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LA PATTUMIERA DEI REVISIONISMI
by copy 'n paste Thursday, Jan. 20, 2005 at 1:09 PM mail:

La retorica della "memoria condivisa" non poteva che finire, inevitabilmente, nello snaturare la verità perché, così come la questione è stata posta, con equivoci incomprensibili a sinistra e volontà di falsificazione a destra - a partire dalla campagna vergognosa di riabilitazione sul problema dei "ragazzi di Salò" - rischia di tradursi nella trappola della "storia condivisa", ossia in una riprovevole interpretazione delle nostre vicende nazionali che annebbia le cose e che, con lo scorrere inevitabile delle generazioni, rappresenta alle giovani generazioni un paradigma storico bugiardo.

LA PATTUMIERA DEI REVISIONISMI
No! L'antifascismo è ora e sempre valore fondante della nostra Repubblica
di Paolo Bagnoli
poco a poco il clima politico-culturale che si è manifestato in questi ultimi anni sta dando i suoi frutti e questi sono amari, per gli antifascisti in generale, ma soprattutto per la questione repubblicana, vale a dire per quanto di valore è insito nella Repubblica che non è retorica definire nata dalla Resistenza e dalla Guerra di Liberazione. Tutte le falsità buoniste cui abbiamo assistito - e contro le quali ci siamo sempre fermamente posizionati - alla fine stanno dando i loro frutti bacati. La retorica della "memoria condivisa" non poteva che finire, inevitabilmente, nello snaturare la verità perché, così come la questione è stata posta, con equivoci incomprensibili a sinistra e volontà di falsificazione a destra - a partire dalla campagna vergognosa di riabilitazione sul problema dei "ragazzi di Salò" - rischia di tradursi nella trappola della "storia condivisa", ossia in una riprovevole interpretazione delle nostre vicende nazionali che annebbia le cose e che, con lo scorrere inevitabile delle generazioni, rappresenta alle giovani generazioni un paradigma storico bugiardo.
Se vogliamo rimanere ai piani alti del problema l'equiparazione di Cefalonia con El Alamein;
se scendiamo a quelli bassi l'irrisorio orgoglio del volontario repubbli-chino con la scelta partigiana. Nel concorrere alla rappresentazione talora non è mancato il supporto di coloro ai quali, come nel caso del presidente del Senato, dovrebbe spettare la difesa della legalità storica della Repubblica; ma il presidente del consiglio vi ha, naturalmente, messo del suo definendo la nostra Costituzione "sovietica" e sabotando regolarmente la festa del 25 aprile che si è addirittura proposto di abolire.
Su tutti questi temi e problemi fornisce oggi una ragionata testimonianza, pienamente condivisibile Sergio Luzzatto in un asciutto libretto dal titolo illuminante: La crisi dell'antifascismo edito recentemente da Einaudi. Luzzatto ha ragione: l'antifascismo è in crisi ed a nostro modesto parere lo è perché esso sembra essere scomparso dalla tematica politica grazie all'alibi che la storia la devono fare gli storici. Qui, però, non si tratta di scrivere un manuale; si tratta di non buttare al macero le ragioni storiche della Repubblica e di quanto ad essa si connette: il passato, il presente ed il futuro della nostra vita democratica, nata appunto dalla Resistenza e dalla Guerra di Liberazione ossia da due fattori storici cui nessuno, vogliamo sperare, vorrà togliere il carattere motivante dell'antifascismo.
Sì, siamo alla crisi; una crisi a fronte della quale ci troviamo talvolta arresi come succede quando capitano cose che non si pensa mai sarebbero potute capitare. E non si tratta, si badi bene, di come stare sul campo della polemica insita, naturalmente, nel confronto fascismo-antifascismo questa, in fondo, non è mai venuta meno nel corso del mezzo secolo che ha seguito la fine del conflitto - quanto del fatto che si è messo in moto un qualcosa di più grande e profondo cui ancora non si è guardato con l'attenzione dovuta; quasi fosse il residuo di una dimensione politica appartenente al passato, magari ai reduci di un tempo ormai lontano e non coinvolgente, invece, le ragioni forti del presente.
Da qualche anno, la demolizione del- le ragioni antifasciste della Repubblica, l'equiparazione delle due Italie - quella partigiana e quella repubblichina - il ritenere la Resistenza come un qualcosa ad esclusività di parte, cioè comunista; la richiesta di rivedere i libri di testo; l'impegno a che gli Istituti Storici della Resistenza si trovino nella condizione di chiudere; l'esaltazione patriottica della Divisione San Marco e la dimensione nazionale della X Mas; i monumenti ai gerarchi del regime; la negazione dei pur modesti contributi alle associazioni dell'antifascismo; la brutalità dei rossi nell'immediato dopoguerra e così via, sono stati tutti momenti di un qualcosa che è venuta prendendo corpo politico, per lo più nell'indifferenza generale e sempre in nome di una pacificazione che non siamo mai riusciti a capire cosa volesse significare, se non una subdola falsificante strada per negare alla storia d'Italia quello che le compete: la Repubblica nata dalla Resistenza emdalla Guerra di Liberazione.
