Dalle Moltitudini queer al cyborg

da Resistenze al Nanomondo

Dalle Moltitudini queer al cyborg
Dall'Umano, post-umano al cyborg

Le metafore femministe e antispeciste che fagocitano e che creano dispositivi di potere

Diventiamo figlie ribelli e sovversive in tempi di femminismo e antispecismo hi-tech

Pensieri
sparsi "situati" leggendo Per una politica affermativa di R. Braidotti e
Moltitudini queer: note per una politica degli “anormali” di P. B.
Preciado


Quel che viene considerato umano è un fenomeno storico
costruito sul sangue, è una struttura sacrificale, non è un'invariante, è
una costruzione. Diventa un dispositivo di potere che traccia il
confine tra ciò che è umano e ciò che non è umano. L'umano è un
meccanismo di produzione dell'umano stesso e al contempo produce
l'inumano, l'anormale. In tutto questo processo di costruzione ciò che
viene sacrificato, e non solo metaforicamente, è la donna e con uno
sguardo più profondo è l'Animale. Una costruzione di senso, significato e
valore attraverso il meccanismo di esclusione di chi rimane,
strangolato e soffocato, ai margini.
Il linguaggio stesso è situato
all'interno di un processo non neutro di significazione, di  costruzione
di significato, un processo performativo che imbriglia il nostro
pensiero. Un linguaggio categorizzante, maschile. L'uomo è maschio. Il
soggetto è maschio. L'Altro è maschio. Non esiste grammatica per
descrivere una soggettività femminile: l'irrapresentabile in una
relazione già costruita di significante e significato. Forse non esiste
lessico neanche per descrivere l'animale che siamo.
Come se non
esistesse la donna in quanto soggetto, ma solo in relazione al maschio,
come se non esistesse l'animale in quando soggetto, ma solo in relazione
all’umano. La stessa concezione della donna e dell'animale solo come
oggetti di appropriazione. Una relazione tra dominante e dominata/o
attraverso la quale alcuni soggetti vengono oggettivati, ridotti a
macchine da produzione.
Il post-umano si fonda su una categoria di umano e lo fonde con le tecnoscienze.
È
significativo e preoccupante, segno di questi tempi, che da contesti
antispecisti, quindi si dovrebbe presupporre dalle ceneri dell'umano e
dell'antropocentrismo, emerga il cyborg.
In considerazione di come
Braidotti accosti unendo cyborg-eco-femministe, mi fa pensare che
sicuramente non è affine all'ecologismo, per come lo conosco e vivo io.
Per quanto riguarda i molteplici femminismi e le teorie queer, lascerei
con piacere la parola a femministe e queer non figlie/i di questi tempi
hi-tech, e se siamo tutte figlie/i di questi tempi, dove sono le
figlie/i ribelli e sovversive/i? O, come la Haraway,  in fondo in fondo
ci piace rimanere figlie "della rivoluzione scientifica,
dell'illuminismo e delle tecnoscienza"?(1)
E con forza rivendico di
essere figlia per non far sparire la madre, in questi tempi di
risignificazione della maternità, della dimensione procreativa, di
cancellazione della madre e della donna. Questa parola che desta tanta
costernazione... la maternità è una dimensione che appartiene alla
donna, ricordarselo per non fondere maternità e paternità, per non
mettere sullo stesso piano la maternità di lesbiche e di altre donne
alla genitorialità omosessuale. Negare la maternità è lasciar libero il
campo, è far si che se ne appropri l'uomo, il sistema medico, lo stato,
le aziende della riproduzione. Riappropriarsi di essa non è "ridurre la
donna al ruolo di madre", come spesso viene contestato, la gravidanza è
una possibilità e una scelta.
Visto che è in voga parlare di
politiche del posizionamento, della collocazione, dell'essere situate/i,
visto che siamo sulla soglia di importanti e fondamentali
ri-posizionamenti, posizioniamoci bene, considerando proprio che il
posizionamento è produzione dello stesso soggetto e perchè
nell'indeterminatezza che sempre più spesso caratterizza i discorsi c'è
sempre una scelta che ci posiziona da che parte stare. L'ambiguità e
l'indeterminatezza che accompagnano un brulichio insensato di pensieri
non potranno mai ridisegnare e ricostruire pratiche altre di resistenza.
Così il tutto viene macinato e rimescolato in una poltiglia
indefinita...
Non è possibile una resistenza, a differenza di ciò che
afferma Braidotti, nella condizione post-umana. Rovesciamo l'umano e il
post-umano. Nella condizione post-umana non possono esistere nuovi
spazi di soggettivizzazione liberi dalle logiche e strutture di potere.
Le
cyborg-xeno-femministe fanno attraversare i corpi dalle tecnoscienze,
ma non è un attraversamento metaforico e indolore, non è una
rappresentazione astratta, è politica e fisica. È in atto una profonda
trasformazione, un cambiamento strutturale proprio come una mutazione
