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Dino Frisullo - Turchia in guerra e guerra in Turchia
by autout Monday, Dec. 03, 2001 at 8:45 AM mail:

2 ARTICOLI DI DINO FRISULLO da Liberazione

"Siamo sempre stati contrari a un attacco all'Iraq, ma nuove circostanze possono comportare nuove valutazioni". E' bastato questo accenno del ministro della Difesa turco Cakmakoglu per far precipitare di sette punti la già disastrata Borsa di Ankara, memore dei danni economici della guerra del '91 e dell'embargo all'Iraq. Colin Powell, atteso nella prossima settimana in Turchia dopo un vertice Nato a Bruxelles, secondo l'agenzia Reuters verrà appunto a chiedere "al paese che proponiamo come esempio al mondo" di condividere e sostenere l'eventuale attacco a Baghdad.



I militari turchi temono che la guerra in Medio oriente comporti la nascita di una contagiosa entità statuale kurda nella regione irakena attualmente autonoma. Ma nello stesso tempo accarezzano il sogno di Ataturk: mettere le mani sull'intero Kurdistan irakeno, comprese le province petrolifere di Mosul e Kirkuk annesse all'Iraq e in via di forzosa arabizzazione. Intanto rispondono a Saddam, che ha ammonito "possiamo tornare nel Nord quando vogliamo" e ammassa truppe nell'area di Mosul, sostituendo con divisioni blindate le guardie di frontiera al valico di Halil. I kurdi tremano: nella guerra che s'avvicina rischiano di fare ancora una volta la fine della noce.



Nel frattempo, per flettere i muscoli, dal 3 al 7 dicembre la flotta e l'aviazione turca si eserciterà in acque anatoliche con i colleghi israeliani e nordamericani. L'offerta turca di guidare con migliaia di uomini una forza di peacekeeping in Afghanistan, per ora scartata ma destinata a tornare all'ordine del giorno secondo l'analista Simon Tisdall del Guardian, ha fatto della Turchia il perno del nuovo ordine postbellico nel "Medio oriente allargato" dall'Adriatico al Caspio e all'oceano Indiano.



Un ruolo pagato in moneta sonante: un nuovo prestito del Fmi di dieci miliardi di dollari, da aggiungere ai 15,7 miliardi già prestati quest'anno. Seicento milioni di dollari passeranno direttamente dal Fondo monetario all'israeliana Imi incaricata di rimodernare 170 tank M-60 turchi. O agli Usa, che rivendicano per sé la commessa. Non è che l'assaggio del grande rilancio militare-industriale chiesto dai generali turchi, in un paese disastrato, per lanciarsi in guerra.



Nell'analisi di Tindall, scontata la necessità di una presenza militare nel dopoguerra afghano, e scartata la "soluzione balcanica" (contingenti sotto bandiere diverse) per i conflitti d'interessi delle potenze circostanti e dei signori della guerra afghani, come dimostra il veto dell'Alleanza del Nord all'invio di seimila teste di cuoio inglesi, si imporrà alla fine la bandiera Onu su un contingente multinazionale a prevalenza islamica ed a guida turca.



"Ma la Turchia chiederà diversi favori in cambio: più voce in capitolo nella Forza europea di rapido impiego, finora bloccata dal veto turco, la rinuncia all'ingresso di Cipro nell'Ue nel 2004, e soprattutto la sordina alle critiche occidentali sulle violazioni dei diritti della minoranza kurda e in genere dei diritti umani, testimoniate dai 43 prigionieri morti per fame e dall'uso ampio e sistematico della tortura. Se in futuro bisognerà usare il pugno di ferro contro i signori della guerra afghani - conclude ironicamente il Guardian - chi potrà farlo meglio dei turchi?"