Il percorso di tutta l'operazione -che non riguarda la storia, ma, lo ripetiamo, la politica - ha trovato un punto di sintesi e di evidenziazione quando la Commissione Difesa del Senato, quel ramo del Parlamento presieduto da Marcello Pera, appunto!, ha approvato un disegno di legge che riconosce come legittimi belligeranti i militari della Repubblica Sociale Italiana; ossia i ragazzi ed i nonni di Salò, coloro che in nome della Patria e dell'onore italiano, si allearono ai tedeschi in una guerra che non solo era sbagliata, ma che ebbe il merito di macchiarsi di nefandezze che tutti conoscono bene.
Ora, se sul piano giuridico è assurdo riconoscere oggi alla Repubblica Sociale Italiana quella legittimità non riconosciuta ieri sul piano morale e civile, e quindi politico, la questione è ancor più grave in quanto quelle truppe, che operarono sotto i comandi tedeschi ed a loro piena disposizione, si schierarono contro il governo legittimo italiano che aveva dichiarato guerra alla Germania nell'ottobre 1943; e poi perché si macchiarono di delitti efferati pari a quelli compiuti dalle truppe di occupazione. E' triste dover ricordare ancora, oggi che siamo nel nuovo secolo, cosa furono le rappresaglie, le stragi e le persecuzioni contro gli ebrei; ma forse non si è ricordato bene e forse non abbastanza se si ritiene che chi decise di andare sotto Graziani abbia fatto, per la Repubblica Italiana, la stessa scelta di chi impugnò le armi contro, di chi impugnò le armi per la libertà dell'Italia. E certo fu guerra e la guerra fu violenza, ma nel caso della guerra partigiana la violenza, che è insita in ogni guerra, anche in quelle giuste, fu levatrice della storia: della storia per la libertà e la democrazia del nostro Paese.
Le associazioni dell'antifascismo, in un comunicato a firma congiunta, hanno definito il provvedimento un "insulto alla memoria dei Caduti e ai sentimenti di quanti, militari e civili, si batterono per la libertà"; e più di un giudizio politico è semplicemente la verità. Ma se l'indignazione - sentimento che appartiene alla parte più vera della sfera morale degli individui - rimane solo tale e non diviene elemento attivo, alla fine tutto resta come prima. Nel caso specifico l'indignazione riguarda una questione di non poco conto poiché, se la famigerata legge proposta dal Polo malauguratamente dovesse passare, ciò che essa determina è il paradigma storico della nostra Repubblica, delle sue ragioni e dei suoi valori. Altro che affermazione di revisionismo, saremmo al rovesciamento della storia e della verità! La vera condivisione della storia, infatti, non concerne i valori che essa mette in campo, ma la realtà delle cose, anche quando esse sono contraddittorie. La condivisione è accettazione, vale a dire non negare la realtà dei fatti e questi - lo ripetiamo per l'ennesima volta - sono che la Repubblica è frutto della sconfitta del fascismo, prodotto dei conti fatti dal popolo italiano con la propria storia passata e le responsabilità ad essa connesse; un frutto ed un prodotto nati nel terreno sofferto e combattuto della scelta antifascista; scelta di fondo rispetto alle singole posizioni politiche.
Questo è il paradigma storico-politico della Repubblica; se esso dovesse venire stravolto la Repubblica sarebbe, inevitabilmente, a rischio di snaturamento, ma la Costituzione stabilisce gli istituti della sua garanzia e, su questo argomento, sarebbe opportuno un pronunciamento.
Qualora questa legge passasse non avrebbe più senso continuare a commemorare i martiri per la libertà: Junio Valerio Borghese varrebbe Ferruccio Parri ed i sette fratelli Cervi potrebbero essere ricordati insieme ai loro fucilatori. Ma è possibile? O meglio, cosa in questo mezzo secolo è stato sbagliato per arrivare ad una situazione del genere? Sono interrogativi che dobbiamo onestamente porci e sui quali ragionare tanto pacatamente quanto fermamente. Certo che la responsabilità prima è imputabile al presidente del consiglio, al governo ed alla sua maggioranza, ma è una verità troppo ristretta, troppo riduttiva ed anche auto assolutoria. Noi crediamo che ciò sia anche il frutto di uno scostamento politico della democrazia italiana rispetto a questi temi; l'Italia bipolare è così presa dalla contesa per il governo che la dimensione politica vera del Paese molto spesso passa in sottordine; ossia che la pur importante "politica del quotidiano" sopravanza quella delle fondamenta, vale a dire ciò che permette alla prima di stare dentro l'arco della legalità costituzionale della Repubblica.
