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Determinismo e volontà nella rivoluzione sociale.
by tizzy Sunday, Mar. 21, 2004 at 11:37 AM mail:

E' una vecchia questione, quella se la volontà influisce realmente sulle azioni degli uomini, o è una pietosa illusione per legittimare le teorie del libero arbitrio. Altrettanto noto è che Errico Malatesta ha fatto della volontà il perno dell'azione rivoluzionaria, tanto che in campo anarchico si parla di volontarismo malatestiano.

Determinismo e volontà nella rivoluzione sociale.

E' una vecchia questione, quella se la volontà influisce realmente sulle azioni degli uomini, o è una pietosa illusione per legittimare le teorie del libero arbitrio.

Altrettanto noto è che Errico Malatesta ha fatto della volontà il perno dell'azione rivoluzionaria, tanto che in campo anarchico si parla di volontarismo malatestiano.

Non mi interessa qui impelagarmi in una discussione filosofica, quanto valutare le implicazioni pratiche dei due approcci, proprio in vista di una trasformazione rivoluzionaria che potrebbe essere più vicina di quanto ci si immagini.

Innanzi tutto, chiariamo quel che si intende per determinismo: il termine, scientifico e filosofico, definisce la connessione necessaria di tutti i fenomeni secondo il principio di causalità; in particolar modo il divenire sociale può essere indagato con strumenti scientifici, perciò possono essere fatte previsioni sulle forme sociali in trasformazione, in quanto tali forme si evolvono in modo indipendente dalla volontà dei singoli.

