Indymedia Italia


Indirizzo mittente:
Indirizzo destinatario:
Oggetto:
Breve commento per introdurre l'articolo nella mail:


http://italy.indymedia.org/news/2003/04/261779.php Invia anche i commenti.

RAQ: UNA GUERRA PER IL PETROLIO (DI NICOLAS SARKIS)
by GB Wednesday, Apr. 16, 2003 at 12:23 PM mail:

war for oil

Riportiamo ampi stralci di un interessante articolo di Nicolas Sarkis, direttore di "Petrole et gas arabe" e uno dei maggiori esperti mondiali di questioni energetiche, pubblicato nel numero di ottobre/2002 della rivista francese "France-Pays Arabes")

"Se l'Iraq invece di petrolio esportasse pomodori o pistacchi non avrebbe presentato alcun interesse per gli Stati Uniti e il presidente Bush non avrebbe lanciato una nuova guerra per rovesciare il regime di Saddam Hussein. Tuttavia, per il presidente americano e per quei suoi collaboratori che suonano i tamburi di guerra- soprannominati a Washington "Il contingente Cheney, Rummy, Condi, Wolf, Perle, W"- non è molto facile giustificare un intervento militare in Iraq per il fatto che questo paese possiede riserve petrolifere provate stimate almeno a 122 miliardi di barili, è il solo paese ad avere giacimenti giganti scoperti ma non ancora sfruttati, è uno dei molto rari grandi produttori di petrolio dove le società petrolifere americane sono totalmente assenti dagli inizi degli anni '70.


In tutte le dichiarazioni fatte dagli alti responsabili americani a proposito dell'intervento militare in Iraq, la parola "petrolio" non è stata mai pronunciata?
E' molto più comodo lanciarsi in questa avventura sotto la copertura della lotta contro "il terrorismo internazionale" divenuto il leit-motiv della politica americana dopo gli attentati dell'11 settembre. Anche se non si è potuto stabilire alcun legame fra l'Iraq e questi attentati?
Quale che sia il fondamento delle accuse contro il regime iracheno, fatto sta che la retorica guerresca utilizzata dai fautori dell'amministrazione Bush non riesce a mascherare l'importanza primaria della questione del petrolio della nuova politica americana. I dati di base dicono che la produzione petrolifera degli Usa è in costante calo da circa 30 anni, durante i quali il loro consumo è aumentato e la loro dipendenza dalle importazioni di petrolio è in forte e rapida crescita. Da un picco di 9,44 milioni (mln) di barili/giorno (bg) del 1972, quando gli Usa erano il primo produttore mondiale di petrolio, la produzione petrolifera americana di petrolio greggio è caduta del 38,6% per scendere a 5,8 mln/bg nel 2001.
Secondo le previsioni disponibili, non supererà 4,3 mln/bg nel 2020. Quanto alla dipendenza dal petrolio importato, compresi i condensati, è passata dal 30,1% del 1972 a 55,4% del 2001, con una domanda di 19,65 mln/bg e importazioni nette di 10,91 mln/bg, secondo le statistiche dell'Energy Information Administration Americane...


La Task Force presieduta da Dick Cheney si è occupata del problema della dipendenza energetica degli Usa e ha elaborato, prima degli attentati dell'11 settembre, un lungo rapporto che raccomanda essenzialmente lo sviluppo delle risorse petrolifere e di gas degli Usa mediante, fra l'altro, la revoca delle moratorie che vietano l'esplorazione nella gran parte delle zone marine, soprattutto al largo della California e della Florida e in buona parte dell'Alaska?
L'opposizione degli ambientalisti all'esplorazione petrolifera nelle zone marine, il trauma derivato dal disastro della Exxon Valdez in Alaska, lo scandalo Enron e il carattere molto impopolare degli aumenti del prezzo della benzina negli Usa hanno finito per mettere in crisi il programma energetico dell'amministrazione Bush.
Dopo la tragedia dell'11 settembre, i mezzi individuati da questa amministrazione per coprire i bisogni petroliferi e di gas degli Usa sembrano orientarsi meno sullo sviluppo delle risorse nazionali e più sulla diversificazione e il controllo diretto delle fonti di approvvigionamento al di fuori delle frontiere. In quest'ottica, l'insediamento di un regime filo-americano in Iraq aprirà una via regale verso i giacimenti giganti di questo Paese e rinforzerà la presenza americana sulla scena petrolifera in Medio oriente e altrove.


L'Iraq è il paese dove la produzione petrolifera può essere sviluppata più rapidamente e al minor costo, perciò la produzione irachena potrà essere portata, in pochi anni, a più di 6 mln/bg e sarà questo un eccellente mezzo di pressione sull'Arabia saudita, sull'Iran e su ogni altro paese i cui orientamenti politici non sono graditi a Washington.
All'orizzonte 2010-2020, la crescita delle esportazioni dall'Asia centrale, dalla Russia e dall'Africa non potrà, al meglio, che compensare l'atteso declino della produzione in altri Paesi non-Opec. In tutti i casi, il Medio oriente resterà, ancora per decenni, la principale zona capace di coprire l'aumento del fabbisogno mondiale e la dipendenza energetica degli Usa e d' altri paesi importatori che, in rapporto a questa regione, continuerà a crescere per l'insieme della zona Ocde dal 55,2% del 2001 al 63,3% del 2010 e a circa 70% nel 2020.


Per parte loro, i paesi arabi e l'Iran desiderano aumentare la loro produzione e le entrate petrolifere di cui hanno un gran bisogno. D'altra parte, questi paesi non hanno manifestato alcun segnale di volere minacciare la sicurezza degli approvvigionamenti dei paesi importatori. Nel contesto politico attuale, un conflitto armato in Medio Oriente rischia, invece, di frenare gli investimenti petroliferi necessari in tutto il mondo, di rafforzare i movimenti estremisti e di aprire la via a una serie di rovesciamenti politici imprevedibili che andrebbero incontro tanto agli interessi vitali degli Usa e degli altri paesi occidentali quanto agli imperativi della lotta contro il terrorismo.

versione stampabile | invia ad un amico | aggiungi un commento | apri un dibattito sul forum

©opyright :: Independent Media Center .
Tutti i materiali presenti sul sito sono distribuiti sotto Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0.
All content is under Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 .
.: Disclaimer :.