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Tra i check point della Val di Susa / LA Tav pende sul centro sinistra
by syd Tuesday, Nov. 29, 2005 at 7:40 PM mail:

«Non è possibile avere una montagna piena di poliziotti. Ma siamo in guerra?» / Berlusconi parla di «comunicazione tra Atlantico e Pacifico», ma il vero rischio è altrove

da "il manifesto" del 29 Novembre 2005

Tra i check point della Val di Susa

Per una tazza di tè A Mompantero è arrivata la trivella. E anche i posti di blocco. I residenti devono esibire la carta di identità, «ma non possiamo invitare nessuno, neanche per un tè» Chiodi e polizia Le strade della Valle continuano a essere disseminate di chiodi. «Ci fanno fuori quattro mezzi al giorno», dice un poliziotto. «Beccato» dagli abitanti a far legna contro il freddo
ORSOLA CASAGRANDE,

L'appuntamento è alla stazione di Susa. Ci aspettano Piera, insegnante residente al Seghino, e l'assessore Adriano. Dal 31 ottobre, cioè da quando con la forza è stata installata la trivella che dovrebbe compiere sondaggi geologici al Seghino, Piera e tutti gli abitanti di Mompantero, Seghino, San Giuseppe, Bosconero e le altre frazioni vicine vivono letteralmente sotto assedio. Le forze dell'ordine sono ovunque. Si è creata una zona rossa permanente, ma non attorno alla trivella da difendere (che per altro si trova in cima ad un monte, quindi è assai arduo raggiungerla), bensì in un raggio di chilometri. E' un viaggio che ha del surreale quello che ci attende. In macchina si arriva al cimitero di Mompantero. Primo posto di blocco: una camionetta di carabinieri con cinque, sei uomini. Chiedono dove andiamo e chi siamo. Piera esibisce sul cruscotto una fotocopia formato A4 della sua carta d'identità. Oggi è sabato e quindi i carabinieri sono più rilassati: il week-end i controlli sono meno rigidi. Che significa, come sottolinea Piera, che «se voi foste venuti su a trovarmi il mercoledì non vi avrebbero fatti passare». Infatti, come ci racconteranno diversi residenti di queste frazioni della valle, «noi possiamo entrare e uscire, naturalmente sempre previa esibizione della carta d'identità, ma i non residenti non possono salire a trovarci, nemmeno per un tè». Dal 31 ottobre, per dire, Piera non ha potuto invitare a cena più nessun amico.

Lasciato il posto di blocco dei carabinieri si comincia a salire su una strada che presto si fa molto stretta: due macchine affiancate non passano. Si sale e si arriva al secondo posto di blocco, ad un bivio. Qui ci sono due mezzi e sono della guardia di finanza e della polizia, ci sono una decina di agenti. Si guardano tra loro prima di decidere di lasciarci passare. Del resto, abbiamo detto di essere con Piera ed è pur sempre sabato. Prima di arrivare al secondo check point si accavallano i racconti delle barricate costruite dai residenti nella notte tra il 30 e il 31 ottobre. «Vedi lì? Era "caduto" un albero. La prima barricata l'hanno passata senza problemi, ma la seconda, quella dell'albero, non sono mica riusciti a spostarla».

Si sale ancora un po' e si arriva alla chiesetta. Da qui, guardando a valle, si vede il check point che abbiamo appena attraversato, quello di fianco al cimitero e le varie stradine e mulattiere che quella mattina centinaia di abitanti hanno percorso per salire fin su al Seghino dove ci sono i terreni che l'alta velocità requisirà ai suoi proprietari. Guardando in alto si vede questa montagna che come ripeteranno in molti, si sta ribellando. E' una montagna piena di storie e ricordi. Il passaggio e i nascondigli dei partigiani qui sono memoria viva. E non solo perché a ricordare ci sono le lapidi, tantissime, ma anche perché chi vive qui tramanda di padre in figlio le storie di questi monti.

Il Seghino ospita una ventina di abitanti, cinque o sei case. Incontriamo Alma, un caschetto corto bianco e un viso dolcissimo. Come va? «Eh, non va mica bene», dice. E comincia a raccontare. «Non è mica bello. Vado a prendere la legna e mi vengono dietro. Mi guardano nella borsa, che non ci siano chiodi». I controlli sono fatti da polizia, carabinieri e guardia di finanza. «Non è possibile avere una montagna piena di poliziotti. Ma siamo in guerra?»

