come sopra. In altre ancora imperversa per le ragioni opposte a quelle appena dette. Sempre più, tuttavia, si trovano ferventi integralisti pronti alla battaglia per avere la croce alle loro spalle quando siedono in cattedra.

Finisco qui, per non rubare troppo spazio al giornale, con la convinzione che, nonostante la pessima situazione e, a volte, il pessimismo che ci agguanta, vi siano comunque possibilità e spazi per interventi significativi e lotte. E' compito dei non credenti, dei laici e della sinistra in genere, direi anche di quei cristiani che vivono il loro sentire senza bisogno di prevaricazioni e integralismi, contrapporsi a questa marea e impedire che il territorio "scuola pubblica" venga colonizzato e clericalizzato, sia esteriormente, dal punto di vista dell'immagine, sia nei metodi e nei contenuti dell'insegnamento.

Rino Ermini






LA CHIESA:<<DITE NO ALLE UNIONI GAY>>
L'ennesima crociata vaticana, voluta fortemente dal cardinale Ratzinger, indirizzata principalmente al politici italiani (e non) affinchè non rendano legali le unioni omosessuali e lesbiche; la congregazione per la dottrina della fede esprime poi un divieto assoluto alla possibilità che le coppie dello stesso sesso possano poi adottare dei minori





IL REGALO DI LETIZIA ALLE PRIVATE
Con uno stanziamento di 30 milioni di euro all'anno il ministero della pubblica istruzione e dell'economia rimborserà le rette delle scuole private ( quasi tutte cattoliche) alle famiglie che ne faranno richiesta a prescindere dal loro reddito.
mentre si continuano a tagliare le risorse alle scuole pubbliche, mentre il caro scuola è causa di abbandono scolastico, finalmente i figli e i nipoti di frate Berlinguer, di suor Letizia potranno usufruire degli sconti ministeriali.





APPROVATA LA LEGGE SUGLI INSEGNANTI DI RELIGIONE
Quella promessa che sapeva di minaccia è diventata una realtà, cioè una legge dello stato italiano che offre l'ennesimo privilegio allo stato del Vaticano.
Quindicimila insegnanti di religione cattolica delle scuola pubbliche potranno essere immessi in ruolo e insegnare anche altre materie.
Martedì 15 luglio 2003 la Camera dei deputati, con soli 380 deputati presenti e cambiando all'ultimo momento l'ordine del giorno anticipandone la votazione, approva questa legge che sancisce l'indizione di un concorso su base regionale per assumere a tempo indeterminato il 70% degli insegnanti di quella materia facoltativa che il Concordato craxiano chiama I.R.C. (insegnamento religione cattolica).
Come stabilisce il Concordato del 1984 e l'intesa tra il ministro dell'istruzione e la CEI del 1985, l'assunzione e l'eventuale revoca di questi insegnanti è prerogativa del vescovo e quindi anche per accedere al concorso servirà presentare un nulla osta della diocesi di appartenenza.
Si verificheranno non poche anomalie quando il ministero della pubblica istruzione dovrà farsi carico di insegnanti licenziati dal vescovo perché non più moralmente adatti e basta poco per esempio decidere di divorziare o di avere un figlio fuori dal matrimonio consacrato!…lo stato dovrà trovare una cattedra a questi insegnanti revocati dalle curie!
Molti partiti centristi dell'Ulivo (Margherita, Udeur) hanno votato a favore perché in questo modo viene sanata la situazione di alcuni precari della scuola ( di tutti gli altri quando se ne faranno carico?), mentre G. La Malfa, Ds, Pdci, Rifondazione e Verdi hanno votato contro questo provvedimento definito incostituzionale.
Va poi sottolineato che gli insegnanti di religione godevano già di privilegi rispetto a tutti gli altri precari della scuola per quanto riguardava il trattamento sanitario e gli scatti di anzianità.
Questa legge non solo discrimina i precari della scuola ma permette agli insegnanti di religione assunti dal vescovo ma pagati dallo stato di essere immessi in ruolo su altre cattedre.





GUERRE E ASSISTENZA UMANITARIA
Il "Rapporto 2003 sulle catastrofi del mondo" presentato dalla Federazione internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa denuncia quanto siano discriminatori i metodi utilizzati nella distribuzione degli aiuti umanitari che si concentrano sulle aree geografiche più rilevanti da un punto di vista massmediatico, mentre ignorano totalmente o quasi altre zone.
1,7 miliardi di dollari vengono destinati per i soccorsi e la ricostruzione in Iraq, mentre non arriva a destinazione il miliardo di dollari promesso per sfamare 40 milioni di persone in 22 paesi africani; esattamente come nel 2000 si erano raccolti 185 dollari pro capite (raccolti, ma non è dato sapere quanti ne siano giunti a destinazione) nei paesi del sud-est europeo dopo la guerra in Kosovo, mentre per la Corea del nord ne erano stati stanziati solo 10 pro capite. Se gli aiuti umanitari sono in stretta relazione con il valore strategico delle aree geopolitiche e quindi con la loro visibilità mediatica, va da sé che esiste una stretta relazione tra le azioni militari e gli aiuti stessi e quindi sulla speculazione insita in tutto il progetto attuato, infatti negli anni novanta è stato coniato il termine di "guerra umanitaria" a simboleggiare quale sia il legame tra bombardamenti, aiuti e speculazione delle sofferenze.
Gli aiuti poi che giungono a destinazione entrano in conflitto con le esigenze locali, come è avvenuto in Afghanistan dove le derrate alimentari hanno pesantemente danneggiato l'agricoltura e dove si è preferito inondare questo territorio con le eccedenze dei coltivatori occidentali, piuttosto che avviare un utilizzo razionale delle risorse interne.
La politica economica dei paesi ricchi va così sempre più a braccetto con l'ideologia dell'evangelizzazione cattolica che, attraverso una speculazione culturale ed economica e servendosi delle pratiche militari, attua quel progetto di dominazione che non solo non arricchisce economicamente i paesi cosiddetti "bisognosi", ma li rende schiavi delle grandi potenze.
c.g.





ULTIME SULLA L.147
Mentre la L.147 sulla procreazione medicalmente assistita è ancora ferma alla Camera dei deputati, la regione Campania ha approvato un provvedimento regionale che non vieta alle donne sole o alle coppie lesbiche di potersi avvalere delle tecniche di procreazione assistita.
Alessandra Mussolini (AN) è prontamente ricorsa ad una interpellanza parlamentare rivolta al ministro della salute Sirchia invitando il governo a bloccare questo provvedimento regionale definito "atroce" e speculativo nei confronti degli embrioni.
Questa decisione della regione Campania contraddice sicuramente i mille divieti imposti dalla L.147 che sancisce che solo le coppie eterosessuali conviventi da almeno tre anni possano avvalersi delle tecniche di procreazione assistita e che la fecondazione debba solo essere omologa (cioè che si utilizzino i gameti dei futuri genitori biologici), mentre una donna sola o una coppia lesbica deve per forza ricorrere alla fecondazione eterologa, vietata dalla legge.
La L.147 ammette inoltre l'obiezione di coscienza per il personale medico e paramedico e sancisce la "tutela giuridica dell' embrione" negandola alla donna che non potrà abortire (vietato anche l'aborto selettivo e terapeutico) e non potrà partorire anonimamente; vietate inoltre alcune tecniche di fecondazione artificiale come la FIVET.
Trattasi in sintesi di una legge-regalo per il Vaticano che attraverso di essa realizza pressioni politiche ed ingerenze fortissime sulla libera scelta degli individui.
Se grazie all'approvazione della L.147 e alla conseguente rimessa in discussione della L.194 sull'interruzione di gravidanza si realizzerà quello stato etico tanto sognato dai cattolici, quali saranno i prossimi provvedimenti?
c.g.



SULLA 147

La legge 147 sulla fecondazione medicalmente assistita è ancora ferma in parlamento, ma periodicamente il dibattito attorno ad essa si colora di tinte sempre più misogine.
Le parlamentari della sinistra si lasciano scavalcare dal protagonismo e dalle fin troppo chiare intenzioni di una Mussolini che non avendo potuto fare l'attrice recita però benissimo la parte della "femminista" più richiesta dalle trasmissioni televisive, mentre i maschi del parlamento non hanno più pudore nel manifestare volgarità e sessismo.





FRUTTI DELLA TERRA ALLA CHIESA
A Terricciola, vicino a Pisa, paese di 1500 abitanti, la chiesa locale ha rispolverato un provvedimento che obbligherebbe gli abitanti a versare una quota alla parrocchia del ricavato dei frutti della terra.
Il vescovo ha tenuto a precisare che trattasi di "un appello alla coscienza delle persone perché nella parrocchia c'è una situazione di emergenza edilizia che riguarda i luoghi di culto





"VOGLIO VIVERE" CONTRO L'ABORTO
E' stata lanciata in tutta Italia la nuova campagna antiabortista "Voglio vivere", nome anche di una associazione che per rispondere ai ripetuti appelli del papa "a non lasciare niente di intentato per fermare la follia dell'aborto" promuove diverse iniziative.
Il coordinatore nazionale è Fabrizio Caruso e la principale campagna dell'associazione è una raccolta firme a sostegno della petizione di Berlusconi affinché sia rivista la L.194 sull'interruzione di gravidanza; sembra che abbiano già raccolte 50.000 firme!
"Voglio vivere" distribuisce anche un libro di domande e risposte sull'aborto, cioè sul genocidio del XX secolo, così come lo definì Roberto Fiore di Forza Nuova al meeting di C.L. di tre anni fa.









NUOVI FINANZIAMENTI AGLI ORATORI
La commissione affari costituzionali ha dato parere favorevole al finanziamento di nuove risorse da destinare ai centri di aggregazione parrocchiali.
La presidenza del Senato ha consentito l'esame in sede deliberante per cui il provvedimento non vedrà il passaggio in aula; ciò significa che molto presto andrà in attuazione la legge sulla formazione giovanile che vedrà gli oratori parrocchiali della chiesa cattolica come unici soggetti a cui verranno destinati questi fondi.
Si taglia ovunque e per ogni cosa i prezzi aumentano, ma le risorse per il mondo cattolico non conoscono crisi!



L'ANTICLERICALE -RESOCONTO DELLA TRE GIORNI-


Il 12, 13, 14 settembre si è tenuto a Libera "L'ANTICLERICALE", l'incontro annuale degli anticlericali organizzato dall'Associazione per lo Sbattezzo e dallo spazio sociale anarchico Libera (Modena).
Nei tre giorni sono stati affrontati tutta una serie di tematiche centrate sulla chiara e forte denuncia delle pratiche e ingerenze clericali, di sfruttamento e di dominio, presenti in tutti i campi della vita pubblica e privata.
Uno degli argomenti principali è stato il rapporto scuola/clero, che si manifesta attualmente nella nuova scuola confessionale della liberale Letizia.
Sempre contro la scuola clericale è stata la manifestazione di fronte al Provveditorato agli studi di Modena, di sabato 13.
Un altro dibattito molto seguito è stato: "Ogni epoca ha le sue inquisizioni", in cui si sono confrontate varie esperienze.
Oltre ai dibattiti e la presentazione di libri vari, nello spazio cinema di Libera sono stati proieattiti i film. Amen, Magdalene, I banchieri di dio.
La buona organizzazione della cucina e del bar gestiti da Libera, ha permesso:
- di realizzare dei menù a basso costo
- di realizzare un ottimo utile, consegnato all'Associazione dello Sbattezzo, per promuovere le prossime iniziative anticlericali
- di ottenere un basso carico lavorativo, tale da permettere ai compagni impegati nella tre giorni, di seguire la manifestazione nella sua totalità.
Tra le iniziative serali le più significative, sul piano emotivo e relazionale, è stato sia il concerto dell'@BAND (canti anarchici suonati in libertà) e il concerto dei Lomas.

La componente anarchica presente all'ANTICLERICALE ha permesso di mettere in luce la diversa posizione sull'anticlericalismo.
A chi sostiene un anticlericalismo sfrenato disinteressandosi dei rapporti di potere che si sviluppano con l'instaurarsi di una religione, si è contrapposto un ateismo maturato tra i principi anarchici, capace d'inserire la lotta anticlericale in una sfera più ampia in cui si cerca il cambiamento sociale in tutta la sua complessità e totalità

ANCORA SOLDI ALL' OPUS-DEI

I primi dati sulla svendita degli immobili statali non solo ci dicono che non serviranno a colmare i debiti pubblici, ma che arricchiranno ulteriormente le finanze ecclesiastiche, soprattutto di quelle organizzazioni come l'opus-dei che all'interno della chiesa cattolica hanno sempre più potere politico ed economico.

SULLA 194

La legge 194 sull'interruzione di gravidanza che già sentenzia e offre possibilità contro la sua stessa applicazione, in alcune zone è completamente ignorata e quindi non attuata perché in presenza di personale che si avvale dell'obiezione di coscienza non viene garantito il servizio all'utenza, cioè alle donne che dovranno cercare altrove un luogo dove questo servizio viene espletato.
La legge non prevede che gli ospedali privati possano praticare aborti e quindi spesso si torna in clandestinità.
La sospensione di questo servizio è attuato in 8 strutture su 10 nella provincia di Frosinone, 3 su 6 in quella di Viterbo, 1 su 3 in quella di Rieti, 6 su 9 nella provincia di Latina; se la regione Lazio sembra essere la più efficiente, non mancano dati allarmanti provenienti dalla Sicilia e da altre regioni.

FAMIGLIA E PATRIARCATO

Questo governo, seguendo i dettami vaticani, garantisce provvedimenti di aiuto alle famiglie ed in questo senso sta lavorando moltissimo; restringeranno la legge sulle adozioni, minacciano la possibilità di ricorrere all'interruzione di gravidanza, attraverso la sussidiarietà smantellano i servizi sociali, discriminano le convivenze che non appartengono alla categoria etero e benedetta dal sacro matrimonio, renderanno più complessi i divorzi e che altro?
Del resto la chiesa è sempre più impegnata a rendere alta l'attenzione sulla grave minaccia dello smembramento della famiglia tradizionale, cioè su tutti i "valori" del patriarcato!

RIMBORSI PER LE RETTE DELLE SCUOLE PRIVATE

Il ministero dell'istruzione e quello dell'economia rimborserà le rette delle scuole private a tutte le famiglie che ne faranno richiesta per un ammontare di 30 milioni di euro per i prossimi tre anni scolastici.
La Moratti promette privilegi ai meeting ciellini e poi approva gli stanziamenti con una puntualità degna da donna-manager efficiente e precisa, "dimenticandosi" poi della scuola pubblica che è sempre protagonista solo in materia di precarietà e di tagli delle risorse.

FINANZIARIA E OPUS DEI

50 milioni di euro, cioè il 25% dell'ammontare totale degli stanziamenti a favore degli atenei è l'ultimo regalo che, grazie alla finanziaria 2004, il governo fa alla chiesa cattolica; questo il finanziamento pubblico (ministero dell'economia e della salute) per la realizzazione di un nuovo campus biomedico di proprietà dell'Opus-dei.
Ancora una volta i tagli agli istituti pubblici si riversano nelle tasche private delle mafie cattoliche.



LE CROCI E LE SPADE
La scuola pubblica è una croce ed infatti la croce cattolica verrà imposta nelle scuole con un ulteriore e specifico provvedimento legislativo molto più efficace della serie di circolari ministeriali che si sono succedute sull' argomento. Da anni associazioni laiche ed anticlericali portano avanti la battaglia della rimozione dei simboli religiosi nelle scuole pubbliche, sostenendo un criterio di pluralismo e aconfessionalità e da anni insegnanti, genitori e studenti si sono impegnati in questo senso, ma la visibilità massmediatica ricercata e offerta sulla vicenda A. Smith offre il fianco ad un arretramento di tutto il dibattito politico e sociale proprio perché non è sostenuta da una volontà di rispetto delle diversità culturali e di libera espressione di pensiero, ma da un altrettanto pericoloso atteggiamento integralista, con modalità da soap-opera televisiva che porterà probabilmente a qualcuno solo vantaggi elettorali.
In molte scuole e uffici pubblici il crocifisso era stato rimosso proprio perchè in assenza di una legge recente i consigli di circolo o di istituto potevano deliberare in materia, esattamente come per l'altra questione spinosa della celebrazione degli atti di culto.
Nel caso in questione - quello delle scuola di Offena - vi è stato il ricorso al tribunale, in attesa della sentenza, a scatenare un dibattito massmediatico e parlamentare di infimo livello culturale.
Sembra che tutta la vicenda sia stata costruita per dare ulteriori privilegi al clerico-fascismo dilagante ed infatti già da tempo le lobby cattoliche e i loro portavoce sostenevano l'irrinunciabile necessità di una nuova legge; la conferma sta nell'appiattimento delle posizioni prese dalle forze politiche che da destra a sinistra, salvo rari casi, dimenticano anche il significato della parola laicità per ribadire invece che la cultura italiana è basata sulla cristianità di cui la croce ne è simbolo.
La tragedia è che non è affatto una questione di simboli, ma imponendo - con questa modalità - l'equazione italianità-cristianità si impone la "giustezza" di altri provvedimenti legislativi razzisti, discriminatori e fascisti.
Come atei e anticlericali continueremo la nostra lotta contro i privilegi alla chiesa cattolica, a tutte le chiese, a tutti i poteri affinchè si realizzi una convivenza basata sulla libertà di espressione e di pensiero.

RECORD DELL' 8 PER 1000

"E' un dato molto importante che per la prima volta nella storia dell'8 per mille viene superata questa soglia" afferma il cardinale Ruini dopo aver appreso la notizia che la somma relativa all'8 per mille delle dichiarazioni dei redditi dei cittadini italiani superava il miliardo di euro (cifra che comprende il conguaglio del 2000 e l'anticipo del 2003).

RATZINGER E LE UNIONI GAY

Il 31/08/03, con un documento di dieci pagine firmato dal prefetto della "congregazione per la dottrina della fede" il cardinale Joseph Ratzinger , il vaticano ha ribadito il suo no alle unioni omosessuali che definisce "nocive per il retto sviluppo della società umana".
Nell'introduzione al documento è dichiarato l'obiettivo di "illuminare l'attività degli uomini politici cattolici perché si oppongano a qualsiasi tutela legale delle unioni omosessuali" e che "non deve essere consentito alle unioni omosessuali alcun tipo di adozione di bambini, perché sarebbe un atto di violenza contro i minori, una pratica immorale"; vi si legge poi "il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali contrastano con la legge naturale. Gli atti omosessuali precludono all'atto sessuale il dono della vita. In nessun modo possono essere approvati."
Il giorno dopo la pubblicazione del documento ecclesiastico a Bari è stato selvaggiamente picchiato il segretario cittadino dell'Arcigay Michele Bellomo che era già stato minacciato da esponenti fascisti.

LEGGE CONTRO LE DISCRIMINAZIONI?

Il decreto legislativo del 09/07/03 n.216 (attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro) reca le disposizioni relative all'attuazione della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione, dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall'età e dall'orientamento sessuale con specifico riferimento: all'accesso all'occupazione e al lavoro compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione; all'occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni di licenziamento.
Viene però altresì specificato:"non costituiscono atti di discriminazione…quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscano un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima."
Tutto ciò significa che potrebbe essere escluso l'accesso al lavoro presso un'agenzia interinale a chi è contrario al lavoro precario; potrebbe essere giustificato il licenziamento di un ambientalista da parte di un'industria inquinante ecc.
La norma è in contrasto con l'art. 3 della costituzione che afferma che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso, razza, opinioni politiche e condizioni sociali e personali e con l'art. 21 che sancisce la libertà di manifestare il proprio pensiero.
Questo decreto potrebbe spalancare la porta ad abusi perché le discriminazioni sui luoghi di lavoro potrebbero assumere nuovi criteri di giudizio strettamente soggettivi

IL CROCIFISSO VA TOLTO
Come Collettivo Anticlericale "Né Dio" di Modena ci sentiamo indignati e nauseati dal coro catto-clerico-comunista-fascista scatenatasi attorno alla vicenda crocifisso dopo una sentenza di un tribunale dell'Aquila.
La commissione d'inchiesta ministeriale è la dimostrazione di come la democrazia e le sentenze di tribunali democratici non vengano rispettate da chi ha l'autorità politica o religiosa: il solito fascismo clericale!
I simboli religiosi non possono essere imposti a tutti ma devono rimanere segregati nei luoghi di culto.
Abbiamo vissuto gli anni della scuola combattendo la presenza dei crocifissi sui muri.
Il crocifisso è stato ed è un simbolo di morte per tante popolazioni massacrate in nome del cristianesimo.
La tratta degli schiavi aveva la benedizione della croce, la "civilizzazione" dei popoli "selvaggi" avveniva con la spada in una mano e nell'altra la croce, l'inquisizione, la caccia alle streghe e molto molto altro.
Wojtyla ha già chiesto una ventina di volte scusa per le malefatte della sua chiesa.
Via i crocifissi e tutti i simboli religiosi dai luoghi pubblici.
Collettivo Anticlericale "Né Dio" di Modena



COERENTE IPOCRISIA

Il 23.11.'03 è apparsa su "Il resto del carlino" un'intervista a mons. Vecchi, in seguito ad una sua omelia per i caduti in Iraq che, come sottolinea il quotidiano, "ha fatto discutere, anticipando anche il card. Ruini".
Mons. Vecchi si scaglia contro il pacifismo espresso nelle piazze perché "prepara a quello scontro di civiltà che costituisce la vera minaccia sul futuro … la bandiera della pace non rappresenta tutti e quindi non è opportuno appenderla in parrocchia, che è simbolo dell'unità. La vera bandiera del cristiano è la croce".
Auspica poi l'unitarietà nazionale: "accanto a uno stato laico c'è una nazione che ha bisogno di ritrovare unità nelle radici cristiane".
Sui simboli religiosi nelle scuole afferma: "i nostri simboli religiosi vanno oltre la fede cattolica…
Il compito della chiesa è annunciare il vangelo anche ai musulmani".
Interpellato poi sulle prossime elezioni amministrative a Bologna risponde: "la chiesa di Bologna è equidistante…si tratta di aiutare il cristiano a capire chi lo rappresenta di più, nei valori che contano".
Sintesi: la croce è simbolo della cristianità e diventa simbolo di pace se tutti ne condivideranno i valori… quindi affermare di volere la pace è fare la guerra e fare guerre di religione significa pace!
Lo stato è laico se tutti i cittadini sono bravi cristiani!
In politica essere equidistanti significa far capire agli ignoranti chi li rappresenterà meglio!!!




