Acqua radioattiva sversata in mare a Pisa
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Il piatto forte tra quelli sul tavolo per fare restare l’acciaieria in Valle di Susa è radioattivo. Per mantenere l’occupazione nel polo siderurgico di San Didero la Beltrame chiede, tra le altre cose, di poter sviluppare il progetto di un sito di processamento di materiali radioattivi contaminati prevalentemente da Cesio 137. Ma il Comune di San Didero si è già dichiarato nettamente contrario.
Nell’ultimo incontro in Regione, la Beltrame ha chiesto al Ministero dello sviluppo e al Commissario di governo per la Torino-Lione Mario Virano di farsi promotori di questa richiesta accanto a quella di produrre teleriscaldamento per i comuni della bassa valle. Richieste che si aggiungono alla proposta di inserire la valle di Susa tra le zone franche italiane, di ricevere energia a costi contenuti e di poter utilizzare i trasporti ferroviari a prezzi competitivi. Tutto questo pacchetto potrebbe entrare all’interno delle misure per aumentare l’occupazione nel territorio attraversato dalla nuova linea Torino-Lione. Ma non è automatico che il sito per scorie radioattive possa essere pagato con i soldi delle compensazioni del Tav. Anzi, per certi versi, questa proposta della multinazionale vicentina è una bomba che rischia di avvelenare ulteriormente il clima.
La Beltrame vorrebbe utilizzare l’esperienza maturata con l’incidente del 28 ottobre 2005 per realizzare un sito nazionale per il trattamento dei materiali contaminati, che andrebbero poi stoccati nel futuro deposito nucleare nazionale , che come è noto, è ancora da individuare. Con l’impianto di riprocessamento dei materiali contaminati, che sarebbe l’unico in Italia, l’azienda conta di ricavare buona parte di quei 27 milioni che le servono per restare in valle di Susa e compensare uno stabilimento siderurgico non più redditizio. E propone di impiegare almeno 80 operai, solo in questa attività.
La proposta della Beltrame ha ovviamente fatto saltare sulla sedia la sindaca di San Didero, Loredana Bellone, che è una delle attiviste storiche del movimento No Tav ed è da sempre contraria al passaggio dei convogli delle scorie nucleari che da anni transitano sulla ferrovia per andare agli impianti di riprocessamento di Sellafield e di La Hague. Così, l’altro ieri, il Consiglio comunale di San Didero ha votato un ordine del giorno contro la “proposta indecente” della Beltrame.
«Le soluzioni adottate dopo l’incidente del 2005 sono state ottime – riconosce Bellone – Ma quello è stato un incidente. Un caso sporadico e di forza maggiore. Trasformare quella esperienza e l’impianto che serve a rendere più sicura l’acciaieria, in un business rivolto al mercato mi pare una vera e propria esagerazione. Se è così, l’impianto per l’individuazione del Cesio e di trattamento dei materiali radioattivi se lo possono smontare e rimontare da un’altra parte. Siamo consapevoli che gli operai rischiano di perdere il posto di lavoro per la chiusura delle acciaierie. Nell’ordine del giorno abbiamo espresso tutta la nostra solidarietà a loro e alle famiglie. Ma questa non è certo una soluzione. Come Comune non daremo mai un parere favorevole ad ospitare un impianto nazionale di trattamento di materiali radioattivi a favore di terzi. Se lo scordino pure».
Anche la Fiom ha già espresso parere contrario.
«Lì deve rimanere un’acciaieria – dice il sindacato – non deve essere sostituita con lavorazioni che non farebbero altro che aumentare i rischi per la salute dei lavoratori».
La proposta della Beltrame mira a rendere produttivo il sistema di individuazione e decontaminazione da Cesio che fu realizzato a seguito dell’incidente. Il 28 ottobre 2005, un camion pieno di polveri decantate dei camini dell’acciaieria che provenivano dall’impianto di pellettazione dei residui di fumi, fece scattare il sistema di allarme radiologico. Si scoprì che nel rottame ferroso fuso dall’acciaieria c’era una partita che conteneva Cesio 137 che aveva sparso polveri radioattive in giro per la valle, senza, per fortuna, produrre eccessivi danni all’ambiente e alla salute. Rottami contaminati da americio dei parafulmini erano già stati individuati in passato.