genetica. Almeno in questo Braidotti ha compreso bene il punto...   
Come
può un pensiero consapevole della normalizzazione dei corpi, attuato
attraverso un disciplinamento e di un biopotere sempre più pervasivo e
totalizzante, rivendicare che siamo tutte/i dei tecno-mostri, dei cyborg
e percepire in questo un potenziale in grado di scardinare  strutture
di potere?
Dalla centralità dell'umano si è passati alla centralità
del post-umano, arrivando al cyborg. Lo sguardo femminile decentrato
sarebbe nella posizione favorevole per cogliere il legame con gli altri
corpi animali, con le altre differenze da sempre assenti e oggetto del
potere normativo e dei dispositivi di potere che si iscrivono nei corpi.
Invece questo stesso sguardo arriva a tessere nuovi legami, nuove
parentele tra noi e le macchine.
Noi e ogni altro animale veniamo
dissolte/i nell'affermare che siamo tutte/i prodotti delle
tecno-scienze, che siamo tutte/i cyborg. Veniamo fagocitate/i. La
tristezza è che questo dispositivo di cancellazione, della nostra e
altrui animale esistenza è creato e messo in moto da aree femministe e
antispeciste. Si stanno imprigionando corpi in strutture di potere
ancora più impercettibili perchè travestite da processi emancipatori, il
cyborg è un dispositivo di potere performativo che smembra corpi come
quegli stessi dispositivi specisti che si combattono, come un sistema
tecnico che squarcia i corpi, che li rende corpi pubblici, da cui le
donne da sempre vengono fagociate.
Un divenire di nuove soggettività
che in realtà esse stesse fagocitano... e cosa rimane nell'arido terreno
delle tecno-scienze? Solo oncotope, ibridi, mutazioni genetiche,
cyborg...
Se l'identità femminile, come quella maschile, è una
costruzione storica e sociale, respingendo il ragionamento per
opposizioni binarie, questo non porta automaticamente a negare
l'esistenza di un sostrato di differenza tra uomo e donna. Ma non spetta
a noi declinare le caratteristiche femminili e maschili, se mai
esistano, la cosa non dovrebbe interessarci, visto che, in ogni caso,
forse non potremmo riconoscerle. Le differenze che dovrebbero
interessarci non si iscrivono in una differenza ontologica, astratta, ma
all'interno di un tessuto storico e sociale.
Un essere nel mondo,
attraverso e attraversate dal mondo è forse un modo per descrivere la
nostra identità, sempre in divenire, mutevole, impossibile da
categorizzare e irriducibile a definizioni già date a priori. Il nodo è
come avviene in questa società la costruzione dell'identità femminile e
maschile per mezzo del genere e del desiderio sessuale.
Il sesso
biologico è dato, a prescindere dal fatto che ci si riconosca o no nel
sesso biologico presente alla nascita. A prescindere da quanto afferma
Monique Witting, la lesbica è una donna e a prescindere da quello che
afferma Judith Butler, il sesso non è da sempre genere. Che il genere
sia costruito socialmente non è una rivelazione della Butler o della
teoria queer, è alquanto evidente.
Apriamoci alla possibilità di
scoprire il nostro desiderio al di fuori e a prescindere da una
eteronormatività. Rivendicare un'identità fondata sul desiderio sessuale
lo trovo riduttivo, ma al tempo stesso rivendicare l'essere lesbica ha
un significato di rottura e un significato politico, come rivendicare di
essere bisessuali è un urlo contro una scontata eterosessualità e un
troppo facile, a volte, incasellamento.
Attenzione però a non
arrivare ad accusare sempre coloro che sono cisgender ed etero come chi
non si sia ancora "decostruito" o che non possa permettersi di parlare
su questioni che non può comprendere perchè non "decostruito". (nel
cliche di accuse poi non manca mai il maschio, bianco e privilegiato,
come se chi afferma ciò non fosse bianca e  privilegiata...).
La
"Moltitudine queer" di cui parla Preciado si situa nel post-umano
abbracciando nella grande famiglia il cyborg. Questa indefferenziata
moltitudine è molto pericolosa se lascia spazio per il cyborg. Così il
pensiero queer si apre alle tecnoscienze, le fa proprie, le legittima.
Un
post-umano troppo umano, che non ha per nulla decostruito l'umano,
altrimenti avrebbe ben compreso che siamo animali e non cyborg... Il/la
cyborg, invece che decostruire le categorie di genere, esprime
un'interrelazionalità con le macchine e diventa costruttore di
significato come tutti quegli aggettivi oggettivanti che costruiscono
l'uomo, maschio, etero, occidentale, sano, bello. Costruisce l'uomo come
interrelazione con le  macchine. Se femminismi, mondi queer e
antispecismi si appropriano di questo discorso stanno gettando le
fondamenta di una nuova edificazione dell'umano, una nuova edificazione
sacrificale. Se questa concettualizzazione passa, non passa
semplicemente per registrare l'attualità, ma arriva a costruire la