Qual era l'opinione di Malatesta su questo determinismo?
Nell'articolo "Lo sciopero generale", pubblicato su Umanità Nova del 7 giugno 1922, così ricordava l'apparire del determinismo in Italia:
"…a frenare l'impulso della gioventù socialista (allora si chiamavano socialisti anche gli anarchici) venne il marxismo coi suoi dommi e col suo fatalismo.
E disgraziatamente con le sue apparenze scientifiche (si era in piena ubbriacatura scientificista) il marxismo illuse, attrasse e sviò anche la gran parte degli anarchici.
I marxisti cominciarono a dire che "la rivoluzione viene ma non si fa", che il socialismo verrebbe necessariamente per il "fatale andare" delle cose, e che il fattore politico (che è poi la forza, la violenza messa a servizio degli interessi economici) non ha importanza e che il fattore economico determina tutta quanta la vita sociale, E così la preparazione insurrezionale fu trascurata e praticamente abbandonata."
In un articolo del 1931, "Pietro Kropotkin - Ricordi e critiche di un vecchio amico", pubblicato sulla rivista "Studi Sociali" di Montevideo nel decimo anniversario della morte dell'anarchico russo, Errico Malatesta critica il fatalismo e il conseguente ottimismo che l'influenza di Kropotkin diffusero nel movimento anarchico:
"Secondo il suo sistema, la volontà (potenza creatrice dl cui noi non possiamo comprendere la natura e la sorgente, come del resto non comprendiamo la natura e la sorgente della "materia" e di tutti gli altri "primi principi") la volontà, dico, che contribuisce poco o molto a determinare la condotta degl'individui e delle società, non esiste, non è che un'illusione. Tutto quello che fu, che è e che sarà, dal corso degli astri alla nascita ed alla decadenza di una civiltà, dal profumo di una rosa al sorriso di una madre, da un terremoto al pensiero di un Newton, dalla crudeltà di un tiranno alla bontà di un santo, tutto doveva, deve e dovrà accadere per una sequela fatale di cause e di effetti di natura meccanica, che non lascia nessuna possibilità di variazione. L'illusione della volontà non sarebbe essa stessa che un fatto meccanico.
Naturalmente, logicamente, se la volontà non ha alcuna potenza, se tutto è necessario e non può essere diversamente, le idee di libertà, di giustizia, di responsabilità non hanno nessun significato, non corrispondono a niente di reale.
Secondo la logica non si potrebbe che contemplare ciò che accade nel mondo, con indifferenza, piacere o dolore, secondo la propria sensibilità, ma senza speranza e senza possibilità di cambiare alcunché. (…), la sua filosofia non restava senza influenza sul suo modo di concepire l'avvenire e la lotta che bisognava combattere per arrivarvi.
Poiché secondo la sua filosofia ciò che accade doveva necessariamente accadere, così anche il comunismo anarchico, ch'egli desiderava, doveva fatalmente trionfare come per legge della natura.
E ciò gli levava ogni dubbio e gli nascondeva ogni difficoltà. Il mondo .borghese doveva fatalmente cadere; era già in dissoluzione e l'azione rivoluzionaria non serviva che ad affrettarne la caduta.
La sua grande influenza come propagandista, oltre che dai suoi talenti, dipendeva dal fatto ch'egli mostrava la cosa talmente semplice, talmente facile, talmente inevitabile che l'entusiasmo si comunicava subito a quelli che l'ascoltavano o lo leggevano. (…) Kropotkin vedeva le cose quali egli avrebbe voluto che fossero e come noi tutti speriamo ch'esse saranno un giorno egli considerava esistente o immediatamente realizzabile ciò che deve essere conquistato con lunghi e duri sforzi. (…)Si potrebbe domandare, io penso, come mai la Natura, se è vero che la sua legge è l'armonia, ha aspettato che vengano al mondo gli anarchici ed aspetta ancora ch'essi trionfino per distruggere le terribili e micidiali disarmonie di cui gli uomini hanno sempre sofferto.
Non si sarebbe più vicini alla verità dicendo che l'anarchia è la lotta, nelle società umane, contro le disarmonie della Natura?"
Giampiero Berti, nella sua monografia su Errico Malatesta ("Errico Malatesta e il movimento anarchico italiano e internazionale" - Franco Angeli) dedica ben due capitoli dallo stesso titolo (Volontà e rivoluzione) a questo aspetto del pensiero di Malatesta. Basandosi su una conoscenza non comune e su un notevole apparato documentario, Berti arriva alla conclusione che la riflessione di Malatesta su volontà e rivoluzione aveva ridotto il socialismo, e quindi l'anarchia, alla sua ultima essenza etica e aveva individuato la giusta posizione anarchica, dal punto di vista anarchico, in quella del dubbio sistematico.
Da questa impostazione teorica, in Berti, deriva il carattere universale dell'anarchia e la contraddizione in cui si dibatte la triade volontà-rivoluzione-libertà, perché la volontà della minoranza rivoluzionaria, attuandosi nella rivoluzione, limita la libertà di chi a questa rivoluzione si oppone.
Questa rappresentazione del pensiero di Malatesta ha una lunga storia all'interno del dibattito anarchico, caratterizzazione che è andatasi accentuando man mano che ci si allontanava dal contesto storico in cui si è sviluppata la riflessione malatestiana, e man mano che sono scomparsi i compagni che con Malatesta hanno discusso e lottato, e quindi potevano dare un'interpretazione diversa delle riflessioni intellettuali che sono venute dopo.
In realtà, l'anarchismo condivide con il determinismo la relazione di causa ed effetto che si traduce in una funzione di grandezze, matematicamente misurabili.
Le sofferenze di cui soffre l'umanità sono effetto, per la maggior parte, della cattiva organizzazione sociale; la causa principale di tutte le soggezioni morali e materiali cui i lavoratori sottostanno è l'oppressione economica, a sua volta effetto dell'appropriazione di tutti i grandi mezzi di produzione e di scambio da parte dei capitalisti: la catena causa-effetto è chiara, così come è chiaro che queste sofferenze hanno un'origine esterna, concreta, e non derivano dalle ideologie che legittimano l'oppressione di classe. Allo stesso modo è chiaro che queste contraddizioni sono irrisolvibili all'interno del modo di produzione esistente: per quanto siano i singoli individui a soffrire della cattiva organizzazione sociale, la via della soluzione individuale è preclusa e l'anarchismo preconizza una soluzione sociale, ad opera dei lavoratori organizzati.
Si tratta quindi di problemi sociali, e di forze sociali che operano per la rivoluzione sociale. E' in questo ambito "deterministico" che opera la volontà, individuale e collettiva, che operano le minoranze agenti.
Queste posizioni risultano più chiare se consideriamo le posizioni di Errico Malatesta sulla scienza. Nonostante i frequenti riferimenti al dubbio sistematico e sulla necessità di criticare le teorie e gli esperimenti scientifici, Malatesta attribuisce un ruolo fondamentale alla scienza nella trasformazione sociale:
"Compito della scienza è di scoprire e di dire il fatto e le condizioni nelle quali il fatto necessariamente si produce e si ripete: di dire cioè quello che è e che necessariamente deve essere, e non già quello che gli uomini desiderano e vogliono. Essa s'arresta dove finisce la fatalità e comincia la libertà. Serve all'uomo perché lo previene dal perdersi in chimere impossibili, e nello stesso tempo gli fornisce i mezzi per allargare il tempo spettante alla libera volontà".
"…noi sappiamo quale cosa e bella, e grande, e potente, e utile sia la scienza; sappiamo quanto essa serve all'emancipazione del pensiero ed al trionfo dell'uomo nella lotta contro le forze avverse della natura: e vorremmo perciò che noi stessi e tutti i compagni avessimo la possibilità di farci della Scienza un'idea sintetica e di approfondirla almeno in uno dei suoi innumerevoli rami.
Nel nostro programma sta scritto non solo pane per tutti, ma anche scienza per tutti. Ma ci pare che per parlare utilmente di scienze bisognerebbe prima farsi un concetto chiaro dei suoi scopi e della sua funzione.