Dopo questa brutta esperienza, la Beltrame aveva introdotto innovativi sistemi di prevenzione, monitoraggio e decontaminazione. Oggi, l’azienda vorrebbe trasformare le proprie attività affiancando dell’acciaieria a quella di produttore di teleriscaldamento e di polo di decontaminazione.
di Massimiliano Borgia
Tratto da: Nuova Società del 3 Maggio 2013
Era blindato in cassaforte
Colpo lampo a Mariana Mantovana: i ladri hanno smurato la cassaforte, senza prendere nient’altro. La barra di cesio veniva estratta ogni sei mesi e utilizzata per tarare i controlli sui rifiuti
MARIANA MANTOVANA. Corsa contro il tempo per ritrovare la barra radioattiva di cesio trafugata dalla discarica di Mariana Mantovana. Le indagini sono in salita. Le forze dell’ordine temomo che la barra possa essere stata abbandonata in un campo.
Allarme nazionale per il furto alla discarica. C’è del cesio, materiale radioattivo, nel bottino dei ladri che giovedì sera hanno smurato e portato via la cassaforte inglobata nella parete degli uffici della palazzina Tea di Cascina Olla. Al primo controllo era sembrato un colpo di poco conto, quasi un buco nell’acqua con carte e documenti e niente denaro. Ma dalle verifiche che Tea ha fatto ieri, è emerso che nel forziere, oltre al materiale cartaceo, c’era una piastrina metallica di cesio 137, del peso di un etto, regolarmente custodita e schermata in un contenitore di piombo. Una barretta utilizzata per il rilevamento a campione della radioattività dei rifiuti che arrivano in discarica.
Da Tea la segnalazione è arrivata in Prefettura e dagli uffici di corso Principe Amedeo è partito l’allarme alla Protezione civile nazionale, ai ministeri dell’interno, della salute e dell’ambiente, alla Regione, ai sindaci e alle forze dell’ordine, come prescrivono i dettami del protocollo di sorveglianza ambientale. I ladri potrebbero non avere un’idea precisa del pericolo della piastrina. Il rischio sta proprio in questo: una volta aperta la cassaforte e verificato il contenuto, potrebbero abbandonare tutto in un luogo aperto in cui chiunque potrebbe venire a contatto con il materiale radioattivo, subendone le emissioni. Il cesio è in grado di provocare danni all’ambiente anche se semplicemente abbandonato in un campo.
«Si tratta di un piccolo materiale di prova che utilizziamo per tarare il sistema di verifica della radioattività dei rifiuti» spiega Anzio Negrini, direttore dell’impianto di proprietà di Tea, la cui gestione è affidata a Mantova Ambiente. La piastrina, il cui valore è di poche migliaia di euro, è l’unico esemplare presente in discarica. Dal 2004 viene custodito in cassaforte e estratto in media ogni sei mesi per essere applicato in una maschera per tarare il portale sotto cui passano i carichi di rifiuti. Viene controllato regolarmente con Asl e Arpa: l’ultima verifica risale al 24 agosto. «I rifiuti hanno una radioattività di fondo. Noi teniamo tarato il sistema a una soglia appena superiore per essere tranquilli. L’emissione della piastrina è debole» assicura Negrini, ricordando che solo in un paio di occasioni c’è stato un rilevamento positivo. «Erano materiali provenienti da abitazioni di persone sottoposte a trattamenti radionuclidi. In quel caso i carichi vengono bloccati».
Il colpo è stato messo a segno giovedì sera verso le 22.30. L’orario è preciso, perché a quell’ora è scattato l’allarme collegato all’abitazione del tecnico reperibile di Mantova Ambiente situata vicino agli uffici. L’uomo ha chiamato subito i carabinieri, ma quando lui e i militari mandati dalla centrale di Castiglione sono arrivati, dei ladri non c’era più traccia. Per entrare negli uffici hanno scassinato la porta d’ingresso utilizzando un trapano. Una volta dentro hanno rovistato nei cassetti e nelle scrivanie, ma non hanno preso nulla. Non hanno toccato nemmeno i due pc e i portatili in bella vista. Hanno preso di mira direttamente la cassaforte, incassata in una parete. L’hanno divelta con trapano e mazze e non hanno perso tempo ad aprirla.