CHIESA E TERRORISMO

Il card. R. Martino, capo del pontificio consiglio giustizia e pace, non esita ad affermare che "per la chiesa i problemi non si risolvono con la guerra, ma ora c'è il terrorismo, piaga che va estirpata con fermezza".
La guerra è quindi giustificata, anzi va finanziata e sostenuta perché non è guerra, ma lotta al terrorismo; definire terroristi tutti gli oppositori ad un sistema politico-economico-religioso offre un efficace alibi agli attacchi bellici e alla costruzione mediatica dei nuovi nemici.
Per l'impero romano i popoli non sottomessi erano barbari; per l'attuale potere occidentale ogni dissenso è terrorismo ed infatti vengono definiti tali palestinesi, curdi, ceceni, antimperialisti, anarchici ecc.




GERARCHIE…

Il card. Ruini, rappresentante della chiesa più integralista, presenzia la maggior parte degli eventi ufficiali dello stato italiano: la messa per i caduti in Iraq, l'anniversario della visita del papa in parlamento ecc.
Queste le sue parole alla messa celebrata dopo i recenti episodi bellici in Iraq che hanno visto coinvolti anche militari e civili italiani:" Con questa messa ci rivolgiamo a dio nostro creatore e padre, onnipotente e ricco di misericordia e gli affidiamo uno per uno questi nostri morti e le loro famiglie, ciascuno dei feriti, tutti gli italiani, militari e civili, che sono in Iraq e in altri paesi per compiere una grande e nobile missione, e con loro questa nostra amata patria, la pace nel mondo ed il rispetto per la vita umana (…) Cari fratelli e sorelle, Gesù nel vangelo ci ha avvertiti che il criterio in base al quale saremo giudicati è quello dell'amore operoso, che sa riconoscere la sua misteriosa presenza nel più piccolo e più bisognoso dei nostri fratelli in umanità. Abbiamo perciò ascoltato con intima commozione le parole della sposa di uno dei caduti che, dopo aver letto un altro,molto simile brano del vangelo, quello nel quale Gesù ci invita ad amare anche i nostri nemici, ci ha detto con semplicità che di quella parola di Gesù lei e suo marito avevano fatto la regola della propria vita.
E' questo il grande tesoro che non dobbiamo lasciar strappare dalle nostre coscienze e dai nostri cuori, nemmeno da parte di terroristi assassini. Non fuggiremo davanti a loro, anzi, li fronteggeremo con tutto il nostro coraggio, l'energia e la determinazione di cui siamo capaci. Ma non li odieremo, non ci stancheremo di sforzarci di far loro capire che tutto l'impegno dell'Italia, compreso il suo coinvolgimento militare, è orientato a salvaguardare e a promuovere una convivenza umana in cui ci siano spazio e dignità per ogni popolo, cultura e religione".
Chi meglio di Ruini può rappresentare i "valori" di uno stato che continua a essere definito laico purchè non si metta in discussione l'ingerenza vaticana su leggi e finanziamenti?
Chi meglio di Ruini può trovare un sacro alibi alla guerra e all'occupazione militare?
Chi meglio di Ruini può santificare l'evangelizzazione armata in nome di una democrazia che imporrà linee e comportamenti del futuro asset

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Uscire dal gregge: sbattezzarsi, perché?
by se siete comunisti allora sbattezzatevi Tuesday, Aug. 17, 2004 at 12:00 AM mail:

E' bene innanzi tutto chiarire che l'Associazione per lo sbattezzo non amministra lo sbattezzo. Se lo facesse si porrebbe, al pari di una chiesa, il compito di ungere i suoi membri detergendo il loro capo dall'acqua e dal sale che ne hanno fatto degli affiliati di questa o di quella chiesa. L'Associazione invece nasce dalla consapevolezza che ogni essere umano è padrone di se stesso ed è quindi in suo potere rigettare qualsiasi atto di incorporazione ad una qualsivoglia fede o religione che cerchi di vincolarlo per l'eternità

L'associazione è formata da uomini liberi dalla religione che si sostengono a vicenda in una società che attenta in mille modi al loro bisogno di affermare la libertà dalla religione, il rifiuto di qualsiasi rito iniziatico, nella convinzione che la ragione, il sentimento, la gioia di vivere devono e possono accompagnare la loro vita.

La tutela collettiva fornita dall'associazione si estende anche ad un delicato momento della vita: il transito verso la morte, perché nella ridotta consapevolezza o nel prevalere della volontà dei sopravvissuti non si concretizzino pratiche o comportamenti tesi a negare la coerenza di convinzione nelle quali l'associato è vissuto. Ma l'associazione è qualcosa di più. Come tutte le formazioni sociali nelle quali si esplica e si realizza la personalità del cittadino, promuove e sviluppa la coscienza della libertà dalla religione, assume iniziative, promuove discussioni, stimola la conoscenza e il confronto, si batte per la tolleranza dei comportamenti religiosi, domanda alle religioni in nome della libertà di pensiero, di rinunciare ad ogni forma di prevaricazione totalizzante. Perciò, tutti coloro che lo vogliono, possono dichiarare di ritenersi sbattezzati o esenti da affiliazione o incorporazione a qualsiasi religione. L'associazione controfirmerà questa autodichiarazione, prendendo atto della volontà dell'associato, testimoniando della sua volontà. Ma la dichiarazione di sbattezzo, la sua notifica alle autorità ecclesiastiche ha anche effetti giuridici civili perché libera l' affiliato da qualsiasi dovere giuridico verso la setta alla quale è appartenuto (è il caso della dichiarazione di abiura per gli ebrei, della quale quella di sbattezzo è l' equivalente ) ed inibisce agli organi ecclesiastici della confessione di esercitare, malgrado quanto previsto dal diritto interno della confessione , qualsiasi atto di giurisdizione avente rilevanza o effetti civili. Per fare un esempio un esempio concreto la notifica della dichiarazione con la quale il firmatario si ritiene sbattezzato al parroco della parrocchia presso la quale fu amministrato il battesimo, e/o al vescovo della diocesi di residenza, inibisce loro di compiere qualsiasi atto avente rilevanza civile quali ad esempio dichiarazioni pubbliche, rilievi, osservazioni relative alla condotta morale e religiosa dello sbattezzato. Nel caso in cui, malgrado la comunicazione all'autorità ecclesiastica, ciò avvenga, colui che ha notificato la propria dichiarazione di sbattezzo può richiedere la tutela dell'ordinamento civile contro ogni abuso dell'autorità ecclesiastica. La notifica della dichiarazione di sbattezzo costituisce inoltre attiva testimonianza del rifiuto dell'appartenenza confessionale in uno stato che ci vuole e ci presume tutti credenti o comunque affiliati, per effetto dell'incorporazione battesimale, ad una chiesa. All'indifferentismo in materia religiosa rispondiamo con il rifiuto attivo di ogni settarismo.

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Estratto dallo Statuto dell'Associazione
by m(ateo) Tuesday, Aug. 17, 2004 at 12:01 AM mail:

1) E' costituita l'Associazione per lo Sbattezzo con sede legale a Fano, via Garibaldi 47. L'Associazione per lo Sbattezzo è ente morale e non persegue fini di lucro.



2) L'Associazione per lo Sbattezzo persegue i seguenti fini:

-assicurare e garantire un'effettiva libertà dal e del pensiero religioso;

- dare la possibilità a tutti di rigettare formalmente le professioni di fede, di fare abiura, senza che cio' pregiudichi in alcun modo gli interessi individuali;

- garantire a credenti e non credenti la libertà dall'oppressione degli apparati religiosi;

- liberare la società dall'ingerenza nella vita sociale delle organizzazioni religiose, sottoponendo a controlli, con un'attenta vigilanza, l'associazionismo religioso.



3) In particolare l'Associazione per lo Sbattezzo si propone di:

- sviluppare la riflessione sull'ateismo e sull'agnosticismo, promuovendo ed incentivando la discussione tra i non credenti sulle ragioni della loro scelta;

- combattere le ingerenze religiose nella scuola e in tutte le altre istituzioni pubbliche, nella cultura, nell'arte, nella scienza;

- garantire l'onorabilità e la non discriminazione a tutti coloro che ritengono, in tutta libertà, di rinnegare la propria appartenenza ad un credo religioso, anche se sono stati in passato oggetto, consciamente o inconsciamente, di riti propiziatori religiosi;

- difendere, mediante la loro partecipazione all'attività dell'Associazione, tutti coloro che si considerano oppressi dalle sette religiose, prima fra tutte la Chiesa Cattolica;

- far rispettare il diritto all'inviolabilità del proprio domicilio da agenti di qualsiasi religione;

- assicurare anche mediante la promozione di iniziative anticlericali, la lotta contro l'intolleranza in materia di garanzie alla libertà religiosa e di coscienza.



4) I membri dell'Associazione rivendicano il loro bisogno di un rapporto sereno e gioioso con la natura, il piacere e le cose belle della vita. Si impegnano pertanto a battersi per trasformare la società in modo da creare le condizioni materiali che rendano possibile l'effettiva liberazione dalla religione.



5) L'iscritto all'Associazione per lo Sbattezzo puo' delegare l'Associazione a tutelarlo in caso di decesso, onde garantire la non effettuazione di riti contrari alle proprie credenze o convinzioni ed il rispetto delle sua volontà nelle pratiche di tumulazione.



6) L'Associazione si impegna a sviluppare la tutela e l'assistenza dei propri aderenti anche con consulenze giuridiche in difesa della libertà dalla religione.

(...)



8) Possono fare parte dell'Associazione atei, agnostici e/o anticlericali, antireligiosi. (...) Può diventare socio chiunque abbia compiuto quattordici anni, accetti il presente Statuto e le deliberazioni che in base ad esso saranno adottate dagli organi dell'Associazione e non svolga attività contrarie ai fini e agli scopi dell'Associazione.

(...)



14) I non battezzati hanno diritto di richiedere all'Associazione una dichiarazione dalla quale risulti la non consumazione del rito del battesimo o l'abiura dell'avvenuta incorporazione di una religione.



15) L'Associazione si impegna ad assistere legalmente i suoi iscritti che hanno notificato alle rispettive confessioni religiose l'avvenuto sbattezzo o l'abiura nel caso di esercizio di atti di giurisdizione che risultino in qualunque modo lesivi della loro libertà religiosa.

(...)



17) L'Associazione per lo Sbattezzo propugna l'assoluto separatismo nei rapporti tra lo stato e le confessioni religiose. Per questo motivo l'Associazione si impegna a battersi affinché le quote di imposta destinata dalla legge a favore delle confessioni religiose vengano soppresse. Fin quando tale destinazione verrà mantenute l'Associazione sosterrà le richieste di coloro che desiderano utilizzare queste somme per attività finalizzate alla difesa della libertà dalla religione.

(...)





In questo estratto mancano solo le parti tecnico/amministrative dello statuto.

Copia integrale dello statuto può essere richiesto alla sede dell'Associazione: Via Garibaldi 47 - 61032 Fano - (PS)

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RICHIESTA DI ADESIONE ALL'ASSOCIAZIONE PER LO SBATTEZZO
by Dio non esiste w l'ANARKIA ROSSA Tuesday, Aug. 17, 2004 at 12:03 AM mail:

Il/la sottoscritto/a __________________________________________________________

nato/a ____________________________________ il ____________________________

residente a ___________________________________CAP __________ Prov. ________

Via ____________________________________________ numero __________________

battezzato/iniziato alla religione ______________________________________________

presso __________________________________________________________________



CHIEDE DI ADERIRE ALL'ASSOCIAZIONE PER LO SBATTEZZO ACCETTANDO LO STATUTO

DELLA ASSOCIAZIONE E VERSANDO LA QUOTA DI EURO ___________________ RELATIVA

ALL'ANNO/I ___________________



Firma ___________________________________________________________________



Data ___________________________________________________________________


--------------------------------------------------------------------------------

” Desidero

” Non desidero

ricevere la "Dichiarazione di Libertà dalle religioni"

--------------------------------------------------------------------------------

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Alla faccia di quel pretino di Terence Hill
by abbasso don matteo Tuesday, Aug. 17, 2004 at 12:05 AM mail:

ASSOCIAZIONE

PER LO SBATTEZZO

Via Garibaldi 47

61032 FANO (PS)



Spett.le

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-------------------------------------------

-------------------------------------------



e per conoscenza

all'Associazione per lo Sbattezzo - Fano





Io sottoscritto/a _________________________________________________________

nato/a _________________________________________ il _____________________

battezzato/a - iniziato alla religione __________________________________________

presso________________________________________________________________



DICHIARO

di non appartenere a nessuna fede religiosa e di ritenere nulli i riti iniziatici subiti o esercitati

DIFFIDO

qualsiasi confessione, associazione o società religiosa dall'esercitare atti di giurisdizione nei confronti della mia persona. Mi impegno ad intraprendere, congiuntamente all'Associazione, ogni iniziativa affinché vengano tutelati i diritti in materia di libertà e di religione.



firma _____________________________________



luogo e data _______________________________

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IO mi sono già iscritto fallo anche tu
by stella rossa Tuesday, Aug. 17, 2004 at 12:12 AM mail:

PER ADERIRE ALL'ASSOCIAZIONE DELLO SBATTEZZO


Per aderire all'Associazione basta compilare la richiesta di adesione. Il modulo va poi inviato, direttamente o tramite il comitato locale, alla sede di Fano dell'Associazione. La quota associativa annuale è di dieci Euro.

E' possibile effettuare versamenti di quote pluriennali.

La quota comprende l'invio del bollettino "Il Peccato".

I non associati possono egualmente ricevere il bollettino versando dieci Euro (specificando la causale nel bollettino di ccp).

Oltre ad associarvi, potete ricevere la Dichiarazione di Sbattezzo: si tratta di un attestato, che vi verrà inviato numerato e accompagnato da quattro moduli di Notifica. Un modulo va rispedito all'Associazione, gli altri vanno spediti alle autorità religiose per notificare la diffida ad esercitare qualsiasi atto di giurisdizione sulla propria persona. Per ricevere la Dichiarazione inviate dieci Euro per spese di stampa e spedizione.



Il conto corrente postale è:

10590420

intestato CHIARA GAZZOLA

Via Sperticano 22 - 40043 Marzabotto (BO).

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Don Matteo:impara a lavorare perchè rimarrai disoccupato !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
by e guarda un pò Tuesday, Aug. 17, 2004 at 12:22 AM mail:

Don Matteo:impara a ...
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L' unico rappresentante
di Dio sulla terra
é l'Anima

Meister Eckhart

E NON UN PRETE CHE NON è ALTRO CHE UN ALTRO UOMO (OD UN ALTRO 1/2 UOMO !!!!!!!!!!)

Che cos'è l'Associazione per lo Sbattezzo.



E' bene innanzitutto chiarire che l'Associazione per lo Sbattezzo non amministra lo sbattezzo. Se lo facesse si porrebbe al pari di una Chiesa! L'Associazione invece nasce dalla consapevolezza che ogni essere umano è padrone di se stesso e che quindi è in suo potere il rigettare qualsiasi atto di incorporazione ad una qualsivoglia fede o religione che cerchi di vincolarlo. - Questo si diceva nella millelire anticlericale curata per Stampa Alternativa dalla Associazione per lo Sbattezzo. E questo è il principio sul quale centinaia di persone hanno basato la loro adesione alla Associazione: la dichiarazione pubblica di abiura dei riti "iniziatici" subiti, primo fra tutti, naturalmente, il Battesimo alla religione cattolica che viene impartito in tenera età per "tradizione" alla maggioranza degli italiani e delle italiane; sul battesimo si basa infatti la presunzione della Chiesa cattolica di possedere milioni di seguaci, il Battesimo viene considerato un atto di adesione alla Chiesa cattolica per sempre.

"Uscire dal gregge" pubblicamente, dichiarandosi estranei ad una Chiesa della quale spesso non si condividono né l'ideologia né i dogmi, né le prese di posizione politiche...la nostra attività, sin dal 1986, è stata subito presa di mira dal Clero, che sulla maggioranza silenziosa dei "fedeli" imposta la propria sopravvivenza,... e da zelanti tutori dell'ordine più che altro desiderosi di dimenticare che in Italia sarebbe stata sancita la separazione tra interessi dello Stato e della Chiesa cattolica. Sembra invece che la laicità sia un termine in disuso nel nostro Paese: fare critiche al clero o dissociarsi con chiarezza dai luoghi comuni papalini sembra essere a tutti gli effetti un delitto, così come pare che sia da bollarsi come Eretico chiunque abbia il buon senso di ridere di certe convinzioni clericali. Pensiamo all'Otto per Mille che viene detratto, a cura dello Stato, dall'Irpef, calcolato solo in base alle scelte espresse sulle dichiarazioni dei redditi, senza far caso a tutte le scelte non espresse (nel '93 erano quasi il 36 per cento!) a favore né della Chiesa né dello Stato...più di settecento miliardi dati alla Chiesa dai cittadini solo con l'otto per mille del 1993. Senza contare oneri deducibili, contributi statali per Chiese ed edifici ecclesiastici, senza contare esenzioni da tasse e tributi, senza contare l'ora di religione cattolica pagata dallo Stato, senza contare i contributi dati ad associazioni ed enti legati alla Chiesa cattolica. Sull'adesione incondizionata alla religione cattolica il clero fa basare un meccanismo politico e finanziario rigidamente strutturato (ricordiamo che il Vaticano è una Monarchia) che garantisce ed ha garantito più di una volta (anche nel ventennio nero e nell'epoca d'oro di Andreotti e della guerra fredda) certi rapporti di forza politici ed economici in Italia; ricordiamo che l'attività di carità della Chiesa è solo un'isola nell'arcipelago vastissimo di speculazione economica e finanziaria del Vaticano. Per questo, e per la convinzione che la società deve essere slegata dai movimenti confessionali, molti abiurano dalla propria appartenenza (data per scontata nei registri battesimali, che sono una specie di anagrafe cattolica) alla Chiesa cattolica.

Ma l'Associazione per lo Sbattezzo non serve solo a questo. L'Associazione opera anche per l'organizzazione del Meeting anticlericale di Fano (ormai giunto alla dodicesima edizione nel 1995), e per la diffusione di una cultura atea, agnostica, libertaria, avversa alla sessuofobia della Chiesa.

A questo proposito annunciamo due nuovi lavori da noi redatti, che saranno in distribuzione dal prossimo Aprile; si tratta di due nuove Millelire dai seguenti temi:

la prima, intitolata Vilipendio al Papa, tratterà di tutte quelle norme ancora presenti nel Codice penale, che pretendono che il clero e la religione non siano criticate. Chi osa mettere in satira religione e preti viene ancora punito con pene che vanno da uno a cinque anni di reclusione! Il codice penale italiano, così come quello di molti altri paesi contempla ancora reati nella cui casistica è compreso anche l'ateismo, la cui pratica pubblica viene considerata "offensiva" per certi reazionari credenti; come dire, se dite in pubblico che Dio non esiste, ed è un vostro parere, potreste finire in Tribunale perché siete di disturbo a chi ritiene invece Dio una realtà incontestabile.

Come saprete, non esistono invece nel Codice articoli che vietano al Papa di offendere giornalmente i non credenti, i credenti di altre religioni, i divorziati, le donne, i gay, le lesbiche, i comunisti e chi più ne ha più ne metta.

Ricordiamo che lo scorso anno due nostri soci, Francesca e Federico, sono stati condannati per "vilipendio a capo di stato estero" (il Papa) a otto mesi di reclusione sulla base di due vignette qualsiasi. In questo momento siamo in attesa del processo d'appello; nella millelire sul vilipendio verrà pubblicato integralmente il verbale del processo attraverso il quale si comprende come la condanna fosse stata già decisa in anticipo come punizione per i due attivissimi anticlericali.

L'altra Millelire che stiamo preparando è intitolata "I guasti psicologici della educazione religiosa" e fa una breve storia del comportamento sessuo-repressivo della Chiesa cattolica, includendo una chiara spiegazione in capitoletti di come si sviluppa psicologicamente la paranoia dell'integralista religioso.

Vorremmo chiudere dicendo che la nostra battaglia è per la libertà dalla e della religione, e che dalle attività della nostra associazione non sono esclusi coloro che credono, perché non siamo dogmaticamente antireligiosi bensì anticlericali, cioè ci battiamo semplicemente per evitare l'ingerenza delle religioni nelle nostre vite e nella vita culturale e politica.