Senza ironia, l'attitudine del regime turco alla repressione diviene invece la giusta risposta "a chi in passato ha usato un doppio standard in materia di terrorismo o l'ha legittimato in nome dell'equazione etnica" nella lunga analisi del professor Karaosmanoglu, membro dell'Istituto internazionale di studi strategici e testa d'uovo dei militari, apparsa sul quotidiano in lingua inglese Turkish Daily News. Per il resto Karaosmanoglu concorda con Tindall sulla centralità della Turchia in un nuovo assetto euroasiatico, con l'Europa indebolita e la Nato a centralità angloamericana proiettata, nell'ottica della "sicurezza" e non più della difesa, ben oltre le sponde atlantiche. In questo scenario la Turchia potrà anche fare a meno dell'Europa, forte del sostegno Usa, dell'alleanza con Israele e dell'accordo di "partnership multidimensionale" firmato il 16 novembre con la Russia a New York.



Quanto allo scenario irakeno, Karaosmanoglu è esplicito. "La Turchia vuol prevenire un'estensione della guerra all'Iraq, ma se comunque la guerra ci sarà, non potrà restarne fuori. Il futuro dell'Iraq, e in particolare dell'Iraq del Nord, ha a che fare con i nostri interessi vitali. La Turchia è stata costretta ad avviare diverse campagne militari nel Nord Iraq dopo la guerra del Golfo, ed è possibile che oggi ci siano truppe ed armamenti turchi oltre il confine. Insomma, in territorio irakeno ci siamo già. E se vogliamo avere un ruolo nel futuro assetto del Nord Iraq, le nostre opzioni non sono poi infinite". Chiarissimo. E minaccioso.



2.



La devastazione di Armutlu, il quartiere di Istanbul in cui a due riprese i militari hanno fatto irruzione sparando e spianando con le ruspe le case in cui si digiunava contro le celle d'isolamento, non era che l'inizio. Venerdì scorso all'alba la polizia ha fatto irruzione in tutte le ventisei sedi del partito Hadep a Istanbul e in tutte le sedi di giornali, riviste e centri culturali legati all'opposizione kurda, sequestrando quintali di materiali e decine di attivisti.



Pochi giorni fa il potente Consiglio di sicurezza nazionale aveva tuonato contro l'Hadep "strumento del Pkk", che in caso di abbassamento della soglia-capestro del 10% rischia di entrare in parlamento nelle prossime elezioni, e il cui presidente Bozlak aveva invocato il passaggio della guerriglia kurda dall'attuale tregua al disarmo, nel quadro però di un'amnistia generale. E il Consiglio nazionale per l'Educazione (in sigla Yok, che in turco equivale a No!) aveva chiesto una punizione esemplare per i duecento studenti di Istanbul che, nel quadro della campagna di disobbedienza civile e di rivendicazione d'identità che dilaga in Europa e in Turchia, avevano sottoscritto la richiesta di un insegnamento universitario di lingua e cultura kurda.



A Istanbul, dove fra pochi giorni arriverà una delegazione di giuristi, sindacalisti e giornalisti italiani, il clima è tesissimo. La notizia della morte della giovane Tulay Korkmaz, 43.ma vittima del digiuno nelle carceri, è giunta mentre il governo propone di colpire con pene fino a vent'anni di carcere la "istigazione allo sciopero della fame" e di legalizzare l'alimentazione forzata. Ad Armutlu, distrutte le "case della resistenza", c'è ora un poliziotto ogni sette abitanti.



Ma il regime ritiene di avere mano libera in clima di guerra: come criticare i nostri tribunali speciali, argomenta il quotidiano Hurriyet, mentre gli Usa istituiscono corti marziali? Così ad Amnesty International, rea di continuare a denunciare la tortura e in particolare gli stupri di polizia, si è impedito di aprire una sede ad Ankara, mentre si moltiplicano gli sforzi perché l'Unione europea includa anche il Pkk nella lista, ancora segreta, delle organizzazioni "terroriste".



Una pressione efficace: proprio mentre il governo prorogava ancora una volta lo stato d'emergenza nelle province kurde, a Fancoforte la polizia tedesca faceva irruzione nella sede di un sindacato kurdo accusato di sostenere il partito di Ocalan.



D.F.

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