La scienza, al pari del pane, non è dono gratuito della Natura. Bisogna conquistarla con fatica, e noi combattiamo per creare delle condizioni che rendano possibile a tutti quella fatica."

"Scopo della ricerca scientifica è di studiare la natura, di scoprire il fatto e le "leggi" che la governano, cioè le condizioni nelle quali il fatto necessariamente avviene e necessariamente si riproduce. Una scienza è costituita quando può prevedere ciò che avverrà, non importa se sappia o no dirne il perché; se la previsione non si avvera, vuol dire che vi era errore e non c'è che da procedere a più ampia e più profonda indagine. Il caso, l'arbitrio, il capriccio, sono concetti estranei alla scienza, la quale ricerca ciò che è fatale, ciò che non può essere diversamente, ciò che è necessario."

Da questi brevi brani è possibile vedere come il dubbio di Malatesta sia cosa ben diversa dallo scetticismo.

Non ci troviamo quindi di fronte ad una critica filosofica o teorica del determinismo: la critica si accentra sulle conseguenze pratiche e politiche di un'impostazione determinista.
Già nel 1913 scriveva :
"La rivoluzione, si dice, non si fa per capriccio degli uomini. Essa viene, o non viene, quando i tempi sono maturi. La storia non si muove a casaccio, ma si svolge secondo leggi naturali, ecc. In pratica, almeno nella maggior parte dei casi, non si tratta che di un espediente polemico… o politico. Si afferma che una cosa è impossibile quando non la si vuole; si nega la potenza della volontà quando si è invitati a fare uno sforzo in una direzione che non conviene […]. Ma poi quando una cosa interessa e piace, si dimenticano tutte le teorie, si fa lo sforzo necessario e, se si ha bisogno del concorso degli altri, si fa appello alla loro buona volontà e della volontà si esalta la potenza" ("Libertà e fatalità, determinismo e volontà, "Volontà" (Ancona), 22 novembre 1913).

L'attenzione di Malatesta è sempre, quindi, per le implicazioni politiche, per l'azione pratica di trasformazione sociale. Anche oggi i rivoluzionari non devono trovare la loro legittimazione solo nell'adesione a questa o quella teoria, ma nella capacità di dare attuazione concreta alla rivoluzione.
tizzy

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