stessa percezione della realtà e di noi stesse/i e a legittimare e
rafforzare un sistema tecno-scientifico di biopotere.
Rabbrividisco
nel leggere la valutazione della Braidotti che vede nel lavoro della
Haraway un ruolo chiave giocato dall'empatia e dall'affinità. Empatia e
affinità che la Haraway prova sicuramente verso il suo cane mentre lo
porta alle gare di "agility", ma che non prova nei confronti degli altri
animali vivisezionati e sottoposti ad esperimenti. Nel riconfiguramento
perverso e crudele effettuato dalla Haraway lo sperimentatore dopo aver
inoculato una malattia nell'animale deve prendersene cura e curarlo per
ottenere i risultati sperimentali. L'animale si trasforma così in
paziente. Il rapporto di potere e prevaricazione tra aguzzino e animale
diventa un rapporto tra paziente e chi se ne prende cura. Ottima
copertura ideologica e giustificazione alla sperimentazione animale.
Eppure, nonostante questo, il pensiero della Haraway è considerato un
interessante spunto da alcune aree antispeciste.
Un confine che
esiste è quello tra chi questa società la vorrebbe distrutta e chi non
la disdegna,  chi vuole ritagliarsi uno spazio, chi parallelamente
all'avanzata delle tecnoscienze, incurante dei morti, vuole costruire
un'etica in questi processi. Dall'azione politica che implica negazione e
soppressione delle condizioni attuali si passa, con un cambio di
prospettiva, ad un'etica dell'affermazione nel trasformare aspetti
negativi in aspetti positivi, afferma Braidotti, respingendo un
progressismo tecno-utopistico, non sia mai che si venga confuse con
tecnocrati e transumanisti! Ma inoltre, ovviamente, definisce
oscurantisti e reazionari coloro che respingono totalmente le
tecnoscienze! Braidotti parte dalla considerazione di un'etica come
processo di liberazione della negatività, attuabile anche tramite una
comprensione dei nostri vincoli e in grado di liberarci dal mito della
salute perfetta, suggerendoci di riconoscere le soglie, i confini e i
limiti, crolla però quando nell'alterità comprende l'inumano cyborg. Di
fatto questo porta a riaffermare solo il presente.
A un'identità
fissa, concezione tradizionalistica, umanista, opprimente, Braidotti,
come quello che si respira da certi contesti queer, oppone un'identità
postumanista e nomade della soggettività all'altezza della complessità
del nostro tempo. Ad essere troppo vaganti e nomadi, attenzione a non
perdere l'orientamento e a non fermarsi mai! Fermiamoci. Mi sembra che
la bussola si sia persa da tempo e si sia atterrate nelle stanze dei
laboratori. Se per il pensiero nomade ciò che interessa non è il
soggetto universale ma gli effetti delle sue azioni sul mondo perchè per
trovare una responsabilità etica ci si colloca in un mondo tecnologico,
mediato? Collochiamoci al di fuori, come soggettività di rottura, una
rottura che si trasforma in conflitto, un conflitto reale da non
confondersi con un mediattivismo virtuale.
Comprendere la
complessità del presente vuol dire respingere totalmente, senza se e
senza ma, la realtà che si pone davanti a noi, anche in considerazione
della  responsabilità che abbiamo sugli altri animali e sul mondo
naturale. Nella valutazione dei diversi livelli di responsabilità
dovremmo iniziare a identificare i diretti responsabili delle nefandezze
evitando di dar loro  la possibilità di rendere etico questo nefando e
nefasto sistema. Braidotti si chiede giustamente come capire quando
abbiamo raggiunto la nostra soglia di sostenibilità, ma si ferma qui. Il
pianeta l'ha raggiunta da un pezzo. Si chiede come capire se ci siamo
spinte troppo lontano. Sicuramente per ciò che permette la vita su
questo pianeta da un pezzo si è andati oltre. Sono le crisi ecologiche
che ci stanno urlando "questo è troppo". Una consapevolezza ecologica
non può sposarsi con gli sviluppi tecnoscientifici, non può esistere un
presente più sostenibile. Sicuramente per l'animale da sempre
normalizzato, standardizzato, omologato, prodotto in serie, reso modello
intercambiabile di specie, sottoposto a un processo di manipolazione
del corpo, non ha neanche senso porsi la questione della soglia. La zoe
di oncotope e di animali ingegnerizzati è nuda vita e non come asserisce
Braidotti, "forza creatrice di futuri possibili".
Se si parla di
riprogettare il mondo e i corpi, se si parla di tecnoscienze, e cioè di
biotecnologie-nanotecnologie-informatica-neuroscienze, nell'ideologia
del cyborg, nello xeno-trans-femminismo, in alcune teorie queer, tutto
questo ha oggettivamente un significato ben chiaro e delle conseguenze.
Non serve un nuovo processo etico, bensì un processo di distruzione di
tutto ciò e delle ideologie che lo sostengono e la alimentano.
O non si sta parlando di questo?


