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[I sindaci] Costretti a usare la violenza contro lo Stato che serviamo
by dal corriere Friday, Dec. 09, 2005 at 10:43 AM mail:

Costretti a usare la violenza contro lo Stato che serviamo.

VENAUS (Torino) - «Abbiamo dovuto alzare il volume della radio, ma alla fine ci siamo riusciti». A Roma, a Roma. Il sindaco di Oulx si chiama Mario Cassi, ha 54 anni, veleggia nelle file dell’Udeur dopo un rispettabile passato da democristiano di destra, doroteo convinto, sottocorrente di Mariano Rumor, del quale conserva grande ricordo e foto sul comodino. Il suo primo mandato risale al 1975, quando divenne uno dei borgomastri più giovani d’Italia. «Quelli erano tempi che ancora ci si capiva, gli amministratori locali contavano qualcosa».
Adesso invece bisogna «alzare il volume della radio». Lo Stato contro lo Stato. I 41 sindaci della Valsusa con le loro fasce tricolori sopra i giacconi vivono una scissione piuttosto evidente. Festeggiano la convocazione a palazzo Chigi e la riconquista del presidio di Venaus, atto simbolico e di forza, non proprio ortodosso sotto il profilo della legalità, ottenuto peraltro con abbondante lancio di pietre contro quelle forze dell’ordine anch’esse munite di tricolore sulla divisa. «Inutile negarlo, tecnicamente è illegale, e noi siamo dipendenti di quello Stato che stiamo combattendo. Ci siamo assunti una responsabilità enorme».
In quest’ultimo mese i primi cittadini della Valsusa sono stati molto di lotta, pochissimo di governo. Sulla provinciale 210 di Venaus arriva il fumo dei fuochi che circondano il cantiere della Tav. I valsusini esultano. I loro amministratori pure. Stanno pensando di fare un loro movimento, perché convinti che prima o poi i rispettivi partiti gliela faranno pagare. «Abbiamo dovuto scegliere da che parte stare, e abbiamo scelto i nostri cittadini», dice Simona Pognant, 33 anni, sindaco di Borgone Susa, mentre fa il pieno di complimenti per come durante una trasmissione televisiva ha tenuto testa al «nemico», il sottosegretario Alfredo Mantovano. «Certo, la convocazione è una vittoria. Ma arriva dopo dieci anni di silenzio sulle nostre richieste. E se uno pensa che questo risultato arriva soltanto dopo certe scene, da una parte e dall’altra, cadono un po’ le braccia».
Le cariche della polizia e le controcariche dei manifestanti sono state il mezzo per arrivare a Roma. Le spranghe e i sassi sparsi ovunque tra il fango dei campi servono anche come strumento di pressione politica. «Illegali, certo», dice Enrica Regis, professoressa di inglese e vicesindaco di Sant’Ambrogio, il paese della Sacra di San Michele simbolo del Piemonte. «Come quello che è avvenuto l’altra notte con lo sgombero forzato da parte della polizia. Se mi imbarazzano certe pratiche? Trovo più imbarazzante l’ottusità totale del governo che ci ha costretti ad arrivare a questo».
È stato ed è un gioco pericoloso, questo lo sanno tutti, i sindaci in prima fila e i loro colleghi peones nelle retrovie. «Rischiamo di perdere il controllo della situazione», dice l’imprenditore Francesco Avato, da due anni alla guida del municipio di Bardonecchia. «Più la storia si fa grande, più ci troviamo mischiati a professionisti del disordine che non stanno certo ad ascoltarci». Accanto a lui, mentre guarda da lontano alcuni ragazzi che prendono a palle di neve i carabinieri immobili, c’è Gianfranco Joannes, forestale di 45 anni sindaco di Exilles, con i suoi 290 abitanti il più piccolo comune della valle: «Siamo tra incudine e martello».
L’ingegner Luigi Franco, borgomastro di Villar Focchiardo, si gode la sua prima notte di quiete portando fuori a cena sua moglie. «La nostra posizione mi fa star male. Mi creda, soffro come una bestia per questa violenza. Ma se è servita a farci ascoltare, almeno non è stata inutile». Si vedrà a Roma. Ma il concetto di «violenza utile» in bocca ad un uomo mite anche nell’aspetto come Luigi, non certo un teorico dello scontro, rischia di suonare come un avvertimento a futura memoria. Perché sono soprattutto i sindaci che decidono a quale volume debba suonare radio Valsusa.

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