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Iraq: prove di guerra civile
by Pepe Escobar, Osservatorio Iraq Monday, Nov. 29, 2004 at 3:46 PM mail:

Iraq: prove di guerra civile

Iraq: prove di guerra civile
Pepe Escobar, Osservatorio Iraq



Asia Times Online, 25 novembre 2004

Najaf è stata bombardata in agosto. Samarra è stata bombardata in settembre. Sadr City è stata bombardata in ottobre. Falluja è stata bombardata in novembre. Mosul potrebbe essere bombardata in dicembre. E Kirkuk potrebbe essere bombardata in gennaio.

Questo è il calendario mentre ci si avvicina alle elezioni irachene fissate per il 30 gennaio del prossimo anno. Allora ci sarà un'altra serie di domande. Le elezioni irachene verranno rubate? I voti “spariranno”? Invece della Florida e dell’Ohio ci saranno richieste di riconteggio a Falluja e a Samarra? Come gli ucraini a Kiev, i sunniti a Baghdad scenderanno in piazza contestando i risultati delle loro elezioni? Il Primo ministro a interim Iyad Allawi – con un po’ di aiuto da parte dei suoi amici a Washington – vincerà?


Mini guerre civili

Falluja più elezioni equivale alla guerra civile. Questa tragica equazione potrebbe nascere in Iraq agli inizi del 2005. La motivazione ufficiale americana per l’offensiva di Falluja era di “stabilizzare” il paese prima delle elezioni. Questa strategia potrebbe aver spianato la strada alla guerra civile. Ampie prove indicano che la maggioranza dei sunniti – fino al 30% della popolazione – boicotterà le elezioni e le denuncerà come illegittime, mentre gli sciiti, per la prima volta in Iraq, saranno al potere.

Fonti di Baghdad dicono ad Asia Times Online che un attacco americano a Mosul – una città di un milione di abitanti – è inevitabile. Nella multietnica Mosul, Allawi non controlla neanche un chiosco di kebab. La riva ovest del Tigri è sotto il controllo totale della resistenza. La riva est è controllata da entrambi i partiti politici kurdi e dai loro peshmerga (paramilitari). E la minoranza turcomanna controlla alcuni settori all’interno della città. E’ già in corso una mini- guerra civile. Mosul è già la Sarajevo irachena.

Un indicatore chiave di questa mini guerra civile è stato l’assassinio lunedì dello sceicco Faidh Muhammad Amin al Faidhi, nella sua abitazione, da parte di tre uomini armati mascherati.

Lo sceicco al Faidhi, sunnita, era molto rispettato dagli sciiti e dai kurdi a Mosul. Era un membro influente del potente Consiglio degli Ulema, che ha condannato con gran forza il massacro di Falluja e ha invitato a boicottare le elezioni.

Suo fratello, Mohammed Bashar al Faidhi, un portavoce del Consiglio degli Ulema a Baghdad, crede che sia stato ucciso dal Mossad, assieme ad “alcuni elementi iracheni”, il che vuol dire agenti di Allawi. Questa osservazione, secondo le nostre fonti a Baghdad, riflette due convinzioni diffuse fra i sunniti: che la logica di Allawi e degli americani è “o votate nelle nostre elezioni o vi uccideremo”; e che Israele sta fomentando attivamente una guerra civile all’interno dell’Iraq.

Se si unisce l’assassinio dello sceicco al Faidhi all’offensiva di Falluja e all’invasione da parte degli americani venerdì scorso a Baghdad della moschea Abu Hanifa – il luogo simbolico dove è nata la resistenza irachena nell’aprile 2003 – allora si capisce perché la rabbia dei sunniti abbia raggiunto il punto di ebollizione.


E Kirkuk è anche peggio

Az-zaman, un giornale in lingua araba con sede a Londra, recentemente ha raccontato nei dettagli quello che sta succedendo a Kirkuk.

Hawija è il quartiere arabo principale di Kirkuk. Più di 300 suoi leader tribali ed esponenti religiosi lo hanno dichiarato off limits per gli americani, e stanno prendendo in mano tutte le questioni – dalla sicurezza alla ricostruzione. Hanno anche promesso di occuparsi di qualunque “gruppo armato” che si infiltri. Il problema è che questi “gruppi armati” altro non sono che i peshmerga kurdi, che pullulano per tutta la città.

I kurdi sono estremamente arrabbiati. Non c’è da stupirsi: Kirkuk, oltre a essere ricca di petrolio, è la Gerusalemme kurda.

Nel frattempo, a Falluja ancora non è finita. Fonti vicine alla resistenza a Baghdad giurano che i mujahidin controllano ancora almeno metà della città – tutta la parte sud oltre ai vicoli.

Gli americani, disperati per imporre un qualche grado di controllo, hanno lanciato un’altra offensiva massiccia a sud di Baghdad, nel cosiddetto “triangolo della morte”, mentre al tempo stesso non riescono neanche a controllare il settore inaffidabile di autostrada che dall’aeroporto di Baghdad porta direttamente nella Green Zone.