Silvia Guerini, Marzo 2017
www.resistenzealnanomondo.org

(1) http://www.resistenzealnanomondo.org/necrotecnologie/dalle-moltitudini-queer-al-cyborg-dallumano-post-umano-al-cyborg/

Bibliografia:

Agamben G. (2005), Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einauidi.   
Braidotti R. (2014), Il postumano. La vita oltre l'individuo, oltre la specie, oltre la morte, Derive Approdi.
Braidotti R. (2017), Per una politica affermativa, Mimesis Edizioni.
Braidotti
R. (2015), Per amore di zoe. Intervista di Massimo Filippi ed Eleonora
Adorni, Liberazioni, rivista di critica antispecista, numero 21.     
Butler J. (2013), Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell'identità, Edizioni Laterza.
Callea N. (2008), Postumanismo: oppurtinità e ambiguità, Liberazioni, rivista di critica antispecista, numero 7.     
Campell
(2015), Leoni, trans e cyborg, poveri noi! Transfemminismo ed
ecofemminismo in un mondo postumano, Liberazioni, rivista di critica
antispecista, numero 21.
Haraway D. J. (1995), Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli.
Haraway D. J. (2000), Testimone_Modest@ FemaleMan©_incontra_Oncotopo™. Femminismo e tecnoscienza, Feltrinelli.
Haraway D. J. (2003), Compagni di specie, affinità e diversità tra esseri umani e cani, Sansoni.
Irigaray L. (1992), Io tu noi. Per una cultura della differenza, Bollati Boringhieri.
Preciado
P. B. (2014), Moltitudini queer: note per una politica degli
“anormali”,
incrocidegeneri.wordpress.com/2014/02/24/beatriz-preciado-moltitudini-queer-note-per-una-politica-degli-anormali/
Stanchina G. (1996), La filosofia di Luce Irigaray. Pensare ed abitare un corpo di donna, Mimesis.
Weisberg
Z. (2010), Le promesse disattese dei mostri. La Haraway, gli animali e
l'eredità umanista, in Massimo Filippi e Filippo Trasatti (a cura di),
Nell'albergo di Adamo. Gli animali, la questione animale e la filosofia,
Misesis.


Mer, 03/05/2017 – 09:49
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