Attacco incendiario sui colli bergamaschi: assolta in cassazione la compagna Silvia Guerini

Il 4 luglio 2001 un incendio si alza alto nel cielo: un grosso impianto che ospita compagnie radio, telefonia e televisive viene danneggiato sui colli della Maresana in provincia di Bergamo.
Sul posto viene trovata una scritta contro la Telecom e contro tutte le nocività, con una A cerchiata come firma.
Un incendio di vaste proporzioni, con un’estensione dal traliccio passando per i cavi fino ad un’altezza di 30 metri, provoca danni che ammontarono a oltre un miliardo di vecchie lire. Alcune compagnie a causa del sabotaggio subito hanno dovuto chiudere i battenti.
Alla ricerca degli autori dell’attacco incendiario, nell’immediatezza del fatto viene perquisita l’abitazione di Silvia, conosciuta per la sua militanza locale in lotte anarchiche verdi. Dopo qualche mese la Procura di Bergamo emette un mandato d’arresto, che verrà tramutato in arresti domiciliari.
Dopo nove mesi di domiciliari Silvia si vede processata per incendio doloso ad impianto di pubblica utilità, fabbricazione e detenzione di esplosivi, porto d’armi ed esplosivi in luogo pubblico. Il processo si apre in un clima di solidarietà con compagne e compagni presenti in un presidio fuori dal tribunale e, a poche ore dall’udienza, con l’ennesimo atto di sabotaggio incendiario a dei ripetitori nella bergamasca, ancora una volta rivendicato contro le diffuse nocività.
Il pubblico ministero chiede una pena di 6 anni e 2 mesi, la condanna sarà di 4 anni e 4 mesi ridotta col rito abbreviato a 3 anni.
Il processo di appello del 16 gennaio 2008 conferma la condanna, ma la riduce a 2 anni, senza il beneficio della condizionale. Il giudice non concederà un’attenuante con: “La dannosità delle onde elettromagnetiche non è fondata su dati scientificamente inoppugnabili né può certo dirsi condiviso dalla maggioranza della collettività, considerata la capillare diffusione dei mezzi di telecomunicazione, sicché il movente del delitto in oggetto non è moralmente apprezzabile”.
In aula non c’era niente di scientificamente inoppugnabile da porre contro il dogma della scienza e della tecnologia, ma soltanto una certezza avvalorata da secoli di devastazioni del mondo naturale ad opera di un progresso sempre più ecocida: scientificamente vengono distrutti ecosistemi, scientificamente è possibile sfruttare gli animali in modo totale, scientificamente vengono manipolati con l’ingegneria genetica gli esseri viventi, scientificamente la materia viene scomposta nelle sue particelle atomiche, scientificamente vengono irradiati interi continenti, scientificamente l’elite della ricerca mondiale realizza micidiali armi batteriologiche. Scientificamente lo stato reprime ogni forma di opposizione quando questa esce dai canali prefissati in cui tutto è possibile: dove nocività convive con ecosostenibile.

Il 5 novembre si è tenuta la Cassazione che ha assolto in formula piena senza dover rifare il processo.

11 novembre 2008, Il Silvestre

Mer, 12/11/2008 – 13:03
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