Colleferro - La Casa Cantoniera Occupata: ci riprendiamo ciò che ci spetta | Agg.to
Ci riprendiamo ciò che ci spetta…
Il 2 Maggio 2012, noi, ragazzi e ragazze di Colleferro e dei paesi limitrofi abbiamo deciso di occupare una casa cantoniera abbandonata da più di 40 anni, non accatastata e ridotta al degrado, sita in via Casilina al km 50 circa, adiacente al deposito Cotral (Colleferro).
Le condizioni dello stabile erano disastrose: tutto era ricoperto di rovi e spine, mentre, l’interno della casa era pieno di siringhe e rifiuti di vario genere. Le finestre e le porte erano murate e i pilastri dell’edificio presentavano dei gravi danni strutturali. Le infiltrazioni d’acqua dal tetto avevano rovinato completamente i muri del primo e del secondo piano.
In sette mesi siamo riusciti\e a ripulire e mettere in sicurezza l’interno e l’esterno della casa, abbiamo montato porte e finestre, risanato i muri interni, allacciato l’acqua e sistemato un po’ di mobilia . Inoltre siamo quasi riusciti\e a coprire definitivamente il tetto.
Il tutto autofinanziandoci attraverso iniziative di vario genere: pranzi sociali, concerti…
Le forze del (dis)ordine, finora, ci hanno solo fatto visita e si limitano a perquisire ed identificare al di fuori dell’occupazione. Non hanno mai minacciato lo sgombero. Solamente un imprenditore, l’avvocato Baiocchi, ci ha intimato di andare via, in quanto proprietario di tutte le terre che circondano la casa cantoniera. A suo dire “accorpa terreni”, e sarebbe interessato all’acquisto dello stabile.
I progetti nelle nostre menti sono tanti: dalla costruzione di un forno a legna, all’apertura di una biblioteca sociale e di un mercatino dell’usato. Stiamo pensando di cominciare a recuperare il cibo scartato dalla grande distribuzione, ma soprattutto, vogliamo far diventare questo spazio un luogo di aggregazione. Vogliamo ripartire dalla socialità.
La nostra città non ci offre spazi sociali di alcun genere: i giardini pubblici non esistono più, a parte rare eccezioni, dati in gestione a privati, recintati e video sorvegliati; le piazze, allo stesso modo, sono controllate da videocamere e frequentate più da fantocci in divisa che da cittadini\e.
Siamo quotidianamente sottoposti\e a fermi e perquisizioni corporali, ad opera di ‘controllori’ capaci solo di prendersela con i più deboli.
Senza contare che viviamo in un territorio violentato per quasi un secolo da industrie di ogni genere.
La situazione è più che palese. Grandi proprietari di aziende si arricchiscono con il lavoro sfruttato e sulla salute degli abitanti, umani e non, di Colleferro e dei paesi limitrofi.
Agiscono praticamente indisturbati, coperti dall’amministrazione comunale e dalle istituzioni sanitarie che evitano di rendere pubblici i dati sui livelli di inquinamento, costringendo le persone ad utilizzare acqua inquinata, respirare polveri sottili e coltivare terre avvelenate.
Colleferro è una piccola città, ma può vantare 108 punti di emissioni inquinanti, tra cui ciminiere di grandi multinazionali come l’Italcementi, la Simmel Difesa S.p.A, la KSS. Le attività di produzione bellica e di prodotti chimici esistono da prima degli anni ‘20, mentre la città nasce nel 1935 intorno alle fabbriche stesse.
Gli stabilimenti, inizialmente, erano della B.P.D, società fondata da due senatori (Bombrini e Parodi Delfino), che hanno assoggettato l’intera popolazione attraverso il culto dell’operaio e della fabbrica, sostenuti dalla Chiesa, che ha giocato un ruolo fondamentale nell’opera di indottrinamento della prima generazione di cittadini\e.
Nel 1968 la B.P.D. si fonde con la Snia Viscosa, divenendo Snia B.P.D., famosa perché colpevole del sotterramento di fusti tossici sulle sponde del fiume Sacco, scempio che ha inondato la Valle del Sacco di una sostanza ancora parzialmente sconosciuta, il beta-esaclorocicloesano, residuo della lavorazione del lindano.
La fabbrica di armi è invece di proprietà della Simmel Difesa S.p.A., già oggetto di proteste perché produceva (e probabilmente ancora produce) cluster bombs o parti di esse. Nel 2004 ha oscurato il suo catalogo on-line mentre il 10 ottobre 2007, a causa di un’esplosione, muore Roberto Pignalberi, operaio, tra il silenzio delle istituzioni tutte. A quanto sappiamo sono circa sette anni che vigili del fuoco e ambulanze non possono accedere all’ interno della fabbrica, nemmeno per aggiornare il piano di evacuazione. Sappiamo inoltre che la Simmel ha prodotto armamenti per le guerre in Iraq, Afghanistan e Libia, commerciando con Paesi Nato e non.
Molte delle multinazionali che sono su questo territorio se ne stanno andando pian piano, trasferendo le produzioni all’estero. È il caso della Alstom, multinazionale francese che produceva i treni ad alta velocità, e che se n’è andata lasciando senza lavoro oltre 400 operai. Lo stesso è successo per la Caffaro e sta succedendo anche per l’Italcementi e la KSS.
Sindacati e istituzioni non conoscono altro che immobilismo, mentre i cittadini e le cittadine, non sono in grado in alcun modo di opporsi. Le fabbriche sono arrivate, hanno violentato territori, animali, piante e persone, si sono arricchite ed ora lasciano migliaia di operai senza lavoro e una natura completamente devastata.
Ovviamente vanno delegittimate le istituzioni tutte, in quanto hanno permesso che ciò accadesse in cambio di potere e ricchezza personali.
Uno dei migliori esempi è l’attuale onorevole Silvano Moffa, che, in veste di sindaco, ha regalato a questa città due inceneritori, obsoleti, indagati dal 2009 per smaltimento illecito di rifiuti e gestiti ovviamente da Manlio Cerroni e una discarica, attualmente in funzione senza alcuna autorizzazione.
Inoltre, il nuovo piano rifiuti della regione Lazio, prevede ulteriori 400.000 tonnellate annue di rifiuti, in arrivo da Roma e Campania, da trattare in due impianti TMB (trattamento meccanico biologico) che serviranno unicamente a separare il rifiuto per la discarica dal combustibile da rifiuto che servirà per alimentare gli inceneritori.
Per tutti questi motivi vogliamo cercare, appunto, di ripartire dalla socialità. Vogliamo permettere a chi come noi subisce, di avere un luogo fisico per incontrarsi e parlare, confrontarsi e trovare possibili soluzioni. Abbiamo rifiutato ogni contatto con le istituzioni e crediamo in una lotta che sia autorganizzata e che non si fossilizzi su un’unica tematica, ma che riesca a collegarne il più possibile. Vogliamo creare dei rapporti di forza che ci consentano di rispondere ad ogni imposizione autoritaria e che ci facciano riguadagnare almeno la dignità di esseri viventi. Vogliamo riprenderci ciò che ci spetta…
Solidarietà agli arrestati e alle arrestate, alle inquisite e agli inquisiti di tutte le lotte.
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