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IL PROCESSO
by Dino Frisullo Wednesday, Mar. 20, 2002 at 7:28 PM mail: dinofrisullo@libero.it

LETTERA APERTA SULLA STORIA KAFKIANA DEL KURDO IHSAN MENGUC, DETTO MAHSUM, CHE CREDEVA DI TROVARE ASILO IN ITALIA

Ihsan Menguc, noto agli amici come Mahsum, è nato il 20 aprile del 1970 a Diyarbakir, capitale del Kurdistan, il "paese che non c'è". E' piccolo e scuro, è un uomo mite con un sorriso sofferente e disarmante.

E' nato lo stesso anno del secondo colpo di stato militare in Turchia. Quando aveva dieci anni, nell'80, il terzo colpo di stato ha introdotto la legge marziale, poi trasformata in "stato d'emergenza", prorogato l'ultima volta all'inizio di marzo del 2002 per la provincia di Diyarbakir ed altre tre province kurde. Dunque l'intera vita di Mahsum è trascorsa sotto il giogo dei militari.

Mahsum ha conosciuto la prigione per la prima volta nel '92, perché si rifiutava di prestare servizio militare nella "guerra sporca" dell'esercito turco contro la popolazione kurda. E' tornato in galera nel '97, per sei mesi, accusato di "sostegno ad organizzazione sovversiva". In entrambi i casi è stato torturato, come d'uso in Turchia. Ancora nel '99 è stato arrestato e torturato per 28 giorni di seguito. A tre anni di distanza ne porta ancora i segni interni ed esterni, cammina con difficoltà ed ha le braccia istoriate da bruciature di sigarette. Due anni dopo è riuscito a fuggire in Italia.

Tutto questo l'ha raccontato per iscritto alla commissione per l'asilo, quando è stato convocato il 12 marzo 2002. A causa del suo stato di salute e della necessità urgente di cure specialistiche, l'associazione Azad aveva chiesto e ottenuto un anticipo della convocazione, prevista per maggio.

La "commissione" era in realtà un solo commissario, un uomo alto e biondo con gli occhiali. Il rappresentante dell'Acnur non c'era. Mahsum ha consegnato il certificato che comprova le torture subite, rilasciato non da uno studio medico privato o da un'associazione di volontariato ma da una struttura pubblica, l'ambulatorio del San Galicano di Roma. Non ha potuto consegnare le certificazioni della carcerazione, non ancora arrivate dalla Turchia.

Peraltro sarebbero state inutili. Perché il commissario non ha guardato neppure il certificato. Gli ha chiesto di indicare dov'era nato su una carta della Turchia, poi gli ha chiesto se sapeva nulla della vicenda della diga sul Tigri che rischia di sommergere l'antica Hasankeyf e centinaia di villaggi kurdi. Ihsan gli ha risposto con impeto, finchè l'altro non lo ha interrotto con un gesto di fastidio: "Qui non si fa politica", ha detto.

Poi gli ha chiesto delle sue persecuzioni, e Mahsum ha ammesso tranquillamente di essere stato accusato di appoggio al Pkk, il partito fuorilegge in Turchia ma non certo in Italia, "terrorista" in Turchia ma escluso dalla lista delle organizzazioni terroriste in Europa, nonostante le vive proteste turche.

A questo punto il commissario gli ha detto che poteva bastare, ed ha annotato sul foglio di appunti che aveva davanti le parole: "Contatti pratica Pkk". Mahsum le ricorda bene, scritte a stampatello, con un asterisco accanto.

Sullo stesso tavolo c'era un rapporto intestato "Questura di Lecce", con il nome di Ihsan Menguc ben visibile.

Facciamo un passo indietro. Settembre 2001. Mahsum, che è uno dei responsabili del centro socioculturale kurdo Ararat di Roma, si trova a Lecce per portare a un gruppo di profughi kurdi appena sbarcati le riviste della diaspora ("Kurdistan Report", giunto al quinto numero nell'edizione italiana e legalmente stampato in altre dodici lingue), e poi libri e documenti sulla questione kurda. Materiali che circolano normalmente fra gli esuli. Viene notato dalla direzione del centro Regina Pacis, che chiama i carabinieri. Questi fermano Ihsan, gli sequestrano i materiali, lo maltrattano pesantemente (quattro giorni dopo aveva ancora difficoltà di respirazione), poi lo portano dentro il centro alla presenza del sacerdote che ne è responsabile. Arrivano altri carabinieri e polizia, arriva l'antiterrorismo. Gli chiedono se è del Pkk, perché continua a far politica in Italia, se è lì per raccogliere fondi… Risponde che il suo lavoro è culturale e politico. Lo libereranno senza spiegazioni nè scuse solo dopo tre giorni, trascorsi in totale isolamento in una cella della questura di Lecce.

Evidentemente è questo il rapporto che l'accompagnava in commissione, come un viatico. Prima di congedarsi dal commissario, Mahsum ha protestato invano per la presenza di un interprete turco e non kurdo, che non poteva tradurre bene ciò che lui voleva dire. Era un giovane tarchiato con l'orecchino, ricorda.

Conclusione: oggi a Mahsum è stato notificato il rigetto della domanda di asilo.

La motivazione è più lunga del solito. Dice, in sostanza: che lui è venuto in Italia solo per cercare lavoro nonchè per sottrarsi all'obbligo militare che vale ovunque; che le persecuzioni addotte "attengono alla sfera personale" (?!); che "successivamente" (al '99?!) non ha incontrato problemi con le autorità del suo paese e quindi "non sono da temere persecuzioni in caso di rimpatrio"; infine, che le persecuzioni subite e le repressioni inflitte a parenti "risultano comportamenti legittimi delle autorità, ininfluenti ai fini dell'applicazione della Convenzione di Ginevra (!).

Contestualmente, come si usa dire, in questura gli è stata notificata l'intimazione di lasciare l'Italia. L'agente che "procedeva" ha avuto cura di sfilargli di tasca i documenti che aveva, e trattenere, "tanto non ti serve più", l'originale del certificato medico che attestava la tortura. Mahsum, previdente, ne ha una fotocopia.

Ora Ihsan Menguc, detto Mahsum, si chiede se non è il caso di lasciare l'Europa e tornare in Turchia, da clandestino e perseguitato, a condurre quella lotta politica che pensava di poter portare avanti, da esule e rifugiato riconosciuto, alla luce del sole nella democratica Europa.

Gli ho detto di no. Gli ho detto che è impensabile che si neghi l'asilo a uno che porta i segni di un'orrenda tortura, e che ha bisogno di entrare in ospedale e non in un nuovo carcere. Gli ho detto che l'Italia non è la Turchia, che ciò che è considerato illegale nel suo paese qui non lo è. Gli ho detto che la commissione per l'asilo sicuramente rivedrà il suo caso, che il certificato medico gli sarà restituito con le scuse, che l'Acnur farà proprio il suo caso così come il Cir e tutti gli organismi di tutela, che non sarà mai rimpatriato di forza e riconsegnato ai suoi aguzzini.

Sbagliavo?

Gli ho detto anche che se tutto questo non fosse vero, e se fosse rimpatriato in Turchia, io andrò con lui, perché mi vergognerei a rimanere in Italia, e d'altronde a quel punto non vedrei più alcuna differenza….



Dino Frisullo

Roma, 20 marzo 2002, vigilia del Newroz

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