Alma è valdese, «sono di Prali ma sono venuta qui con papà e qui sono cresciuta. Questa società - dice - mi ha già bastonata tanto, ma quello che succede adesso proprio non va bene». Dal 31 ottobre la vita per questi abitanti è cambiata. «La polizia gira avanti e indietro - dice ancora Alma - ci chiedono perché i bambini hanno paura di loro. Questa gente gira in borghese, armata. Sono in coppia, un uomo e una donna, sempre col rumore della trasmittente. Di notte non si può più dormire perché ogni cambio turno ti svegli: i fari accecanti, il via vai di mezzi».

Ma ciò che ferisce di più questa gente non sono i disagi, bensì la violazione della montagna. «Qui tutto parla - dice Alma - lo vedi quel falco? Indica brutto tempo». I ragazzini hanno appeso ad un balcone un lenzuolo bianco. Sopra ci hanno scritto «sì ai cinghiali, no ai militari». I cinghiali sono spariti dal 31 ottobre. «Non possiamo più andare in giro in bicicletta o a giocare lungo i sentieri», dicono alcuni ragazzi. Passano due blindati della polizia. Salgono e poco dopo ecco sbucare due teste da dietro un albero. «Controllano chi siete - dice Alma - perché qui durante la settimana può venire solo chi ha il lasciapassare rilasciato dal comune».

Fa molto freddo e Alma con un'amica deve andare a prendere la legna. «Anche le guardie - dice - hanno freddo, ma il problema è che ci prendono la nostra legna. Non è mica giusto». Di notte lungo il sentiero si vedono le torce dei poliziotti. «Si sentono le voci. E' una situazione drammatica - dice Piera - Ci hanno sconvolto la vita. Abbiamo paura. Vorrei una vita normale, mi dice mia figlia».

Saliamo fino alla trivella. Incrociamo quattro mezzi della polizia. Da una torretta c'è un poliziotto che filma la nostra macchina. Scendiamo dall'auto e proseguiamo a piedi fino alla trivella. Su un dirupo c'è un poliziotto che cerca di tagliare un albero grosso così con un seghetto di venti centimetri. Nota i visitatori e tenta goffamente di nascondere la sega. Piera dice subito che gli alberi non si tagliano. Sono proprietà privata. «Se avete freddo - aggiunge - fatevi portare su la legna, compratela come tutti gli altri». Si avvicinano in due, uno con l'accento toscano e l'altro genovese. «Signora - dicono - si figuri se noi abbiamo voglia di stare qui». C'è una tenda militare di fianco alla trivella. Dormite lì? «No, - risponde uno - fa troppo freddo dentro, stiamo fuori tutta la notte». Un altro aggiunge: «Noi non sappiamo nemmeno perché siamo qui. Per proteggere una trivella? Mandassero il corpo competente, cioè l'esercito». E' vero che avete problemi ai mezzi per via dei chiodi? «Se è vero? Quattro mezzi al giorno ci fanno fuori». Arriva il responsabile che si profonde in scuse per il tentativo di tagliare l'albero. «Sapete fa freddo. Adesso chiederemo la legna. Comunque - aggiunge - non potreste stare qui». Un'altra assurdità. Non ci sono cartelli a segnalare che questa è zona militare o che c'è divieto d'accesso. La trivella è immobile. Un pezzo di ferro che stona con l'armonia delle forme di questa montagna.

Scendiamo a valle. Arrivare a Venaus significa passare altri due posti di blocco. La val Susa come Belfast. E non è un paragone azzardato: i blindati sono ovunque, carabinieri, polizia, finanzieri. Manca solo l'esercito. Ecco anche la coppietta di agenti in borghese. Staziona ad un bivio. A Venaus, di fronte ai trentacinquemila metri quadrati di terreno dove domani dovrebbero partire i lavori del tunnel c'è il presidio permanente. Si sta lavorando per organizzare al meglio la resistenza. In un'affollatissima assemblea al dopolavoro ferroviario di Bussoleno si mettono a punto gli ultimi dettagli per una risposta che sarà di massa, di resistenza popolare. Una risposta alla prepotenza di un potere che non vuole ascoltare.
http://www.ilmanifesto.it/g8/dopogenova/438c7cf4ae88c.html

da "il manifesto" del 29 Novembre 2005

LA Tav pende un po' sul centro sinistra

Berlusconi parla di «comunicazione tra Atlantico e Pacifico», ma il vero rischio è altrove
G. RA.,