Chi volesse informazioni sullo Sbattezzo, ed anche sui libri disponibili presso il nostro centro di documentazione, può scrivere a:



Associazione per lo Sbattezzo

sede nazionale

via Garibaldi 47, casella postale 13

61032 FANO (PS).

Fano, 13/3/95


Per ulteriori informazioni:

Tel. e Fax: 0721/827229

E-mail Circolo Culturale:

n.papini@abanet.it

E-mail Anticlericale: anticlericale@abanet.it

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Associazione per lo Sbattezzo
by Terence Hill sei vecchio Tuesday, Aug. 17, 2004 at 12:23 AM mail:

Associazione per lo Sbattezzo




Sede Nazionale:

Via Garibaldi 47

(oppure Casella Postale 13)

61032 FANO (PU)



Conto Corrente Postale: 10590420

intestato a Chiara Gazzola

Via di Sperticano 22

40043 Marzabotto (BO)

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FOR THE DEMONSTRATIONS TO BE HELD ON THE 4 CENTENNIAL OF THE SACRIFICE OF GIORDANO BRUNO
by vaticANO torturatore Tuesday, Aug. 17, 2004 at 12:26 AM mail:

UNITARIAN CALL

FOR THE DEMONSTRATIONS TO BE HELD ON THE 4TH CENTENNIAL

OF THE SACRIFICE OF GIORDANO BRUNO

SUBMITTED TO TRIAL BY THE UNIVERSAL HOLY INQUISITION

FOR THE FREE IDEAS ON PHILOSOPHY, ART AND SCIENCE

HE PROFESSED IN ITALY AND EUROPE,

BURNT ALIVE AT THE STAKE IN CAMPO DE' FIORI SQUARE IN ROME

ON FEBRUARY 17TH, 1600, BY ORDER OF THE HOLY OFFICE

IN THE HOLY YEAR OF JUBILEE,

UNDER THE REIGN OF CLEMENT THE 8TH,

PONTIFF OF THE HOLY ROMAN CHURCH.



Campo de' Fiori (Rome) is a square where, during the dominion of temporal power by the Church, the Pope-King had the heretics put to stake, men and women that didn't bend to the Inquisition and to clerical absolutism.

Here, in 1889, the heart of popular Rome erected the memorial dedicated to Giordano Bruno, celebrating it every year with public demonstrations that were forbidden only during the fascist period.

With the Holy Year 2000, the Church is self-glorifying before the world, sanctifying its own mission, absolving itself for all misdeeds committed, reaching unsurpassed cheek with the canonization of the last Pope-King, Pious the 9th, who repressed the Roman Republic of 1849 in a bloodbath. He excommunicated the leagues of craftsmen, workers and peasants at birth.

2000's Jubilee for Vatican funds represents one more lavish endowment of the Italian State, jointly managed by the Catholic hierarchies, Rome's town Council, and the governments of Prodi and D'Alema - a gift to the Church of 3 billion US$, used for self-celebrating triumphs, cleaning-up churches, convents transformed in hotels, and to militarize Rome with the purpose of boycotting protests or social, unionist, political and cultural activities, in order to hide-up old and new poverty, harassing the homeless and immigrants, and leaving the desolation of the outskirts undisturbed.

Jubilee's liturgical pretentious display demonstrates that this event is not at all a path of penitence and reconciliation. Cries of "my fault" about some past crimes do not hinder reiteration of modern crimes. No request of pardon has indeed been addressed:

· to the whole world while setting out for new, bloody crusades; for violation and destruction of cultures; for the practice of slavery; for tortures caused; for death-sentence systematically inflicted;

· to the population of Third World kept in hunger while hampering all project of rational demographic development or birth-control;

· to the women, vexed by papal anathema, in particular about abortion;

· to the homosexuals pursued and denigrated for being different;

· to the victims, to the "desaparecidos" kins, to the resisters to bishops and generals of Argentina, Chili, Croatia and catholic dictators in the whole world;

· to free minds and lovers, because they persist living in "sin";

· to the roman citizens, for the devastating environmental impact imposed to their city, reduced into "Holy City", destination of pervasive and obsessive tourism.

Aware of different feelings and identities actually existing in the secular and libertarian archipelago, we have thought best to scatter the program over three days, in Rome, from February 17th to 19th, 2000, with different peculiarities each day.

On February 17th, memorial celebrations, to be realized with a mass-demonstration in Campo de' Fiori square, following the secular and militant tradition that for 400 years has handed down to us Giordano Bruno's example of coherence and courage in defense of free thought, facing the oppression and obscurantism of his slaughterers.

On February 18th, the aspect of analysis will prevail, with speeches and testimonials on the theme "Artists against Jubilee", in a theater or University hall.

On February 19th, a social, great demonstration will be held in the same square, with international participation in order to remind in the Holy Year 2000, that the Roman Catholic Church remains the same.

Heretics ever since, we are not interested in the martyr for freedom's commemoration of institutional liturgies, more so if celebrated by institutions subdued to vested interests. For this reason, political support and presence are not welcomed.

To honor the figure of Giordano Bruno we acknowledge and point out its being up-to-date. We call to intellectuals, students, workers, anticlerical, freethinkers, active opponents, atheists to mobilize during the three days of celebration.



Secular and Libertarian Committee - Rome, Italy





International participation and support is welcomed.



Pleas join this call by contacting: E-mail: giordanobruno2000@libero.it

or anticlericale@abanet.it



Fax: (....) 06 4745322; phone: (....) 06 78348283.



SITO INTERNET:

http://www.abanet.it/papini/index.htm

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La telefonata segreta
by e la p2 sempre tra le balle Tuesday, Aug. 17, 2004 at 12:37 AM mail:

La telefonata segreta

Le rivelazioni su Haider non vi hanno abbastanza scioccato, vero? Siete sempre convinti che la nostra sia la causa giusta ? La Pecora Nera e’ di nuovo qui per cercare di convincervi del contrario. Grazie ai miei contatti cubani sono riuscito ad avere la bobina su cui e’ inciso l’ultimo colloquio telefonico tra il bieco, sanguinario, infanticida , dittatore argentino Peron e il bello (che fa molto gaypride), avventuroso, incommensurabile guerrigliero Ernesto Guevara.

Peron: pronto? Sono Peron.

Guevara: Juan ti ricordi di me ? Sono "l’eroe dei due mondi".

Peron: senta signore, io sono occupato in faccende molto importanti , e poi Garibaldi è morto da un pezzo.

Guevara: Juan sono Ernesto, Ernesto Guevara, adesso mi riconosci?

Peron: non dirmi che torni in Argentina a piantare i tuoi soliti casini ora che finalmente si sta bene, e poi cos’è questa faccenda dei due mondi?

Guevara: mentre tu giocavi a fare il dittatore, io sono stato anche in Africa.

Peron: in Africa??? Cosa ci sei andato a fare?

Guevara: ho aiutato un paese a liberarsi dal giogo coloniale; ora è guidato da un tale Kabila, lo conosci?

Peron: ma chi? Quello che smembra la gente a colpi di machete, ma dico sei scemo ad aiutare quello psicopatico a prendere il potere? Castro non ti bastava come guaio?

Guevara: cambiamo discorso tanto sei un dittatore di destra e non puoi capire la grandiosità delle mie azioni… me la passi Evita?

Peron: a parte che la devi chiamare signora Eva Duarte Peron, e poi tanto non ti considera neanche di striscio!!!

Guevara: eh bravo! Non l’hai visto il musical di Alan Parker con Madonna?

Peron: ma siamo seri quella scemenza con i gorgheggi di Madonna e’ un’idiozia pura, è ovvio che la storia l’hanno stravolta in quella maniera. La gente è ignorante, Eva non la conosce nessuno , la tua brutta faccia invece si trova anche nella curva del Genoa e della Fiorentina.

Guevara: noooooo !!! Nello stadio nooooo !!!! Dimmi che non e’ vero !!!!

Peron: sei pure il mito di Jovanotti e dei 99posse.

Guevara: ma chi? Quel berlusconiano riciclato che cantava "gimme five" e quel panzone tatuato napoletano, fallo venire due mesi qui nella giungla boliviana che gli faccio perdere un po’ di chili.

Peron: ma sempre con ‘ste guerriglie…

Guevara: siiiii 1, 10, 100 Vietnam!

Peron: ma un incarico amministrativo l’hai mai avuto?

Guevara: certo che si! Sono stato direttore del Banco Nacional de Cuba, tiè.

Peron: ti avevo sottovalutato, come ti trovi?

Guevara: bhe …

Peron: allora??

Guevara: l’ho fatto andare in bancarotta.

Peron: hahahahahahahaha

Guevara: smettila di sfottermi, piuttosto hai letto gli ultimi 350 libri a me dedicati?

Peron: come ti ripeto sono molto occupato, dammi comunque un paio di titoli e vedrò di leggerli.



Guevara: dunque ti consiglio: "Che Guevara racconta Fidel Castro", "Fidel Castro racconta Che Guevara", "Che Guevara racconta Fidel Castro che racconta Che Guevara".

Peron: mi sembrano un po’ monotematici.

Guevara: allora prova : "Bisogna sforzarsi per fare qualcosa di grosso", racconta di quando a Cuba c’era l’embargo sulle prugne cotte e "Le battaglie intestine si vincono sempre" ovvero quando abbiamo sbloccato l’embargo sulle prugne cotte, avvincenti vero?

Peron: direi stimolanti! hahahahahaha

Guevara: tu ridi ma hai sempre avuto ammirazione per me, lo hai anche detto pubblicamente.

Peron: ovvio, così se in futuro passo come un simpatizzante del Che nessuno mi sputerà sulla tomba, come invece succede a tutti gli altri dittatori di destra.

Guevara: vabbè, ti lascio, che parto per la Bolivia a far scoppiare un’altra rivoluzione, a presto.

Peron: occhio che dall’ultimo discorso alle Nazioni Unite i russi non ti parano più il posteriore e copriti bene la notte che hai l’asma cronica.

Guevara: ma va là che sarà una passeggiata di salute, in Bolivia mi vogliono tutti bene, non vedono l’ora che arrivi, "perderò la testa" con tutti gli ammiratori che ho laggiù.

Peron: se lo dici tu…. Mandami i tuoi diari che li devo scambiare con le figurine dei pokemon.

Guevara: hasta la victoria siempre.

Peron: ciao, ciao

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Impara Terence Hill chi stai rappresentando!
by I Papi:a$$a$$ini torturatori inquisitori Tuesday, Aug. 17, 2004 at 12:45 AM mail:

Impara Terence Hill ...
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INQUISITION’S NEW ATTIRE



TROUGH THE FICTITIOUS ACT OF ASKING A GENERALIZED PARDON, THE ROMAN CATHOLIC CHURCH CAN FEEL INNOCENT FOR 2000 YEARS OF RELIGIOUS PERSECUTIONS. THE SEXUAL ONE INCLUDED. WICH AUTHORIZES IT TO START ANEW.

(The following article, by Francesco Fricche of Rome, Italy, was published on "Umanità Nova", anarchist weekly, n° 10, March 19, 2000).



The "announce effect" is a common tool in the field of communication, roughly working like this: a personality announces he is going to do something; a strong media campaign follows; targets of the announce modify their behavior, just as if the thing had really happened and then… the announcer doesn’t need to do anything as the effect has been obtained.

This tactics is frequently used (and theorized) as a form of intervention of governors of central banks in stock-exchange markets, when they judge bonds rise too fast. They announce a rise of rates (or they show concern for inflation, or for some other event that will result in an intervention on rates). In consequence, fearing the rise ox taxes, the stock-exchange lowers, and they do nothing, having solved the problem simply by the means of the announce.

The method is frequently used in politics also, when one must defend from self-evident accusations, has no other argument and no intention of doing anything.

It’s the method utilized by the Catholic Church in the so-called "Mea Culpa" about the crimes it committed in the last 2000 years.

After the sensationalism of the announce in the media, one could have expected real admission of guilt.

A Vatican committee, under the chairmanship of Cardinal Ratzinger (head of the Holy Office), has been working for three years to put down a statement with the title: "Memory and reconciliation: the faults of the past", that has been used as theoretical base for the "Mea Culpa". An endless spell, ensued by saying nothing.

If it really meant to do so, the Roman Catholic Church would have heaps of items of faults, to ask humanity to be forgiven from – of all these responsibilities, in the words of the Pope, in his actual behavior or in the documents, one can find no trace.

The leitmotiv is a proclamation of power, ever defining the Church itself "holy", "enlightened by the Holy Spirit", depository of "Truth" – enough to make shudder, if one only thinks at what they have really done. No trace of travail or suffering for being aware of the crimes committed, all that emerges is the will to repeat the very same crimes.

Conversely, in the declarations you can find nostalgia for the past, for the Pope-King, for the Monarchs by the Grace of God: "While before the Enlightenment there existed a sort of osmosis between Church and State, between faith and culture, morality and law".

Most of the iniquitous deeds committed by popes, cardinals, bishops (not mentioned in detail) are considered individual acts. No word is spent for the major crimes performed – always reducing their importance, never mentioning any, but claiming the difficulty of real grasping of historical conditions.

No mention at any current theme, about which the Church should ask pardon, in the first place to women, gays and atheists. Vague forgiveness is asked for the past, for previous half-forgotten issues, consigned to history. Witches are never mentioned.

The few sentences in which the Crusades and the Inquisition are named are not in the papal address but in the statement: "Can today’s conscience be assigned ‘guilt’ for isolated historical phenomena like the Crusades or the Inquisition? Isn’t it a bit too easy to judge people of the past by the conscience of today almost as if moral conscience were not situated in time?" And they refer to them always indirectly as faults committed "serving the Truth". Absolute truth is always on their side: the truth of enslaved native populations, heretics, of anyone but themselves is falsehood.

In some way ironically, they state "Then there is the lack of discernment by many Christians in situations where basic human rights were violated." What are they doing now? Giving support to Pinochet, Castro, Tudjiman means respect for human beings, perhaps?

The only "Mea Culpa" that may convey some changes in the attitude of the Church is the one affecting divisions among Christians – it has a significantly different origin from the others, being born with the attempt to compose the Oriental Schism with the Vatican, submit the national Patriarchs to the authority of the Pope, in this way acquiring hegemony in Eastern Europe. But here again it is not really a "Mea Culpa", rather an "Embrassons-nous" concerted beforehand with the Orthodox hierarchy. As it happened in 1965 with the abolition of the reciprocal anathema of 1054, this presupposes a mutual act from the Orthodox Churches and we must expect a similar step from the Patriarch of Constantinople.

The remaining, rather than "Mea Culpa" are affronts to the memory of the victims, lacking any trace of engagement to abandon the criminal attitude for the present or future.

Let’s take as an example the "apologies" to the Jewish people. Extremely vague references are made to the direct responsibility of Catholic Church in their persecution, mentioned as "tormented history". The Holocaust alone is considered a persecution – only in the "Statement", not in the address – and no word is said for the millennia of exodus, pogroms, ghettos that the Catholic Church and the very-catholic kings were responsible of. Nazism is defined "pagan ideology" while, just like fascism and franchism, in reality were hyper-catholic dictatorships, that enjoyed unconditional support from the Church – the S.S. proclaimed themselves heirs of the Teutonic Knights, Hitler and Goebbels were Catholics.

The only charge they take for Catholics is "the spiritual resistance and concrete action of other Christians was not that which might have been expected from Christ’s followers." and it is opposed to "many Christians who risked their lives to save and to help their Jewish neighbors".

These "apologies" must be compared with to-day’s behavior: Pious IX, the one who reintroduced in Rome the Ghetto and disposed for kidnapping of Jewish children to baptize them, is on the way to sanctification; the same, with slight additional caution, for Pious XII, directly responsible both for the Holocaust and for the impunity of nazi and fascist high ranks.

One of the "Mea Culpa" borders the absurd – the Church not having been able to prevent the laws for interruption of pregnancy. Textually: "Connected to the eclipse of God, one encounters then a series of negative phenomena, like religious indifference, the widespread lack of a transcendent sense of human life, a climate of secularism and ethical relativism, the denial of the right to life of the unborn child sanctioned in pro-abortion legislation,".

To conclude, had a normal person apologized in this way, not only we would not accept it, but we would get even more angry. These are not "Mea Culpa" (my fault), rather we could define them "Tua Culpa" (your fault). But, judging from the media coverage given to the event, don’t worry, the "announce effect" will work once more, the secularists will express satisfaction and the Roman Catholic Church will keep on persecuting women, immigrants, gypsies and Jews, to call for crusades, burn heretics and support dictators, always saying it is not doing it any more.

Francesco Fricche, March 2000

http://www.abanet.it/papini/anticler/inquisition.html

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x la P2 sempre...
by Obiettore.. Tuesday, Aug. 17, 2004 at 10:22 AM mail:

Grande, mi hai fatto pisciare sotto dalle risate!!!

hehehahahah!!

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La telefonata segreta
by CavalierePellicano Tuesday, Aug. 17, 2004 at 11:57 AM mail:

Trovo molto simpatica la "Telefonata segreta" :-)) molto divertente!

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CAZZATE
by CAZZATE Tuesday, Aug. 17, 2004 at 3:30 PM mail:

SOLAMENTE CAZZATE.

BASTA CON LE CAZZATE, MOVIMENTO CONTRO LE CAZZATE:

SCRIVETE A

CICCIO LIMARELLI
VIA L'IDIOZIA DAL MONDO, 60
02133 SCUOLA

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Un Sindona senza silenziatore
by Alberto Mazzucca Tuesday, Aug. 17, 2004 at 4:21 PM mail:

Dieci anni di fatti e misfatti sono già sufficienti per dare un giudizio sulla vicenda del finanziere siciliano e sull' intreccio di complicità che lo sostennero.
Capelli bianchi, calvizie accentuata, occhi affossati e arrossati dalla stanchezza, volto pallido e emaciato, fisico rinsecchito. L'immagine di un vecchio. I cronisti raccontano che Michele Sindona abbia sorriso quando, martedì 25 settembre, è apparso in cima alla scaletta dell'aereo che da New York l'aveva portato in Italia. Ha sorriso quando è sbarcato a Milano (ore 12.18) e ha sorriso quando nel pomeriggio (ore 17.05) è arrivato a Roma. E dal momento che indossava solamente un paio di pantaloni e una camiciola marroncina a righe con tanto di penna che sbucava dal taschino, Sindona ha mormorato quel che era giusto mormorasse: «Accidenti che freddo!». Più tardi, in carcere, gli hanno dato non uno ma due maglioni. Sindona è così tornato in manette in Italia dieci anni dopo esserne fuggito in maniera piuttosto frettolosa. Era il 27 settembre del '74 quando fu deciso il ricorso alla liquidazione coatta amministrativa della Banca Privata Italiana, una banca nata morta neppure due mesi prima, all'inizio di agosto, dalla fusione tra la Banca Unione e la Banca Privata Finanziaria. Ed era nata morta perché, nonostante un prestito di 100 milioni di dollari effettuato dal Banco di Roma, Sindona era già con l'acqua alla gola. Il crack sarà di 268 miliardi di lire, lire del '74, anche se poi sembreranno poca cosa rispetto ai mille e passa miliardi di lire '82 del crack Ambrosiano.

Appena Sindona ha messo piede in Italia, un po’ tutti quanti hanno sentito il dovere di dire la loro: c’è chi lo vuole sentire alla commissione antimafia, chi vorrebbe conoscere i nomi della famosa lista dei 500 esportatori di valuta, chi vorrebbe vederci più chiaro in alcune operazioni un tantino oscure. Insomma, tutti hanno da chiedere qualcosa, anche se il vero problema non sta nell’elenco delle domande che Tizio e Sempronio possono rivolgere a Sindona ma nelle risposte che Sindona è disposto a fornire. Fino a che punto, cioè, Sindona ha intenzione di parlare? Un interrogativo che non deve creare eccessive illusioni. E per due buone ragioni.
Il primo motivo è questo: cosa può ancora raccontare quest’uomo, soprattutto oggi che non ha neppure più il potere ricattatorio che aveva una volta, quando ormai sono già noti gli aspetti più importanti dell’intera vicenda, quelli che in definitiva contano? Sappiamo per esempio che sono stati dati 2 miliardi alla Dc e che gli atteggiamenti della Dc sono stati influenzati da quel finanziamento. Sappiamo, altro esempio, che nella lista dei 500 c’erano nomi di ministri e di alti personaggi del Vaticano e che si è agito proprio per rimborsare prima questi di tutti gli altri. Sappiamo ancora che a livello di Governo, addirittura di presidenza del consiglio, è stato fatto il possibile e l’impossibile per cercare di salvare Sindona. Sappiamo ancora, e se ne è avuta poi conferma col crack dell’Ambrosiano, del legame che ha unito la finanza degenere del Vaticano con avventurieri del calibro di Sindona e Calvi. Sappiamo dei suoi legami con la P2; sappiamo dei suoli legami con la mafia siculo-americana; sappiamo (e lo ha confermato il recente processo sul crack della Banca Privata Italiana) che Sindona ha messo le mani nelle casse delle sue ex-banche e le ha saccheggiate. L’unica cosa seria ancora da appurare è se vero o non è vero che Sindona sia stato il mandante dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli. Lui sostiene di essere innocente, i magistrati sono di tutt’altro avviso.

Esiste poi anche un secondo motivo: in tutti questi anni Sindona non è stato muto, ha parlato e molto. A partire dal ’75, vale a dire da quando si opponeva alla sua estradizione in Italia e teneva conferenze nelle università americane dove dichiarava senza arrossire che «compito di un banchiere è di salvaguardare i quattrini che riceve dai risparmiatori», Michele Sindona ha ripetuto praticamente fino ad oggi lo stesso ritornello. E cioè: lui è la vittima di una cospirazione politica messa in piedi dai partiti di sinistra, è un innocente perseguitato dalla magistratura italiana, in particolare da quel Guido Viola che già nel processo per il crack della Banca Privata lo ha definito «un ladro di polli».
Ha parlato anche degli amici e degli ex amici, in sostanza di quelli che in un modo o nell’altro lo hanno aiutato. Licio Gelli? «Mi ha offerto il suo aiuto morale e materiale e, questo, mi ha permesso di sopravvivere. Con me si è sempre comportato correttamente». Imberto Ortolani?
«Bravo sul piano umano, simpatico, ma avevo detto a Calvi di non mettersi con lui negli affari in sud America. Era politico, troppo politico». Paul Marcinkus? «Un uomo avido ma onesto. Ha usato il denaro guadagnato dallo Ior, e cioè dalla banca del Vaticano, per impressionare il Papa e mettersi in buona luce». Roberto Calvi? «L’ho praticamente creato io. Ad un certo punto si è trovato solo, solo come ero io».
Soltanto pochi mesi fa, quando ha dichiarato senza mezzi termini di essere stato l’ideatore di tutti i programmi economici che la P2 aveva per l’Italia («Erano piani di risanamento economico, di lotta alla corruzione, concepiti e da proporsi nel più completo spirito democratico»), «Don Michele» ha leggermente corretto il tiro su Licio Gelli. Ha detto del «Venerabile maestro» della P2: «E’ un uomo modesto, un traffichino; l’enorme importanza che la stampa ha dato a quest’uomo è assurda». Niente di più: le parole di fuoco le ha riservate ai nemici di sempre (Enrico Cuccia e Ugo La Malfa) ed agli amici che hanno «tradito» (Carlo Bordoni).

