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corsera del 5-11 quella condanna degli scontri che divide il movimento
by xxx Thursday, Nov. 06, 2003 at 1:17 AM mail:

continua la criminalizzazione

L’ultimo dibattito dopo i disordini di Roma. E i gruppi del «blocco precariato sociale» che agiscono ai margini della galassia no global non accettano la linea pacifista


Quella condanna degli scontri che divide il Movimento

Luca Casarini e i «duri» dicono «no» e rivendicano la contestazione del «vertice»


MILANO - L’ultima vetrina è stata quella dell’Adecco al quartiere San Paolo-Marconi. Roma, mattina del 4 ottobre, tre ore prima del via alla manifestazione che doveva segnare la «campagna d’autunno» del movimento no global, con dall’ingresso su tematiche più di attualità. Pronti, via, diecimila in marcia sull’Eur per dire no alla nascente Costituzione Europea. E prima di partire vola quel mattone, e dietro la mano che lo tira ci sono una ventina di ragazzi del «blocco del precariato sociale» - così si sono definiti - che in quei giorni, durante la Conferenza intergovernativa presieduta dal governo italiano, faceva base al centro sociale «Acrobax», vicino all’ex cinodromo. Il «blocco del precariato sociale»: una decina di centri sociali, Roma, Napoli e Milano, che navigano tra i Disobbedienti (le ex Tute bianche) e i Cobas, senza farne parte, che lambiscono il movimento ma lo contestano. Fanno parte della «sinistra antagonista» di cui ha parlato ieri il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu. Parole che hanno rimbombato nella testa dei «leader» (definizione che non amano) del Movimento, che incidono su una autocoscienza in corso da tempo.
Nella agenzie, a commento delle dichiarazioni del Viminale, è rimbalzata subito la parola «galassia», che è un modo per dire tutto: i no global e chi ne sta fuori, ma appena appena. Scivola sulla pelle di chi è fuori dal movimento ed è difficile da catalogare, cambia sigla spesso, si definisca «Euro opposizione» o «Lotta di classe». Centri sociali coma Askatasuna di Torino, Cpa di Firenze, il «Comitato di lotta» del Quadraro a Roma. Fuori dai Forum sociali che sono il (traballante) certificato di appartenenza del Movimento, ma, a giorni alterni, dentro i suoi cortei. Aree disomogenee tenute insieme da una ideologia vetero marxista e bersagli comuni come le agenzie di lavoro interinale.
Comunque, brutta giornata, quel 4 ottobre, anche per il Movimento. Dopo il mattone contro la vetrina dell’Adecco, a metà del corteo ufficiale, sulla spianata dell’Eur, un gruppo di Disobbedienti, la parte che fa riferimento a Luca Casarini e ai «romani», ha tirato fuori la solita sorpresa. Sacchetti di sterco e vernice contro i carabinieri. Venticinque minuti con le divise a colorarsi di tempera rosa e altre sostanze organiche, poi l’ultimo avviso: «Guardate che carichiamo». Ancora lanci. Inevitabile, la carica, i fumogeni, manganelli contro sampietrini, gente che cercava un posto dove proteggersi. Il dibattito sulla Costituzione? Accomodarsi altrove.
Quei sacchetti di vernice e altro sono stati il punto di non ritorno. Al «Corto circuito», il centro sociale romano che fa da base dei Disobbedienti nella Capitale, erano volate parole grosse, pronunciate in due lingue ormai diverse tra loro. Da un lato, l’area che fa capo ai «Giovani comunisti», i centri sociali genovesi, quelli del «Leoncavallo» di Milano, che chiedevano di abbandonare quelle che hanno chiamato «pratiche gruppettare», di mollare la «rappresentazione dello scontro». Dall’altro, Luca Casarini e i «veneti» insieme ai «romani» (non tutti) che alla fine hanno stilato un documento che rivendicava «fino in fondo le contestazioni del vertice, in tutte le sue articolazioni».
Può sembrare astruso, è un dibattito di cui si sa poco, tutto interno al Movimento. Ma ha molto a che fare con la politica. E con il peso delle parole, che sono importanti. Il resto della costellazione no global l’ha capito. E non tollera più vetrine rotte e frasi che sfasciano. Una posizione riassunta da Vittorio Agnoletto, che dopo i giorni di Genova rappresenta solo se stesso, ma incarna l’ala «moderata» del Movimento: «Una vetrina rotta sposta l’attenzione dai temi che vogliamo affrontare. Le parole ambigue rendono ambigui anche noi. Nel Movimento c’è una parte minoritaria che è rimasta indietro con il linguaggio. Ma non si discute di "presa del potere" o "momento rivoluzionario". Tutti sono d’accordo sulla non violenza, anche solo verbale».
Luca Casarini, spesso una manna per i titolisti dei giornali, sa di avere esagerato. Nei siti Internet alternativi c’è una rubrica che si chiama «Casarineide», elenca le sue esternazioni. Lui e i suoi sono isolati. Sul Manifesto di martedì Giampiero Rasimelli, portavoce nazionale del Forum permanente, chiedeva: «A nome di chi parlano Casarini e Bernocchi?». Quasi un invito a contarsi, una posizione condivisa tra i no global. Bernocchi, ben piantato nel Movimento ma generoso di parole che dicono e non dicono, è leader nazionale dei Cobas. L’altra area dell’ala sinistra del Movimento dove ogni tanto si posa chi sfascia vetrine ed è guardato con preoccupazione dal Viminale. Storia diversa la sua, che arriva dritta dagli anni ’70 e che lui rivendica: sindacalismo di base, contrapposizione dura alle Confederazioni. Ieri Casarini, parlando nel suo centro sociale di Padova, si è lasciato scappare una frase di autocritica: «Abbiamo sbagliato a isolarci dal Movimento con le nostre pratiche - avrebbe detto -. E questo si paga».

Marco Imarisio

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