Nella frenesia della "politica del quotidiano" i partiti - che non sono più quelli di un tempo con quanto di positivo e di negativo afferisce a tale considerazione - hanno dato per scontato ciò che non lo deve mai essere poiché i processi storici, anche quelli negativi, hanno talora lunghi tempi e nascono sempre da iniziative che sottendono precise idee. Inoltre essi hanno smesso l'abito di educatori alla vita civile degli italiani ritenendo che basti fare un'intervista al giorno e stare sulle televisioni per essere fra la gente. Non è così, ed infatti la democrazia televisiva e leaderistica sta producendo uno snaturamento di fondo dei modi della nostra convivenza assicurando, tra l'altro, un minore tasso di governabilità rispetto alla tanto deprecata "democrazia dei partiti". Stare tra la gente significa, da un lato, mediare tra la base popolare del Paese e le istituzioni e, dall'altro, attivare un insieme composito di meccanismi che, pur da posizioni particolari ed anche a forte impianto ideologico - perché no? - facciano comunque "etica democratica" che, lo ripetiamo ancora, in questo nostro Paese non può prescindere dall'antifascismo.
Insomma se alla maggioranza spettano le responsabilità primarie, a tutti gli altri spettano altre responsabilità per cui s'impone una riflessione ampia, coinvolgente ed approfondita vista la situazione in cui ci troviamo ed il clima che viviamo che, dopo i libri di Giampaolo Pansa che hanno trattato argomenti che è bene trattare, magari senza malizia e capziosità, oggi arriva anche una "revisione" del sacrificio della Acqui a Cefalonia. Già, chi ci avrebbe mai pensato?
il quadro generale non manca ,al il contorno. Per esempio: dov'è andato a finire il percorso verso l'antifascismo di Gianfranco Fini? A metà settembre, infatti, sul giornale del suo partito Franco Servello ha scritto un lungo articolo per proporre Giorgio Almirante quale "padre della Repubblica" in risposta a Piero Fassino che in tal modo aveva definito Togliatti. Si tratta, forse, di un articolo provocatorio nel senso buono, ma sicuramente provocativo della nascita di un disegno teso alla giustificazione storica della RSI e, nel caso di Almirante, anche di una derivazione razzista. Si tratta di una considerazione che riguarda esclusivamente la storia politica dell'uomo. Servello ha addirittura evocato "la segreta alchimia dell'uomo capace di una sintesi mirabile tra passato e futuro". Come si vede la mistica fascista ancora vive e si propone; ma perché Fini non ha sentito, lui che ha cercato il dialogo con gli ebrei, che si è messo lo zucchetto a Gerusalemme e che ha riconosciuto la validità storica del 25 aprile - almeno a parole - non si è sentito in dovere di dire qualcosa? Timore reverenziale per il padre politico o per quanto avrebbe potuto dire donna Assunta, ma se avesse voluto, ne siamo certi, non sarebbe mancato al vicepresidente del consiglio il modo di far conoscere un parere in merito. Ma Fini è stato zitto ed è un silenzio significativo.
Parlavamo di clima. Il 12 settembre scorso si sono ritrovati a Pian del Cansiglio trenta gonfaloni dei comuni veneti a ricordare il terribile rastrellamento del 9 settembre 1944. Mancava il gonfalone della città di Treviso insignito della medaglia d'oro della Resistenza. Treviso è governata da una maggioranza leghista il cui leader è l'ex sindaco, oggi vice, Giancarlo Gentilini, ben noto per le sue prese di posizione ultrarazziste, di volgare razzismo. E così Gentilini ha spiegato le ragioni dell'assenza di Treviso: "Dopo 60 anni, invece di lavorare per la pacificazione l'Anpi fomenta l'odio. Noi invece crediamo che oggi tutti i soldati che hanno combattuto per la loro bandiera abbiano diritto alla loro dignità". E così il cerchio si chiude; l'iniziativa della Commissione Difesa del Senato già si realizza. Ma che c'entra la dignità della morte, che mai nessuno ha negato a nessuno qualunque sia la bandiera sotto la quale ha combattuto - ed il primo a farlo, non dimentichiamolo, fu Leo Valiani - con le scelte fatte dagli uomini in vita poiché il giudizio della storia passa per le vite degli uomini vivi, non per i corpi dei morti? Le scelte di quelli che venivano rastrellati sul Cansiglio non erano quelle di coloro che li rastrellavano.
Potremmo continuare; la crisi dell'antifascismo è nei fatti; alla constatazione deve seguire la risposta; è un dovere che deve essere sentito non solo da pochi poiché dall'esito di quella risposta ne va della situazione di tutti, di tutti coloro che credono nella Repubblica e nella cittadinanza repubblicana.

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