C’è da chiedersi a questo punto: è pensabile che Sindona, il quale vive nel terrore di ricevere prima o poi un «caffè alla Pisciotta», si metta ora a raccontare qualche particolare inedito solo per porre in difficoltà qualcuno dei suoi più vecchi e altolocati amici? Tipo Andreotti, ad esempio. O qualche altro big della politica o di Cosa Nostra.
C’è da dubitarne. E c’è da dubitarne perché Sindona non è un anomalo genio del male, non è Lucifero come la stampa cattolica lo ha dipinto proprio in questi giorni, è solo un affarista come tanti altri, ben disposto a corrompere e a lasciarsi corrompere, con qualche amicizia giusta nel mondo politico romano ed in Vaticano, con vaste conoscenze nella massoneria, nella P2 e nella mafia. Un avventuriero, insomma. Un avventuriero - bancarottiere - fortemente indiziato di omicidio che, in definitiva, non è altro che il frutto del sistema, è il frutto di un sistema in cui sono ormai emersi chiaramente il legame, la collusione, l’alleanza che si sono creati tra malavita finanziaria, malavita politica e malavita comune.
Ha scritto Guido Viola nella sua requisitoria di 221 pagine in cui accusa Sindona di essere il mandante dell’omicidio Ambrosoli: «E’ una storia di intrighi, di minacce, di estorsioni, di violenze, di intimidazioni, di collusioni con ambienti politici, massonici e mafiosi. . . ne scaturisce uno spaccato estremamente inquietante della realtà italiana su cui occorrerebbe attentamente meditare. Di fronte agli sforzi e alle difficoltà di quanti erano impegnati a ricercare la verità per assicurare alla giustizia i responsabili di gravi reati, si sono sviluppate spesso manovre occulte, subdole, losche, a volte impalpabili. Finanzieri senza scrupoli, avventurieri della peggiore risma, faccendieri, magistrati poco corretti, mafiosi, esponenti massonici, delinquenti comuni, tutti spinti dalla potenza del denaro e dal germe della corruzione, si sono mossi freneticamente sullo sfondo di questa vicenda. Ma quel che è ancora più grave è il ruolo forse esercitato o solo promesso, nel perfezionamento del piano di salvataggio di Sindona, da taluni esponenti politici di primo piano. Con tali «padrini», Sindona aveva il diritto di sentirsi protetto e sicuro dell’impunità. Un onesto servitore della giustizia, Ambrosoli, fu lasciato solo, l’unico che con Mario Sarcinelli seppe dire di no ad un piano di salvataggio scandaloso. In un modo o nell’altro entrambi avrebbero pagato con la loro onesta fermezza: l’uno con la vita, l’altro con il coinvolgimento in una allucinante vicenda giudiziaria.

Che tristezza!.
E’ una strategia ad ampio respiro quella che si muove già a metà degli anni Settanta con l’obiettivo di salvare Sindona. Una strategia portata avanti da alcuni uomini di spicco della Loggia P2 di Licio Gelli e da alcuni uomini politici della Dc, tra cui Giulio Andreotti, Gaetano Stammati, Franco Evangelisti, Massimo De Carolis e, sia pure per taluni aspetti marginali, Amintore Fanfani.
Dall’agenda di Rodolfo Guzzi, uno dei tanti difensori di Sindona ma anche uno, scrive Viola, «che seguirà Sindona nelle iniziative più temerarie in aperto contrasto con gli altri avvocati del collegio di difesa», emerge un tourbillon di incontri, spesso convulsi e incrociati, di vari personaggi: Fortunato Federici, influente consigliere d’amministrazione del Banco di Roma, Phiip Guarino, uomo di punta della massoneria americana, amico di Gelli e membro influente del partito repubblicano, Roberto Memmo, un italo-americano al quale i vertici del Banco di Roma chiederanno ad un certo momento di recuperare in Svizzera la lista nominativa dei 500 dietro compenso di centomila dollari. E poi Mario Genghini, Piersandro Magnoni, Mario Barone, L’on. Delfino, Paul Rao jr.
E agli incontri si aggiungono i famosi «affidavit», vale a dire le dichiarazioni giurate in difesa di Sindona. Dichiarazioni rese da Gelli, da Anna Bonomi, da Edgardo Sogno, da Flavio Orlandi, da Carmelo Spagnuolo, all’epoca procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Per quell’«affidavit» Spagnuolo sarà in seguito espulso dalla magistratura. E poi ci sono le pressioni sulla parte sana della Banca d’Italia, le pressioni per far estromettere i magistrati incaricati del caso, le pressioni su Enrico Cuccia, il mago della finanza laica.

Sindona considerava Cuccia all’origine di tutti i suoi mali ma riteneva anche che il progetto di salvataggio non avrebbe potuto avere possibilità di successo senza un concreto appoggio dell’allora potente amministratore delegato di Mediobanca. A Cuccia minacciarono di rapire la figlia, un’altra volta di sterminare l’intera famiglia, per due volte gli appiccarono persino il fuoco al portone di casa. E così Cuccia, che Sindona chiamava con il nome convenzionale di Ermanno, sarà costretto ad andare a New York. Vedrà Sindona ma non aprirà bocca.
Scrive Viola nella requisitoria: «Se Cuccia avesse avvertito le autorità del tenore dei discorsi che Sindona gli aveva fatto nell’aprile ’79 a New York a proposito di Ambrosoli, probabilmente saremmo stati in grado di proteggere adeguatamente l’eroico commissario liquidatore. E’ un dubbio che ci ha sempre assillato, perché se fossimo stati informati a tempo di quanto da anni stava accadendo, avremmo avuto sicuramente un quadro più preciso della situazione e forse avremmo potuto salvare una vita umana».
Il piano di salvataggio di Sindona non è andato in porto. Era un piano di salvataggio che sarebbe stato effettuato a spese della collettività e in cui il bancarottiere avrebbe avuto garantita l’immunità penale. E non è andato in porto per un motivo che rappresenta poi la morale positiva della vicenda Sindona e anche della vicenda Calvi: questo Paese ha avuto dei seri servitori dello Stato i quali hanno resistito nel loro ufficio alle pressioni con la stessa forza con cui ha resistito Ambrosoli. Scrive ancora Viola: «Fu il coraggio civico dell’avvocato Ambrosoli e la determinazione della dirigenza della banca d’Italia, che dopo la discutibile gestione della vicenda Sindona da parte di Carli, seppe ritrovare la sua gloriosa e antica tradizione di autonomia e di rigore morale, ad impedire la commissione di un’ulteriore truffa ai danni dei contribuenti».

Una dichiarazione, quella di Viola, che fa riflettere, deve far riflettere sui significati istituzionali della vicenda Sindona. Perché, in definitiva, la storia di Sindona è la storia di un avventuriero che ha saccheggiato le casse di due banche grazie a una legislazione arcaica, concepita agli albori del capitalismo italiano, e grazie alle manchevolezze della Banca d’Italia, e quella Banca d’Italia a quel tempo guidata dall’attuale senatore democristiano Guido Carli. Una storia che per molto tempo non ha insegnato nulla, dal momento che qualche anno più tardi è stata ripetuta e ampliata da Roberto Calvi con l’Ambrosiano.
Il crack di Sindona non rappresenta la semplice disavventura di un affarista. è i il culmine di un certo modo di fare finanza, di un certo modo di fare politica, di un certo modo di fare economia. Pochi mesi fa ha scritto Giulio Andreotti sulla vicenda Sindona: «Far sì che chi di dovere, senza pressione alcuna, esamini se sia giusto o meno che un qualsiasi complesso fallisca, a mio avviso non è un diritto di chi governa, ma un dovere. Se così non fosse, dovremmo lapidare tutti i governanti - presenti, passati, futuri - per aver ascoltato sindacati, parlamentari, sindaci, comitati di risparmiatori, eccetera, nei quotidiani tentativi di scongiurare crolli».
Una frase molto infelice. Perché Andreotti non sembra fare nessuna distinzione tra i normali interventi per affrontare le crisi aziendali e questi postumi (quando ormai sul piano aziendale non c’era più nulla da salvare) effettuati solo per evitare al signor Michele Sindona gli incomodi di una procedura per bancarotta fraudolenta. Sindona non era un angioletto e lo si sapeva. Cerare Merzagora, senatore a vita e presidente delle Generali, già nel ’72 aveva messo in guardia la Banca d’Italia dall’attività del finanziere di Patti con una lettera indirizzata al Governatore. Ma pur sapendolo, le autorità monetarie e politiche, la Banca d’Italia e il Parlamento, hanno permesso ad un avventuriero di penetrare tanto profondamente nel sistema bancario italiano pur avendo il potere e il dovere di fermarlo per tempo. Già nel ’72 (e quindi due anni prima che le autorità decidessero il ricorso alla liquidazione) la Banca Unione e la Banca Privata Finanziaria si trovavano in una grave crisi di liquidità. Nel ’72 gli immobilizzi raggiungevano infatti i 250 milioni di dollari e nel ’73 sfioravano i 262 miliardi di lire, erano cioè addirittura superiori al 50 per cento dell’intera massa fiduciaria delle due banche. Una crisi di liquidità che aveva costretto Sindona e soci a realizzare grosse speculazioni di dimensioni sempre più grosse, come quelle sulle commodities compiute da Bordoni tramite le società estere dell’Edilcentro.

Si dirà: ma Carli ha bloccato l’espansione di Sindona quando Sindona, nel ’69, aveva acquistato un pacco di azioni dell’Italcementi con l’idea di impossessarsi dell’intero impero di Carlo Pesenti. E quindi dell’Italimobiliare, della Ras, della Provinciale Lombarda, del Credito commerciale e dell’Ibi. è vero, ma era solo il vecchio establishment che difendeva uno dei suoi piuttosto che una difesa del risparmio dall’attacco di Sindona. Tanto è vero che, mentre Sindona veniva bloccato su questo fronte, nello stesso tempo veniva lasciato libero di fare quello che voleva nelle sue banche.
Scrive Viola di Michele Sindona: «Per la sua fantasia criminale, per la sua abilità mistificatoria, per i modi contorti di agire, per la fredda determinazione con cui era solito portare a termine i suoi disegni, Sindona è indubbiamente uno dei criminali socialmente più pericolosi che la storia giustiziaria ricordi. Le componenti costanti che hanno animato le sue azioni, in tutti questi anni, sono state quelle della vendetta, della ritorsione, della menzogna. Fornito di un’intelligenza viva, ma dedita al male, Sindona è un uomo pronto a tutto, a truffare, a ricattare, a ingannare, a minacciare, a mistificare la realtà, a tramare, a uccidere. Un uomo che non si è fermato di fronte a niente, animato solo dalla voglia di rivincita, a tutti i costi, pronto a macchiarsi dei più terribili delitti pur di affermare se stesso. è giunto il tempo che egli risponda dei suoi crimini dinanzi alla giustizia».
La morte di Giorgio Ambrosoli non è stata inutile.

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Storia di una loggia nient'affatto segreta
by STRAGI E STRATEGIE AUTORITARIE Tuesday, Aug. 17, 2004 at 4:24 PM mail:

STRAGI E STRATEGIE AUTORITARIE



Luigi Cipriani, La relazione Anselmi plaude alla Dc.

Storia di una loggia nient'affatto segreta in Democrazia proletaria n.1/1986

" Gelli ha fatto pervenire una lettera nella quale dichiara che la P2 non era una loggia segreta. Niente di più vero! Mentre tutti i segretari di partito, Berlinguer compreso, con Andreotti, Forlani, Fanfani, Craxi e Spadolini dichiararono nel 1983 davanti alla Commissione di non sapere nulla della P2, esistono numerosi articoli di stampa che, a partire dal 1975, parlano diffusamente della loggia.. Possibile che non leggessero L'Espresso? "



La fragile democrazia argentina di Alfonsin ha avuto il coraggio di condannare all'ergastolo l'ammiraglio P2 Massera come uno dei responsabili dell'assassinio di migliaia di oppositori. Nell'Italia "paese più democratico del mondo" si sta invece andando all'ennesima chiusura, senza la individuazione dei veri responsabili, di una vicenda storica che, partita dalla strage di Portella delle ginestre al tentato golpe Sifar del 1964, alla strage di piazza Fontana a Milano, al tentato golpe Borghese, alla Rosa dei venti, al tentato golpe del P2 Fiat Edgardo Sogno, alle stragi di Brescia e dell'Italicus, fino a quelle recenti di Bologna nell'80 e del Natale 84, ha causato centinaia di vittime.

Le analisi storiche di questi avvenimenti hanno sempre individuato come protagonisti i servizi segreti atlantici e quelli nazionali, fascisti, mafiosi e massoni non solo P2, alte gerarchie militari, magistrati, giornalisti, grandi finanzieri e industriali. A tirare le fila si sono sempre trovati gli uomini della Dc che, di volta in volta, hanno provveduto a scaricare ed eliminare personaggi compromessi, impedendo contemporaneamente che si andasse a fondo nelle inchieste.

Gli autori della strage di Portella delle ginestre, Giuliano e Pisciotta, furono eliminati in accordo con carabinieri e mafia. Per il tentato golpe Sifar che vedeva implicato il Presidente della repubblica -il dc Segni- a "pagare" (in seguito prosciolto) fu il solo capo dei servizi De Lorenzo. La storia si ripeterà più tardi per le vicende di piazza Fontana, golpe Borghese, Rosa dei venti di cui voleranno gli stracci dei servizi (Miceli, Maletti, Giannettini) e dei fascisti, peraltro assolti successivamente. Contemporaneamente gli uomini di governo della Dc, Moro con gli omissis, Andreotti, Rumor, Restivo, il socialdemocratico di complemento Tanassi, il presidente atlantico Saragat e il dc Leone impedirono di conoscere le responsabilità politiche delle stragi con il segreto di stato. Gli uomini della Dc e della P2 operarono anche nel Ministero di giustizia e nella Procura di Roma dove le inchieste avocate furono insabbiate o svuotate fino a concludersi con un nulla di fatto.

Questo modo di operare della Dc, da un lato, ha teso a dare in pasto al parlamento e all'opinione pubblica la "volontà" di colpire i golpisti e le cosiddette deviazioni, garantendo dall'altro la continuità della strategia della tensione. La P2 è stato uno dei bracci operativi di un complesso di forze che rappresentano il sistema di potere democristiano nei quali si sono intersecati, negli anni, i vari alleati di governo. Possiamo ricordare le lotte per la conquista della Rizzoli, il traffico di armi e droga, il caso Eni-Petromin, il caso del petroliere Monti della Nazione e del Resto del Carlino, la grande truffa dei petroli e via dicendo.

La strategia dell'insabbiamento e dell'attacco ai magistrati che hanno osato andare a fondo nelle inchieste prosegue. Il giudice Palermo, accusatore di Craxi, è stato costretto ad abbandonare la magistratura, altri che hanno smascherato mafiosi legati alla Dc sono stati assassinati. Il giudice Nunziata che sta indagando sulla strage di Natale, mentre ancora una volta stanno emergendo responsabilità di servizi, mafiosi e fascisti viene in questi giorni sottoposto a provvedimento disciplinare e Craxi gli ha opposto il segreto di stato. Dopo undici anni, la magistratura ha deciso di chiudere la vicenda dei cinquecento esportatori di capitale che operarono con Sindona. I responsabili del Banco di Roma che restituirono loro le perdite -tra le quali un milione e mezzo di dollari dello Ior- sono stati amnistiati. Curiosamente i quotidiani, dando la notizia, hanno anche fornito alcuni nomi emersi durante l'inchiesta, dimenticando che nel 1978 emerse anche quello di Licio Gelli, assieme a quello del procuratore generale di Roma Carmelo Spagnuolo e all'amministratore della Dc Filippo Micheli.

Inopinatamente, in pieno clima natalizio, si torna a parlare della P2: Licio Gelli si appresta a tornare in Italia per costituirsi. Dall'Uruguay fanno sapere che l'archivio Gelli è scomparso e Andreotti, che di quell'archivio è il "proprietario" (incaricato di distruggere i 175.000 fascicoli Sifar e dell'ex Ovra di Mussolini non lo fece, affidandone una buona parte a Gelli) è preoccupato.

I magistrati di Bologna accusano della strage del 2 agosto Gelli, Musumeci e Belmonte del Sismi, piduisti provenienti dalla Pastrengo -il cui comandante Picchiotti P2 divenne vicecomandante dell'Arma e Palumbo P2 comandante del gruppo di Milano. Vengono incriminati anche Delle Chiaie e Fachini. Il rischio è ora che, nonostante il passo avanti, l'inchiesta si fermi a Gelli, ad alcuni generali felloni e alla manovalanza fascista. Va ricordato che il 1980 fu l'anno dei licenziamenti alla Fiat, della marcia dei quarantamila, dell'intervista di Gelli al Corriere. Il 1980 chiudeva la fase dell'unità nazionale ed apriva quella della restaurazione Fiat-Dc-Psi.

Ora il governo, improvvisamente, nel pieno della discussione finanziaria, per mettere il coperchio sulla P2 decide di portare in Parlamento, dopo due mesi di sonno, la discussione sulla relazione Anselmi. I tempi della discussione vengono ristretti ma, quel che è peggio, ancora una volta -e con l'approvazione del Pci e della Sinistra indipendente- si avvalla una relazione che esclude le responsabilità politiche della Dc nella vicenda P2. Anzi, la Dc viene indicata come vittima dei tentativi di golpe della P2 e Andreotti diviene addirittura il salvatore della democrazia, perché nel 1974 denunciò -per bruciarlo- Giannettini quale agente del Sid di Miceli.

Tutto ciò è gravissimo anche perché gli uomini della P2 sono tuttora ai loro posti ed il loro progetto politico sta procedendo, vedendo come protagonisti la Fiat e il pentapartito. La relazione Anselmi, oltre a scagionare la Dc, non nomina neanche il ruolo svolto dal Vaticano e dallo Ior nel Banco ambrosiano e come finanziatore dei golpisti per mano di Sindona e della Continental Illinois bank, dove operava Marcinkus.

Durante il dibattito parlamentare, Gelli ha fatto pervenire un dossier ed una lettera nella quale dichiara che la P2 non era una loggia segreta. Niente di più vero! Mentre tutti i segretari di partito, Berlinguer compreso, con Andreotti, Forlani, Fanfani, Craxi e Spadolini dichiararono nel 1983 davanti alla Commissione di non sapere nulla della P2, esistono numerosi articoli di stampa che, a partire dal 1975, parlano diffusamente della loggia.

A titolo di esempio riportiamo stralci di un articolo apparso su L'Espresso il 23 gennaio 1977 a firma di un massone, Roberto Fabiani, riguardante la questione delicatissima della nomina dei capi di stato maggiore della difesa e delle tre armi. Scriveva Fabiani: "La regia delle operazioni per la sostituzione è stata assunta da un personaggio che non è ministro né generale né funzionario dello stato: un cittadino qualunque. Si chiama Licio Gelli. Di lui negli ultimi due anni è stato scritto molto: che è massone e guida una loggia segreta, la crema della finanza, dell'esercito, della magistratura e della burocrazia"; che a questa loggia appartengono quasi tutti coloro che sono stati in odore di aver pensato colpi di stato; che è amico di Sindona e che, per difenderlo, ha fatto scendere in campo altri amici influenti. Rincarando, scrive ancora Fabiani: "Non è stato scritto che uno dei suoi hobby preferiti è quello di spostare generali, promettere posti, tracciare organigrammi. Né che è interlocutore abituale e ascoltato del presidente del Consiglio, Giulio Andreotti".

Che ne dice Andreotti? Sorprende che il ministro degli interni Pci Pecchioli, così attento alle nomine dei militari, non si fosse accorto di nulla (tanto più che Gelli era conosciuto nel Pci di Pistoia, quando lo salvarono dalla fucilazione nel 1946). Possibile che non leggesse L'Espresso? E intanto il nostro ministro degli esteri Giulio Andreotti, prima di Natale, è partito per l'Argentina e sulla via del ritorno si fermerà in Uruguay. Che va a fare Andreotti in Uruguay?

Molto probabilmente, ad accertarsi che il famoso archivio Andreotti-Gelli, custodito nella villa bunker che costui possiede a Montevideo, sia tutt'ora ben custodito dai generali fascisti uruguaiani recentemente estromessi dal potere. A Montevideo Andreotti potrebbe incontrare anche l'alterego di Gelli, l'avvocato Ortolani che egli conosce molto bene perché entrambi fanno parte dei Cavalieri di Malta, di stretta osservanza vaticana.

A gennaio riprende il dibattito P2. Dobbiamo smascherare la versione Anselmi.

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Recensioni librarie
by Galileo Tuesday, Aug. 17, 2004 at 4:26 PM mail:

Recensioni librarie

di opere con prima edizione nel 2002

GIUSEPPE FERRARA

L'ASSASSINIO DI ROBERTO CALVI

(In appendice: lettere di Carlo Calvi e il testo del film "I banchieri di Dio")

MASSARI EDITORE, Bolsena (Vt), 2002, pagine 160, Euro 11

E' un testo molto interessante che illustra in maniera chiara le responsabilità del Vaticano nella bancarotta del Banco Ambrosiano ed in altre operazioni spionistiche e criminali. Il libro è purtroppo privo sia dell'indice dei nomi che dei luoghi e ciò ne rende difficile l'analisi, specialmente per quanto riguarda l'inquadramento del ruolo di importanti personaggi, come per esempio Andreotti.