L’hanno caricata e portata via. I carabinieri si sono trovati davanti a un buco nella parete. Un colpo velocissimo, messo a segno nel lasso di tempo esatto tra lo scatto dell’allarme e l’arrivo dei militari. Ieri i tecnici di Mantova Ambiente hanno fatto un sopralluogo per verificare che non siano stati provocati danni all’impianto, che raccoglie rifiuti da tutta la provincia e per un controllo sui documenti mancanti.
Fonte: 20/1/2013
DERAGLIA UN TRENO CARICO DI URANIO, ma come sempre Areva rassicura,”nessun problema sulla sua sicurezza”…. ???
Il vagone di un treno, partito dalla centrale nucleare del Tricastin (Drôme) per l’Olanda, che trasportava dei fusti di «uranio impoverito”, ha deragliato lunedì.
Contrariamente a ciò che era stato riportato in un primo tempo, il treno si recava in Olanda su un sito di deposito e non in Germania. “Un vagone che trasporta dell’uranio naturale impoverito ha avuto alla fine del pomeriggio durante una manovra alla stazione di Saint-Rambert-d’Albon (Drôme), un problema meccanico senza incidenza sulla sua sicurezza”, ha affermato lunedì sera Areva in un comunicato.
Fonte: http://www.20min.ch/ro/news/monde/story/Un-wagon-rempli-d-uranium-d-raille-25187240
Domenica 13 gennaio 2013, come sempre di notte, il quarto trasporto di scorie nucleari dall’Italia alla Francia.
Di seguito il testo dell’accordo intergovernativo Italia-Francia, dal quale si evince che le scorie adesso partono…ma poi ritorneranno..
(Pubblicato da Quotidiano Energia, 30 novembre 2006)
L’adozione dell’Accordo tra il governo italiano e il governo francese che oggi viene firmato dal Governo della Repubblica italiana, rappresentato dall’On. Pierluigi Bersani, Ministro dello Sviluppo Economico della Repubblica italiana, e dal Governo della Repubblica francese, rappresentato dall’On. François Loos, Ministro delegato all’Industria della Repubblica francese stabilisce quanto segue:
1) Il presente Accordo si riferisce al trattamento di 235 tonnellate di combustibili irraggiati italiani, come descritte nella lettera d’intenti del 13 gennaio 2006 [lettera nella quale Sogin ha annunciato la sua intenzione di affidare ad Areva Nc il contratto del trattamento di 235 tonnellate di combustibili irraggiati e per la quale la validità e l’esecuzione del contratto sono subordinate all’approvazione di un accordo intergovernativo fra le Autorità francesi e italiane competenti] e per il quale Areva Nc deve farsi attribuire un contratto di trattamento. Tale contratto di trattamento dovrà essere conforme alla regolamentazione sulla sicurezza nucleare e la radioprotezione. In conformità al codice dell’ambiente francese, l’ingresso sul territorio francese dei combustibili italiani è realizzato al solo fine del trattamento da parte di AREVA NC, e non darà luogo allo stoccaggio definitivo sul territorio francese.
2) Le consegne dei combustibili irraggiati è previsto inizino a partire dal 1 gennaio 2007 e si concludano prima del 31 dicembre 2015
3) Il trattamento dei combustibili irraggiati è previsto durante un periodo di 6 anni a seguito di ogni consegna dei combustibili irraggiati all’impianto di La Hague. Sempre tenendo presente che la data ultima per il rientro è compresa tra il 2020 e il 2025.