Migliaia di famiglie di rifugiati di Falluja vivono attualmente in condizioni terribili in rifugi di fortuna attorno alla città. Quelli non abbastanza fortunati da avere parenti a Baghdad sono accampati in posti come il campus dell’Università di Baghdad. Nessuno ha ricevuto alcun aiuto dal governo di Allawi e dal suo ministero della sanità – né farmaci, né medici, anche se c’è stata una promessa retorica. Baghdad è piena di rifugiati che raccontano storie orribili di paura sotto i bombardamenti americani incessanti, dell’essere stati spruzzati con quello che sostengono essere gas velenoso, di cecchini che uccidono donne e bambini o chiunque cerchi di attraversare l’Eufrate, di mancanza di acqua, di elettricità e di cibo.

Nessun sunnita in possesso delle sue facoltà mentali crede alla “ricostruzione” di Falluja: essi indicano l’esempio di Sadr City – bombardata in ottobre e ancora in rovina.

La Mezzaluna Rossa irachena dice che tutte le sue squadre di soccorso sono ancora bloccate e non possono entrare a Falluja, mentre gli americani dicono che i rifugiati dovranno aspettare ancora almeno due settimane prima di poter tornare nella loro città in rovina.

Questo catalogo di sofferenze, nella mente dei sunniti iracheni, significa che l’Iraq è stato trasformato dagli americani in un failed state (stato fallimentare), con il “governo” di Allawi che è una finzione priva di qualsivoglia autorità, eccetto il suo ricorso alla potenza di fuoco americana.


Lo show di Sharm el Sheikh

Neanche un governo arabo ha condannato il massacro di Falluja. La conferenza internazionale di questa settimana a Sharm el Sheikh, in Egitto, di fatto ha normalizzato il massacro di Falluja e ha legittimato il calendario delle elezioni.

Il Segretario Generale della Lega Araba – Amr Mussa – ha chiesto “un cessate il fuoco a Falluja e in altre zone calde”. Nessuno gli ha prestato attenzione. Una delegazione dell’opposizione irachena – che comprendeva Muzhar al Duleimi, il capo dell’organizzazione non governativa “Lega per la difesa dei diritti degli iracheni”, e Qassim Abdel Sattar, un membro del consiglio di Falluja – ha fatto circolare prima della conferenza un comunicato in cui si chiedeva che le elezioni venissero rinviate finché il paese non fosse relativamente sicuro. Ancora una volta, nessuno ha prestato attenzione – tranne gli egiziani e i giordani.

Finora, 47 partiti sunniti, sciiti, turcomanni e cristiani hanno dichiarato che boicotteranno le elezioni. I partiti politici iracheni registrati [per presentarsi alle elezioni di gennaio i partiti devono registrarsi presso la Commissione elettorale indipendente irachena NdT] sono 156.

I ministri degli interni dei paesi confinanti con l’Iraq si incontreranno la settimana prossima a Teheran. Si incontreranno di nuovo agli inizi di gennaio ad Amman per riesaminare la situazione prima delle elezioni. Sharm el Sheikh ha garantito che non ci sia un calendario per la fine dell’occupazione – solo un vago riferimento alla risoluzione 1546 del Consiglio di Sicurezza, che afferma che il mandato delle forze di occupazione scade “al completamento del processo politico” quando si spera che un governo eletto assumerà il potere alla fine del 2005.


Gli attori

Supponendo che ci saranno elezioni il 30 gennaio – per inciso il primo giorno del haj [pellegrinaggio alla Mecca NdT] annuale, che porta milioni di musulmani in Arabia Saudita – ecco come si collocano in questo momento gli attori principali.

Iyad Allawi, il Primo Ministro nominato dagli Usa (senza un parlamento), leader dell’Iraqi National Accord, ampiamente conosciuto a Baghdad come il “Saddam senza baffi”, e ora come “il macellaio di Falluja”, viene da una ricca famiglia di mercanti sciiti. Ex membro del partito Ba’ath ed ex risorsa della CIA, ha alienato inesorabilmente i sunniti dal calendario politico – contribuendo al tempo stesso a un sostegno popolare massiccio per la resistenza. Le nostre fonti confermano che in tutto il triangolo sunnita ci sono scritte sui muri che dicono, in arabo: “Morte ad Allawi e al suo governo fantoccio”. La sua credibilità in Iraq è bassa. Ma, dato che è l’uomo dell’America, non se ne andrà tranquillamente.

Ahmed Chalabi, lontano cugino di Allawi, leader dell’Iraqi National Congress (INC), condannato per bancarotta in Giordania, uomo del Pentagono e fonte privilegiata – poi caduta in disgrazia – di “intelligence” per gli americani, sta provando e riprovando a organizzare un ritorno. La sua credibilità può essere inferiore a quella di suo cugino, ma Chalabi viene da una famiglia altolocata sciita e sa ancora come ungere le sue conoscenze. Sta lavorando per creare una alleanza con i partiti religiosi sciiti e potrebbe farsi strada a furia di tangenti verso un posto chiave – forse anche un ministero.