Il disegno politico reazionario portato avanti da Licio Gelli e dalla loggia P2 aveva il suo principale punto di appoggio in Vaticano nel presidente dello IOR, la banca del papa, Paul Marcinkus. Il referente politico più noto era Giulio Andreotti, molto introdotto in Vaticano, il cui ruolo criminoso è evidenziato sia nel testo che nel film. Per molti anni Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, fu spremuto come un limone regalando miliardi per le più spregiudicate operazioni guerrafondaie, di spionaggio e sabotaggio senza che, ovviamente, la sua banca recuperasse alcunché delle cifre date. Il tutto, è chiaro, su mandato del Vaticano che, tramite società fantasma domiciliate nei paradisi fiscali dei Caraibi, era il vero padrone di questa banca!

A questo punto si inseriscono i maneggi per il rinnovo del concordato tra Italia e Vaticano: tra le contropartite richieste dai partiti presunti laici, PSI e PCI, al Vaticano per non creare disturbi vi furono anche un bel gruzzolo di miliardi che il solito Calvi sborsa, su input della santa sede, a favore di questi due partiti. Grazie anche ai miliardi regalati da Calvi a PSI e PCI nel 1984 fu approvato un vergognoso concordato per certi aspetti peggiore di quello clerico-fascista del 1929 (vedi per esempio l'ora di religione per i bambini di tre anni nelle scuole materne statali).

Grazie ai miliardi prestati da Calvi all'Argentina, e mai resi, la chiesa si arrogò privilegi su privilegi in questa nazione al punto che al papa fu addirittura permesso di dire messa alla Casa Rosada, sede del Presidente della Repubblica (è come se nei suoi viaggi in USA si fosse concesso al papa di dire messa alla Casa Bianca).

La responsabilità principale della bancarotta del Banco Ambrosiano è del Vaticano poiché, come risulta dai verbali del Consiglio di Amministrazione, le sue consociate estere avevano un'esposizione, nei confronti di entità facenti capo allo IOR, dell'ordine di un miliardo di dollari, di cui circa duecento milioni direttamente nei confronti dello IOR.

Calvi, che incautamente si era prestato ai giochi sporchi del Vaticano, ormai era solo un testimone scomodo da far sparire ad ogni costo anche perché, per salvarsi, si era rivolto all'Opus Dei, ricchissima organizzazione reazionaria cattolica, malvista in settori del Vaticano. Rosone, il vice Presidente del Banco Ambrosiano, viene ferito da un noto malavitoso romano della banda della Magliana, legata ad ambienti politici di destra ed infine lo stesso Calvi viene ucciso tramite strangolamento a Londra da ignoti sicari, a pochi passi da una banca dell'Opus Dei.

Anche l'attentato al papa, ritenuto troppo vicino all'Opus Dei, è richiamato nel testo per attribuirlo a losche trame intracuriali. E' del resto notorio che il papa regna ma non governa, chi comanda veramente in Vaticano è una cricca di potere cui il pontefice non deve dare troppo fastidio, pena la sua eliminazione, in un modo o nell'altro. La bieca ipocrisia del clero emerge chiaramente nel fatto incredibile che Marcinkus obbligò Calvi a firmare contemporaneamente delle lettere finanziarie le quali attestavano l'una il contrario delle altre.

Piero Marazzani, settembre 2002

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KARLHEINZ DESCHNER-HORST HERRMANN

ANTICATECHISMO (200 ragioni contro le chiese e a favore del mondo)

MASSARI EDITORE, Bolsena (Vt), 2002, pagine l60, Euro 11,36

E' un testo articolato sotto forma di domande, e più o meno ampie risposte, suddivise per argomento e facilmente rintracciabili ne11'indice generale grazie alla loro sistematica numerazione. Ricca la bibliografia che si compone di oltre duecento testi datati fra il 1879 e il 1990, anno in cui il libro è stato pubblicato in Germania.

Il mestiere clericale porta inevitabilmente a giocare con l' ignoranza altrui ma la disonestà del sacerdote si può smascherare e questo testo è molto utile in tal senso grazie alla chiarezza e concretezza. Vi si dà ampio spazio alle milioni di vittime che il cristianesimo ha sulla coscienza, specialmente da parte catto1ica. Tra i massacri citati ricordiamo quello poco noto dei samaritani, sterminati in Palestina nel V secolo per ordine degli imperatori bizantini. E' vero che Giovanni Paolo II ha espresso riprovazione e chiesto perdono per alcuni crimini papisti ma con evidenti lacune e contraddizioni che ne inficiano ogni credibilità: per esempio gli autori citano il fatto che , nessun santo padre ha "espresso compianto" per i circa 750.000 serbi assassinati dai cattolicissimi croati nel 1941-l944 né chiesto scusa per i 240.000 convertiti a forza. Il dettaglio del testo è quello di un anticlericalismo molto duro che indulge spesso alla satira, la chiesa cattolica è frutto di una colossale serie di invenzioni che ad una verifica storico-critica si rivelano del tutto inconsistenti. Ad esempio che Pietro sia stato il primo pontefice è storicamente falso così come il parto verginale della Madonna, ripreso pari pari da miti di età classica ecc. L'azione antifemminile della gerarchia cattolica è bene evidenziata nella risposta alla domanda: "perché le donne hanno vita dura nella chiesa?" La verità è che il Vaticano è una delle roccaforti del patriarcato e della misoginia clericale e non a caso proprio da lì partì la caccia alle streghe con una bolla di Innocenzo VIII. La bestiale voluttà degli inquisitori giunse spesso al punto di denudare le povere vittime per cercarvi le famigerate zone insensibili al dolore o i cosiddetti marchi delle streghe. La satira degli autori si scatena a proposito delle reliquie, settore nel quale gli abusi della credulità popolare superarono ogni limite: si accenna tra l'altro ai 19 santi cui sono attribuiti, sparsi tra chiese e cappe11e, ben 121 teste e 136 tronchi. La degenerazione morale della curia romana è denunciata a proposito della finta castità di preti e frati la quale nasconde per lo più un' attività sessuale sfrenata che attrasse nella Roma papale migliaia di prostitute: per esempio nel 1490 su 100.000 abitanti c'erano 6.800 meretrici. Pio II disse al re di Boemia che la chiesa non poteva vivere senza un accurato sistema di postriboli. Anche la dottrina sociale della chiesa è in realtà una mistificazione che nasconde una precisa scelta di classe filopadronale: le diocesi, i conventi, i cardinali ma soprattutto i papi sono ricchissimi e quindi, non possono che stare dalla parte di coloro che difendono i ceti proprietari ( si cita nel testo una poco nota indagine di Lenin sui 1ibretti bancari russi). Le complicità della chiesa con i nazisti sono documentate con il rigore di chi vi ha assistito, il Deschner è nato nel 1924, e non ha problemi a fare nomi e cognomi di vescovi e cardinali compromessi col regime hitleriano.

Concludo con una frase del prete dissidente italiano Giuliano Ferrari, riportata nel testo a pag.145: "la chiesa cattolica è la maggiore e più sporca impresa d'affari del mondo!"

Piero Marazzani, settembre 2002

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KARLHEINZ DESCHNER

STORIA CRIMINALE DEL CRISTIANESIMO

Tomo III - LA CHIESA ANTICA (Falsificazione, istupidimento, sfruttamento, sterminio)

ARIELE EDIZIONI, Milano, 2002 (1990 in Germania), pagine 523, Euro 21

E' un'analisi globale documentatissima (oltre mille note bibliografiche e altrettanti testi citati nella bibliografia secondaria a cura di Katia Deschner, un indice dei nomi fitto di ben 22 pagine) delle turpitudini clericali dell'epoca paleocristiana. Si parte da un'accurata critica antibiblica che ne denuncia le falsificazioni, interpolazioni, contraddizioni, incongruenze, forzature interpretative e soprattutto la mancanza di basi certe e incontrovertibili poiché sono spariti i vangeli originali: per secoli la chiesa cattolica ha tentato fraudolentemente di spacciare due vangeli di Marco scritti in latino come i veri originali ma poi si è dovuta arrendere all'evidenza che tutto il nuovo testamento è scritto in greco o in aramaico e solo molto tempo dopo lo si è tradotto in latino. La veridicità storica dei vangeli è contestata con solidi argomenti, la stessa reale esistenza di Gesù è molto dubbia, non regge ad una seria critica storica ed in ogni caso l'autore ne attacca la presunta natura divina. Vi è poi, a provocare ancora più confusione in una materia già poco chiara, la questione delle decine di vangeli apocrifi artificiosamente risolta a colpi di sentenze conciliari senza alcuna esegesi dei testi. In sostanza si presero quei quattro vangeli, che erano più utili ai fini di potere delle chiesa cattolica, escludendo arbitrariamente gli altri.

Le errate profezie di Cristo su un suo prossimo ritorno, ancora viventi i suoi apostoli, costituiscono una prova evidente della sua falsità. La sua nascita da una vergine è una trita favoletta troppo simile a tante altre storie similari presenti in tutte le religioni antiche per essere creduta: il culto mariano non è altro che una invenzione al fine di riciclare antichissimi culti pre-cristiani. Falsificazioni sono documentate relativamente ai nomi degli autori di scritti paleocristiani, al loro contenuto, alla loro datazione, al tempo e luogo di redazione etc. Insomma per l'autore siamo davanti ad un "mare magnum" di falsificazioni ordite dal clero contro cui si scaglia con dure espressioni: "ipocriti", "teorizzatori di menzogne", "fraudolenta costruzione", "canagliate" etc.

La chiesa antica propugnò un vero e proprio "istupidimento" delle masse popolari distruggendo la cultura antica a colpi di incendi di intere biblioteche, incarcerando ed uccidendo filosofi, chiudendo scuole ed accademie, demolendo insigni monumenti e opere d'arte. Nel testo sono citati i nomi dei liberi pensatori che nei secoli IV e V cercarono di mantenere spazi culturali non controllati dalla chiesa: Ipazia, Sopatro, Ierocle e altri i cui scritti sono stati, ovviamente, fatti sparire dai "teppisti clericali". Identica triste fine fecero numerose sette cristiane accusate di eresia e sciolte dal governo imperiale romano a colpi di carceri, esilii e patiboli. Alla scienza antica si sostituiscono le scemenze più incredibili come il culto macabro di parti cadaveriche, oltretutto commettendo anche in questo campo abusi di ogni genere: commerci scandalosi, falsi, furti, abusi della credulità popolare (esempio: il culto del prepuzio di Cristo). I settori più fanatici del clero erano rappresentati dai monaci le cui terribili violenze contro gli eterodossi e contro loro stessi, tramite ascesi spietate, sono esaminate accuratamente dall'autore.

La schiavitù non fu affatto eliminata dall'avvento del cristianesimo ma anzi, al contrario, la legislazione in materia voluta dall'imperatore cristiano Giustiniano fu tenuta presente nel millennio successivo per giustificare la schiavitù dei popoli amerindi e africani. Tuttavia, conclude l'autore, come in passato avvenne per il paganesimo anche il cristianesimo vegeterà fino all'esaurimento: la fase dello sviluppo della nostra specie umana, che ha visto il trionfare delle religioni rivelate, volge al termine e questo testo può servire a fare aprire gli occhi alle masse ingannate.

Piero Marazzani, dicembre 2002

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PIERO MARAZZANI

LE DISGRAZIE DEI PAPI

EDIZIONI LA FIACCOLA, Ragusa, 2002, pagine 156, Euro 7,75 (Per informazioni: tel. 02/3506411-0931/839849)

Il prestigio papale si regge su una sistematica falsificazione della storia della chiesa, perpetrata soprattutto nei libri di testo in uso nelle scuole, citandone solo gli aspetti favorevoli ed omettendo invece misfatti e disgrazie. E' proprio quest'ultimo poco noto aspetto della storia della chiesa che si occupa il presente testo.

La satira degli anticlericali del passato si è già più volte rivolta a sottolineare l'evidente contraddizione tra la pretesa papale di rappresentare Dio su questa terra e l'assenza di segnali di una qualunque particolare predilezione o buona fortuna riscontrabile in duemila anni di pontificati romani. Anzi, semmai, le incredibili disgrazie che hanno colpito i papi sembrerebbero evidenziare una qualche "maledizione di San Pietro" che colpisce i papi, le loro famiglie e i loro fautori politici. Chi dubita di tale affermazione non ha che da leggere questo testo, che comprende tutti i papi da Pietro a Giovanni Paolo II, per rendersene conto.

Nel secolo XX si sono verificati alcuni dei casi più clamorosi: i due firmatari dei concordati italo-vaticani, Craxi e Mussolini, sono morti entrambi in circostanze assai tristi esattamente a 16 anni di distanza dalla firma. Per non parlare di Goria, il presidente del consiglio che siglò l'accordo sull'ora di religione, morto a soli 50 anni. Ma il caso più clamoroso è quello che ha coinvolto la famiglia cattolica dei Kennedy, bersagliata da una serie incredibile di disgrazie tanto che più volte la stampa ha titolato su una presunta maledizione che graverebbe su di loro: ebbene, questo testo documenta il particolare trattamento privilegiato che il Vaticano ha sempre riservato loro, con quali risultati calamitosi tutti possono constatare!

I papi sono ben consci delle terribili sventure che hanno colpito quasi tutti i loro predecessori, specialmente quelli dell'epoca paleocristiana e medievale e quindi, sia per una forma evidente di superstizione, sia per nascondere ai fedeli tali calamità che potrebbero ingenerare sfiducia nell'istituzione ecclesiastica evitano come la peste di chiamarsi con i nomi dei papi più disgraziati. Siamo così nell'assurda situazione che, per esempio, il nome Stefano, primo martire della storia della chiesa, che identificò ben 10 papi prima del 1058, da allora in poi nessun pontefice ha mai più avuto il coraggio di riprenderlo: il motivo è chiaro, basta guardare la tabella dei papati più brevi a pagina 9, ci sono ben tre Stefano tra quelli morti nel primo anno di pontificato e tale nome guida la classifica dei papi più scalognati di tutti i tempi. Infatti Stefano II morì dopo solo due giorni dalla sua elezione! Se si guardano i nomi dei primi sette pontefici di questa macabra classifica si vede che dal secolo XVII nessun papa ha mai più voluto chiamarsi come loro. Se non è superstizione questa!

Ciò costituisce altresì un'evidente prova della falsità dell'istituzione pontificia: il fatto che i papi scelgano i loro nomi con criteri non religiosi ma profani. Evidente il caso di Giovanni XXIII, il cui nome costituisce una prova inequivocabile di superstizione: essendo papa Roncalli eletto già ultrasettantenne scelse di chiamarsi Giovanni, richiamandosi al longevo Giovanni XXII (1316-1334) morto a 89 anni dopo 18 anni di pontificato, augurandosi un analogo lungo pontificato che però non si verificò.

I papi evitano rigorosamente non solo i nomi dei pontefici morti prematuramente ma anche quelli dei pontefici morti in odore di eresia o sospettati di avere svolto azioni contro la chiesa stessa: è il caso di Clemente XIV che sciolse l'ordine dei gesuiti. Il suo gesto lasciò una cos' pessima memoria fra i suoi successori che nessuno ha più voluto chiamarsi come lui! Eppure il nome Clemente è sempre stato uno dei prediletti dai papi. Il nome del papa dell'anno mille, Silvestro II, ritarda da mille anni poichè fu accusato di coltivare interessi esoterici e quindi di natura ereticale.

Alcuni nomi rimangono negletti poiché ricordano fatti di natura scandalosa per il papato: è il caso di Celestino V (1294) che abdicò dopo pochi mesi e di papa Formoso (891-896) che fu riesumato dalla sua tomba, processato, mutilato e gettato nel Tevere.

Massimo Monti, ottobre 2002

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PIERO MARAZZANI

CALENDARIO DI EFFEMERIDI ANTICLERICALI 2003

Dodicesima edizione, Euro 4,00, EDIZIONI LA FIACCOLA, Noto (Siracusa), 2002

Continua la vasta opera di ricerca storica dello scrittore bollatese Piero Marazzani, volta a raccogliere in ordine cronoligo i numerosi misfatti di cui si è macchiato il cattolicesimo nel cosro della sua lunga storia.

Gli argomenti trattati sono i più vari: vandalismi, clerico-fascismo, clerico-nazismo, clerico-capitalismo, antisemitismo, stragi varie, roghi di streghe e di eretici, pedofilia, schiavismo, torture, roghi di libri e scritti vari, etc. Sono ben 350 i misfatti contemplati nel calendario di quest'anno che non erano presenti nelle precedenti edizioni.

Le rubriche sono tutte rinnovate:

detti anticlericali: crimini e misfatti del clero denunciati da filosofi, scrittori, femministe, preti scomunicati, scienziati, eretici, storici, politici etc.

poesie anticlericali: crimini e misfatti dei papi e del clero hanno spesso ispirato i poeti sia satirici sia critico-filosofici.

preti e prelati degenerati: rubrica riservata a quegli esponenti del clero che si sono distinti per le loro nefandezze; tra gli altri segnalo il cardinal Innocenzo del Monte, duplice assassino, Ciro Annichiarico, sacerdote assassino per motivi passionali e poi divenuto un famoso brigante sanguinario, Giacomo Richi, prete adultero sodomita e pedofilo etc.

spulciando qua e la nella storia della chiesa: denuncia i più diversi misfatti clericali di cui non si conosce la data precisa; tra gli altri segnalo un frate sacrilego napoletano colpevole di furto di oggetti sacri in una chiesa, condannato a morte previa amputazione delle mani.

vittorie anticlericali: illustra con dovisia di dati statistici il calo della religiosità in Italia e in buona parte del mondo, tra cui la grave crisi dell'Azione Cattolica in Italia e della chiesa in USA, scossa dallo scandalo dei preti pedofili.

Utilissimo il catalogo scelto dei libri anticlericali delle Edizioni La Fiaccola 1960-2002, riportato in ultima pagina.

Le illustrazioni di quest'anno sono tutte dedicate ai misfatti del beato Pio IX, uno dei papi più crudeli della storia della chiesa: ghigliottinatore, fucilatore, incarceratore, esiliatore, socmunicatore, protettore di briganti e delinquenti di ogni risma, sequestratore di bambini ebrei, ghettizzatore.

Tra le date più curiose segnalo: 25 febbraio 1942, si svolge a Patrinja una cerimonia clerico-fascista per la conversione forzata al cattolicesimo dei fedeli ortodossi residenti in questa località della Croazia; 12 maggio 1570, il frate elvetico Matteo da Pastena, ricolgendosi ai padri inquisitori che lo stavano torturando, disse loro "fate queste cose e dite la messa?"; 5 luglio 1941, i cattolici, con il silenzio/assenso del clero, assassinano a colpi di mazza, affogandoli o bruciandoli vivi circa 1200 ebrei di Wasosz nel nord della Polonia; 19 settembre 1396, i teologi della Sorbona sanciscono ma natura ereticale di ogni forma di magia, che quindi diventa punibile con la pena di morte previa atroce tortura; 25 ottobre 1867, eccidio della famiglia Tavani-Arquati, perpetrato dagli zuavi e dai gendarmi pontifici a Roma.

In alcune date sono state inserite delle "disgrazie" per controbattere l'asserito potere protettivo disanti patroni, angeli custodi e via fantasticando.

PER RICHIESTE TELEF0NARE ALL'AUTORE TEL 023506411

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Redazionale del Circolo, Dicembre 2002

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SAVERIO RICCI

IL SOMMO INQUISITORE

(Giulio Antonio Santori, tra autobiografia e storia,1532-1602)

SALERNO EDITRICE, Roma, 2002, pagine 443, Euro 23

Questo ampio testo biografico su uno dei più noti cardini dell'Inquisizione romana del secolo XVI riconferma pienamente la natura terroristica e omicida della chiesa cattolica. Nel libro sono infatti chiaramente riportati gli scritti di questo cardinale in cui si teorizza l'assassinio dei dissidenti:"bisogna imprigionare e bruciare gli eretici...uccidere gli ostinati e atrocissimi nemici". Inoltre tali omicidi di Stato devono essere attuati in modo da spaventare il popolo e quindi quale modalità più efficace del bruciare viva una persona nelle piazze cittadine, previo avviso a tutta la gente?

Ma non basta, l'eretico di turno viene quasi sempre torturato e i suoi beni sequestrati con grave danno per la sua innocente famiglia. Solo pentendosi e denunciando altri dissidenti l'eretico recidivo può ottenere il "privilegio" di morire con meno dolore, impiccato o decapitato a seconda del lignaggio, per poi subire la combustione del suo cadavere. Chi è riuscito a fuggire in tempo è condannato a morte in contumacia e in piazza viene arso un fantoccio recante le sue generalità. Gli eretici che vivono all'estero sfuggono ai processi dell' Inquisizione romana ma non ai complotti omicidi dei nunzi pontifici o delle locali fazioni filocattoliche. La famosa strage di san Bartolomeo del 1572 provoca in papa Gregorio XIII "lieto stupore alla notizia del massacro" fra cristiani: per festeggiare il pontefice, con tutti i cardinali, si reca in processione a san Luigi dei Francesi ove celebra una messa solenne, ordinando di coniare una medaglia commemorativa della strage.

Il testo ci informa di tre rivolte popolari contro l'Inquisizione avvenute a Napoli nel 1547 e nel 1564 e a Roma nel 1559, alla morte di Paolo 1V. Purtroppo non sortirono risultati se non quello di un'ulteriore militarizzazione del1'Inquisizione, i cui esponenti giravano sempre scortati da guardie armate.