4) I rifiuti radioattivi derivanti dal trattamento dei combustibili riprocessati in Francia, saranno riportate in Italia, che s’impegna a riceverli sotto forma di contenitori di rifiuti condizionati (vale a dire inglobati in vetro per isolare i rifiuti dalla biosfera nel tempo). Le due Parti s’impegnano a stabilire prima del 31 dicembre 2015 il calendario previsionale ed entro il 31 dicembre 2018 il calendario definito del loro rientro, che dovrà avere luogo tra il 1 gennaio 2020 e il 31 dicembre 2025. 5) I Governi francese e italiano s’impegnano a prendere tutte le misure necessarie e di loro competenza per permettere l’esecuzione del contratto di trattamento concesso ad Areva. In particolare il governo francese si impegna a prendere tutte le misure per permettere l’esecuzione del contratto. Mentre il governo italiano si impegna a prendere tutte le misure per attivare il procedimento di autorizzazione, costruzione e messa in opera di un sito di stoccaggio o di deposito conforme ad accogliere i rifiuti radioattivi. L’Italia, inoltre, si impegna ad informare annualmente il governo francese sull’avanzamento di queste attività. Il governo italiano s’impegna poi ad assicurare il rispetto dei termini stabiliti nel presente Accordo, delle procedure di autorizzazioni, dei permessi e delle licenze necessarie per la spedizione in Italia dei rifiuti radioattivi in un centro di stoccaggio o un deposito conforme alle regole di sicurezza in vigore.
6) Il trasporto dei rifiuti radioattivi sui territori della Repubblica Francese, di tutti gli Stati di transito e della Repubblica Italiana, sarà effettuato in conformità con la regolamentazione in vigore.
7) Le materie radioattive separate durante il trattamento (uranio e plutonio) saranno messe a disposizione di Sogin. Sogin e Areva Nc identificheranno le modalità per il riutilizzo, totale o parziale, delle materie come combustibili elettronucleari, direttamente o indirettamente con il coinvolgimento di un terzo soggetto. Qualsiasi quantità di materie che la Parte francese valuterà senza prospettiva di utilizzo al 31 dicembre 2021, sarà messa a disposizione di Sogin in vista del suo ritorno sul territorio italiano prima del 31 dicembre 2025.
8) L’applicazione di questo Accordo, e in particolare il rispetto del calendario di realizzazione del centro di stoccaggio o di deposito dei rifiuti radioattivi in Italia, sarà l’oggetto di un controllo annuale da parte dei Ministri competenti o di loro rappresentanti.
LA ROAD MAP ITALIANA
Dal primo semestre del 2007 al primo semestre del 2012 si completa, in diverse fasi, il trasferimento in Francia del combustibile irraggiato che inizierà ad essere inviato già a partire dal prossimo anno.
Il primo semestre del 2008 viene avviata la revisione della normativa sui rifiuti nucleari e sul riordino del settore energetico (leggi 368 del 2003; legge 239 del 2004).
Nel primo semestre 2009 saranno attribuiti i nuovi compiti all’Organizzazione che individua il sito e realizza il deposito di tipo superficiale e reversibile, nel senso che i rifiuti e gli altri materiali radioattivi stoccati nel deposito possono essere eventualmente trasferiti in un nuovo deposito al fine di consentire soluzioni alternative anche alla luce degli sviluppi scientifici e tecnologici o di accordi sovranazionali .
Nel primo semestre del 2012 viene indicato il sito definitivamente prescelto da parte del ministero dello Sviluppo economico, di concerto con la Conferenza Stato-Regioni. Nel secondo semestre dello stesso anno viene poi attivato l’Accordo di programma con la regione interessata.
Nel primo semestre del 2018 viene avviato l’esercizio del deposito.
Nel secondo semestre del 2018 viene stilato il calendario definitivo di rientro in Italia dei contenitori di rifiuti radioattivi di III categoria condizionati.
Dal 2020 inizia l’intervallo di possibile rientro dei contenitori e di possibile contemporaneo stoccaggio dei contenitori provenienti dalla Francia. Intervallo che termina nel secondo semestre del 2025. Il tempo complessivo di trasporto di tutti i rifiuti per il rientro in Italia è di circa un anno.