Ghazi al Yawar, attualmente il presidente iracheno – un posto cerimoniale, privo di potere – non è ancora affiliato ad alcun partito. Ma è un leader tribale sunnita molto influente a Mosul, e anche un ingegnere civile e uomo d’affari, educato negli Usa. Ha ottimi legami con Washington – il che spiega il suo posto di presidente. Ma ha condannato con molta forza il massacro di Falluja – e i sunniti l’hanno notato. Potrebbe benissimo diventare uno dei leader della minoranza sunnita moderata nel prossimo governo.

Masud Barzani, sunnita e leader del Partito Democratico del Kurdistan (KDP), è stato un ex peshmerga – e per molti arabi sunniti questo è imperdonabile. Mantiene tuttora una milizia peshmerga di almeno 15.000 uomini. Barzani è il concorrente kurdo di Jalal Talabani. E’ stato membro dell’Iraqi Governing Council – anche grazie ai suoi legami con Washington – e uno dei suoi assistenti è ora un vice presidente. Talabani, anch’egli sunnita, è il leader dell’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK), e un laureato in legge della Baghdad University. Il suo partito è nato da una scissione del KDP. E’ stato un grandissimo lobbista per l’invasione e l’occupazione. E’ stato anche lui membro del Governing Council, mantenendo a sua volta la sua milizia di peshmerga. Sia Barzani che Talabani avranno una certa voce in capitolo a seconda di quale tipo di alleanze politiche saranno capaci di creare. Ma il fatto è che sia gli arabi sunniti che quelli sciiti considerano i kurdi come provenienti da un altro pianeta.

Muqtada al Sadr ha fatto oscillare abilmente il suo movimento, che ha base nel sottoproletariato, da una opposizione arrabbiata nei confronti dell’occupazione alla partecipazione politica. Il giovane esponente religioso sciita può non avere le credenziali religiose necessarie, ma questo non ha importanza quando tuo padre è stato il venerato Ayatollah Mohammed Sadiq al Sadr, assassinato dalla polizia segreta di Saddam Hussein. Gli sciiti urbani, arrabbiati, giovani, disoccupati voteranno in modo massiccio per i suoi quadri politici più importanti. Muqtada stesso non concorrerà a un seggio. Al momento sta negoziando la sua partecipazione alla lista unificata dei partiti sciiti spinta con forza dal Grande Ayatollah Ali al Sistani.

Abdul Aziz al Hakim è il leader del Consiglio Supremo per la rivoluzione islamica in Iraq (SCIRI), il secondo partito politico sciita. Lo SCIRI, fondamentalmente esiliato in Iran, è stato una voce potente di opposizione contro Saddam. Il fratello di Abdul Aziz era l’assai rispettato Ayatollah Mohammed Baqr al Hakim, ucciso da una autobomba a Najaf nell’agosto 2003: l’ayatollah avrebbe potuto diventare il leader di un nuovo Iraq. Lo SCIRI è estremamente organizzato. Esso aveva la sua milizia – le Brigate Badr, che ora fanno parte delle nuove forze di sicurezza irachene – quindi obiettivi per la resistenza irachena. Il grosso problema è che lo SCIRI è prosperato in esilio in Iran troppo a lungo – il che per molti arabi sunniti significa che i suoi membri sono agenti iraniani. Nel prossimo governo, il partito sciita moderato Dawa sarà certamente più potente dello SCIRI.

Il candidato più forte a essere il nuovo Primo Ministro iracheno è indubbiamente Ibrahim al Jafari, il capo del partito Dawa, che è stato il principale partito di opposizione a Saddam. Viene da Karbala e ha studiato medicina a Mosul. Il Dawa è molto forte nel sud dell’Iraq e potrebbe ora essere il maggiore partito politico del paese. Sarà il partito principale nella lista sciita unificata spinta da Sistani.

Al Jafari è stato membro del Governing Council messo su dagli americani. Attualmente uno dei vicepresidenti, al Jafari è, come può essere simostrato, il politico più popolare in Iraq in questo momento.

Supponendo che in gennaio al Jafari venga eletto nuovo Primo Ministro in un governo sciita controllato dai partiti Dawa e SCIRI, rimangono almeno tre domande seccanti.

Le elezioni impediranno o inciteranno la guerra civile? Quale città bombarderanno gli Usa in febbraio? E l’occupazione sarà finita per il dicembre 2005?

Pepe Escobar è un giornalista brasiliano che si occupa di questioni del Medio Oriente e dell’Asia meridionale. E’ stato in Afghanistan e ha intervistato il leader militare dell’Alleanza del Nord, Ahmad Shah Masoud, un paio di settimane prima che venisse assassinato. Due settimane prima dell’11 settembre 2001, era nelle aree tribali del Pakistan, ed è stato uno dei primi giornalisti a raggiungere Kabul dopo la ritirata dei Talibani.


(Traduzione di Ornella Sangiovanni)


testo originale: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/FK25Ak04.html
http://www.uruknet.info/?&p=7574


:: L'indirizzo di questa pagina è : http://www.uruknet.info?p=7647
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   http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=324
:: Articolo n. 7647 postato il 29-nov-2004 01:43 ECT


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