La più nota vittima condannata a morte da questo inquisitore fu il filosofo Giordano Bruno. Il testo riporta scritti non processuali di Santori in cui si teorizza l'eterodossia di tutti i filosofi:"fra di loro a stento si troverà un vero cristiano, quanto piuttosto molti eretici". L'autore chiarisce il motivo dell' avventato ritorno di Bruno in Italia e cioè l' erronea fama di uomo mite, aperto e colto attribuita a papa Clemente VIII. Ma per quanto riguarda il processo e la condanna del nolano questo testo non ci dice nulla di nuovo.

L'ipocrisia omicida della chiesa cattolica a proposito delle condanne a morte degli eretici è ben spiegata dall'autore: l'Inquisizione non condanna formalmente nessuno alla pena capitale ma persegue il medesimo scopo affidando i soggetti ribelli alle 1eggi degli Stati che prevedono la pena di morte. La doppiezza del papato è particolarmente evidente a Roma dove 1'Inquisizione, composta da cardinali e frati, affida le condanne a morte al governatore dell'Urbe, nominato direttamente dal papa di cui è quasi sempre un parente o fedelissimo seguace.

Il testo illustra la vergognosa prassi nepotistica seguita sia a Roma che nel regno di Napoli per cui, anche dopo il concilio di Trento, si continuavano a to11erare vescovi di 22 anni, canonici di 12 anni, diocesi che passavano da zio a nipote ecc. La carriera di Santori fu agevolata da svariati parenti piazzati ad alti livelli nel mondo clericale, sotto Gregorio XIII vi fu uno degli ultimi casi di figli di papi nominati ad alte cariche nello Stato della chiesa. Le cricche politico--familiari che controllavano il papato si combattevano fra loro a colpi di calunnie, complotti e perfino veleni, come nel caso della precoce morte dell' arcivescovo di Napoli cardinal Carafa. La superbia sfrenata dei pontefici giunse al punto di farsi baciare entrambi i piedi perfino da1l'anziana madre del cardinal Santori, giunta in pellegrinaggio a Roma da Napoli.

Da segnalare l'amplissima bibliografia e l' indice analitico con 15 citazioni di Giordano Bruno.

Piero Marazzani, novembre 2003

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GIUSEPPE LANZAVECCHIA, MASSIMO NEGROTTI

IN DIFESA DELLA SCIENZA, ETICA DELLA RAZIONALITÁ E SENSO COMUNE

LIBRI SCHEIWILLER, Milano, 2002, pagine 202, euro 15,00

Il testo si divide in due parti "Patologie del Novecento" di Massimo Negrotti e la "Società della conoscenza" di Giuseppe Lanzavecchia. In entrambe si parte da presupposti razionalisti per riaffermare l'assoluta necessità di una difesa dell'autonomia della scienza da ogni intromissione dogmatica, in primo luogo religiosa. Si identifica nella cultura del dubbio e della critica la base della vera conoscenza la quale non può svilupparsi correttamente in stati teocratici in cui non vi è separazione fra chiesa e stato.

La persuasività della scienza è resa possibile dal metodo scientifico, conquistato nei secoli XVI e XVII, superando l'ostilità dell'Inquisizione, dalle "evidenze" di laboratorio e dalla coerenza delle teorie. É comunque utile che la scienza non si separi drasticamente dalla cultura umanistica per mantenere una visione universale del divenire dell'umanità e per rimettersi sempre in discussione: il pensiero critico può e deve essere sempre anche autocritico.

La razionalità scientifica è il risultato di un lungo e faticoso processo di emancipazione non solo dall'ignoranza ma anche e soprattutto dalle insufficienze del senso comune, all'interno del quale allignano incrostazioni e pregiudizi di matrice religiosa. Il metodo di ricerca avviato da Galileo può contribuire a dare qualche contributo aggiunto, anche al di fuori dell'ambito strettamente scientifico, migliorando il senso comune soprattutto tramite i mass media e con riferimento particolare anche alle scienze statistiche. La cultura italiana, sebbene abbia dato i natali a illustri studiosi di queste materie, ha per lungo tempo sottovalutato l'importanza e l'utilità del metodo statistico col risultato che parole come variabilità, significatività o probabilità composta sono del tutto estranee al lessico comune.

Nel testo vi sono due importanti riferimenti a Giordano Bruno: nel primo lo si cita all'interno di un discorso sui rapporti tra religione, filosofia e scienza, ancora di profonda attualità. Nel secondo si evidenzia la giusta visione del Cosmo infinito sostenuta da Bruno, che con coraggio ruppe con le vecchie e sbagliate concezioni cristiano aristoteliche. Il filosofo nolano ebbe un ruolo importante nel far partire un processo di pensiero che portò a quelle, così definite nel testo, "conquiste eretiche" tra cui il già citato metodo scientifico.

La separazione fra chiesa e stato fu una fondamentale conquista dell'uomo occidentale, da cui acquisì una forza straordinaria fondata sulla libertà della critica. Così poté a poco a poco liberarsi dalle tenebre dell'ignoranza, della superstizione, dell'oscurantismo, dell'antropomorfismo religioso. L'uomo con l'Illuminismo uscì da uno stato di minorità attraverso una spietata critica del fatto religioso. La scienza per sua natura è scettica non credendo a nulla che non possa essere osservato e sperimentato anche solo statisticamente. La scienza è una cultura "laica" nel senso che non pretende di stabilire a priori ciò che bene o male, ma affronta i problemi costruendo le conoscenze e gli strumenti per superarli . Nel testo più volte si ricorda come la radice dell'Illuminismo si ritrovi nel pensiero filosofico/scientifico dell'antica Grecia, che fu poi coartato e soppresso dal cristianesimo: si è così dovuta sviluppare una "faticosa riconquista" della scienza dal Rinascimento in poi. Il libro prende anche posizione sulla tematica evoluzionista riaffermando l'origine comune della linea evolutiva umana con quella delle scimmie antropomorfe africane. Le più recenti ricerche sulla variabilità genetica delle popolazioni confermano l'unica origine africana della specie umana.

Piero Marazzani, dicembre 2003


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Il primato della morale sulla politica
by TATò ED ENRICO BERLINGUER Tuesday, Aug. 17, 2004 at 4:40 PM mail: domenica@opinione.it

Il primato della morale sulla politica
L’inizio della fine della Prima Repubblica

La questione socialista entrò in modo preponderante all’interno del dibattito del Pci. I diversi punti di vista dei dirigenti comunisti su Bettino Craxi acuiva lo scontro interno. Antonio Tatò chiedeva con insistenza a Berlinguer la resa dei conti con la destra amendoliana per rafforzare la di lui segreteria e linea politica. Il compito del leader comunista non era per nulla facile, dato che la presenza “socialdemocratica” nel partito, nel sindacato e negli organismi unitari di massa era molto radicata. Da dove doveva partire Berlinguer per iniziare, secondo il suo collaboratore, a smantellare l’amendolismo sinonimo di socialdemocrazia?
In primo luogo, dalla politica economica tutta incentrata sull’inflazione le cui cause ed effetti sociali e politici venivano trascurati dagli eredi di Giorgio Amendola. In questa ottica bisognava muovere l’attacco, perché analizzando la struttura dell’inflazione si capiva dove stava il marcio. E il marcio stava nella spesa sociale alle stelle, rea di aver creato quel che veniva chiamato comunemente Stato assistenziale. E la lotta contro lo Stato assistenziale non era altro che la lotta contro la Dc. In forza di questa ferma convinzione Tatò spingeva Berlinguer a dare una spallata per far cadere il governo Forlani, “un governo di pasticcioni, di imbecilli, di avventurieri, di dissipatori, di ladri e corrotti”. Basta e avanza.
Le colpe maggiori della stretta economica, Antonio Tatò le faceva cadere sul ministro Beniamino Andreatta la cui politica monetarista si faceva sentire pesantemente sulle masse lavoratrici. Mentre il ministro Dc portava avanti la sua politica antipopolare, i ministri socialisti mantenevano “aperta la valvola per spendere i soldi allo stesso modo improvvido di prima”. Costi quel che costi, bisognava invertire questa rotta sciagurata, portatrice di processi di disgregazione della società e delle istituzioni statali. La sua preoccupazione era tale per cui scriveva: “Non possiamo lasciargli fare quello che vogliono, non possiamo aspettare che si logorino ancora di più: si logora tutto, si sfascia il paese, e l’elettorato non credo che possa premiarci per la nostra cautela, per i nostri calcoli a breve, per la nostra pigrizia politica. Il paragone con gli altri partiti, per interrompere l’opera sciagurata…”.
Tuttavia, il governo Forlani non cadde per la sua politica economica, sebbene i contrasti tra la Malfa e Andreatta fossero all’ordine del giorno, ma per la scoperta degli elenchi della Loggia P2 di Licio Gelli. (Alla fine degli anni Settanta, si scoprì che in Italia vi era una potente e seguita Loggia massonica che aveva un “burattinaio”, Licio Gelli, il quale aveva organizzato una rete di potere composta dai massimi vertici delle Forze Armate, dei Servizi Segreti, dell’alta finanza, dell’impresa pubblica e privata, dell’informazione, della magistratura e della politica. Vediamo come definiva la “lobby” di Gelli, Eugenio Scalfari nel libro “L’Italia della P2”: “I campi di attività erano essenzialmente quattro: tangenti, prelevate su affari conclusi da Enti e industrie pubbliche, controllo del credito bancario, illecite esportazioni di valuta, collocamento degli adepti al vertice delle rispettive carriere. L’intervento della P2 era possibile e fruttuoso in ciascuno di questi settori, in quanto ad essi corrispondevano, e corrispondono, altrettante storture della struttura statuale.(…). Il sistema delle tangenti sugli appalti, sui contratti di commesse, sulle licenze e sulle autorizzazioni, sui mutui accordati da istituti di credito pubblici, sulle deliberazioni del governo in materia di prezzi, tariffe e crediti agevolati. (…). I prelievi avvengono di fatto alla luce del sole, sulla base di percentuali prestabilite. E gli esattori li motivano con finalità di finanziare partiti e correnti di partito”. Al di là dei nomi degli affiliati alla Loggia P2 che, certamente, sono importanti per il loro peso nella vita pubblica italiana, a noi interessa conoscere, invece, l’altra faccia della medaglia: perché esplode l’affaire P2 e perché va a finire nelle mani dei magistrati Colombo e Turone della Procura di Milano? Tutto partì, come sempre, dagli Stati Uniti: indagando su Sindona, si arrivò al “materassaio” di Arezzo. L’affaire scoppiò per volontà dell’establishment americano che non vedeva di buon occhio una serie di attività della P2, in special modo il traffico delle armi e gli affari nel campo petrolifero. La P2 svolgeva una politica filoaraba non gradita agli Usa. Quando la Cia venne in possesso della notizia che alcuni personaggi chiave piduisti avevano fornito ad alcuni Paesi arabi informazioni e documenti riservati della Nato, fu la volta buona che gli americani scaricarono Gelli e la P2. Il Pci, sulla vicenda P2, era dentro come un topo nel formaggio, anche se su questo terreno pur di fronte all’evidenza ha sempre negato e fatto la voce grossa per confondere le acque e per zittire gli avversari. Il Partito comunista rientrava nella politica “spartitoria” nazionale attraverso il consociativismo, i suoi interessi erano molteplici in diverse attività: da quelle petrolifere e metanifere di provenienza sovietica a quelle dell’informazione, da quelle dell’import-export con i Paesi dell’est a quelle dei Servizi Segreti).
Craxi, rifiutando di partecipare a un vertice indetto dal Presidente Forlani, l’ennesima verifica delle forze della coalizione, segnò la fine del governo. Il reincarico a Forlani non ebbe molto fortuna. Infatti, il Presidente incaricato seguì il consiglio di Berlinguer, che lo rimproverava di perdere tempo, e dopo pochi giorni egli desistette dal formare l’esecutivo.
A questo punto, il Capo dello Stato, Sandro Pertini, pensò alla soluzione laica.
Dopo Leo Valiani e Bruno Visentini, emerse il nome di Giovanni Spadolini, a cui andavano non solo l’appoggio dei cinque partiti, Dc, Psi, Pli, Pri e Psdi, ma anche quello dei cosiddetti “poteri forti”, i settori molto ampi dell’economia, dell’informazione e della cultura.
Il tentativo del leader repubblicano riusciva in pieno e la Dc perdeva la presidenza del consiglio.
Il pentapartito di Spadolini contava su una forte e larga maggioranza a prova di bomba.
L’esperienza governativa servì a Spadolini per aumentare la sua popolarità.
In pieno agosto del 1981 i franchi tiratori democristiani contribuivano alla bocciatura di un decreto di Rino Formica, ministro delle Finanze, in continua polemica con Nino Andreatta, sulle questioni riguardanti la riduzione degli agi fiscali e delle agevolazioni ai petrolieri. Il Psi, che puntava alle elezioni anticipate in ottobre, ritirava la delegazione socialista, ma davanti alle molteplici difficoltà che non permettevano di portare a caso lo scioglimento delle Camere, si piegava di fronte alla realtà e permetteva a Spadolini una riedizione del governo identico al precedente. Era un successo della Dc, che voleva tempo per organizzarsi. Ma la lite tra “comari”, Formica e Andreatta, faceva precipitare la crisi di governo nel mese di novembre del 1982.
Lo scorrere degli avvenimenti era convulso nel luglio del 1981 in Italia e in particolar modo nella casa comunista di Via delle Botteghe Oscure.
Alla luce dello scandalo del Banco Ambrosiano, il presidente Guido Calvi venne arrestato e, dopo un mese e mezzo di carcere nel penitenziario di Lodi, il 22 luglio del 1981 fu scarcerato. (Il banchiere Calvi finanziò tutti i partiti compreso il Pci di Berlinguer la cui somma ricevuta si aggirava a circa 20 miliardi di lire. Questa somma, che passava come prestito per pagare i debiti del quotidiano “Paese Sera”, non è mai risultata restituita come il Pci aveva assicurato, perché era un finanziamento di Calvi per essere sostenuto politicamente. Il Banco Ambrosiano, noto come “Banca dei preti”, era impersonato, più nel male che nel bene, da Guido Calvi, piduista, legato anche ad ambienti della malavita, spregiudicato finanziere senza scrupoli nella gestione del banco, al quale aveva procurato un crac attraverso delle operazioni illegali. Calvi, come Sindona, era in rapporti stretti con la finanza cattolica, precisamente con monsignor Marcinkus, capo dello Ior. A questo punto, è d’obbligo una precisazione che riguarda il passato della finanza cattolica. In tutti gli scandali finanziari è stato sempre presente il Vaticano e, guarda caso, sempre con lo Ior: l’altro ieri con Sindona e Calvi e ieri in quello Enimont. E in ogni affaire, il Vaticano, però, se la passa franca e i suoi vertici finanziari non sono mai stati tirati in ballo più di tanto nei processi giudiziari).
Mentre in Italia stavano accadendo una serie di scandali (di cui sopra), Berlinguer, intervistato da Scalfari per “la Repubblica”, attaccava, senza mai menzionarlo, il Psi di Craxi la cui posizione in quel momento non era di certo tra le più felici, visto che era al centro di uno stillicidio di scandali; inoltre, sul caso P2, invece di tenere una posizione accusatoria, aveva assunto quella assolutoria e, nello stesso tempo, si era levato in difesa del banchiere Roberto Calvi. Più o meno, cominciarono da quel periodo gli attacchi socialisti alla magistratura.
In piena bufera giudiziaria, il direttore de “la Repubblica”, Eugenio Scalfari, andò a intervistare Berlinguer appunto in quei giorni e alle domande incalzanti del giornalista il leader comunista rispondeva in modo, diciamo così, giacobino. Ne usciva una requisitoria aspra contro i partiti della pregiudiziale anticomunista, “tutti parimenti crocefissi”: “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente: idee, ideali, programmi pochi o vaghi; sentimenti e passioni civile, zero. Gestiscono interessi i più disparati, i più contradditori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli senza perseguire il bene comune (…). I partiti hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai-Tv, alcuni grandi giornali (…). E il risultato è drammatico. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito e della corrente o del clan cui si deve la carica”.
Eugenio Scalfari gli pose una domanda precisa: “Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?”.
E Berlinguer di rimando rispose: “La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia di oggi, secondo noi comunisti, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati”.
Apriti cielo! La reazione fu assai risentita, in special modo i partiti di governo lo contestarono. In verità, pure all’interno del Pci molti storsero il naso perché Berlinguer fece d’ogni erba un fascio. Inutile dire che fu criticata la radicalità del pensiero berlingueriano, l’immagine che lui dava del Pci incentrata sulla diversità e la mancata distinzione tra la Dc e il Psi, a scapito della stessa linea politica di alternativa democratica. Come si sarebbe potuta costruire se, parimenti, i partiti di destra e di sinistra venivano messi sul banco degli accusati?
Nello stesso tempo, se Berlinguer puntava l’indice accusatorio nei confronti del Psi non poteva pretendere da questo di essere al centro dell’alleanza per il rinnovamento del paese. Una cosa era il Psi, un’altra la Dc reale macchina di potere e di clientele, senza alcun ideale e passione civile, promotore e gestore di interessi affaristici non sempre chiari.
Enrico Berlinguer fotografava esattamente quel marcio che c’era nella vita politica italiana. Non a caso, circa un decennio dopo la Prima Repubblica crollò per via giudiziaria. Seppure l’analisi berlingueriana non facesse una piega, il Pci aveva le carte in regola per tirarsi fuori e far cadere le responsabilità soltanto sui partiti di governo? Neanche per sogno. Anche durante la gestione di Berlinguer, il Pci veniva finanziato a mansalva dal Pcus e, per dipiù, era lo snodo di tutti gli affari tra l’Italia e l’Europa dell’Est e l’Unione Sovietica inclusa, come a tempi dei segretari precedenti, Togliatti e Longo. Fino a prova contraria, l’Urss era uno stato straniero e, per giunta, nemico. Vero è che nel periodo dello strappo tra Pci e Pcus, il finanziamento sovietico non arrivò a fiumi, ma è pur vero che in quel preciso periodo, che coincide più o meno con il governo di solidarietà nazionale, il Pci iniziò con la Lega delle Cooperative prima e poi direttamente in prima persona a entrare nel sistema “spartitorio” dei finanziamenti illegali. Per dirla tutta, c’era sempre stato in quel sistema.
In vista del discorso di chiusura della Festa nazionale dell’“Unità”, domenica 20 settembre 1981, a Torino, Enrico Berlinguer convocò la Direzione del partito per prendere le misure nei confronti degli amendoliani. Insomma, le pressioni di Tonino Tatò sortiscono finalmente l’effetto sperato. Era combattivo come non mai e se la prese, come visto a suo tempo, direttamente con Giorgio Napolitano, colpevole di aver scritto, prendendo spunto dai 17 anni dalla morte di Palmiro Togliatti, un articolo critico nei confronti della sua politica, senza mai nominarlo. Eppure, è la prima e vera contestazione che veniva fuori nei confronti del segretario nazionale del Pci. In quel partito, c’era stata, fino allora, una tradizione di rispetto quasi sacrale nei confronti del capo del partito. Dunque, la lunga tradizione veniva infranta proprio, guarda caso, sull’“Unità”, l’organo ufficiale del partito. Non si ha memoria di prese di posizioni pubbliche da parte di Gramsci, Bordiga, Togliatti, Pajetta, Amendola, Ingrao, Longo e Terracini: i leader più carismatici della storia del comunismo italiano. L’articolo di Napolitano è, viceversa, un evento controcorrente, come dire, inedito che lascia molti a bocca aperta, ossia meravigliati.
A ben vedere, era intento di Enrico Berlinguer aprire in Direzione un dibattito franco, schietto e definitivo. Perciò si presentò agguerrito all’appuntamento e attrezzato per vincere la sfida lanciata dagli amendoliani e, sorprendentemente, da Giorgio Napolitano, così cauto e non di certo un cuor di leone.
La cronaca della riunione della Direzione fu riassunta dal settimanale “L’Espresso”: “Per cominciare, il segretario ha tracciato della situazione del paese un quadro fosco. “L’Italia va a pezzi - ha detto - e mi meraviglia la sorpresa mostrata per la mia intervista a “Repubblica”. Occorre una grossa scossa: altrimenti il distacco tra paese reale e paese legale diventa definitivo. E chi si muove, se non ci muoviamo noi? (…). Nessuno spende una parola in difesa di Napolitano. Non gli viene solidarietà nemmeno da quei quadri che egli stesso ha allevato nelle federazioni. Né gli è venuto sostegno da quegli esponenti della Direzione che nell’ultimo anno si erano più volte differenziati da Berlinguer - soprattutto sul tema delicato del rapporto con i socialisti - mettendo spesso in difficoltà: Bufalini, Macaluso, Perna, Nilde Iotti (…). Parecchi esponenti della Direzione hanno preso la parola per giudicare inopportuno l’articolo di Napolitano (…). “Non c’è nessuna questione personale contro il segretario, ed è lungi da me l’intenzione di sostituirmi a lui”, è stata la risposta di Napolitano, che ha poi ribadito punto per punto senza asprezze ma anche senza arretramenti, le sue posizioni politiche”.
Dopochè, sempre “L’Espresso” intervistò Claudio Martelli sulla querelle Berlinguer e Napolitano. Al contrario di quello che si pensava, il dirigente socialista non si schierò a favore di Napolitano come fecero invece Balzamo, Labriola e Tempestini.
Secondo Martelli, “Berlinguer ripropone il compromesso storico, non più tra la Dc e il Psi, ma tra lo spirito santo e il pugno chiuso (…). Ingrao vede la crisi dello Stato, ma vuole curarla aumentando le dosi di assemblearismo che i partiti dovrebbero poi mediare recuperando una idea alta della politica (…). Napolitano è l’uomo dell’eurocomunismo, del dialogo con la Dc, poi con il capitalismo illuminato, poi con il Psi. Se egli sia una sorta di “Passator cortese” del comunismo italiano o la punta di un iceberg di elettori, quadri, amministratori, sindacalisti comunisti in transizione verso la socialdemocrazia europea, è quanto cercheremo di capire con tutta la simpatia per chi porge la mano aperta e non il pugno chiuso”.