BERLINO – È fatta: la Germania della cancelliera cristianoconservatrice Angela Merkel è la prima grande potenza economica a dire addio all’atomo. Alle prime ore del mattino, dopo un lungo vertice alla Cancelleria e consulti con le opposizioni di sinistra, i sindacati, le Chiese, le parti sociali e il ministro dell’Ambiente, il democristiano Norbert Roettgen ha dato l’annuncio: tra dieci anni, nel 2022, l’ultimo dei 17 reattori atomici tedeschi sarà spento.
L’addio al nucleare costerà 40 miliardi di euro, e sarà accompagnto da uno sforzo ancor più massiccio di quelli già intensi compiuti finora per la riconversione alle energie rinnovabili e pulite. Berlino, sull’onda del terrore provato dalla società tedesca e da tutto il pianeta per la tragedia di Fukushima, si è dunque decisa a bruciare i tempi e a dare l’esempio a tutto il mondo.
Non ci sarà un ritorno indietro, non sarà possibile perché la nostra decisione lo vuole escludere, ha detto Roettgen. Ecco i principali punti del piano governativo, deciso dopo aver sentito la commissione etica bipartisan del Bundestag e dopo negoziati di un’intensità senza precedenti con le opposizioni, cioè socialdemocrazia, verdi e Linke:
1. Le date di spegnimento. L’ultimo reattore sarà spento entro il 2021, tra appena dieci anni. Dal 2021 al 2022 tre reattori saranno tenuti in standby, pronti all’uso, in caso di rischio di blackout.
2. Dopo il 2022? Sarà tenuto in stand-by come riserva un solo reattore, ma solo per la produzione di energia in caso di emergenze e per evitare blackout.
3. I costi della riconversione. I media e gli esperti li hanno calcolati in 40 miliardi di euro. Il mantenimento della tassa sull’energia atomica pagata dai produttori di energia aiuterà a finanziare la spesa.
4. Gli obiettivi della riconversione. Tra il 2020 e il 2030 il governo vuole che le energie rinnovabili passino a coprire almeno tra il 70 e l’80 per cento del totale del fabbisogno d’energia della prima potenza economica europea.
5. La situazione attuale. Da alcune settimane sono accesi pochissimi dei 17 reattori: molti sono spenti per controlli di sicurezza o manutenzione. Per cui già adesso la percentuale di fabbisogno energetico fornita dalle centrali atomiche tedesche, 17 per cento circa del totale, è decisamente inferiore a quella (22 per cento) che la Germania ricava da eolico, fotovoltaico, biomassa e altre energie rinnovabili.
La tragedia di Fukushima, il decollo dei Verdi che sembrano in marcia verso il traguardo di divenire primo partito d’opposizione (e in alcuni sondaggi sono il primo partito tout court) e le disfatte elettorali del centrodestra negli ultimi mesi in molte elezioni regionali, a vantaggio soprattutto degli ecologisti, hanno dunque convinto Angela Merkel a una svolta radicale. La cancelliera aveva infatti cancellato (nel 2009) il programma di addio dolce all’atomo lanciato nel 1998 dalla Spd del suo predecessore Gerhard Schroeder e dai suoi alleati Verdi dell’allora ministro degli Esteri Joschka Fischer.
Il centrodestra sosteneva le ragioni dell’atomo e della lobby atomica, dicevano i critici. Ma, come ella stessa ha ammesso in pubblico, Fukushima ha costretto a una riflessione profonda: un rifiuto dell’atomo nella società e una tempesta di dubbi nella stessa Dc tedesca. Già da anni, l’economia tedesca si prepara a vivere senza atomo: mentre la dipendenza dalle centrali, dal 1998 a oggi, è diminuita dal 33 per cento al 17 per cento del fabbisogno totale di elettricità, l’efficienza energetica dell’industria made in Germany è cresciuta del 48 per cento e il paese è diventato molto più competitivo e global player di economie come quella francese che invece scommettono tutto sul nucleare.
