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In contatto con Baghdad (34)
by robdinz Thursday, Mar. 27, 2003 at 5:18 PM mail: robdinz@hotmail.com

La notte non è stata leggera.

La notte non è stata leggera.

Chissà perché le notizie e le informazioni che provengono dai luoghi di guerra ad un certo punto si somigliano tutte.
Numeri che si rincorrono di morti e feriti, bombe missili, distruzioni, angoscia e paura.

Un uragano di bombe si è abbattuto su Baghdad, dal centro alla periferia. Colpendo ciò che era stato già colpito, finendo di ditruggere ciò che era ancora in piedi, seminando di vittime civili la periferia sud della capitale per l’esplosione di una piccola zona residenziale, poco lontana dall’hotel “Rashid”.

Alla conferenza stampa di stamattina il Ministro della Sanità iracheno prima e dopo il Ministro della Difesa hanno parlato di almeno 10 vittime civili e più di 100 feriti.

Che si aggiungono a quelli di ieri, che si aggiungono a quelli di martedì, a quelli di lunedì..
Monta la rabbia, la ribellione tra la popolazione, ma anche lo scoramento e la paura.

Diciamola tutta: Baghdad è di fatto sotto assedio. Anche le piccole colonne di auto, pick-up e furgoni pieni di civili che cercavano di lasciare la città non ce l’hanno fatta. Almeno nelle ultime ore.

Mi riferiscono che i bombardamenti segnano tutto il perimetro dell’orizzonte della periferia, da nord a sud, da ovest ad est. La Guardia Repubblicana, le compagnie d’elite che i comandanti militari hanno deciso di schierare intorno alla città, sono costrette a muoversi in continuazione, a cambiare dislocazione senza apparente motivo che non sia quello di (cercare) di sfuggire ai bombardamenti.

La mancanza di informazioni è una della cause di nervosismo e di tensione in città: che sarà della altre città irachene? Quale sarà la sorte dei parenti, degli amici, dei figli, dei fratelli e dei mariti che sono stati mandati chissà dove a combattere?

E la rabbia si manifesta con gesti piccoli e rabbiosi, appunto, come i sassi sulla grande insegna della Kodak, il lancio delle bottiglie di Coca Cola in strada. Persino la distruzione dei piccoli beni personali, come un “phon” della “General Eletric”usato come una clava contro il muro.

Mi riferiscono ancora che le strade, forse proprio per dar sfogo ai propri sentimenti, sono ancora piene di uomini, donne e bambini vocianti, in perenne movimento, che sembrano neppure peroccuparsi come nei giorni passati di procurarsi il cibo ma solo di urlarsi gli uni con gli altri tutta la rabbia che hanno in corpo.

La città è ormai allo stremo: manca l’acqua da 4 giorni, la fornitura di energia elettrica è ridotta al minimo e senza continuità, le scorte alimentari si stanno esaurendo. Non c’è più latte, acqua in bottiglia, scarseggiano i cibi freschi come uova e verdura. La farina non è più sufficiente per panificare. E chi può fa il pane in casa attingendo alle scorte personali.

Negli ospedali dove i feriti sono più di mille la situazione, se possibile, è ancora peggiore: medicinali, ferri, materiali ortopedici e diagnostici sono ormai esauriti o non più utilizzabili. Sono finiti persino i sacchi dove chiudere le vittime e le casse per seppellirli.

Non c’è notizia di aiuti alimentari o sanitari in arrivo, praticamente non c’è più circolazione del denaro. Quelli che lo avevano lo hanno ormai esaurito nei giorni scorsi o se lo tengono ben stretto nel caso capitasse loro l’occasione di fuggire.
Le banche sono chiuse e quindi e non può arrivare denaro dall’estero per quegli iracheni che vivevano delle rimesse dei parenti nel corso degli anni emigrati in Europa.

La pioggia di ieri che si è andata a sovrapporre al manto di sabbia che ha coperto la città nelle ultime 36 ore ha avuto ragione dei libri e dei documenti conservati nell’università tramutando un disastro in una sciagura culturale: anche gran parte di quanto conservato in una delle grandi biblioteche pubbliche si è ridotto a fango, poltiglia di pagine e copertine ormai irriconoscibili che vengono spostati dai bulldozer per riaprire una strada o direttamente gettati nel fiume.
Il lavoro a mani nude degli studenti e dei professori dell’Università non è bastato a salvare che una parte infinitesimale della storia culturale di intere generazioni.

Piccole e grandi difficoltà anche per gli “humans shields” ed i reporters indipendenti: non si riescono a caricare le batterie di pc portatili, introvabili i rullini fotografici, difficilissimo (per la saltuarietà della linea telefonica) collegarsi via e-mail. Un provider locale che fine all’altro giorno faceva i salti mortali per aiutare tutti, non ha più energia elettrica per il suo server.

In queste ore (ed in queste condizioni) alcuni cercheranno di fare un nuovo sopralluogo verso i punti sensibili e vitali dei siti civili indispensabili a ciò che rimane del “funzionamento” della città.
Mi hanno detto di essere soddisfatti della pubblicazione (che fatto ieri) degli indirizzi e della tipologia di questi siti, e che più persone ne sono al corrente meglio è.

Mi hanno poi chiesto quale è stata la reazione alla pubblicazione sulla stampa.

Ho risposto loro che “Indymedia” li segue tutti i giorni, con un partecipazione ed un solidarietà straordinarie e che se loro, lì, sono in pochi possono contare sulla forza di tanti, di tantissimi, di una moltitudine di donne e uomini che si stringono con loro.

Di più non avevo da dirgli.

Prossimo appuntamento intorno alle ore 21.00 italiane

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