Silvio Berlusconi ha rivelato il motivo vero che rende decisivo il Treno ad alta velocità-alta capacità fra Torino e Lione. La linea ferroviaria Atlantico-Pacifico, come dire da Lisbona a Vladivostock, rischia di interrompersi per la cocciutaggine della Val di Susa. I valsusini vogliono davvero assumersi la responsabilità di ostacolare la pace, compromettere il progresso, il movimento incessante delle merci dalla Siberia fino al Portogallo? E' convincente Berlusconi; saprebbe vendervi qualsiasi cosa; e per un attimo uno finisce per credere che vi siano davvero carichi di merci delicate in attesa di compiere quel viaggio, e a causa di un ritardo, si originerebbe una serie di imprese che non nascono, di traffici che restano bloccati, di valori che nessuno ammassa. Nelle sue parole, gli scambi tra Atlantico e Pacifico, in treno, lungo il tunnel futuro della Val di Susa, diventano l'asse stesso del commercio mondiale; e già vediamo, da Ovest a Est, le torme di prigionieri inviati in Siberia da tutti i paesi dell'Eurasia e in cambio, da Est a Ovest, badanti asiatiche che potrebbero raggiungere le plaghe della libertà in Europa, se il Treno ad alta velocità ci fosse, se il tunnel fosse scavato, se l'egoismo di una sola Valle non annullasse il futuro.

Le rodomontate di Berlusconi fanno parte del personaggio. Per non deluderlo, nessuno gli dice mai che nella sola Europa lo scartamento dei treni cambia tre volte; oppure che nella stessa Italia non c'è Tav dopo Milano, verso Est e non c'è prospettiva di farne. E' probabile però che i rischi maggiori siano legati alla decisione della maggioranza del centro sinistra di andare avanti. Per esempio la presidente Mercedes Bresso, ds, ha detto nel corso dell'incontro con la delegazione europea di cui si parla in questa pagina che tutti i problemi di carattere ambientale sono risolti. Al punto che lo stoccaggio dei materiali di scarico, per esempio quelli contenenti polveri di amianto e che preoccupano i valsusini, avverrebbe, tramite carrelli coperti, in Francia.

Qui è d'obbligo una domanda. Attraverso quale percorso i carrelli raggiungerebbero il luogo di stoccaggio in Francia? Se come par di capire, i carrelli sono carri ferroviari, delle due l'una: o si dovrebbe aspettare, con il temuto materiale di scavo all'aria aperta, fino alla costruzione del tunnel e alla posa di rotaie sia pure provvisorie, quanto a dire alcuni anni dopo l'inizio dei lavori sul versante italiano e su quello francese; oppure si farebbe fare al materiale di scavo un bel giro, fino a raggiungere un altro valico, il Frejus o Ventimiglia. E questo mostrerebbe un'altra volta l'assurdità di un impegno tanto gravoso nell'immediato e riferito a un futuro assai incerto quanto ai traffici e ai lunghi viaggi in treno delle persone.

Bresso ha inoltre invitato Romano Prodi a fare un'iniziativa a Torino a sostegno di Tav. Forse ci spiegherà lui come si esporteranno i detriti.

La sostituzione del treno all'auto che è la motivazione più utilizzata nel centro sinistra per sostenere la Torino-Lione non convince perché proietta la soluzione a un anno assai lontano e senza fare una previsione ragionevole di quel che sarà allora il movimento di persone e merci.

A questo proposito alcuni dei più accreditati studiosi del sistema dei trasporti si sono riuniti ieri alla stazione di Milano, invitati da Dario Ballotta, segretario generale regionale della Fit-Cisl Lombardia. Il titolo della Tavola Rotonda era esplicito: «Serve un secondo Frejus?» e verteva sul «traffico delle merci e sulla criticità dei valichi alpini». Sono intervenuti Maria Rosa Vittadini già direttore generale della Via (Valutazione d'impatto ambientale) al ministero dell'ambiente e Marco Ponti docente di economia dei trasporti al Politecnico. Sembra che nessuno abbia tenuto conto dei pronunciamenti della Via; e che l'unico preso in considerazione sia stato un modello che prevedeva 40 milioni di tonnellate di traffico al valico. No una di meno. A sera la Cisl nazionale ha preso le distanze.
http://www.ilmanifesto.it/g8/dopogenova/438c7cebe43ec.html

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