Le prime reazioni del mondo economico (come un duro commento dell’amministratore delegato di Daimler, Dieter Zetsche) sono state negative: criticano l’eccessiva fretta e parlano dei rischi dell’insufficienza energetica. La Merkel ha deciso di ignorare riserve e ‘nyet’ dei poteri economici, pure sostenuti dall’ala destra del suo partito e dai suoi alleati di governo liberali (Fdp), e di seguire la scelta degli elettori e del paese reale. Ascoltando opposizioni, sindacati e chiese più che non i produttori d’energia e gli imprenditori. (30 maggio 2011)
http://www.repubblica.it/ambiente/2011/05/30/news/la_germania_dice_addio_al_nucleare_nel_2022_spegner_l_ultimo_reattore-16932841/index.html?ref=search
È stata confermata da parte della Tepco, la Tokyo Electric Power che gestisce l’impianto nucleare di Fukushima, in Giappone, la fusione delle barre di combustibile anche dei reattori due e tre. Fino ad ora, solo il reattore uno era quello incriminato, ma secondo quando sostiene la società nipponica è molto probabile che la fusione si sia prodotta anche in altri due dei 6 reattori della centrale.
Dopo la conferma che il disastro potrebbe essere legato anche ad un errore umano, nonostante il governo giapponese abbia più volte parlato di probabili fusioni delle barre di combustibile in tre dei sei reattori la Tepco aveva sempre smentito la cosa, confermando soltanto il problema al reattore uno.
“La maggior parte del combustibile nucleare è probabilmente affondata nella parte inferiore, come nel reattore numero 1” fanno sapere i tecnici della Tepco, che attualmente sono impegnati nelle operazioni di raffreddamento. Al momento sembra che il rischio sia stato limitato e che le condizioni dei due reattori siano state stabilizzate.
Ma cosa succede quando avviene la famigerata fusione del nocciolo?
Si tratta della vera e proprio liquefazione del nocciolo radioattivo, la cui temperatura raggiunge migliaia di gradi a causa della reazione nucleare legata alle barre di zirconio, che a loro volta contengono il combustibile di uranio. Come riporta bene anche un bell’articolo dell’Unità, “nella storia, la fusione del nocciolo è avvenuta una sola volta, nel 1986 a Chernobyl, quando una procedura malaccorta mise fuori uso i sistemi di raffreddamento e controllo. Qualche anno prima, nel 1979 a Three Mile Island negli Usa, la fusione totale del nocciolo venne evitata all’ultimo momento (si fuse soltanto il 25 per cento)”.
Fin dai primi momenti dopo il terremoto, la prima manovra per scongiurare una fusione totale con la conseguente perdita del materiale radioattivo, è stata il raffreddamento di tutti i contenitori del reattore, rallentando così la fusione del nocciolo. Cosa che sta avvenendo proprio adesso nei reattori due e tre.
Il problema è che in caso di fusione del nocciolo i reattori si trasformano in veri e proprio sarcofaghi perpetui in cui è chiusa una massa informe di metallo fortemente radioattivo, inavvicinabile e intrattabile. E questo per l’eternità in quanto occorrono milioni di anni perché la radioattività naturalie dell’uranio si estingua naturalmente.
Dunque, anche se i media non ne parlano più, l’allarme di Fukushima non è affatto rientrato e ciò che si prospetta sono tre grandi cubi “di cemento e acciaio dal cuore altamente radioattivo, che dovrà essere continuamente controllato per tema che non si fessuri o si rompa, provocando un disastro ambientale che è impossibile da quantificare“.
Francesca Mancuso
http://www.greenme.it/informarsi/ambiente/4966-fukushima-nucleare-fusione-del-nocciolo-tepco
da indymedia
La pattumiera del nucleare italiano, vista dall’esterno, sembra una fabbrica qualunque. Un bel reperto di archeologia industriale sperduto nel verde, tra la Dora Baltea e le risaie del Vercellese. Si trova a Saluggia, 40 chilometri da Torino, 120 da Milano. E nonostante l’apparenza bucolica, quarant’anni dopo lo spegnimento dei reattori della centrale, continua a rappresentare un pericolo per l’ambiente e la popolazione. Lo dice l’Arpa Piemonte, che nel 2009 ha rilevato una “lieve contaminazione” in alcuni campioni d’acqua e di terreno ad una profondità di due o tre metri. E lo dice Niccolò Pollari, ex direttore del Sismi, che in un’audizione alla Commissione Difesa, nel 2003 la metteva in cima alla lista dei potenziali obiettivi sensibili del terrorismo internazionale.
