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Cpt di Ponte Galeria, un carcere modello
by zip Wednesday, Jul. 06, 2005 at 8:57 PM mail:

l'assessore Nieri: «E' ora di chiudere questi luoghi»

da "il manifesto" del 06 Luglio 2005

Cpt di Ponte Galeria, un carcere modello

Visita nel centro di permanenza romano tra donne rumene che vogliono vedere i figli e richiedenti asilo. La regione: «Chiudiamoli»
CINZIA GUBBINI,

Mariana, vedova con tre figli; Mendiza, un marito malato e due figli all'università in Romania; Venuza, 3 bambini che l'aspettano a casa. Scrivi, scrivi dicono le donne che affollano il cancello in mezzo alle sbarre del reparto femminile del centro di permanenza di Ponte Galeria a Roma. La prima donna che si incontra è seduta a terra e ha solo 23 anni. Ma soprattutto ha un piede tutto storto. «E' un piede torto mai curato», dice il medico del centro. Lei piange ma non per quello. Anzi, le da anche un po' fastidio che una sua amica le tolga la scarpa per far vedere a tutti la sua malformazione. Lei piange per un altro motivo: «Ho un bambino di undici mesi qui in Italia». La senatrice Tana De Zulueta chiede spiegazioni. Il medico si irrita: «Ma insomma, abbiamo già preso un appuntamento con l'ospedale». Ma no, il problema è il bambino. «Abbiamo già spiegato alla signora che potrà tornare in Romania con suo figlio», interviene una volontaria della Croce Rossa, per rassicurare tutti. La realtà dei cpt è questa, sempre uguale. Non contano le pareti ridipinte, la pulizia più o meno accurata, la gentilezza o la diffidenza del personale che gestisce il centro e della polizia. La realtà, molteplice e inafferrabile, delle persone che scontano la loro pena riempie lo spiazzale coperto di cemento e circondato dalle sbarre, le pareti delle camere che le donne passate di qui hanno riempito di copertine dei settimanali. Tutte ritraggono donne bellissime e ben vestite.

Sono le 11,30 di mattina quando un gruppo di parlamentari entra nel cpt: Tana De Zulueta e Pietro Folena di Rifondazione, Chiara Acciarini e Silvana Pisa dei Ds, Paolo Cento dei Verdi e Gianfranco Pagliarulo del Pdci. Non è certo la prima volta, ma la visita di ieri è stata un po' speciale, perché per Roma ha significato la ripresa di una battaglia che sembra essere arrivata davvero vicina all'obiettivo: chiudere i centri. Lo dicono a chiare lettere le magliette stampate dalla Rete no cpt: «Ponte Galeria: vergogna della Repubblica». La stura l'ha data l'iniziativa clamorosa del governatore della regione Puglia Nichi Vendola. Insieme ai parlamentari ci sono anche i rappresentanti della regione Lazio, che l'11 luglio parteciperà all'incontro di Bari. Ci sono l'assessore al bilancio Luigi Nieri e i consiglieri Peppe Mariani e Ivano Peduzzi. Il governatore Marrazzo non c'è, ma ha mandato una lettera per ribadire «il sostegno all'iniziativa di Vendola». Fuori un presidio di un centinaio di persone. Tra loro moltissimi immigrati: sono quelli che hanno occupato le case con Action e con il Coordinamento di lotta per la casa. Ora chiedono alla regione di impegnarsi a costruire una legge regionale sull'immigrazione che possa contrapporsi a quella del governo.

La delegazione che viene autorizzata dalla prefettura ad entrare nel centro è, una volta tanto, numerosa. Unici esclusi, i giornalisti muniti di telecamera e i fotografi. Paradossalmente, persino l'assessore Nieri e i consiglieri regionali si devono far passare per aiutanti dei parlamentari: il Viminale ha tolto loro la prerogativa di poter entrare nei cpt. Dietro le spesse mura di cinta che circondano il casermone da poco ristrutturato (per ampliare i posti a disposizione) si sentono gli slogan gridati dal presidio. La delegazione è accolta dal direttore del centro, il capitano Bomba, che si giustifica di essere in divisa: «Appartengo al corpo militare della Croce rossa», spiega. E continua: «In questi anni abbiamo cercato di introdurre tutti i miglioramenti possibili». Dunque, un servizio di parrucchieria e un barbiere, persino una biblioteca multimediale. Insomma, i servizi che si usano nelle carceri modello.

Ci sono tutti: il direttore sanitario rigorosamente in camice bianco, la psicologa, uno stuolo di volontari, gli interpreti. Ma la realtà è difficile da nascondere. E così gli interpreti sono due e parlano inglese, francese, spagnolo, tedesco e arabo. Ma non si capisce chi parli con le persone che vengono dall'est e che pure rappresentano più della metà delle persone presente nel centro. Su 248 «ospiti» (il posto può tenerne 300) 128 sono rumeni, tredici donne sono moldave, quindici sono cinesi e molti di loro hanno una seria difficoltà ad esprimersi in italiano. La «Carta dei diritti» che dovrebbe essere distribuita al momento è in ristampa, e ci sono problemi perché se ne dovrebbe occupare la prefettura, e si sa come funziona la burocrazia. Eccetera.

Ma certo è complicato infiocchettare un luogo in cui per 60 giorni devono vivere persone che hanno storie come quella di una ragazza rumena, che è stata portata in centro dal posto di polizia dove era andata a denunciare una violenza sessuale. Oppure quella del nigeriano Pius, che il suo colloquio con la Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato l'ha dovuto sostenere con un inteprete di origine asiatica. Oppure quelle di chi ha un permesso non ancora scaduto, o di chi ha fatto richiesta di asilo politico e aspetta. Gli avvocati Simonetta Crisci e Alessandra Ballerini segnano tutti i casi. La delegazione esce per dire di aver ottenuto l'ennesima conferma che si tratta di luoghi ingestibili. Per l'assessore Nieri: «E' ora di chiudere questi luoghi». La sera dal centro arriva qualche telefonata. Sembra che qualcuno si sia arrabbiato per le denunce degli «ospiti»: «Ci dicono che raccontiamo bugie, ma non è vero. E che non ci fanno più arrivare i soldi dai nostri famigliari. Possono farlo?». Teoricamente, no.
http://www.ilmanifesto.it/g8/dopogenova/

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