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1981
by altro che cavolate Tuesday, Aug. 17, 2004 at 4:42 PM mail:

Inverno Francesco Pazienza diventa consulente del Banco Ambrosiano
Gennaio Il giudice Giacomo Conte riapre il caso del rapimento di Mauro De Mauro e raccoglie prove sulle responsabilità dei boss mafiosi Giuseppe Calderone e Giuseppe Di Cristina e sul coinvolgimento dei servizi segreti e di Gladio. Viene nuovamente coinvolto nell'inchiesta anche l'ex presidente dell'Ente Minerario Siciliano Graziano Verzotto, uomo di Mattei e di Sindona in Sicilia, al quale De Mauro fece visita poco prima della sua scomparsa
13 Gennaio Una valigia piena di esplosivo simile a quello usato per l'attentato alla stazione del 2 Agosto 1980 viene trovato a Bologna sul treno Milano-Taranto. Si accerterà che si tratta di un depistaggio del SISMI, teso ad accreditare una pista internazionale nell'inchiesta sulla strage di Bologna
17 Marzo Cercando prove sull'eventuale coinvolgimento di Licio Gelli nella farsa del "rapimento" di Sindona a New York, in particolare sul chirurgo Miceli Crimi, la magistratura di Milano ordina la perquisizione della villa del "venerabile" e in altri uffici e mettono le mani su documenti che provano l'esistenza di una cospirazione dietro la facciata della loggia massonica Propaganda 2 alla quale risultano appartenere 963 "fratelli" comprendenti uomini dei servizi segreti, politici, finanzieri, banchieri, personaggi dello spettacolo, alti ufficiali, funzionari dello stato (quasi tutti ostentatamente cattolici, forse per questo 15 giorni prima il Vaticano emetteva un comunicato che ricordava le leggi canoniche che proibiscono, sotto pena di scomunica, di appartenere alla massoneria, è da chiedersi perché tale comunicato è stato emesso proprio ora, forse per limitare i danni, visto che le disposizioni richiamate sono in vigore dal lontano 1738! Sugli iscritti alla P2 convergono le inchieste su gran parte dei misteri italiani: dalla strage di Piazza Fontana, agli scandali del petrolio, alle trame nere, agli intrighi dei servizi segreti. La P2 risulta avere conti in Svizzera per circa 1000 miliardi. Si chiariscono anche i legami esistenti fra Gelli, la P2 e Michele Sindona, Roberto Calvi, la finanza internazionale, la mafia, i servizi segreti statunitensi e golpisti di tutto il mondo dall'Italia all'Argentina. Le liste degli iscritti alla P2 vengono trasmesse dai magistrati al Presidente del Consiglio.
18 Marzo Il Parlamento proscioglie Mariano Rumor, Mario Tanassi e Giulio Andreotti dall'accusa di favoreggiamento nei confronti di Guido Giannettini nella vicenda della strage di Piazza Fontana
20 Marzo La Corte d'Appello di Catanzaro assolve con formula dubitativa, sia Freda, Ventura, Giannettini e Merlino che Valpreda e gli altri anarchici, per la strage di Piazza Fontana. Freda e Ventura vengono però condannati a 15 anni per associazione sovversiva
30 Marzo Luis Nogueres, antiquario di Montecarlo, viene assassinato. Dell'omicidio viene accusato il suo magazziniere Carmelo Barbera, pregiudicato siciliano e fiduciario di Licio Gelli a Monaco. Gelli effettuava molte transazioni finanziarie con l'antiquario ucciso
23 Aprile Il vice presidente del CSM, Ugo Zilletti è costretto a dimettersi a causa del suo coinvolgimento nel caso del Banco Ambrosiano

Il capo della famiglia mafiosa di S. Maria Del Gesù, Stefano Bontate, viene ucciso a Palermo. Era nota la sua ostilità contro il capo del governo della mafia, Michele Greco

13 Aprile Muore in carcere, ucciso dai fascisti Concutelli e Tuti, il terrorista nero Ermanno Buzzi, condannato per la strage di Brescia
6 Maggio A Roma, dopo la scoperta di alcuni documenti nella villa di Licio Gelli, viene perquisita la sede della Massoneria di palazzo Giustiniani a Roma. Durante la perquisizione, vengono posti sotto sequestro dei documenti riguardanti la Loggia P2
9 Maggio Muore a 32 anni di infarto il capitano dell'Aeronautica Maurizio Gari. La sera dell'abbattimento del DC-9 nel cielo di Ustica era in servizio al centro radar di Poggio Ballone.
11 Maggio Il capo della famiglia mafiosa di Passo di Rigano, Salvatore Inzerillo, viene ucciso a Palermo. Era un avversario di Michele Greco
13 Maggio A Roma il fascista turco Alì Agca attenta alla vita del Papa
20 Maggio Il governo, dopo ripetute richieste, comunica finalmente al Parlamento la lista dei 963 iscritti alla loggia P2 , nella quale figurano tre ministri in carica
26 Maggio Il governo è costretto a dimettersi a causa degli sviluppi dell'inchiesta sulla loggia P2
Giugno Viene pronunciata la prima sentenza per lo scandalo Italcasse. 17 degli imputati nel frattempo sono deceduti, 26 vengono prosciolti, e 37 vengono rinviati a giudizio tra cui i fratelli Caltagirone, Alvaro Marchini, Alessandro Nezzo, Edoardo Calleri Di Sala, Ezio Riondato
5 Giugno il capitano della Guardia di Finanza Luciano Rossi si spara un colpo di pistola alla tempia dopo essere stato interrogato nei giorni precedenti circa l'informativa su Licio Gelli da lui redatta insieme al col. Salvatore Florio. Ad alcuni amici aveva confidato di essere preoccupato per il suo coinvolgimento nella vicenda P2, perché Gelli lo aveva avvicinato minacciandolo. Precedentemente era stato allontanato dal servizio informativo quando il gen. Giudice era diventato comandante della Guardia di Finanza
Luglio Mottola Antonio, criminologo, collega del fascista Aldo Semerari, viene ucciso
9 Luglio Roberto Calvi tenta il suicidio nel carcere di Lodi, dove è rinchiuso dopo il suo arresto, insieme a Carlo Bonomi, per ordine della magistratura milanese per alcune irregolarità nella gestione del Banco Ambrosiano. Malgrado una condanna a 4 anni, grazie al tentato suicidio, Calvi esce di carcere. Nel corso dell'inchiesta viene trovata una lettera di Carlo Bonomi alla madre in cui questa si impegnava a restituire un prestito "in nero" datole da Roberto Calvi di 10 miliardi, attraverso "operazioni particolari di borsa", garanti dell'operazione sono Licio Gelli e Francesco Cosentino, iscritto alla P2, segretario generale della Camera e presidente della Ciga
18 Luglio Al vertice del SISMI Ninetto Lugaresi subentra al generale Santovito e il prefetto Emanuele De Francesco subentra al generale Grassini al SISDE
Agosto Viene strangolato, nel carcere di massima sicurezza di Novara Ermanno Buzzi, incriminato per la strage di Brescia, da Pierluigi Concutelli
28 Settembre Italo Toni e Graziella De Palo, giornalisti, scompaiono durante la realizzazione di un servizio sul traffico di armi in Libano. Edera Corrà, massone di Piazza del Gesù, parte per Beirut nei giorni successivi tentando di depistare le indagini. Nella vicenda vengono coinvolti i servizi segreti italiani, viene arrestato il col. Stefano Giovannone, cavaliere di Malta legato al Vaticano e ad Andreotti, rappresentante dei servizi italiani in Medio Oriente dal 1972 e artefice delle relazioni privilegiate del SID con i paesi arabi.
16 Ottobre Viene assassinato davanti alla sua villa a Roma Domenico Balducci, autorevole membro della banda della Magliana
17 Ottobre Vengono assassinati in località Casa Nuova vicino a Gambassi Terme Salvatore Mancino e Giuseppe Milazzo, padre di Vincenzo Milazzo titolare della raffineria di eroina di Alcamo, scoperta dal giudice Carlo Palermo, da cui si riforniva Pippo Calò. Il giudice Ciaccio Montalto dichiarerà: "...bisogna lavorare su una pista non ancora battuta: il trapianto della mafia trapanese in Toscana, ed il filone che accomuna mafia e massoneria...".
5 Dicembre In una sparatoria con la polizia muore il neofascista Alessandro Alibrandi
10 Dicembre Il Parlamento scioglie la loggia P2 di Licio Gelli e istituisce una commissione parlamentare di inchiesta su di essa

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La P2 era diretta da persone strettamente legate al Vaticano
by Hammer Richard Tuesday, Aug. 17, 2004 at 4:52 PM mail:

Anche le bancarotte, come i divorzi altrui, sono in genere più recenti di quanto uno pensi: meno di due anni sono passati dalla morte violenta di Roberto Calvi e dal crollo del suo impero finanziario. Il libro di Rupert Cornwell è un esempio di abile giornalismo, ma non si può definire un'opera di storia contemporanea: non solo il clamore provocato dagli eventi descritti da Cornwell, ma gli stessi procedimenti giudiziari che ne sono seguiti sono in gran parte ancora aperti e suscettibili di ulteriori sviluppi; è difficile appurare i tratti riguardanti le operazioni di Calvi in un mondo come quello delle banche, pieno di manovre segrete compiute da gente amante della segretezza. Manca quasi completamente il genere di documenti che uno storico considererebbe essenziali. L'esistenza di stretti legami tra la Banca Vaticana, l'Istituto per le Opere di Religione, e alcune delle transazioni ai margini della legalità operate da Calvi a nome del Banco Ambrosiano rendono auspicabile, ai fini della comprensione del crollo dell'Ambrosiano, la conoscenza dell'attuale organizzazione finanziaria del Vaticano. In questo senso il libro di Lai, benché a prima vista più aneddotico di quello di Cornwell, è il benvenuto: l'autore ha già pubblicato un'opera molto documentata sulle finanze papali all'inizio del secolo, e mostra una solida conoscenza delle istituzioni del Vaticano. Lai concentra la propria attenzione su un periodo, dalla fine degli anni cinquanta all'inizio degli anni settanta, più lontano nel tempo rispetto a Cornwell. Questi copre un campo notevolmente più esteso: per importanti che possano essere stati il Vaticano e la sua banca nella carriera di Calvi, questa si è sviluppata sullo sfondo di scenari più ampi, quelli del sistema bancario internazionale e della vita politica italiana. Si sarebbe tentati di affermare che i due libri si integrano a vicenda, ma ciò avviene solo in modo approssimativo ed episodico a causa della natura controversa e oscura della materia. Se entrambe queste opere rappresentano un serio tentativo di fornire informazioni le cui fonti sono in genere specificamente indicate, altrettanto non si può dire del libro di Richard Hammer, basato, a quanto pare, su ricordi e materiali inediti di un funzionario della polizia di New York: si deve supporre che si basi in parte su conversazioni intercettate dalla polizia, in parte su deposizioni rese da criminali. Non so proprio come sia possibile, senza una conoscenza approfondita degli archivi della polizia americana, verificare le affermazioni contenute nel libro di Hammer: certo l'autore non tenta mai di valutare la veridicità o meno di affermazioni che possono essere state fatte solo da criminali e, nel caso che ne abbia accolte alcune e scartate altre, non fornisce alcun indizio sul modo e sulle motivazioni della sua scelta. Il risultato è un libro che si legge come un romanzo, e che come tale ha da essere trattato. Ci vuole ben altro che la parola del signor Hammer per convincermi che veramente il cardinale Tisserant, che a quanto ne so non aveva alcun legame istituzionale con la finanza vaticana, abbia convocato in Vaticano un gruppo di criminali americani per chiedergli personalmente di rubare o falsificare titoli per un valore di un miliardo di dollari, allo scopo di rivenderli a profitto sia del Vaticano sia (cosa ancora più incredibile) della Banca d'Italia. Tisserant avrebbe inoltre detto a questi delinquenti che lui e il vescovo Marcinkus si aspettavano, come loro fetta della torta, una parte pari a centocinquanta milioni di dollari. Non so come il signor Hammer pretenda che si presti fede a storie di questo genere: quanto a me le respingo non perché sono grossolane e improbabili, ma perché non viene data alcuna spiegazione soddisfacente sulla natura delle prove su cui sono basate. Il libro del signor Hammer ha comunque un suo peculiare interesse come esempio di fantasia inventiva. Il caso Calvi ha avuto ramificazioni così estese da assumere quasi le dimensioni di uno scandalo politico, dove per scandalo politico intendo una sorta di ragnatela di presunte incrinature apertesi a diversi livelli all'interno del governo e della società in Italia. Con questo non voglio dire che il crollo del Banco Ambrosiano sia stato decisamente uno scandalo politico e che inequivocabilmente abbia posto i politici italiani sul banco degli accusati: una tale affermazione sarebbe opinabile, n‚ il crollo dell'Ambrosiano può essere paragonato, poniamo, al caso Lockheed. Certo è che il legame di Calvi con Licio Gelli lo ha coinvolto nello scandalo della loggia P2, così come i collegamenti tra le sue compagnie bancarie all'estero e lo Ior hanno generato sospetti di indebite ingerenze vaticane nel sistema bancario italiano. Né sono mancate le voci, puntualmente riportate da Cornwell, che Calvi abbia distolto dal fondo ambrosiano somme assai consistenti per finanziare partiti italiani, ottenendo in cambio la protezione di diversi politici, tra cui l'attuale presidente del consiglio: affermazioni assai difficili da dimostrarsi, come sempre accade quando scoppia uno scandalo politico, e troppo spesso Cornwell nel suo libro deduce da un colloquio tra Tizio e Caio che Tizio ha concluso con Caio un accordo ben preciso, fedele al principio del concorso di colpa che sta alla base di ogni giornalismo scandalistico. Dobbiamo riconoscere a Cornwell che, se sopravvaluta l'importanza di legami come quelli con Gelli, si attiene poi a un atteggiamento di prudente moderazione al momento di tirare le conclusioni, quando alla fine del suo libro attribuisce anche all'"aberrazione dei tradizionali metodi di governo italiano" la responsabilità della riuscita degli imbrogli di Gelli: un giudizio moderato e, a mio parere, condivisibile, soprattutto per quanto riguarda i difetti e le lacune delle leggi che regolano il sistema bancario e commerciale italiano. Su tutto il caso Calvi pesa il sospetto, magari ingiustificato, della cospirazione. Un'idea, quella della cospirazione, che ha sempre ossessionato la vita politica del mondo occidentale fin dalla rivoluzione francese e che possiede la straordinaria capacità di proliferare in una serie di costruzioni collegate l'una con l'altra e nello stesso tempo in contraddizione l'una con l'altra: dal mito tradizionale di una nefasta cospirazione contro la società cristiana ad opera dell'ateismo massone e radicale, a quello di un'altrettanto nefasta cospirazione della destra che vedeva congiurati cattolici e massoni, fino a una cospirazione della destra stavolta non più nefasta ma benefica. Ben prima del fascismo, e prima ancora che il comunismo facesse la sua comparsa sulla scena della storia, in Europa era comunemente accettata l'idea che esistessero questi complotti politici, e il caso della P2 ha mostrato che la situazione non è cambiata affatto. Una variazione sul tema della cospirazione che ha avuto conseguenze terribili è stata quella che configurava un complotto ebreo-massonico, noto come "I protocolli dei savi di Sion" e che tanta parte ha svolto nella storia dell'antisemitismo nel nostro secolo, mentre l'ipotesi di un complotto tramato in collusione da massoni e gesuiti risale al periodo del Terrore della rivoluzione francese. Abbia o no fondamento reale l'idea che la P2 fosse diretta da persone strettamente legate al Vaticano, certo è che si adatta a meraviglia a uno stereotipo assai antico, il che mi induce a ritenere che il principio del concorso di colpa non si dovrebbe applicare in questo caso: gli elenchi di nomi non sono sufficienti. Costituisce invece una novità di oggi, a quanto mi risulta, l'idea che non la massoneria ma la mafia sia il partner del Vaticano nelle losche macchinazioni che questi avrebbe tramato: da questo punto di vista il libro di Richard Hammer ha il dubbio onore di avere creato un nuovo precedente mitologico. Cornwell si muove su un terreno più sicuro nel supporre l'esistenza di un legame tra la Banca Vaticana, lo Ior, e le attività bancarie fraudolente a cui Calvi si dedicava all'estero, ma ben difficilmente potremo mai conoscere con esattezza la vera natura della cooperazione tra lo Ior e le compagnie bancarie ombra create da Calvi in Europa, nei Caraibi e in Sud America. Certo è che praticamente nessun chiarimento ci viene dalle famose "lettere di 'patronage'" emesse dal Vaticano in una seconda fase dell'affare, così come non è chiaro in quale misura lo Ior abbia avuto rapporti di effettiva partecipazione con le compagnie organizzate da Calvi in Lussemburgo, a Panama e in Liechtenstein: il fatto che la Banca Vaticana abbia accettato un certo margine di responsabilità finanziaria nei confronti dei creditori di Calvi farebbe tuttavia pensare che vi sia stata una certa responsalità legale. Quanto all'ipotesi che Marcinkus e gli altri prelati vaticani coinvolti nei rapporti con Calvi (e prima ancora con l'altro bancarottiere Sindona) fossero innocenti ecclesiastici caduti nelle reti di imbroglioni senza scrupoli che approfittarono della loro ignoranza della normale pratica bancaria, si tratta di una tesi che si può anche sostenere, e certo nel libro di Lai non mancano indizi che alcuni dei prelati che si occupano dello Ior (Marcinkus compreso) mancassero delle conoscenze tecniche di base dell'attività bancaria. Sarebbe però sbagliato supporre che il sistema bancario vaticano sia sempre stato gestito in modo dilettantesco e che nel corso della storia la Santa Sede non abbia accumulato un suo bagaglio di esperienza in questo campo. Al contrario, in confronto all'esperienza bancaria internazionale del papato quella dei Baring e dei Rothschild appare un'esperienza di novellini: il papato assunse un ruolo di protagonista nel credito internazionale già nel medioevo, più di un secolo prima che i Medici entrassero nel mondo bancario, e anche dopo il Rinascimento e la Controriforma la corte romana mantenne per secoli un'organizzazione che rendeva necessaria una conoscenza approfondita delle tecniche bancarie, n‚ è un caso che nel XVI e XVII secolo più di un papa provenisse da famiglie di banchieri italiani. È vero che la fine dello stato pontificio nel 1870 rappresentò una vittoria del capitalismo dell'Italia settentrionale, ma sarebbe sbagliato dedurne, come sembra fare Cornwell, che in quell'occasione la sconfitta della Chiesa sia stata provocata dalla sua incomprensione dei principi del capitalismo liberale: il fatto è che la fine di uno stato porta con sé la fine delle istituzioni finanziarie che ad esso sono più strettamente legate, e nel 1870, con la liquidazione a Roma di tali istituzioni, gli istituti creditizi ad esse più strettamente collegati ricevettero un duro colpo. Dopo il 1870 il Vaticano si trovò a dover riorganizzare su nuove basi le proprie finanze, che per secoli erano state gestite su scala italiana e non internazionale, un problema che non ha ancora ricevuto una soluzione soddisfacente: potrà sembrare un ritardo eccessivo, ma le politiche papali generalmente si sviluppano su tempi lunghi. In parte alle necessità operative del Vaticano in campo finanziario si provvide attraverso l'associazione con banche, come il Banco di Roma, gestite da persone gradite alle autorità ecclesiastiche: il termine così spesso usato di banchiere cattolico mi sembra che ponga più interrogativi di quanti ne risolva. Gli inconvenienti legati alla dipendenza dalle banche italiane devono essere diventati evidenti durante la guerra, in cui il Vaticano mantenne una posizione di neutralità, anche se, a detta di Lai, la riorganizzazione nella forma attuale dell'Istituto per le Opere di Religione, avvenuta nel 1942, non fu dettata immediatamente dall'esigenza di disporre di una banca vaticana indipendente. Il Concordato del 1929 assicurò una nuova emissione di capitali ad opera dello stato italiano ma non risolse i problemi finanziari del Vaticano, che neppure in tempi relativamente recenti è riuscito a risolverli su scala italiana, nonostante la posizione di privilegio di cui le istituzioni vaticane hanno sotto molti aspetti beneficiato in Italia dopo il 1945: anzi, certe svolte recenti della politica governativa italiana hanno danneggiato gli interessi finanziari della Santa Sede, per esempio la decisione del 1968 di tassare gli investimenti del Vaticano. D'altra parte, a partire dal Concilio Vaticano II (che a sua volta costituì un'operazione estremamente dispendiosa per il papato), la politica internazionale della chiesa si è fatta più intraprendente e più costosa: i viaggi del papa all'estero, insieme all'intensa attività diplomatica che li accompagna, hanno provocato un notevole aumento delle spese, tanto più che sono diventati un aspetto normale e ricorrente della politica papale. Anche il collegio dei cardinali è oggi veramente internazionale, come non era mai stato dopo l'alto medioevo, e lo stesso declino del precedente carattere italiano del collegio e della curia non mancherà di avere conseguenze finanziarie. Resta aperto il problema se il Vaticano riuscirà a inserire le sue finanze in uno scenario internazionale e non solo italiano. Qualora dovesse riuscirvi, sarebbe il ritorno a una situazione di cui il papato non godeva più da qualcosa come sei secoli, ben prima della Riforma. In base agli scarsi dati a disposizione l'"obolo di San Pietro", che in tempi moderni è stato il principale strumento con cui la chiesa universale ha risposto alle esigenze finanziarie di San Pietro, negli ultimi vent'anni non ha mostrato alcuna tendenza alla crescita, ma è stato caratterizzato da una certa stagnazione. Le cifre relative alle finanze vaticane pubblicate dopo il 1982 hanno rivelato pesanti disavanzi, e l'annunciato accordo tra lo Ior e i creditori del defunto Banco Ambrosiano non avrà certo migliorato la posizione della Santa Sede. È anche certo che i negoziati tra il governo italiano e il Vaticano relativi al concordato firmato quest'anno avranno effetti finanziari, ma il nuovo quadro finanziario resta assai oscuro. Restano un mistero i motivi che hanno indotto i dirigenti vaticani dello Ior a prestarsi alle oscure manovre di Calvi. È possibile che in quel periodo i bisogni finanziari del Vaticano fossero così pressanti da indurre i suoi agenti a trattare con figure poco affidabili come Sindona e Calvi in vista di "sùbiti guadagni": il capitale a disposizione dello Ior era, a quanto pare, assai ridotto secondo gli standard delle grandi banche internazionali, e questo può aver portato i suoi dirigenti ad accettare rischi che si sarebbero dovuti giudicare inaccettabili. Il Vaticano si è rivelato particolarmente vulnerabile di fronte alle attenzioni di Calvi e di Sindona, soprattutto a causa della ridicola mania della rispettabilità esteriore e delle ostentazioni di decoro che caratterizza gli speculatori di quel tipo, e che ha indotto uno dei personaggi che più spesso ricorrono nel libro di Cornwell a tutelare la propria onorabilità chiedendo a un tribunale l'abolizione dei passi che lo riguardavano. A chiunque abbia familiarità con la storia delle finanze vaticane l'idea che la familiarità con gli alti prelati conferisca automaticamente a un banchiere una grande rispettabilità sociale apparirà non solo discutibile ma del tutto assurda. È una strana idea che l'onorabilità dipenda dal tempo trascorso nelle anticamere dei monsignori romani. Negli ambienti bancari internazionali la consistenza approssimativa delle risorse dello Ior doveva essere nota, per cui la valutazione della situazione creditizia dell'Istituto doveva essere basata su questo e non sul mito di una chiesa favolosamente ricca. Gli altri partecipanti al gioco clandestino organizzato da Calvi con le sue banche esterne sembrano essersela cavata meglio di quanto meritassero. Più di una volta Cornwell, nel descrivere certi aspetti di questa attività bancaria di Calvi, come la fondazione di compagnie bancarie ombra gestite da uomini di paglia o il trasferimento di forti somme di denaro da un gruppo ombra all'altro secondo il sistema a prestiti incrociati, li definisce "normale pratica bancaria". Le rispettabilissime banche internazionali che avevano prestato grosse somme a Calvi, per poi pentirsene, sono state quasi tutte partner degli uomini ombra di Calvi in accordi di questo tipo. Il mondo delle attività bancarie incentrato sull'esportazione di capitali è così profondamente coinvolto nell'evasione delle leggi fiscali e valutarie delle singole nazioni che è ovviamente difficile per chiunque operi nel settore distinguere tra i Calvi e i Sindona e gli operatori veramente rispettabili. Se la Banca Vaticana è stata truffata da Calvi, avrà almeno la magra consolazione di sapere che la stessa sorte hanno subito all'incirca una ventina di altre banche rispettabili.