Il comprensorio nucleare di Saluggia è suddiviso in due aree separate. Nella prima si trova l’impianto Eurex, che in passato ha prodotto un grosso quantitativo di rifiuti radioattivi sia solidi che liquidi attualmente stoccati all’interno dell’area. Nella seconda, l’ex reattore di ricerca Avogadro che nel 1971 ha cessato la propria attività, e dal ’79 viene utilizzato come deposito. Nei capannoni sono custodite 30 tonnellate di materiali radioattivi, tra cui 164 barre di uranio provenienti dalle centrali di Trino Vercellese e Garigliano, in provincia di Caserta. I materiali stoccati nell’Avogadro, entro due anni, dovranno essere trasferiti nei più moderni depositi francesi. Mentre per le scorie liquide dell’Eurex, che vanno prima solidificate in un impianto ad hoc, occorrerà più tempo.
L’Agenzia regionale per l’ambiente, naturalmente, monitora periodicamente la situazione. E nell’ultima relazione, pubblicata nel 2009, rileva «una lieve contaminazione di alcune matrici ambientali». Acqua e terreno, in cui sono state rilevate tracce di Stronzio 90, Cobalto 60, Cesio 137 e Trizio. Secondo l’Arpa, i livelli non sono preoccupanti. Ma le indagini “hanno evidenziato presso il sito alcune situazioni di criticità presso gli impianti che hanno causato episodi di contaminazione”. Nel giugno 2004, inoltre, la società che gestisce Eurex ha segnalato la “parziale perdita di contenimento della piscina di stoccaggio del combustibile irraggiato dell’impianto”. E in seguito alla fuoriuscita di materiale radioattivo, in un pozzo di Casale Benne, è stata riscontrata la presenza di Stronzio 90 “ad un valore più elevato rispetto ai precedenti”. Casale Benne è una piccola frazione tra la centrale e la Dora Baltea, che qualche chilometro più avanti confluisce nel Po. E il rischio, in caso di incidente, è che la contaminazione raggiunga in brevissimo tempo il Mare Adriatico.
“I rilasci conseguenti ad eventi anomali – scrive l’Arpa – non sono controllabili». E tra gli “eventi anomali”, stando a quanto riferito da Niccolò Pollari nell’audizione 2003, non si può escludere un attentato terroristico. Pollari parla di Saluggia e dei «rifiuti radioattivi liquidi, che sono tra i più pericolosi, in quanto suscettibili contaminazione anche solo per esondazione del Po». Saluggia, secondo l’ex capo dei servizi segreti, è da inserire tra le centrali «a livello alto di pericolosità». E i terroristi potrebbero sceglierla come obiettivo «per massimizzare l’effetto mediatico» di un attentato. L’ipotesi «dell’impatto di un aereo non militare su questi siti – dice Pollari – è remota, ma non da escludere». Anche perchè, avverte il direttore del Sismi, le piscine con residui liquidi di Saluggia, distano «poche decine di chilometri dall’aeroporto di Caselle» e sono «raggiungibili in tre minuti di volo».
Pr |
MILANO – Dalla Sardegna, al referendum consultivo regionale sul nucleare, arriva un vero e proprio plebiscito contro le centrali. I sì, ovvero i contrari all’atomo, raggiungono il 97,14 per cento, mentre i no si fermano al 2,85 per cento.
L’affluenza definitiva è stata del 59,34%, pari a 877.982 votanti. Il quorum di un terzo dei votanti, stabilito dalla legge regionale 20 del 1957, è stato dunque ampiamente superato. In provincia di Cagliari è andato alle urne il 61,39 per cento degli elettori, nel Nuorese il 59,12 per cento, nell’Oristanese il 57,83 per cento, nel Medio Campidano il 61,59 per cento, nella provincia di Carbonia-Iglesias il 65,91 per cento, in provincia di Sassari il 59,34 per cento, in Ogliastra il 58,67 per cento e nella provincia di Olbia-Tempio il 56,73 per cento. Il referendum nazionale abrogativo, fissato per il 12-13 giugno (insieme ai quesiti sull’acqua e sul legittimo impedimento) è ancora in bilico. Deciderà la Cassazione dopo la moratoria del governo che ha congelato il programma sul nucleare per un anno.
