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Caso Jolly Rosso. Parla la moglie del capitano De Grazia che indagava sulle navi a perdere
by psylocibe Thursday, Dec. 16, 2004 at 9:03 AM mail:

«La verità sulla morte di mio marito» Con il pool era giunto a un punto delicato nell'inchiesta

REGGIO CALABRIA - Cosa c'è dietro la morte del giovane comandante della capitaneria di porto di Reggio Calabria, Natale De Grazia, avvenuta il 13 dicembre di 9 anni fa durante una sosta del suo viaggio verso la Spezia, mentre stava conducendo indagini sul traffico di rifiuti tossici. E cosa c'è dietro la nebbia dei dubbi che avvolgono le inchieste sugli affondamenti delle quaranta navi cariche di scorie radioattive "abbandonate" nei fondali del mediterraneo? C'è tanta paura. E tanto dolore. Dal giorno della scoperta di rifiuti tossici nella discarica nel comune di Amantea si è riaperta l'inchiesta su caso della Jolly Rosso, la nave carica di scorie della linea Messina insabbiata nelle coste di Amantea il 14 dicembre del 1990. E così si è rotto il muro di silenzio costruito negli otto anni successivi alla chiusura dell'inchiesta diretta dal procuratore di Reggio Calabria, Francesco Neri. E si è riaperta una ferita.
Quella di una moglie Anna Vespia, vedova De Grazia, onorata il 24 giugno da una medaglia all'onore consegnata dal presidente della repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, alla memoria del marito «per l'intuito con cui portò avanti il suo lavoro al prezzo di un grande sacrificio».
Parla prima di un incontro organizzato da Legambiente a Reggio Calabria, durante il quale è stato proiettato un filmato che ricostruisce, con un puzzle di immagini, la storia dei servizi televisivi realizzati nel corso degli anni novanta sulle battaglie sulla questione dei traffici radioattivi e sulle inchieste della magistratura. «Mio marito era un'ufficiale di marina ed era stato assegnato alla procura di Reggio Calabria per dare un contributo tecnico. Da quando si occupava di queste vicende era sempre molto preoccupato, stressato, ma a me diceva di non avere paura».
- Le ha mai raccontato di aver subito minacce, intimidazioni o si ricorda di aver notato qualcosa di strano durante l'ultimo periodo della sua vita?
«Personalmente non ho mai assistito ad una telefonata strana o altro che potesse insospettirmi o preoccuparmi. Lui non ha mai lasciato trapelare che si sentisse seguito, controllato. E non saprei ancora oggi dire con certezza cosa provasse in quei giorni. Lo vedevo molto preso dal suo lavoro che lo impegnava giorno e notte. Lo viveva come una missione. Non sono in grado di stabilire se mi proteggesse da qualcosa o se effettivamente non si sentisse il bersaglio di un'azione intimidatoria. Io sapevo, perché me ne parlava, che con il pool erano riusciti ad arrivare ad un punto molto delicato sulla verità delle navi affondate. Erano venuti a conoscenza di elementi cruciali per la ricostruzione delle vicende dei traffici di scorie e di armi. So che i sospetti da cui erano partiti avevano rivelato intrighi e collegamenti scottanti a livello internazionale. Ma un giorno gli ho chiesto: rischi qualcosa? Lui mi rispose di no perché lui era un tecnico. Ecco, questa è l'unica volta in cui noi abbiamo affrontato l'argomento".
- Secondo lei cosa è successo davvero quel giorno?
«In un primo momento ho pensato che si trattasse di morte naturale. Quantomeno determinata dallo stress. Solo dopo ho iniziato a nutrire dei dubbi. Quello che è certo è che sulla morte di mio marito c'è ancora tanta nebbia. Noi familiari abbiamo fatto ricorso alla perizia medica della prima autopsia, fatta cinque giorni dopo il decesso, che parla di arresto cardio-circolatorio. Mio marito era giovane e stava bene, volevo certezze. Ma non ne ho avute. Anzi. La seconda autopsia non solo è stata assegnata allo stesso perito ma addirittura non ho mai ricevuto, e sono passati otto lunghi anni, nessun esito».
- Come vive questo momento in cui si sono riaccesi i riflettori su questa vicenda dopo tutto questo tempo di silenzio?
«Se da un lato è giusto dare risonanza ad una persona che ha lottato tanto, dall'altro si sono acuite sofferenze atroci. Mi sento nuovamente avvolta dall'inquietudine e a dire il vero sono molto scettica. Io non credo che si arriverà ad una verità neanche con la riapertura dell'inchiesta. Lo stesso procuratore di Paola, Francesco Greco, ha detto di non sentire le istituzioni vicine, si figuri io che mi ritrovo senza il mio compagno, l'amore della mia vita ed i miei figli senza il loro giovane padre. Questa è la mia verità».
- Come ha raccontato questa cosa ai suoi figli?
«Allora Giovanni aveva dieci anni e Roberto sette. Sanno tutto ed hanno sempre saputo tutto. Ma non ho mai voluto che crescessero nel sospetto. E se hanno rabbia nel cuore, e sono sicura che è così, non me lo dicono né me lo dimostrano perché da questo mi proteggono. Esattamente come avrebbe fatto mio marito».

fonte: Il Quotidiano della Calabria
Link originale dell'articolo: http://www.ilquotidianodellacalabria.it/articolo.asp?nomefile=16-qq3-1512-art_1.txt

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