Titolo: The vatican connection
Editore: Pironti
Autore: Hammer Richard
Lingua: italiano

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Giovanni Paolo I
by (Albino Luciani) Tuesday, Aug. 17, 2004 at 4:55 PM mail:

Papa (1978-78), nato il 17 ottobre 1912 a Forno Canale (oggi Canale d'Argordo), in provincia di Belluno, morto il 28 settembre 1978

Giovanni Luciani, il padre e Bortola Tancon, la madre, lo fanno battezzare con il nome di Albino in casa dalla levatrice, lo stesso giorno della nascita. Due giorni dopo, il 19 ottobre, riceve le cerimonie battesimali in chiesa.

Nell'ottobre del 1923 comincia il suo cammino spirituale entrando nel seminario minore di Feltre, mentre, nell'ottobre del '28, inizia a frequentare il seminario Gregoriano di Belluno. Il 1935 è un anno ricco di avvenimenti. Il 2 febbraio viene ordinato diacono, il 7 luglio sacerdote nella chiesa di S. Pietro di Belluno, il 9 vicario cooperatore a Canale d'Agordo, ed il 18 dicembre viene trasferito, come vicario cooperatore, ad Agordo. Lì la nomina di insegnante di religione all'Istituto tecnico minerario.

La sua attività didattica comincia nell'ottobre del '37, dopo che, a luglio, era stato nominato vicerettore del seminario Gregoriano di Belluno (1937-1947). Il 27 febbraio del '47 si laurea in Sacra teologia presso la Pontificia università Gregoriana di Roma. La sua tesi indaga su L'origine dell'anima umana secondo Antonio Rosmini e viene pubblicata nel marzo del '50, dopo il saggio "Catechetica in briciole".

Il 15 dicembre del 1958, il papa Giovanni XXIII, lo promuove vescovo di Vittorio Veneto. La consacrazione avviene poco dopo, il 27 dicembre, nella basilica di San Pietro a Roma, ma la presa di possesso della diocesi scivola all'11 gennaio.

Tra l'8 ottobre e l'8 dicembre del 1962, è di nuovo a Roma per l'apertura della I sessione del Concilio Vaticano II, di cui seguirà tutti i lavori fino alla IV ed ultima sessione, tra il settembre ed il dicembre del '65.

Dal 1966 iniziano i suoi viaggi: il primo nel Burundi (16 agosto); il secondo in Svizzera, da dove ritorna attraverso la Savoia (12-14 giugno '71); ed il terzo in Germania (18 maggio '75). Nel frattempo (5 marzo 1973) è nominato cardinale della Santa Romana Chiesa.

Alla morte di papa Paolo VI (6 agosto 1978) parte per Roma dove, nel secondo giorno del conclave, il 26 agosto, viene eletto Sommo Pontefice Romano, scegliendo il nome di Giovanni Paolo I.

Ma il suo pontificato dura pochissimo. Infatti, il 27 agosto rivolge il primo messaggio "urbi et orbi", il 3 settembre vive la cerimonia dell'inizio del servizio pastorale ed, infine, il 28 settembre muore. E' per questo che Albino Luciani viene ricordato nella storia come "il Papa dei 33 giorni". La sua morte è talmente improvvisa che il Vaticano si sente in dovere di aprire un'inchiesta per stabilirne le cause. Il risultato è noto: morte naturale per infarto. Ma non tutti sono della stessa opinione. Robert Yallop, ad esempio, nel suo libro Nel nome di Dio disegna uno scenario completamente diverso. Giovanni Paolo I sarebbe stato assassinato in seguito ad un complotto organizzato dalla loggia massonica P2, perché intenzionato a rimuovere Paul Marcinkus dalla guida dell'Istituto per le opere di religione che custodisce ed amministra i beni del Vaticano. Nessuna prova ha confermato mai questa tesi.

Il fratello Edoardo, in un'intervista al Sabato, ha detto che papa Luciani gli aveva confidato di sapere che nella volontà di Dio c'era una sua prematura morte. Sarebbe stata suor Lucia, l'unica sopravvissuta dei veggenti di Fatima, a comunicarglielo. Sempre dalle pagine del settimanale, padre Francesco Farsi, direttore del radiogiornale Vaticano al tempo del decesso, affermò che "qualcuno non gradiva il linguaggio semplice ed i modi imprevedibili" di papa Luciani.

Di lui don Diego Lorenzi, un orionino suo segretario personale che gli fu accanto per oltre due anni a Venezia e poi lo seguì in Vaticano, ha detto: "Fu seguito con attenzione, tanto era convincente. Anche a me, quell'approccio fatto con palese speranza di effetto duraturo, ha fatto e continua a farmi bene".

"Fu uno scrittore garbato, pulitissimo ed eloquente - ha affermato Sergio Cattazzo, responsabile delle edizioni Messaggero di Padova, in occasione dell'uscita del quarto e del quinto volume dell'Opera Omnia di Albino Luciani - ricco di un'amabile ironia".

Grandinotizie.it/ 16/luglio/2001

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Accadde a Roma nel 1978
by Un papa slavo Tuesday, Aug. 17, 2004 at 4:57 PM mail:

"Un papa slavo. Dio l'ha voluto!", annunciava Karol Wojtyla in occasione della sua prima visita nella terra natìa dopo l'elezione pontificia.
Dietro una frase tanto lapidaria si cela una delle svolte più radicali di tutta la storia della Chiesa da quattro secoli a questa parte.
Sul finire degli anni Settanta i vertici ecclesiastici si trovavano in una situazione insostenibile. Il Concilio Vaticano II, conclusosi nel '65, aveva potenzialmente aperto la strada a un cambiamento sostanziale nella politica vaticana, sia per quanto riguardava i rapporti interni alla gerarchia e all'organizzazione ecclesiastica, sia in merito ai rapporti con "l'esterno".
Se dovessimo riassumere con poche parole la svolta rappresentata dal Concilio, potremmo dire che si trattò del passaggio dall'idea di Chiesa come baluardo monolitico contro gli assalti della modernità, all'idea di una Chiesa che riprendesse ad andare per il mondo, come nei secoli dell'epopea evangelizzatrice, che contrattaccasse "aprendosi" al mondo moderno, senza il timore di venirne sopraffatta. La modernità stessa veniva indicata come terreno di sfida e di confronto dopo secoli di involuzione, durante i quali Roma si era guardata l'ombelico, rimanendo "indietro" rispetto ai rapidissimi sviluppi della società.
In quegli anni già si profilavano all'orizzonte giganteschi mutamenti geo-politici ed economici, di fronte ai quali l'immobilità avrebbe significato la morte. I movimenti degli anni Sessanta-Settanta avevano trasformato la società italiana ed europea; la globalizzazione dell'economia si preparava a diventare il problema dei decenni successivi. La ostpolitik del Cardinale Casaroli a partire dagli anni Sessanta, sotto i pontificati Roncalli e Montini, dimostra come la Chiesa avesse più che mai presente il problema della paralisi a cui erano destinati i sistemi dell'Europa orientale e di come occorresse intraprendere una politica di rievangelizzazione, attraverso il dialogo con quei regimi e il rafforzamento delle chiese locali. Già a metà degli anni Settanta, nei discorsi dell'alto prelato vaticano si può facilmente leggere il presagio della ormai prossima caduta dei regimi sovietici e filo-sovietici. I vertici romani, con lungimiranza, non davano più di dieci-quindici anni di vita al "socialismo reale".
La laicizzazione progressiva della società dopo il '68 aveva portato alla ribalta il drammatico problema della crisi delle vocazioni. Gli apparati ecclesiastici europei, ancora impostati secondo i vecchi modelli pre-conciliari, rischiavano di trovarsi molto presto sprovvisti di "personale", avviandosi così a una rapida necrosi. Per di più i continenti tradizionalmente cristiani, l'Europa e il Nord America, contavano ormai un numero di battezzati infinitamente minore rispetto ai paesi del Terzo Mondo. Un dato che andava sommandosi alla nascente consapevolezza che i fantomatici "paesi in via di sviluppo" subivano in realtà il progressivo impoverimento a vantaggio delle nazioni ricche. Il problema del Terzo Mondo - ovvero quello dell'internazionalizzazione della Chiesa - doveva essere affrontato su larga scala.
Dunque bisognava muoversi per tempo, uscire dalle pastoie post-conciliari e trovare nello stesso Vaticano II lo spirito utile ad affrontare le nuove sfide della storia. La Chiesa doveva dotarsi dei mezzi adeguati che le consentissero di uscire dall'impasse.
Il problema era soprattutto quello di decidere che direzione imprimere alla svolta del Vaticano II. Ma questo comportava la necessità di una resa dei conti tra le due macro-fazioni all'interno del clero cattolico: quelli che spingevano per "radicalizzare" i principi e le parole d'ordine del Concilio e quelli che invece avrebbero preferito ignorare tali direttive e mantenere lo status quo ante. Se potessimo ragionare in termini esclusivamente politici per quanto riguarda le vicende ecclesiastiche, si potrebbe dire che il conflitto si presentava come una lotta tra le correnti conservatrici e quelle "riformiste", senza per questo dimenticare che la Chiesa, in tutti i suoi aspetti, non può mai concepirsi se non nella continuità assolutamente ribadita con la propria storia bimillenaria.
C'era poi un secondo ordine di problemi, ancora più immediati. Dopo il periodo oscuro della seconda guerra mondiale, che aveva colto la Chiesa in una posizione quanto mai scomoda e ambigua - basti pensare al Concordato col regime di Franco in Spagna, o alla mancata scomunica di Hitler, ancor più paradossale se raffrontata alla scomunica dei comunisti nel '49, o ancora alla fuga dei criminali nazisti favorita dal Vaticano -, il tentativo di rilancio della politica vaticana si era incarnato dapprima nella scelta oculata di Roncalli, il "papa buono", un contadino in grado di parlare la lingua delle masse popolari italiane del dopoguerra, e poi in quel Paolo VI che aveva cominciato a lavorare all'internazionalizzazione della Chiesa e aveva portato a compimento il Concilio. Ma i panni sporchi rimanevano tanti: le collusioni con la politica, con la mafia, lo spericolato avventurismo finanziario dello Ior... tutte catene pesantissime, che zavorravano la Chiesa impedendole il salto di qualità. Occorrevano decisioni energiche anche riguardo a questi aspetti foschi e ben radicati nel corpo ecclesiastico, decisioni che mettessero al riparo da eventuali brutte sorprese e consentissero di arginare la crisi di immagine della Chiesa.
Nel 1978 il clima nei palazzi romani era più che malsano, un punto di mediazione tra le lobbies episcopali sembrava difficile da trovare, mentre gli eventi incalzavano rapidi.
Il puzzo di marcio si diffuse urbi et orbi quando il sessantaseienne Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, morì improvvisamente, dopo appena 33 giorni di pontificato.

[La morte di papa Luciani] non solo era assolutamente inattesa, ma diventò subito sospetta, colorando di toni assai foschi lo scenario interno al governo della Chiesa. Al di là della fondatezza della tesi sviluppata organicamente alcuni anni dopo nel testo In nome di Dio dal giornalista britannico Yallop - secondo cui Giovanni Paolo I sarebbe stato eliminato per un complotto ordito dal suo Segretario di Stato, il cardinale Jean Villot, e dal monsignore dello Ior Paul Marcinkus, con la complicità di Calvi del Banco Ambrosiano e della P2 - il fatto di per sé che venisse sollevata l'ipotesi di una morte non naturale, che costrinse la congregazione a prendere in esame l'ipotesi - ovviamente scartata - di un'autopsia, dà la misura del grado di avvelenamento dell'ambiente del Palazzo vaticano, in osmosi con quello della cupola della repubblica italiana, essendo trascorsi solo pochi mesi dall'assassinio di Moro. (C. Longobardo, Karol alle crociate. Il Vaticano e la nuova epoca, Prospettiva Edizioni, Roma 1994, p. 13).

Nel 1978, all'indomani della "strana" morte di Giovanni Paolo I e a tredici anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, la Chiesa toccò uno dei punti più bassi della sua credibilità.
Fu un vero e proprio dramma: servivano decisioni rapide ed efficaci, che infondessero immediatamente nuova fiducia nelle masse cattoliche e riguadagnassero la credibilità della Chiesa sul piano internazionale, affinché i dettami del Vaticano II non finissero nella pattumiera della storia prima ancora di essere attuati.
Serviva insomma un segnale forte, un uomo che mettesse d'accordo tutti nel momento più critico per i destini della Chiesa.
Il conclave che elesse Wojtyla si svolse appena quindici giorni dopo la morte di papa Luciani e durò meno di settantadue ore (14-16/10/1978).
Quando già i due partiti italiani (conservatori pre-conciliari e riformisti) erano pronti a darsi battaglia, col rischio di impantanare il conclave in lunghe votazioni, alcuni vescovi stranieri presero l'iniziativa di promuovere la candidatura dell'arcivescovo di Cracovia, il cui nome presto risultò un buon compromesso tra le parti. La proposta fu avanzata dal vescovo di Vienna Koenig, congiuntamente al brasiliano-tedesco Lorscheider, all'americano di origine polacca Krol e non da ultimo da un personaggio che ricomparirà frequentemente in questa cronaca: il vescovo di Monaco, Cardinale Joseph Ratzinger.
Sia ben chiaro che non si trattava dell'ultimo venuto, tanto meno di un jolly a sorpresa. Wojtyla era stato uno dei pupilli di Paolo VI, aveva collaborato alla stesura dell'enciclica Humanae Vitae (quella che vietava ai credenti l'uso dei contraccettivi); nel '76 aveva tenuto in Vaticano gli esercizi spirituali di quaresima, dando prova di grande forza d'animo e lucidità intellettuale. Già prima della morte di Montini (Paolo VI), lo stesso Segretario di Stato Villot (quello che David Yallop considera l'artefice dell'eliminazione di papa Luciani) aveva preso in considerazione l'arcivescovo di Cracovia come l'uomo che avrebbe potuto coalizzare buona parte dei consensi.
Ma le ragioni che portarono all'elezione di Wojtyla vanno ricercate soprattutto nella sua storia personale e in quello che egli poteva rappresentare nel particolarissimo momento storico.
Karol Wojtyla era il figlio prediletto della Chiesa polacca, una delle più integraliste e conservatrici, tempratasi sotto il regime filo-sovietico. I conservatori potevano ritenersi soddisfatti: il nuovo papa non avrebbe imposto spericolati rinnovamenti. Ma anche i riformisti avrebbero potuto dormire sonni tranquilli. Infatti la Chiesa polacca era anche il puntello di Roma nell'Europa orientale, a ridosso dell'orso sovietico, avamposto privilegiato per lanciare la riconquista delle terre comuniste parlando la loro lingua. E sempre la Chiesa polacca si nutriva del legame privilegiato con il movimento operaio, quindi rispondeva in pieno ai modelli strategici del Vaticano II di ripresa del dialogo con le masse.
Wojtyla era uno straniero che parlava italiano, uno slavo, un duro dotato di carisma comunicativo, un integerrimo lontano dai giochi di potere del Palazzo, che non si sarebbe lasciato paralizzare dalle paludi romane.
Era l'uomo del destino. Anzi, l'uomo di Dio.

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bella prova
by ammazza che bravi Wednesday, Aug. 18, 2004 at 5:27 PM mail:

ma che lo avete mica scoperto ora?

bravi comunque, bella indagine d' avvero!

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UN VESCOVO ARGENTINO HA RINUNCIATO DOPO AVER AMMESSO UNA RELAZIONE OMOSESSUALE DI 2 ANNI
by angel Monday, Sep. 19, 2005 at 10:12 PM mail:

EL PAPA BENEDICTO XVI LE ACEPTO LA DIMISION DE INMEDIATO

Un obispo renunció después de admitir una relación homosexual

Es Juan Carlos Maccarone, de Santiago del Estero. La relación había trascendido.
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Un nuevo escándalo sexual salpica a la Iglesia. A menos de tres años de que el arzobispo de Santa Fe, monseñor Edgardo Storni, renunciara ante las acusaciones de haber acosado sexualmente a un seminarista, el obispo de Santiago del Estero, monseñor Juan Carlos Maccarone, dimitió luego de haber admitido ante sus superiores una relación homosexual con un joven mayor de edad. Pese a estar de visita en Alemania, el papa Benedicto XVI le aceptó en el acto la renuncia.

El caso se precipitó en los últimos días después de que circularan insistentes versiones sobre la supuesta relación íntima del obispo con otro hombre. Incluso, se decía que existían indicios certeros de esta situación. Acaso para evitar un escándalo mayor, Maccarone —ante el requerimiento de sus superiores— reconoció la relación y elevó su renuncia. Según algunas fuentes, el obispo dejó la provincia y se desconoce dónde vive actualmente.

La Nunciatura Apostólica (embajada del Vaticano) se limitó a informar ayer que Benedicto XVI le había aceptado la renuncia a Maccarone, quien la presentó apelando el inciso 2 del canon 401, que alude a enfermedad u otra "causa grave". El anuncio causó sorpresa entre los observadores eclesiásticos ya que el obispo de Santiago del Estero, de 64 años, está lejos de la edad límite para dimitir (75 años) y nada hacía suponer una decisión así.

Con el paso de las horas, varias fuentes calificadas fueron trazando ante Clarín un cuadro coincidente sobre las causas de la dimisión. Los informantes, al tiempo que lamentaron profundamente esta situación, no descartaron que los indicios concretos sobre la relación íntima hayan sido procurados por enemigos políticos del obispo. Al parecer, el propio compañero del obispo habría sido quien reveló la relación y colocó al religioso en una situación sin salida.

A diferencia de Storni, Maccarone es un hombre muy querido en la Iglesia y de una trayectoria eclesiástica destacada. De un progresismo moderado —otra diferencia con Storni, de cuño muy conservador—, el saliente obispo de Santiago del Estero se ganó también enemigos poderosos. Entre ellos, el varias veces gobernador de la provincia Carlos Juárez, quien dominó la provincia junto a su mujer Nina Aragonés, desplazada del cargo hace dos años por una intervención federal que habría apoyado el obispo.

Con todo, no es la primera vez que la conducta sexual de Macca rone es, cuanto menos, puesta en duda. En su cargo anterior, como obispo de Chascomús, habría estado en la mira de la Justicia por un presunto caso de acoso sexual a otro joven mayor de edad. Pero sus allegados solían decir que las acusaciones no tenían fundamento y eran producto de una venganza política.

La Conferencia Episcopal no formuló comentarios sobre la dimisión de Maccarone. "No hay ningún comentario que hacer", dijo a Clarín un vocero. La cúpula del Episcopado celebrará la semana que viene su reunión de mediados de año, donde se descuenta que analizará el tema. Pero se desconoce si se pronunciará entonces. O, incluso, si lo haría antes dada la repercusión pública del tema.

http://www.clarin.com/diario/2005/08/20/sociedad/s-05801.htm

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