LE REAZIONI – «Adesso dobbiamo mettere in campo la capacitá di scegliere l’alternativa al nucleare» ha detto il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci, commentando il risultato del referendum sul nucleare. «Ho sentito e letto, in questi minuti, dichiarazioni su chi ha vinto o meno. Credo – ha detto il presidente – che abbiano vinto la Sardegna e i Sardi, che hanno dato prova di avere a cuore le sorti dell’isola. La nostra non è stata una scelta isterica, non condizionata da Fukushima. Ora dobbiamo dimostrare quella capacitá d’intenti da mettere in campo per costruire l’alternativa con la green economy».
«La Sardegna sconfigge con un vero e proprio plebiscito il nucleare ed il bavaglio che Berlusconi vorrebbe imporre agli italiani e alla democrazia» ha detto il presidente dei Verdi Angelo Bonelli.
«Un vero e proprio plebiscito che spazza via dall’isola l’incubo nucleare. Se qualcuno voleva la dimostrazione che i cittadini non vogliono ritornare all’atomo, il segnale è arrivato fortissimo e chiaro. Ora l’incubo nucleare va abbandonato, insieme ai trucchetti per riproporlo tra due anni» dice Stefano Leoni, presidente del Wwf Italia.
Per Ermete Realacci, responsabile green economy del Pd, «il risultato del referendum è andato ben oltre le aspettative. Siamo certi che questo risultato sarebbe analogo in tutte le Regioni se si votasse sulla collocazione delle centrali. Di questo i legislatori e il Governo non possono non tener conto, rispettando la volontà popolare e chiudendo definitivamente con il ritorno al nucleare che non solo mette a rischio la sicurezza, la salute e l’ambiente, ma ci sta facendo perdere tanto tempo e denaro».
Le casse del comune del Varesotto, spiega il sindaco Paolo Gozzi, attendono dunque «circa 2.500.000 euro». Vale a dire le quote dovute dal 2005 al 2010. «Contare su soldi annunciati che poi non arrivano equivale a vedersi sottratte delle risorse attese. Ed è anche una questione di principio. Erano state fatte delle promesse alle comunità locali».
«Stiamo parlando – ha spiegato Fabio Callori, presidente della consulta Anci delle città sedi di impianti nucleari – delle risorse spettanti ai Comuni che ospitano i vecchi impianti nucleari quali misura di compensazione. In virtù della legge Finanziaria, nel 2005 tali risorse sono state decurtate del 70% per destinare gli introiti che i cittadini pagano con la bolletta elettrica alla fiscalità generale. Anche l’Autorità per l’Energia e il Gas si era espressa in maniera non favorevole a tale previsione dato che in via generale non si possono destinare a un’entrata dello Stato delle cifre che hanno una precisa destinazione, quella di riqualificare i territori sui quali ha gravato la vecchia generazione del nucleare. Finora – ha sottolineato Callori – l’Anci si è impegnata con tutte le iniziative possibili a livello di emendamenti e di proposte per il recupero delle somme, fino ad arrivare alla proposta al Governo del rilascio di attestati per il riconoscimento dei crediti, ma da parte del Governo non c’è stato nessun riscontro».
«Oggi – ha denunciato il Presidente della Consulta – ci ritroviamo poi a dover anche inseguire l’erogazione di quello che rimane, ovvero il 30% che è stato già deliberato dal ministero dell’Ambiente per le annualità 2008-2009 e contabilizzato dalla Cassa conguaglio per il settore elettrico, ma finora il CIPE non si è ancora espresso per la ripartizione del fondo e probabilmente ciò comporterà oggettive difficoltà per il completamento delle opere in corso di realizzazione sul territorio. Siamo letteralmente sconcertati dalle “menzogne” che ci vengono raccontate – conclude Callori – le carte e le risorse per le delibere CIPE ci sono tutte e oggi ne abbiamo avuto conferma. Ancora una volta non riusciamo proprio a capire il perché di queste negligenze».